Gesù lungo il corso del suo ministero pubblico è stato più volte messo alla prova. Nel brano di questa domenica è il turno dei sadducei i quali non credendo nella risurrezione inventano il caso irreale di una donna rimasta vedova per sette volte consecutive dal momento che era andata in sposa a sette fratelli che erano morti uno dopo l’altro.
I Sadducei maliziosamente, volendo mettere in ridicolo il tema della risurrezione futura, provano a mettere nello stesso tempo in difficoltà Gesù chiedendogli a chi dei sette mariti, avuti durante la vita, quella donna sarebbe appartenuta al momento della risurrezione.
La risposta di Gesù, come sempre, non si fa attendere e smaschera il tranello di fondo. Infatti, Gesù prova a far capire ai suoi capziosi interlocutori che lo stato dell’uomo risorto non è da intendersi come una sorta di copia conforme dell’esperienza della vita terrena. E che non ha senso una religione di morti. Ne è prova il fatto che lo stesso Mosè riferendosi a Dio lo chiama sempre “Signore della vita”. Pertanto la donna non sarà di nessuno, perché ciascuno e tutti al momento della risurrezione siamo solo del Signore.
Quando Gesù dice che quelli che risorgono non prendono nè moglie nè marito non intende abrogare gli affetti. Infatti, la risurrezione non annulla il corpo, nè elimina l’umanità. Semplicemente li trasforma e li trasfigura.
L’esperienza dell’eternità, poi, non va intesa come una monotona ripetizione infinita di tutto ciò che ha caratterizzato le svariate esperienze che avremo potuto accumulare nel corso della vita terrena. È piuttosto la grata scoperta – per dirla con San Paolo – di «quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore d’uomo…» (1Cor 2,9).
Sentire da Gesù che “Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui” è una notizia più che consolante. Si tratta del cuore pulsante della nostra fede.
La fede cristiana è credere nella risurrezione di Gesù che ha fatto sua la nostra morte perché noi potessimo fare nostra la sua vita. Per questo San Paolo arriva a dire ai cristiani di Corinto che se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita siamo da compiangere più di tutti gli uomini (1Cor 15,19).
Sentire Gesù che ci dice: “Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui” è il più efficace modo per arrivare a capire che l’esperienza della morte non è un inspiegabile torto da subire, né la drammatica interruzione dei nostri sogni umani, ma semplicemente il sereno traghettamento verso il porto sospirato del pieno godimento della vita.
Affidiamoci allora a Gesù Buon Pastore, l’unico che può condurci per mano anche là dove nessuno ci può accompagnare e attendiamo nella speranza che la sua promessa di risurrezione si realizzi pienamente.
E in quel giorno sarà gioia senza fine!
p. Enzo Smriglio