A 65 anni dalla morte, avvenuta l’1 giugno 1959, l diocesi di Patti ha voluto ricordare la figura di monsignor Angelo Ficarra, che ha guidato la Chiesa pattese dal 1936 al 1957. Nella Basilica Cattedrale “San Bartolomeo” il vescovo monsignor Guglielmo Giombanco ha presieduto la solenne celebrazione eucaristica, alla quale ha partecipato anche l’arciprete di Canicattì (città della nascita e della morte di monsignor Ficarra) Nazareno Ciotta. Nell’omelia, monsignor Giombanco ha definito monsignor Ficarra “pastore sapiente ed illuminato”, evidenziando due sentimenti, la memoria e la gratitudine: “Memoria per tutto il bene che ha seminato nei solchi della storia della nostra Chiesa; gratitudine nei confronti di un pastore che con la sua fede e il suo luminoso magistero ha fatto risplendere la luce di Dio”. Monsignor Giombanco ha rimarcato tre tratti essenziali di monsignor Ficarra: il pastore e padre, l’evangelizzatore, l’orante. “Pur tra tante difficoltà si prodigò con tutti i mezzi ad annunciare Cristo e il Vangelo con il cuore di padre che conosceva i suoi figli e desideroso di crescere con loro e di soffrire con loro e per loro. la sua opera fu instancabile per il seminario; egli ne fece il punto cardine del suo ministero episcopale. Promosse anche congressi e incontri di studio aperti anche ai laici, in questo ambito fu antesignano del Concilio Vaticano II sul rapporto tra fede e cultura”.
Riguardo all’evangelizzatore, il vescovo ha affermato che “monsignor Ficarra svolse con passione ed esemplare dedizione il compito di rendere presente nel mondo la potenza della Parola che salva”, facendo riferimento alle Lettere Pastorali “in cui emergono le preoccupazioni fondamentali per la vita e la missione della Chiesa: l’educazione, la trasmissione della fede, l’evangelizzazione”. Infine, l’orante. “Era un uomo di fede immerso nel mistero e aperto al mondo; seppe rimanere saldo nei momenti difficili del suo episcopato, pregando, soffrendo e continuando ad amare la sua Chiesa. Si prodigò con zelo a soddisfare i bisogni dei suoi fedeli soprattutto nel periodo della seconda guerra mondiale e si distinse per la costante carità verso i poveri, per la ricostruzione materiale e spirituale della comunità e delle strutture”.
E’ seguito un convegno su “Impegno e carità pastorale di monsignor Angelo Ficarra nella Chiesa di Patti” moderato da don Pierangelo Scaravilli, arciprete della Cattedrale, Don Basilio Rinaudo si è soffermato su “Angelo Ficarra: l’uomo, lo studioso, il pastore”, evidenziando come “ancora oggi monsignor Ficarra desti attenzione ed interesse”. “Ha avuto – ha sottolineato – uno stile inconfondibile: uno in Cristo, con un’azione pastorale tesa a riempire le menti e i cuori di Gesù, impegnato nel rinnovamento della vita cristiana e delle sue forme espressive”. Don Franco Pisciotta ha, invece, posto l’attenzione su “Il munus docendi di monsignor Angelo Ficarra”, soffermandosi sulle 13 Lettere Pastorali (“Una lettura agevole per la chiarezza e affascinante per i tempi sempre attuali”) da lui scritte dal 1936 al 1955, “considerate un mezzo privilegiato per assolvere al compito di insegnare”. La prima ha un valore programmatico (“lui, comunque, parlava di compito e non di programma, perché il compito è tracciato da Dio, il programma dall’uomo”), l’ultima di testamento spirituale. “Il suo intento – ha aggiunto padre Pisciotta – è stato quello di educare il popolo a trovare come perno Gesù e a testimoniare con la vita quanto professato con le parole. Tra l’altro, intuì concetti basilari del rapporto Chiesa-mondo, poi ratificati dal Concilio Vaticano II, per cui può essere considerato un profeta, un precursore, grazie alla sua sensibilità, circa il distacco della Chiesa da qualsiasi potere temporale”.
Don Stefano Brancatelli è intervenuto su “L’opera del vescovo Ficarra nel contesto socio-politico del fascismo, della guerra e della ricostruzione post bellica”, facendo risaltare “la consistente letteratura sviluppatasi su monsignor Ficarra”, che “nell’epoca fascista non si compromise col regime”, che “nel contesto della guerra si distinse per i suoi silenzi, per prudenza o, forse, per disinteresse politico, senza alcun riferimento, nemmeno implicito”, che dopo il 1946 “nelle lettere alle Orsoline scriveva di tristi tempi, in un’epoca di democrazia ma con il rischio comunista”, che “tra le difficoltà della ricostruzione post bellica e le accuse che gli venivano mosse sentì il peso di non essere riuscito, come avrebbe voluto, ad essere ministro al servizio dell’unità, visto che fra i cattolici si erano formate due…anime, anche se alla fine il suo allontanamento, a differenza di quanto comunemente si sostenga, fu dovuto non a motivi politici ma ecclesiali”.
testo dell’omelia del Vescovo Mons. Guglielmo Giombanco