L’omelia di Mons. Guglielmo Giombanco alla Messa in Coena Domini

Con la celebrazione della messa in “Coena Domini” la Chiesa inizia  il triduo pasquale. Cioè fa memoria degli ultimi giorni della vita terrena di Gesù  per disporsi interiormente ad accogliere la grazia rigeneratrice del Signore Risorto.

            Oggi, Giovedì santo, in comunione con tutta la chiesa commemoriamo l’istituzione dell’eucaristia e del sacerdozio e meditiamo sulla missione dell’amore che Cristo maestro ci ha affidato.

            1. La Parola proclamata, attraverso significati commemorativi, ci aiuta a percepire, nell’intimo del cuore, l’azione redentrice di Dio scaturita dal Suo immenso amore per gli uomini.

            La prima lettura tratta dal libro dell’esodo contiene le prescrizioni per la cena pasquale. Cena durante la quale il popolo ebraico  era  invitato da Dio a celebrare la pasqua cioè a ricordare le grandi opere da Lui compiute per liberare il popolo dalla schiavitù ed introdurlo nella libertà della vita. «Questo giorno sarà per voi un memoriale. Lo celebrerete di generazione in generazione, lo celebrerete come un rito perenne».

            I simboli più eloquenti della cena ebraica erano l’Agnello e il sangue. Essi prefiguravano  l’identità e la missione che Cristo avrebbe realizzato come pieno compimento della pasqua ebraica. Cristo sarà il nuovo agnello senza macchia che con il suo sangue salverà  il popolo dei redenti.

            Infatti l’antico memoriale, in Cristo nostra pasqua, è pienamente realizzato e compiuto. Da quando Cristo donò la sua vita e il suo sangue sulla croce, da quel momento la Pasqua antica è superata dalla nuova pasqua di Cristo che ne è il compimento.

            2. I gesti del pane spezzato e  del vino versato  nell’ultima Cena anticipano quello che Egli compirà una volta per sempre.

            «Fate questo in memoria di me».  Queste parole  pronunciate da Cristo nell’ultima cena e riportate dall’apostolo Paolo significano che l’evento del dono del corpo e sangue di Cristo  non si è concluso duemila anni fa, ma si rinnova  fino a quando durerà la missione di Cristo sulla terra affidata ad uomini da lui scelti per partecipare intimamente del suo sacerdozio. Grazie al dono dello Spirito si rinnova per mezzo della preghiera sacerdotale questo perenne miracolo di amore che è l’eucaristia. Nelle povere mani del sacerdote, al momento della consacrazione, dobbiamo scorgere la sorgente dell’amore che per noi è cibo e alimento di vita.

            L’eucaristia, cari fratelli e sorelle, è presenza che invita ad amare, è memoria perché l’amore di Cristo non venga mai meno in noi, è promessa perché la nostra speranza sia sempre riposta in Cristo, è sacrificio perché ci insegna ad amare come Cristo ha amato: «Li amò sino ala fine».

            3. Non  a caso Cristo, nell’ultima cena, compie un altro gesto semplice e umile: lava i piedi ai suoi discepoli. Gesù lavando i piedi simboleggia la sua volontà di farsi servo per amore. Colui che lava i piedi è il Figlio di Dio a cui il Padre ha dato ogni cosa; e il maestro da imitare per vivere in modo autentico l’atteggiamento del servizio. «Se dunque io il Signore e il maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi».     Per lavare i pidi bisogna abbassarsi e il piegarsi per amore è atteggiamento divino che redime, salva ed eleva l’umanità verso il Padre.

