Chi attendiamo: la tensione verso Cristo
Carissimi Amici,
questa sera avanziamo nel nostro cammino sulle riflessioni del tempo di Avvento. La volta scorsa abbiamo meditato sul significato dell’attesa. Questa sera vogliamo riflettere su Chi attendiamo, cioè il tempo di attesa come tensione verso l’incontro con il Signore Gesù. La parola attesa significa anche «ad – tendere» andare incontro a qualcuno.
Spesso quando noi parliamo del Natale dimentichiamo di aggiungere a chi appartiene questa festa: è il Natale di Cristo; l’espressione «di Cristo» indica in genitivo di appartenenza, significa che la festa alla quale ci stiamo preparando appartiene al Signore Gesù perciò in questo tempo dobbiamo fare in modo che la persona di Cristo sia al centro dei nostri interessi e dei nostri desideri se vogliamo vivere la verità del Natale senza infingimenti e vuote emozioni.
Perciò ritengo importante rispondere questa domanda:
Chi attendiamo?
Con quali atteggiamenti?
Ne indicano alcuni che possano aiutarci a vivere fruttuosamente l’attesa del Signore.
a) Lo stupore
Natale è una festa che rivela lo stupore della fede. Lo stupore è la percezione della bellezza degli eventi e delle cose. L’uomo sa ancora stupirsi? Senza stupore il mondo si impoverisce e l’esistenza si ristringe. Lo stupore è un sentimento presente al momento della nascita di Gesù: i pastori si stupiscono quando sentono parlare della sua nascita e poi trovano il bambino in una mangiatoia. Come anche si stupiva Gesù non solo di fronte al miracolo di una vita che si forma nel grembo di una donna, ma di fronte ai fiori, ai semi che diventano alberi grandi. E’ come se la natura si divertisse a contraddire ciò che appare ovvio agli uomini, logico perché tutto calcolato con la razionalità umana e si fa fatica a creare occasioni di stupore.
Una volta, una figura fissa del presepe era il pastorello che rappresentava l’uomo incantato, stupito: lo si poneva abitualmente nel punto più lontano del presepe, un piccolo uomo con la mano sulla fronte a modo di visiera, che guarda la grotta tutto stupito. Mi pare che sia questa la figura del vero cristiano: tutto incantato, quasi immobile, di fronte allo spettacolo di un Dio che si manifesta e ama gratuitamente e per sempre. Davanti alla stalla di Betlemme dobbiamo stare alla sua misteriosa presenza come se fosse sempre la prima volta, con l’incanto di chi osserva un evento che supera ogni aspettativa.
L’uomo d’oggi in un mondo dominato dalla fretta fa fatica a stupirsi e a percepire nel mistero del Natale un frammento che gli apre un vasto orizzonte di amore e di speranza. L’immagine del frammento ha un senso ancora più profondo per il cristiano. Dio stesso si è manifestato nel nostro mondo attraverso un frammento di umanità: attraverso cioè un uomo, nato in un piccolo paese, in un frammento di mondo, in un frammento di tempo. Eppure in questo frammento Dio si è rivelato pienamente e per sempre. In questo stupendo e meraviglioso avvenimento della storia, l’uomo trova la sua stabilità e il suo senso. Lo stupore, infatti, dinanzi alla grotta di Betlemme accresce il desiderio di credere per conoscere Dio che si rivela nel volto di un bambino nato per noi.
Perciò senza indulgere alla retorica non dobbiamo fermarci a distanza come il pastorello del presepe che guardava da lontano, ma avvicinarci sempre di più a quei luoghi dove si incontra Cristo; la è necessario fermarsi; sono i luoghi di una umanità sofferente perché sono questi luoghi dove Cristo nasce per riaccendere nel cuore dell’uomo la luce della speranza
Se ogni uomo si fermasse per capire, per comprendere e per aiutare, lo stupore diventerebbe solidarietà e amore.
b) La contemplazione
La contemplazione di Dio che si fa uomo induce il credente a percepire in maniera chiara la meraviglia sempre nuova della bontà di Dio. «La meraviglia non è aver conosciuto un Dio tanto potente e grande verso cui elevarci, tanto buono e misericordioso per cui consolarci, quanto un Dio che nella sua bontà si svuota della sua onnipotenza per condividere la vita e la storia dell’umanità» (Traccia in preparazione al Convegno ecclesiale di Firenze). A partire da questa verità la meraviglia che invade la nostra esistenza diventa lieta notizia che aiuta e leggere gli eventi della storia con uno sguardo ampio, perché Gesù non è soltanto il mistero di Dio di fronte all’uomo, ma anche il mistero dell’uomo di fronte a Dio. Per rivelarsi e comunicarsi Dio ha scelto la via dell’incarnazione, cioè una profonda condivisione dell’esperienza umana facendola propria. La condivisione di Dio è espressa da un segno chiaro come ci dice la sacra Scrittura: «Questo il segno: troverete un bambino avvolto in fasce in una mangiatoia»; segno dice qualcosa di visibile e di convincente, ma dice anche qualcosa che rinvia. Il segno non ferma lo sguardo su di sé, ma rinvia altrove. Il Natale che desideriamo celebrare non viene solo a titillarci con le nenie e le luci sfolgoranti degli alberi addobbati, ma ci chiede di essere segno di una nuova umanità innestata da Cristo nel cuore della storia per ridare all’uomo il senso pieno e autentico dell’esistenza.
