Il Vangelo della Solennità dell’Ascensione del Signore (2 giugno 2019)

Come si evince chiaramente dalla pagina evangelica della solennità dell’Ascensione del Signore, nel nome di Gesù Crocifisso-Risorto “saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme”.

È chiaro dunque che l’annuncio del Vangelo consiste nella gioiosa proclamazione di una buona notizia, la comunicazione di un racconto che spalanca il cuore ad una esperienza di liberazione, di salvezza e redenzione.

Di tutto questo noi siamo testimoni: cioè di un fatto che sprigiona vita, letizia, speranza.

Proprio per questo il racconto evangelico non potrà mai generare in chi lo accoglie uno stato d’a­ni­mo segnato dalla monotona ripetitività di qualcosa incapace di destare stupore, meraviglia e cam­bia­mento. Al contrario il Vangelo, essendo il racconto di un avvenimento capace di cambiare la vi­ta, è e deve essere sempre la gioiosa testimonianza di un avvenimento talmente bello che non può lasciarci mai così come ci trova.

Si potrebbe anche dire che proprio dal cambiamento, cioè dalla conversione che riesce a suscitare nel cuore di chi lo accoglie riusciamo ad avere l’indicazione più efficace dell’autenticità del Vangelo annunziato.

Ascendendo al cielo Gesù affida il compito di diffondere il Vangelo ai suoi discepoli, un compito che ogni generazione di cristiani deve assumere e portare avanti responsabilmente.

Come cristiani siamo tutti quanti debitori al mondo del Vangelo.

Il mondo lo attende, il mondo ne ha un immenso bisogno anche quando sembra disinteressarsene o arriva a considerarlo persino superfluo.

Senza Gesù il mondo è tremendamente più povero e freddo.

L’accoglienza al Vangelo è invece garanzia di fraternità e di convivenza pacifica.

Chiunque accoglie il Vangelo nella ferialità della sua vita diviene garante di uno stile solidale e fraterno. Si scopre “benedetto” e diventa a sua volta capace di benedizione. “Alzate le mani” – dice il Vangelo – Gesù benedice i discepoli.

È molto significativo venire a sapere dall’evangelista che l’ultimo gesto di Gesù è stato un atto di be­ne­dizione. Mentre li benediceva si staccò da loro.

È chiaro dunque che  la maledizione non appartiene a Dio.

Il gesto con cui si congeda dai suoi è un gesto di benedizione.

Cerchiamo allora di fare in modo di non dimenticare mai che siamo tutti continuamente destinatari della benedizione divina.

Ciò non potrà che rassicurare i nostri cuori, infonderà speranza nel cammino della vita e soprattutto ci consentirà di vivere con la rasserenante certezza che Gesù mai ci abbandona perché a tutti viene incontro e di tutti si prende cura con la sua solita ed impareggiabile premura e delicatezza.

p. Enzo Smriglio