            Il gesto di lavare i piedi certamente ci è estraneo per sentimenti, per cultura, soprattutto ci è estraneo per incapacità di comprenderlo. Non lo comprende lo stesso Pietro a cui Gesù dice: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo». E noi quando cominciamo a capire questo gesto? Quando Gesù lo fa a noi, quando diventa vita in noi, quando noi diventiamo questo gesto per gli altri. Allora il gesto di lavare i piedi, così lontano dalla nostra cultura, dal nostro modo di vivere, dai nostri rapporti quotidiani, ci apre lo sguardo sull’amore folle di Dio. Ecco perché non possiamo capire questo gesto: è folle perché è totalmente gratuito. Colui che è Signore e Maestro, si alza da tavola e ci insegna la bellezza di essere servi. Addirittura fa qualcosa di più: depone le vesti. Mentre l’uomo cerca di indossare le vesti della potenza, tutte quelle maschere con cui vuole nascondere se stessoe la sua agli altri, il Signore depone la sua gloria per indossare l’abito della debolezza e della misericordia, della mitezza e dell’umiltà, l’abito del servo. Qui il Maestro rivela chi è il Signore: non è un padrone, ma un servo. La qualità più profonda dell’amore è l’umiltà di essere a servizio dell’altro. I piedi dei discepoli, immersi nell’acqua di Colui che dà la vita, sono ora asciugati e rivestiti della sua veste di servo per amore. La veste di cui il Signore è cinto, la Gloria che lo ricopre, avvolge anche i nostri piedi, abilitandoli al Suo stesso cammino.

            4. E così vestito Gesù si china sul punto in cui l’uomo si confonde con la terra, il punto in cui sperimenta tutta la fatica di essere creatura. Nessun uomo ha il coraggio di collocarsi così in basso. E’ proprio in questo luogo limite, il luogo della terra, dell’umanità, che il Signore rivela la sua potenza. E’ quella che passa attraverso il gesto della compassione: lavare i piedi di chi è stanco, affaticato, renderli puliti e asciugarli perché l’uomo possa riprendere il cammino nella consolazione e nella certezza che qualcuno custodisce ogni suo passo, che qualcuno è sempre pronto a lavarli e asciugarli.

            Il dono del pane e del vino, il dono della vita e il volto di compassione di Gesù servo per amore che questa sera contampliamo, hanno un suo luogo di verità: quando li ritroviamo, con lo stesso splendore, ai piedi di ogni fratello. E a quei piedi, se sapremo inginocchiarci, che scopriremo accanto a noi il Signore e Lui ci insegnerà ancora a lavarli e ad asciugarli, con la stessa tenerezza e umiltà con cui ha lavato e asciugato, in quella cena i piedi dei suoi discepoli.

            Papa Francesco, nel messaggio per la Giornata Mondiale della Gioventù, fa rifermento alla risurezzione del giovane della città di Nain e dice:

«Gesù ferma il corteo funebre. Si avvicina, si fa prossimo. La vicinanza si spinge oltre e si fa gesto coraggioso affinché l’altro viva. Gesto profetico. È il tocco di Gesù, il Vivente, che comunica la vita» (Messaggio Giornata Mondiale della Gioventiuù, 5 aprile 2020).

            Quando si vive nell’amore e nel servizio si donano sempre nuove ragioni divita.

            5. Come non pensare in questi giorni di sofferenza e di angoscia alle tante persone che soffrono negli ospedali, nuovi Golgata del mondo, e a tutti coloro che si chinanono sui loro letti con gesti carichi di amore, umiltà e servizio: medici, sacerdoti, infermieri, forze del volontariato e tanti altri che alleviano le sofferenza dei nostri fratelli. Sono loro che mantengono viva la fiamma dell’amore che aiuta a ritrovare la speranza nella vita. Senza l’amore e il conforto si avverte di più il freddo del dolore. Il fratello sofferente e ammalato che sente e vede qualcuno che gli stringe la mano avverte nella propria vita il respiro di Dio che comunica vita e infonde fiducia e coraggio.

            6. Questa sera anche noi, nella fede, sediamo con Cristo alla stessa mensa e siamo invitati a chinarci sul suo cuore per attingere la forza dell’ amare che trasforma il dolore in speranza.

            Gesù eucaristia è la luce di Dio che illumina il mondo pieno di tenebre e ridona all’uomo d’oggi spesso distratto, dissipato, chiuso nell’egoismo, stroncato dalla disperazione, il senso pieno e autentico della vita.

            Lasciamoci attrarre da questa luce e custodiamola con la fede e l’amore.

            Questa sera mentre accompagniamo Gesù verso la passione, meditiamo sul dono di Gesù eucaristia. Contempliamo in Lui il Signore che si dona per noi nel desiderio di conformarci a Lui e di renderci capaci di esprimere con la vita la ricchezza del suo amore. Amen!