L’omelia del Vescovo Guglielmo per la Messa Crismale

Carissimi fratelli e sorelle nel Signore,

Saluto con gioia e gratitudine Mons. Carmelo Ferraro già degnissimo pastore della nostra Chiesa e ad essa legato da vincoli di affetto e di ministero. Un pensiero affettuoso rivolgo a mons. Ignazio Zambito che sentiamo unito a noi nella comunione ecclesiale e nella fede orante.

Saluto voi cari confratelli presbiteri, diacono, seminaristi, religiose e fedeli laici. Un saluto particolare rivolgo a voi cari fratelli e sorelle che ci seguite da casa at­tra­verso la televisione e Radio Tindari, vi sentiamo in comunione con noi e con gioia preghiamo con voi.

Per me vescovo è sempre una grande gioia e un conforto interiore incontrare tutti voi e pregare con voi e per voi attorno all’altare del Signore.

Ricordiamo con affetto orante i confratelli che dall’ultima Messa crismale ad oggi so­no stati chiamati a celebrare la liturgia del cielo nella pienezza della vita: don Pie­tro Calabrese, don Giuseppe Garito, don Antonino Bisignano, don Gaetano Franchina. Il Signore conceda loro il dono della pace nella luce della risurrezione.

1. In questa celebrazione si ravviva in tutti noi la coscienza di essere popolo sacerdotale rivolto al Padre per mezzo di Gesù Cristo che ci ha resi partecipi del suo sacerdozio.

Le promesse sacerdotali che noi presbiteri questa mattina rinnoviamo ci ricordano il grande dono ricevuto e ci richiamano l’entusiasmo e la sincera promessa fatta nel giorno dell’ordinazione sacerdotale.

La celebrazione odierna è caratterizzata dal rito della benedizione degli Oli che rimandano all’unzione penetrante e trasformante dello Spirito Santo che ci fa figli nel Battesimo, ci rafforza e conferma nella Confermazione e ci consacra «popolo sacerdotale», «popolo di sua conquista».

La Parola proclamata e la felice circostanza dell’Anno dedicato a San Giuseppe ci aiutano a riflettere sul senso della nostra vita di presbiteri e sul nostro ministero.

Il Santo Padre nella Lettera «Patris corde» così scrive:

«Da tutte le vicende risulta che Giuseppe è stato chiamato a servire direttamente la persona di Gesù mediante l’esercizio della sua paternità: proprio in tal modo egli coopera alla pienezza dei tempi al mistero della Redenzione ed è veramente ministro di salvezza» (Francesco, Patris corde, 5).

Queste espressioni così profonde e significative riferite a San Giuseppe richia­ma­no anche i tratti essenziali del presbitero:

– chiamato a servire direttamente la persona di Gesù

– la paternità: servizio di amore

– cooperatore della Redenzione per essere ministro di salvezza.

2. Il presbitero è chiamato a servire direttamente la persona di Gesù

Il brano del profeta Isaia prefigura la missione del Servo di Jhavé, l’unto di Cristo inviato dal Padre per recare la lieta notizia di un anno di grazia da parte del Signore. Un anno di favore divino che si attua mediante la liberazione da ogni male e la consolazione degli afflitti, il cui cuore spezzato è ora allietato dal canto della lode. «Voi sarete chiamati sacerdoti del Signore e ministri del nostro Dio sarete detti» (Is 61,6). Mi piace sottolineare le espressioni: sacerdoti del Signore e ministri di Dio. Noi apparteniamo al Signore perché Lui ci ha scelti e la chiamata che abbiamo accolto orienta la nostra vita e il nostro ministero direttamente al servizio di Cristo. Tale servizio ci rende veramente ministri di Dio e la parola ministro significa servo; siamo ministri del Signore perché servi, perché mettiamo la nostra vita a servizio del Figlio Gesù e dei fratelli, un servizio di donazione che inizia in un incontro personale con Gesù. In quell’incontro avvertiamo l’amore con cui Cristo ci ama personalmente; un avvenimento di grazia da cui nasce una vera e profonda adesione a Lui che coinvolge l’intera esistenza.