Nella Vita Prima di S. Francesco scritta da Tommaso da Celano si narra che il santo poverello di Assisi si trovava a Greccio nel Natale del 1223 dove realizzò il primo presepe vivente della storia, così leggiamo nel racconto:
«Il Bambinello giace privo di vita nella mangiatoia, Francesco gli si avvicina e lo desta da quella specie di sonno profondo. Né la visione prodigiosa discordava dai fatti, perché per i meriti del Santo, il bambino Gesù veniva risvegliato nel cuore degli uomini che l’avevano dimenticato e il ricordo di lui rimaneva impresso nella loro memoria. Terminata quella veglia solenne, ciascuno tornò a casa sua pieno di ineffabile gioia» (FF, 471).
Questo episodio aiuta a capire che il vero senso del Natale è: risvegliare Cristo nel cuore degli uomini. Come cristiani siamo chiamati a ridestare, nelle persone che incontriamo lungo il nostro cammino, il desiderio e il bisogno di Cristo ed aiutarli a comprendere, con umile e serena fiducia, che solo Lui dona quella gioia ineffabile che dà senso alla vita.
c) Coltivare la speranza
L’ Avvento è un cammino animato dal desiderio di raggiungere la meta: l’incontro con il Signore Gesù che viene per riaccendere nel cuore la fiducia. La speranza coltivata è seme dirompente che ci consente di camminare in avanti, una gravitazione sul futuro, verso una pienezza di senso e di libertà che ci permette di scegliere ogni giorno la via della vita. La speranza coltivata crea nell’uomo un atteggiamento attivo, nutrito di coraggio e di fortezza d’animo, che alimenta la resistenza nella sofferenza e la tensione nella lotta. Essa dà un respiro ampio all’uomo e lo attiva a vivere il suo impegno nel mondo, non perché rimanga quello che è, ma perché si trasformi e diventi ciò che gli è promesso che diventerà: amico di Dio. Natale è Dio nell’uomo, per l’uomo, con l’uomo. Chi accoglie questa verità vive un’esistenza pacificata.
La visione del nostro tempo ci presenta un vissuto esistenziale nel quale si è rotta non solo l’unità di un mondo, di un modello culturale, ma si è rotta in modo più fondamentale anche l’unità della persona.
La protagonista Gristiane, di uno dei testi teatrali del filosofo e drammaturgo G. Marcel, nell’opera Il Mondo in frantumi, mette in evidenza la realtà di un mondo, il suo, e quello degli altri, che è sempre in frantumi, non c’è più un centro, non c’è più neanche vita:
«Cristiane dice: Non hai l’impressione, qualche volta, che noi viviamo… se questo può chiamarsi vivere…in un mondo rotto? Si rotto, come un orologio rotto. La molla non funziona più. Apparentemente non c’è niente di cambiato. Tutto è perfettamente a posto. Ma se si porta l’orologio all’orecchio… non si sente più niente. Capisci, il mondo, ciò che noi chiamiamo il mondo, il mondo degli uomini…una volta doveva avere un cuore. Ma si direbbe che questo cuore ha cessato di battere…».
Un cuore che ha cessato di battere dice la mancanza di vita e di speranza. Tornare a sperare vuol dire porre le condizioni perché questo cuore riprenda a battere di nuovo…un cuore cioè capace di pensare, di sentire e di amare.
Un uomo che spera è perciò stesso un uomo capace di stare dentro la storia, che non vive in fuga, ma senza clamore e chiasso opera il bene in modo molto concreto nelle trame della propria esistenza quotidiana. Sperare è saper guardare come guarda Dio, raggiungere il tempo, la storia, gli altri come Lui li ha raggiunti e continuamente li raggiunge.
Senza forti motivazioni si spegne nel cuore la forza della speranza. Eppure Cristo viene sostanzialmente per darci speranza. Egli viene ad insegnare a tutti gli uomini a vivere una vita nuova: vissuta nella fede, animata dalla carità, guidata dalla sobrietà. E’ una vera e propria rivoluzione che ci chiede il Natale: la rivoluzione interiore del nostro cuore, dei nostri pensieri, delle nostre decisioni. Ed è da questa rivoluzione interiore che scaturirà la gioia di vivere in pienezza la vita, come dono di Dio a noi e da parte nostra ai fratelli e alle sorelle che incontriamo nel nostro cammino.
In questo viaggio verso l’incontro con il Signore che viene lasciamoci prendere per mano dai pastori semplici ed umili, nostri modelli e amici; loro sanno perché ci dicono: «Andiamo a Betlemme!».
+ Guglielmo, Vescovo