Nella bella Lettera che Papa Francesco ha inviato a tutti i sacerdoti del mondo in occasione del 160mo anniversario della morte del Santo Curato D’Ars, Patrono di tutti i Parroci, si percepisce immediatamente il tono confidenziale e affettuoso del Papa che come “fratello maggiore” e “padre” vuole raggiungere ogni sacerdote per manifestargli anzitutto la sua vicinanza e per ringraziarlo a nome “del santo popolo fedele di Dio” per tutto ciò che riceve dal ministero di quella silenziosa schiera di sacerdoti che “in maniera costante e integra, offrono tutto ciò che sono e hanno per il bene degli altri”.
Il testo della Lettera è costruito su quattro parole (dolore – gratitudine – coraggio – lode) che, come quattro solidi pilastri, invitano ogni sacerdote a sperimentare una salutare sosta sostanziata di orante riflessione.
Il Papa parte dalla triste situazione degli scandali che hanno provocato tanto doloroso disorientamento nella Chiesa fino al punto di offuscare il ministero sacerdotale con una spessa coltre di sospetto estesa, in modo indiscriminato e ingeneroso, su tutti i sacerdoti.
In questi momenti di “turbolenza, vergogna e dolore” la fedeltà al ministero della stragrande maggioranza dei sacerdoti, “senza fare rumore”, è una espressione vivente di vero e proprio amore alla Chiesa. Per questo il Papa, con tono pacato e fiducioso, scrive: “Sono convinto che, nella misura in cui siamo fedeli alla volontà di Dio, i tempi della purificazione ecclesiale che stiamo vivendo ci renderanno più gioiosi e semplici e, in un futuro non troppo lontano, saranno molto fruttuosi”.
Dopo la riflessione sul “dolore”, arrecato alle “vittime di abusi di potere, di coscienza e sessuali da parte di ministri ordinati” e all’intera compagine ecclesiale ferita e sporcata dall’infedeltà di alcuni sacerdoti, il Papa rivolge espressioni di profonda gratitudine a quella sterminata schiera di presbiteri che, in ogni parte del mondo, “in tante occasioni, in maniera inosservata e sacrificata, nella stanchezza o nella fatica, nella malattia o nella desolazione”, assumono “la missione come un servizio a Dio e al suo popolo e, pur con tutte le difficoltà del cammino”, scrivono “le pagine più belle della vita sacerdotale”.
In un ideale “a tu per tu” con tutti i sacerdoti del mondo Papa Francesco li ringrazia per la loro “fedeltà agli impegni assunti” e riconosce che con la loro vita,“in una società e in una cultura che ha trasformato “il gassoso” in valore” è davvero edificante che “ci siano delle persone che scommet-tano e cerchino di assumere impegni che esigono tutta la vita”.
Come una sorta di vera e propria “litania della gratitudine” il Papa ringrazia i sacerdoti per la gioia con cui hanno saputo donare la loro vita, per l’impegno nel saper rafforzare i legami di fraternità e di amicizia nel presbiterio e con vescovo, per la testimonianza di perseveranza nell’impegno pastorale, per l’assidua celebrazione dell’Eucaristia e del sacramento della riconciliazione.
Nel suo dialogo con tutti i preti del mondo il Papa arriva ad affermare: “Niente è così urgente come queste cose: prossimità, vicinanza, essere vicini alla carne del fratello sofferente”. E aggiunge: “Quanto bene fa l’esempio di un sacerdote che si avvicina e non si allontana dalle ferite dei suoi fratelli!”.
Ė risaputo quanto stia a cuore a Papa Francesco lo stile di una chiesa “in uscita” e che sa farsi “vicina” alla gente. Ed è altrettanto evidente come questa attitudine non può mancare mai ad ogni sacerdote nell’esercizio del ministero. Secondo Papa Francesco la vicinanza alla sua gente aiuta ogni sacerdote a “sviluppare uno stile di vita austero e semplice, senza accettare privilegi che non hanno il sapore del Vangelo”.
La carrellata dei “grazie” di Papa Francesco si conclude con un’espressione di sincera gratitudine “per la santità del Popolo fedele di Dio che – scrive il Papa – siamo invitati a pascere e attraverso il quale il Signore pasce e cura anche noi”. Infatti, si potrebbe dire, che la vita di ogni sacerdote ė tutta spesa per custodire il popolo che gli è affidato; nello stesso tempo però ogni sacerdote ha la gioiosa sorpresa di scoprirsi, a sua volta, amorevolmente custodito dal popolo a lui affidato.