Penso al momento che ciascuno di noi ha vissuto quando ha incontrato il Signore nel proprio cuore ed ha ascoltato l’invito: «seguimi». Ogni vocazione e, in modo particolare quella presbiterale, è frutto di un incontro tra uno sguardo di amore e una risposta di libertà come quella mattina quando lungo il mare di Galilea Gesù vide e chiamò i primi discepoli e li invitò a seguirlo (cf. Mc 1, 16). Nella vocazione colui che è chiamato si sente guardato personalmente, cioè conosciuto e amato. Si sente abbracciato nel proprio passato e presente, interpellato dalla Sua promessa per rispondere ad essa impegnando il proprio futuro con la certezza che «la fedeltà del Signore e il suo amore saranno sempre con lui» come abbiamo pregato nel Salmo.

Colui che decide di seguire il Signore non tergiversa nella scelta, non pone condizioni; un solo interesse abita il suo cuore: seguire Cristo vivendo l’obbedienza all’amore. La fecondità del nostro ministero, carissimi confratelli, sta nel rinnovare ogni giorno la memoria di quell’incontro che ha segnato e trasformato la nostra vita per comunicare ai fratelli e alle sorelle la gioia di aver incontrato il Signore, per dire a loro che è bello essere servi per amore come lo è stato Lui.

3. La paternità: servizio di amore

Il brano dell’Apocalisse ci ha ricordato: «Colui che ci ama ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue e ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre» (Ap 1, 6 -7). L’amore di Cristo continua a vivere nel presente e grazie ad esso i cristiani diventano «regno» cioè ricevono da Lui la responsabilità di una mediazione di tipo sacerdotale da esercitare nella storia attraverso una relazione di paternità e di figliolanza.

Gesù prima di essere padri ci chiede di essere figli come Lui per conoscere la paternità di Dio da cui scaturisce la nostra paternità. Dio esercita la sua paternità instaurando nel mondo un regno di amore, di servizio, di donazione. Non dimentichiamo che il nostro ministero nasce da una scelta di amore che chiede quotidianamente una risposta di libertà. Solo chi è libero può aprirsi alle novità di Dio e sa scorgere in essa nuove possibilità per vivere il ministero con gesti carichi di amore e ricchi di umanità necessari per riflettere nella storia la paternità di Dio. Chi è padre non svolge una funzione, ma un compito: accompagnare i figli nella crescita senza possedere.

Quante resistenze, chiusure, rigidità e atteggiamenti difensivi, paure, sicurezze assodate ed assunte come corazze che non aiutano ad essere padri, cioè pastori capaci di ascoltare, di comprendere e non giudicare, di esprimere vicinanza, di compatire chi soffre, di incoraggiare e di rispettare i tempi di crescita di coloro che ci sono affidati. Il vero padre non è colui che ha sa tutto ed ha il prontuario dell’esistenza, ma colui che ha fatto esperienze belle di vita e di fede, ha saputo trasformare le ferite in segni di una umanità fiorita dalla grazia e con gioia trasmette tutta la sua ricchezza interiore, rispettando sempre la libertà di chi è in cammino verso la maturità umana e cristiana. La paternità se è vero servizio di amore non si impone, ma si nutre di libertà e germoglia nella fede. Chi ama dimentica se stesso e si mette al servizio del prossimo.

Servire liberamente, per amore e in spirito di totale gratuità esige impegno e fatica interiore per accogliere con sincera umiltà l’invito di Gesù: «chi vuol essere il primo sia il servo di tutti… e il discepolo non è più grande del maestro» (Gv 13, 15-16). Tale atteggiamento renderà la nostra paternità creativa e feconda e ci permetterà di essere padri per generare vita e donare nuove ragioni di vita, per nutrire i fratelli prendendosi cura di loro, per soffrire con loro e amarli sempre anche quando percepiamo di non essere amati. Chiediamo al Signore che ci doni sempre un cuore di padre.

4. Cooperatori della Redenzione e ministri di salvezza

Nel brano del Vangelo abbiamo ascoltato la visita di Gesù alla Sinagoga di Nazaret; Egli vi giunge nella «potenza dello Spirito» e proclama l’annuncio dove il protagonista è lo Spirito (Lc 4,18).

