L’evangelista Luca nel brano che la liturgia ci propone nella 3a domenica di Pasqua descrive, quasi nei dettagli, le reazioni degli apostoli dinanzi al Risorto. Così leggiamo: «Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma… per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore». Questo smarrimento è assai ricorrente nei Vangeli di Pasqua. Faremmo bene se riuscissimo a recuperare questa dimensione della nostra umanità.
Non di rado rischiamo di ingenerare nelle coscienze quasi un senso di vera e propria colpevolezza per il solo fatto di avere dei dubbi. Se la fede potesse essere ridotta a delle semplici nozioni intellettuali da recepire è ovvio che verrebbe esclusa ogni forma di dubbio. Infatti, chi ha capito non può continuare a dubitare.
In realtà però la fede non è solo un fatto da capire, ma è anzitutto un affidarsi interamente a una persona, ad una realtà che è immensamente più grande di noi. Di fronte ad una novità assoluta come è la risurrezione i discepoli – e noi con loro – sono stati (e siamo), per così dire, istintivamente afferrati dalla paura per questa assoluta novità.
A noi viene molto più facile aggrapparci al presente, cioè alla nostra realtà che è sotto i nostri occhi e della quale abbiamo (o pensiamo di avere) la massima contezza. In ognuno di noi è presente una specie di attaccamento alla nostra attuale esistenza.
Il Risorto però è Lui stesso che viene ad aprirci orizzonti nuovi e toccando il nostro presente finisce con il rimettere tutto in discussione, cambiando la stessa gerarchia dei punti di riferimento ai quali noi siamo tante volte tenacemente attaccati.
In questo modo di tante cose che ci stanno a cuore la fede dice: «Non hanno nessuna importanza». Di altre cose, a cui cerchiamo di non pensare, la fede, invece, ci dice: «Stai attendo che queste sono le cose che veramente contano».
E noi dobbiamo candidamente ammettere che un simile rovesciamento di punti di riferimento né lo comprendiamo, né tanto meno lo accettiamo subito. In questa prospettiva appena accennata è chiaro che l’esperienza del dubbio è quasi inseparabile dalla fede. Proprio per questo Gesù stesso (come già per altri abbiamo visto domenica scorsa con Tommaso), con edificante pazienza e straordinaria comprensione viene incontro ai suoi discepoli che – dice il testo – «per la grande gioia ancora non credevano». Che è come dire: «Per i discepoli era una realtà così bella che non credevano ai loro occhi, non riuscivano ancora a capire l’enormità di ciò che era accaduto». Ma è anche vero che la gioia dei discepoli è già un desiderio di credere, anche se non è ancora la fede piena.
I discepoli si sono trovati all’improvviso di fronte ad una esperienza che li ha attratti, affascinati e completamente conquistati. Come i discepoli anche noi non possiamo pretendere sempre la chiarezza desiderata, ma possiamo sempre affidarci completamente a Gesù e alla sua divina tenerezza, senza per questo scambiarlo per un fantasma ma piuttosto lasciandoci aprire anche noi da Lui «la mente e il cuore all’intelligenza delle Scritture».
Così facendo potremo custodire la certezza nel cuore che la Parola di Dio una volta docilmente accolta da parte nostra ha la capacità di offrirci una lettura e a una comprensione nuova della realtà e nello stesso tempo ci aiuta a capire dove Dio ci vuole condurre servendosi talvolta anche di quegli avvenimenti del tutto inattesi o impensati da parte nostra ma che possono però rivelarsi capaci di conferire un senso nuovo alla nostra intera esistenza.
p. Enzo Smriglio