Gesù spiega ciò che lo aspetta a Gerusalemme e Pietro rifiuta quanto il Maestro prova – per così dire – ad anticipare al gruppo dei suoi discepoli. Reagisce con determinazione e, sebbene cerca di assicurare una certa riservatezza alla sua reazione – il testo dice “lo prese in disparte” – l’evangelista Matteo riporta la modalità alquanto brusca di Pietro fino al punto di “rimproverarlo”. Con questa sua reazione Pietro dimostra di non accettare quanto Gesù prospetta ai discepoli perché per lui è semplicemente scandaloso che il Cristo possa soffrire e arrivare ad essere ucciso. Una fine così ingloriosa è del tutto inconcepibile. Con questo suo modo di fare, senza nemmeno rendersene conto, l’Apostolo Pietro capovolge la sua condizione, sicchè non è più il discepolo che s’impegna a seguire il Maestro, ma è il Maestro che dovrebbe adeguarsi alle indicazioni del discepolo. Quante volte finiamo con il somigliare a Pietro quando non accettiamo ciò che non ci piace e finiamo con il consigliare allo stesso Gesù cosa sarebbe, invece, più gradevole secondo il nostro modo di vedere. E se somigliamo a Pietro, presumendo noi di poter indicare a Gesù cosa sia meglio fare, anche noi dobbiamo immaginarci destinatari del severo rimprovero che quel giorno Gesù rivolse a San Pietro: «Va’ dietro a me…», cioè collocati nell’atteggiamento proprio del discepolo, che è quello della sequela obbediente del Maestro. A Pietro Gesù disse: «Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!». Dunque, si può pensare “secondo Dio”, ma ci si può ritrovare anche a pensare “secondo gli uomini”. Fermiamoci in questi giorni a riflettere su questa pagina di vangelo e di sicuro ci farà bene chiederci come è il nostro modo di pensare se “secondo Dio” o “secondo gli uomini”. Gesù sa bene che non è solo Pietro a pensare “secondo gli uomini” per questo si rivolge subito all’intero gruppo dei discepoli per indicare le condizioni necessarie per poterlo seguire. Si tratta certo di condizioni molto esigenti finalizzate però a permettere a chi fa questa esperienza di “trovare la vita”. A questo siamo chiamati da Gesù. Sarebbe pertanto assai pericoloso limitarsi a mettere l’accento solo e sempre su ciò che siamo chiamati a ‘perdere’ quando in realtà l’obiettivo di ogni autentica sequela di Gesù è la piena e definitiva realizzazione della propria umanità. Infatti, l’esigente proposta di “prendere la croce” e “rinnegare se stessi” non corrisponde affatto ad una sorta di autolesionismo doloristico, ma è piuttosto la necessaria e provvidenziale correzione di rotta della logica di questo mondo che propone sempre l’autorealizzazione di tipo egoistico. Per riuscire a vincere questo diffusissimo modo di pensare è indispensabile, da parte nostra, la docile disponibilità a lasciarci condurre da Gesù e non pretendere, invece, di tracciare noi a Lui la via più facile e comoda da percorrere.
p. Enzo Smriglio