Il terzo motivo della Lettera del Papa ai sacerdoti di tutto il mondo nasce dalla consapevolezza che “La missione a cui siamo stati chiamati – così scrive il Papa – non implica di essere immuni dalla sofferenza, dal dolore e persino dall’incomprensione”. E aggiunge: “Un buon “test” per sapere come si trova il nostro cuore di pastore è chiedersi come stiamo affrontando il dolore”. Certo non mancano mai le occasioni per assumere talvolta atteggiamenti impregnati di cupo fatalismo che conduce ad uno stato di vero e proprio scoraggiamento. In questi casi – scrive il Papa – “Delusi dalla realtà, dalla Chiesa o da noi stessi, possiamo vivere la tentazione di aggrapparci ad una tristezza dolciastra, che i padri dell’Oriente chiamavano accidia”. Non dobbiamo mai dimenticare che ė “il peggior nemico della vita spirituale” e se non viene prontamente combattuta finisce con il renderci ostaggi dell’inerzia. Infatti il Papa osserva che questo tipo di tristezza “rende sterili tutti i tentativi di trasformazione e conversione, propagando risentimento e animosità”. In ogni caso però non dobbiamo nemmeno perderci d’animo perché “sappiamo che al di là delle nostre fragilità e dei nostri peccati, Dio «ci permette di alzare la testa e ricominciare, con una tenerezza che mai ci delude e che sempre può restituirci la gioia»”.
In un contesto culturale che sembra prediligere l’assoluta autonomia da tutto e da tutti, favorendo in questo modo autentiche forme di autoreferenzialità che non risparmiano talvolta neanche gli stessi sacerdoti, in un passaggio della Lettera del Papa arriva, più che provvidenziale, il forte incoraggiamento “a non trascurare l’accompagnamento spirituale, avendo un fratello con cui parlare, confrontarsi, discutere e discernere in piena fiducia e trasparenza il proprio cammino; un fratello sapiente con cui fare l’esperienza di sapersi discepoli”. E aggiunge: “Cercatelo, trovatelo e godete la gioia di lasciarvi curare, accompagnare e consigliare”.
Come un buon Padre spirituale il Papa osserva, poi, che “per mantenere il cuore coraggioso è necessario non trascurare” due legami costitutivi dell’identità stessa di ciascun presbitero. Il primo legame è quello con Gesù; il secondo, invece, è quello con il proprio popolo. E al riguardo osserva: “Non isolatevi dalla vostra gente e dai presbiteri o dalle comunità. Ancora meno non rinchiudetevi in gruppi chiusi ed elitari. Questo, alla fine, soffoca e avvelena lo spirito. Un ministro coraggioso è un ministro sempre in uscita”.
Nella vita di un sacerdote ogni forma di “isolamento” non è altro che un vero e proprio “campanello d’allarme” che viene a segnalare qualcosa di patologico e al tempo stesso assai nocivo al proprio ministero. Chi non si trova a suo agio nel relazionarsi con la propria “gente”, chi non sa intrattenere buone relazioni all’interno del Presbiterio e arriva ad isolarsi dalla stessa Comunità rivela una condizione spirituale assai precaria ed estremamente compromessa. Ogni sacerdote, per natura sua, è un uomo di “relazioni”. Al riguardo sono particolarmente significativi tre passaggi contenuti nella nuova Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis del 2016.
Il primo passaggio lo leggiamo nel paragrafo n. 50: “Quotidianamente la formazione si compie attraverso le relazioni interpersonali, i momenti di condivisione e di confronto, che concorrono alla crescita di “quell’humus umano”, in cui concretamente matura una vocazione”.
Il secondo lo troviamo nel paragrafo n. 83: “Sono particolarmente significative la capacità di stabilire relazioni di collaborazione e la condivisione con altri presbiteri della stessa generazione”.
Infine, il terzo lo incontriamo nel paragrafo n. 95: “Segno dell’armonico sviluppo della personalità dei seminaristi è una matura capacità relazionale con uomini e donne, di ogni età e condizione sociale”.
Da queste citazioni si evince la necessità, in fase di discernimento e accompagnamento di ogni vocazione al sacerdozio ministeriale, di una buona capacità relazionale da parte dei candidati al sacerdozio. Detto in altri termini: un sacerdote che non sa relazionarsi e non si lascia nemmeno aiutare a sapersi ben relazionare con tutti non è che una specie di “assurdo esistenziale”.
L’ultimo dei quattro pilastri su cui si regge la bella Lettera di Papa Francesco a tutti i sacerdoti del mondo è quello della “lode”. Scrive il Papa: Maria “ci insegna la lode capace di aprire lo sguardo al futuro e restituire speranza al presente”. Con tono confidenziale il Papa spiega come ogni qual volta ha la possibilità di visitare un Santuario Mariano gli piace “guadagnare tempo” guardando e lasciandosi guardare dalla Madre. Ad una lettura non superficiale della parte conclusiva della Lettera è possibile intravedere una sorta di eco della ben nota preghiera alla Vergine di San Bernardo: “Respice stellam, voca Mariam”. Papa Francesco, infatti, sembra fare proprie le parole del Santo Monaco di Chiaravalle e, adattandole alle situazioni del tempo presente, invita tutti i sacerdoti a confidare ogni cosa a questa singolarissima Madre nel cui grembo ognuno può essere più che certo di trovare un posto accogliente e ricolmo di enorme tenerezza.
La Lettera si chiude con un’espressione che mi ha fatto pensare con gratitudine a tanti vecchi preti che ho avuto la fortuna di incontrare nella mia vita e che, dall’alto della loro esperienza sacerdotale ma sempre “accanto” a tutti coloro che incontravano, erano soliti rivolgere quell’augurio semplice e bello che sboccia sempre spontaneo dal cuore di ogni buon sacerdote: “Il Signore Gesù vi benedica e la Santa Vergine vi custodisca”.
don Enzo Smriglio