Trent’anni senza don Pino ; anzi, no: trent’anni con don Pino sempre più presente nel cuore della gente e nel cuore della Chiesa, col suo sorriso, con la sua affabilità, con la sua capacità di “avvicinare” e affascinare la gente con semplicità. Era la sera del 15 settembre 1993 quando “Tre P”, com’era affettuosamente chiamato dai “suoi” ragazzi, fu ucciso con un colpo di pistola alla nuca, mentre rientrava in canonica dopo aver festeggiato il suo 56esimo compleanno. Anche di fronte a chi materialmente lo stava uccidendo, simulando inizialmente una rapina, don Pino non fece mancare il suo sorriso e con la sua disarmante spontaneità disse: “Me l’aspettavo”. E’ rimasto nel cuore di tutti perché è stato non un teorico dell’amore ma un testimone assiduo ed instancabile di esso; è stato un punto di riferimento per tantissimi studenti a cui – come lui stesso disse entrando la prima volta in classe – voleva sempre “rompere le scatole”; è stato un punto di riferimento perché non si è abbassato alla volontà della mafia (in primis per restaurare la chiesa di Brancaccio) ma l’ha affrontata con il coraggio della fede; è stato un punto di riferimento perché ha tolto tanti ragazzi – a cui ha fatto dono della comunità “Padre Nostro” – dalla strada e dalle grinfie di “Cosa Nostra” per dare loro un futuro, per educarli al perdono e non alla vendetta, per salvarli dal carcere e dalla morte, per insegnare loro a pregare e a studiare; è stato un punto di riferimento perché “le cose non le mandava a dire”. In una delle sue ultime omelie disse: “Vorrei conoscere i motivi che vi spingono ad ostacolare chi vuole educare i vostri bambini alla legalità e alla rispetto reciproco. Chi usa la violenza non è un uomo”.
Tra l’altro don Pino era in qualche modo legato alla nostra diocesi; suo papà Carmelo, con la famiglia di origine, si era dovuto trasferire, per motivi di lavoro, a Piraino, e proprio lì sbocciò l’amore con Giuseppina Fana, nativa di Marina di Patti, che sarebbe diventata la mamma che ebbe, poi, un ruolo fondamentale nella vocazione dei figlio.
Lui è stato vittima della violenza senza scrupoli, scatenatasi perché “il parrino voleva comandare il quartiere. Ma tu fatti u parrinu, pensa alle Messe, lasciali stare… il territorio… il campo… la Chiesa… Cose da non crederci. Tutte cose voleva fare iddu nel territori”.– come si sente in un’intercettazione telefonica di Totò Riina -. Invero lui ha vinto la violenza, col suo sorriso, col suo ennesimo “eccomi” (come quello sicuramente pronunciato quando il cardinale Salvatore Pappalardo gli affidò la parrocchia di Brancaccio), con il suo affidarsi a Chi non toglie ma dona la vita e la dona in abbondanza. Don “Tre P” non è stato un eroe; è stato un sacerdote innamorato di Cristo, della Chiesa e dell’uomo, amore che lo ha portato al dono totale di sé. La nostra terra di Sicilia rende grazie a Dio per avercelo dato e implora che il suo sorriso possa stamparsi nel cuore di ognuno.
Nicola Arrigo