In appena due righe Gesù riesce a descrivere con tre pennellate l’anonimo personaggio di cui parla il Vangelo e che siamo soliti chiamare il “ricco epulone”: era “ricco”, vestiva in maniera sfarzosa, banchettava lautamente “ogni giorno”.
Insomma il trascorrere dei giorni per quel ricco – per così dire – era diventata una monotona esperienza di ostentazione della sua condizione sociale e nello stesso tempo una triste dimostrazione della sua crescente indifferenza nei confronti del povero Lazzaro.
Per la verità anche la descrizione della condizione del povero Lazzaro è ricca di dettagli: viene descritto, infatti, nella posizione dello stare dinanzi alla porta di casa del ricco, “coperto di piaghe”, talmente affamato di accontentarsi di ciò che sarebbe caduto “dalla tavola del ricco”.
Se il povero era solito stazionare davanti alla porta del ricco viene spontaneo pensare che il ricco ogni giorno gli passava davanti, almeno tutte le volte che entrava e usciva di casa. Colpisce però la totale indifferenza da parte del ricco, un’indifferenza che praticamente gli impediva di accorgersi della condizione di assoluta necessità in cui si trovava quel poveraccio.
Il ricco dimostra in questo modo di avere un cuore talmente pietrificato dall’indifferenza che non riesce a scorgere il bisogno di quell’indigente che gli sta accanto.
La parabola non è una dura presa di posizione nei riguardi della cultura tipica di chi conduce un tenore di vita “benestante” e non è nemmeno un duro rimprovero verso la “buona tavola”.
A dire il vero del ricco epulone non viene detto che abbia ricoperto di insulti il povero Lazzaro, né che lo abbia umiliato, lo ha semplicemente ignorato con abissale freddezza.
Insomma non lo ha degnato nemmeno di uno sguardo o di un semplice gesto d’attenzione. Potremmo dire allora che lo sbaglio più grave del ricco epulone è stato quello di non essersi neppure accorto dell’esistenza di Lazzaro. Non lo ha proprio visto, non gli ha parlato, non lo ha nemmeno toccato. Per lui Lazzaro era come se non esistesse, pertanto, la sua dolorosa condizione non lo poteva minimamente riguardare.
Qualcuno ha scritto «il primo miracolo è accorgersi che l’altro, il povero esiste» (S. Weil). È vero. Infatti, solo quando nel nostro cuore affiora la consapevolezza dell’esistenza di chi si trova in una condizione di particolare indigenza e necessità si sarà in grado di studiare i modi più efficaci per cercare di colmare l’abisso di ogni possibile dolorosa ingiustizia.
La meditazione sul drammatico epilogo del storia del ricco epulone e del povero Lazzaro ci trovi tutti pronti a valutare ogni giorno l’estrema pericolosità delle tantissime piccole e grandi “omissioni” che nel corso della vita potrebbero via via scavare quell’incolmabile abisso capace di segnare definitivamente il nostro eterno destino.
Finché siamo in tempo cerchiamo di tenere aperti il cuore e gli occhi e stiamone certi anche le nostre mani saranno ben disposte ad aprirsi ai bisogni del nostro prossimo.
Qui. Ora. Senza inutili rinvii
p. Enzo Smriglio