La missione sacerdotale si configura come continuazione della missione di sal­vez­za inaugurata da Cristo nella storia. Anche noi presbiteri come Gesù siamo stati consacrati con l’unzione dello Spirito per perpetuare la missione del Servo: evan­gelizzare i poveri e predicare l’anno di grazia ai contriti di cuore. Tutto il tempo che si snoda dopo la venuta di Cristo è un tempo di grazia, perciò essere cooperatori della redenzione e ministri di salvezza significa aiutare i fratelli e le sorelle che incontriamo nel nostro cammino ad aprire il cuore alla grazia e avvertire che in Gesù Cristo la salvezza si è fatta immediata. Il mondo ha bisogno di Cristo e il compito di noi presbiteri è proclamare la buona novella perché Lui ci ha chiesto di essere pastori del gregge e pescatori di uomini per annunciare la salvezza non solo a quelli che accogliamo in chiesa, che sono vicini ma anche a quelli che dobbiamo andare a cercare fuori con la consapevolezza che la parabola della pecora smarrita è vissuta alla rovescia, novantanove si sono allontanati ed una è rimasta nell’ovile.  Questo è un compito impegnativo e difficile, abbiamo bisogno dell’aiuto dello Spirito e della collaborazione dei fratelli e delle sorelle laici formati e generosi per valorizzare la molteplicità di carismi, di energie, di talenti, presenti nella nostra Chiesa. Da soli noi presbiteri possiamo fare ben poca cosa, insieme e uniti ai fratelli e alle sorelle delle comunità che ci sono affidate, possiamo fare tanto. Solo così le nostre comunità diventano luoghi di comunione e insieme segno e strumento della vocazione di tutti i battezzati all’edificazione del Regno di Dio nella storia.

5. A tutti: Presbiteri, Consacrate, Fedeli laici rinnovo la mia profonda gratitudine per il dono della vostra presenza e per i vari servizi e ministeri svolti nella nostra Chiesa, orientati a testimoniare la perenne fecondità del Vangelo al mondo d’oggi. La vostra vicinanza, spirituale e fattiva, mi è di grande conforto.

Questa gratitudine voglio esprimerla in particolare verso i confratelli presbiteri che quest’anno celebrano i giubilei sacerdotali: 70°di sacerdozio P. Salvatore Gagliani, 60° Mons. Giovanni Orlando, 50° i confratelli: Caputo Mario, Di Piazza Salvatore, D’Omina Placido, Giordano Michele, Morsicato Sebastiano, Mancuso Benedetto, Passalacqua Guido, Santoro Luigi e Scalisi Carmelo e altri confratelli che celebrano ricorrenze significative. Per la prima volta concelebrano con noi don Cono Corgone e don Carmelo Paparone che ho avuto la gioia di ordinare presbiteri lo scorso 12 settembre e accogliamo con gioia nel presbiterio il diacono Antonio Lo Presti ordinato il 15 novembre scorso.

A tutti rivolgo un grazie speciale e un augurio sincero; per tutti la mia preghiera segno di paterna vicinanza.

In questo momento di intensa comunione e di fraternità non possiamo non rivol­ge­re il pensiero ai confratelli che non hanno potuto partecipare a questa celebra­zio­ne perché impediti da malattie. La nostra preghiera e la nostra vicinanza affet­tuo­sa siano per loro sostegno e incoraggiamento.

In questo Anno dedicato alla «Famiglia Amoris laetitia» rivolgo un pensiero alle famiglie della Diocesi e invito tutti a pregare per esse perché possano crescere nell’amore e nella fede. Esorto le comunità a promuovere un rinnovato e creativo slancio pastorale per mettere la famiglia al centro della vita ecclesiale.

Un pensiero affettuoso rivolgo a voi cari seminaristi e vi esorto a vivere il cammino in seminario come tempo di attesa e di discepolato per crescere nell’amicizia con il Signore Gesù e prepararvi ad amare e a servire la Chiesa con gioia e generosità.

Maria, Regina degli Apostoli, guidi il nostro cammino verso la Pasqua perché insieme a Lei possiamo intonare il canto della Risurrezione da cui rinasce la vita. Amen!