Fratelli e Sorelle,
1. Ci ritroviamo in questa Basilica Santuario Mariano per celebrare l’eucaristia durante la 70a Settimana Liturgica Nazionale che ha come tema: «Liturgia: chiamata per tutti alla santità battesimale». Ci accoglie la “Bella Maria del Tindari” la Vergine Santa che ha scelto questo luogo per porre il segno della sua presenza e per mostrare la sua tenerezza di Madre a coloro che si rivolgono a lei. In Lei contempliamo la bellezza della santità generata dalla fede,alimentata dall’ascolto orante della Parola evissuta nella verità dell’amore. Ancora una volta, come a Cana, la Madre ci invita ad ascoltare la Parola del Suo Figlio, ad accoglierla nella nostra vita e ad interiorizzarla nel nostro cuore.
2. La Parola proclamata, nella memoria liturgica odierna di S. Agostino,invita anche a meditare sull’importanza della liturgia come incontro vero e fecondo con il Signore Gesù per suscitare nel cuore il desiderio della santità, maturità della vita cristiana. La Liturgia è sorgente di grazia e di santificazione di tutti i membri della Chiesa perciò essa deve essere vissuta nella sua verità, bellezza e stupore.
Paolo nella lettera ai Tessalonicesi legge la sua vita e il suo ministero nella verità del suo rapporto con Dio; egli dona un esempio stupendo di atteggiamento autenticamente cristiano e apostolico. Invece di presentarsi come apostolo di Cristo, con l’autorità che viene da Dio e che quindi può imporsi a tutti gli uomini, egli si rivolge come un padre che nutre e ha cura dei propri figli. L’Apostolo manifesta verso i fedeli un amore paterno, pieno di affettinello stesso tempo molto generoso:«cosi affezionati a voi, avremmo desiderato darvi non solo il Vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cari». Quella di Paolo è una generosità estrema; egli alla fine darà la sua vita per i cristiani. Non potendolo farlo ora, offre ai cristiani di Tessalonicatutta la sua attività, tutte le sue fatiche: «Vi ricordate, fratelli, la nostra fatica e il nostro travaglio; lavorando notte e giorno per non essere di peso ad alcuno, vi abbiamo annunciato il Vangelo di Dio». Paolo si ispira all’amore che viene da Dio, ed è pienamente docile a tale amore. Così ci dà l’esempio che tutti noi dobbiamo seguire, ciascuno secondo la grazia ricevuta e secondo il proprio stato. Non dobbiamo cercare di soddisfare il nostro orgoglio, il nostro egoismo, ma dobbiamo essere docili all’amore che viene da Dio, per il servizio ai nostri fratellie per la loro gioia che sarà anche la nostra.
Paolo vive l’adesione a Cristo con la fiera coscienza di appartenere a Lui e testimonia la sua fede con gesti veramente evangelici perché ricchi di amore e carichi di umanità.È proprio questo incontro rivelatore a far nascere in luiil bisogno insopprimibile di annunciarloaglialtri, vincendo ogni resistenza e andando oltre ogni logica umana. Ne risulta che le opere buone che egli compie sono sempre atto di culto e di lode a Dio e gioioso servizio che sfocia nella celebrazionedella liturgia perfetta e perenne del cielo qualemeta dell’esistenza cristiana.Egli testimonia un comportamento santo, giusto e irreprensibile e come un padre esorta i fedeli di Tessalonica a comportarsi in modo degno di Dio. Per questo egli si affida e li affida alla Parola di Dio che opera meraviglie in coloro che credono.L’esempio di Paolo aiuta a mantenere viva la tensione alla santità.
Se viene meno la tensione alla santità l’orizzonte umano e cristiano si restringe, il divario tra Vangelo e storia si allarga e rimane invalicabile il fossato tra fede e vita. Il desiderio della santità ci fa custodire l’intimità con il Signore, ci fa rimanere attenti ai bisogni dell’uomo del nostro tempo e ci rende apostoli appassionati nell’annuncio del Regno.
Alla luce di queste riflessioni mi piace pensare all’azione liturgica della Chiesa come luogo e spazio di fede e di vitaproteso ad aiutare l’uomo a fare esperienza di Dio nella verità dell’incontro tra la sua umanità e la grazia.
3. Nel brano del vangelo abbiamo ascoltato il discorso duro nei confronti degli scribi e dei farisei nel quale Gesù mette in guardia da ogni forma di ipocrisia. Scribi e farisei chiudono il Regno di Dio agli uomini, cioè rendono invisibile la presenza di Dio nella storia umana. Ne distorcono i segni, che pure sarebbero chiari e semplici: distraggono l’attenzione da ciò che è essenziale e la concentrano su ciò che è secondario; cambiano il dono di Dio, il cui segno è la gioiosa libertà, in un peso che opprime e aliena. Innalzano monumenti ai profeti antichi perché lontani, idealizzati e svuotati, e in realtà come iloro padri rifiutano e uccidono i profeti presenti: prova ne sia che uccideranno Gesù e i discepoli. La radice profonda che produce tali atteggiamenti è: la ricerca di sé. Scribi e farisei sono l’immagine di coloro che piegano tutto all’affermazione di sé. Le loro parole sono di conservazione, non di conversione e di speranza. Possono essere parole “nuove”, ma pronunciate per stupire per attrarre l’attenzione su di sé e non per edificare. Il vero discepolo è colui che non cerca le parole che stupiscono, che attirano all’attenzione su di sé, che esaltano la propria personale originalità, ma le parole della verità e della comune edificazione.
Bisogna essere vigilanti perché questa tentazione può insinuarsi in ciascuno di noi, anche nelle nostre celebrazioni liturgiche dove non di rado emerge l’apparire, lo spettacolare, la gratificazione di se stessi e difficilmente si faesperienza di incontro vivo e vivificante con la persona del Signore Gesù.Solo l’esperienza orantedel mistero celebrato e vissuto, quale azione di Cristo e della Chiesa, diviene gioiosa testimonianza di fede. Non può essere diversamente se abbiamo vero amore per Cristo e per la sua Chiesa e se abbiamo a cuoreil compito dell’evangelizzazione e della trasmissione della fede.Il Mistero celebrato e affidato alle nostre mani è troppo grande e nessuno può permettersi di trattarlo con arbitrio personale, ma va accostato con umiltà e semplicità facendo proprio l’atteggiamento del Battista: « In ogni celebrazione Lui deve crescere, noi diminuire».
«Nella liturgia‒ scriveva R. Guardini ‒l’uomo non guarda a sé , bensì a Dio; verso di lui è diretto il suo sguardo…Il senso della liturgiaè pertanto questo: che l’uomo stia dinanzi a Dio, si effonda innanzi a Lui e si inserisca nella sua vita, nel mondo santo delle realtà, verità, misteri, segni divini e così si assicuri la vera e reale vita sua propria» (Lo Spirito della Liturgia, 75).
4. Il Signore conceda a noi per primi di sperimentare nella celebrazioni liturgiche lo stupore contemplativo per percepire la presenza diDio che si prende cura di tutti i suoi figli nel suo amore immenso di Padre. «Dio buono -scrivevaS. Agostino – cura ognuno di noi singolarmente come se fosse lui solo, e cura tutti come se fossero singoli» (Conf. 3,11,19).
Agostino, con il suo esempio e la sua testimonianza di cristiano e di pastore, ci insegni a rientrare in noi stessi e a contemplare con lo sguardo del cuore, peraffidarci a Cristo sempre vivo perché risorto, ad amarlo con tutto noi stessi e comunicare la gioia di averlo incontrato nel cammino della vita.
+ Guglielmo Giombanco, Vescovo