L’omelia del Vescovo Guglielmo nel IV anniversario di Ordinazione Episcopale

Carissimi Fratelli e Sorelle,

          1. Quattro anni fa come oggi in questo Santuario accoglievo, con intima commozione interiore, il dono dell’ordinazione episcopale che legava indissolu­bil­mente la mia vita umana e sacerdotale a questa bella Chiesa di Patti. Sono trascorsi quattro anni da quando sono venuto in mezzo a voi come fratello ed amico ed ho ancora viva nella mente e nel cuore “l’ebbrezza” di quel giovedì 20 aprile 2017 quando sotto lo sguardo amorevole della Madre bruna, la Bella Maria confermavo il mio “Si” a Dio e alla Chiesa sostenuto dalla preghiera e dall’affetto di tutti voi. Ringrazio Dio per il dono della Comunità diocesana che durante questo tempo di servizio episcopale ho sentito accogliente e vivace. Abbiamo vissuto momenti significativi del nostro cammino ecclesiale e abbiamo sperimentato con serena certezza come il Signore guida, mediante i doni dello Spirito e della Grazia, il nostro cammino lungo i sentieri della storia per essere Chiesa animata dalla forza del Vangelo. 

          2. La Parola proclamata aiuta a vivere con intensità interiore questo mo­men­to di grazia. La prima lettura tratta dal libro degli Atti ci consegna la testi­mo­nian­za di fede di Stefano. Egli è un seguace di Cristo ed è pieno di fede, di grazia e di spirito e ricorda a ciascuno di noi il primato di Dio nella propria vita. Primato che possiamo affermare solo con il dono della fede accolta e vissuta con fedeltà e coerenza, aprendoci alla grazia e con docilità allo Spirito. Oggi chi testimonia la fede rischia l’impopolarità, il rifiuto e l’incomprensione. Eppure la fede, se accolta veramente nella vita, è una luce che illumina i passi incerti dell’uomo, è una forza che rigenera il coraggio dell’iniziativa; è rivelatrice di una presenza che rende capaci di affrontare le pene della vita con amore e coraggio. Santo Stefano incarnò nella sua vita tutte queste espressioni perché la sua fede era piena di Cristo Signore e verso di Lui volgeva il suo cuore e il suo sguardo. Egli non cedette ai compromessi, ai facili accomodamenti, né ha vissuto la fede a livello emozionale, ma si è lasciato conquistare da essa per fare della sua vita una storia di amicizia con Dio e con i fratelli. Visse sulla propria carne l’espe­rien­za del rifiuto e del­l’im­popolarità che lo hanno condotto al martirio. Essere cristiani maturi significa vi­vere la fede come incontro personale con Cristo e da questo incontro far dipendere l’orientamento della propria vita: cioè fare scelte decisive che danno un senso pieno all’esistenza: come la testimonianza cristiana, compiere il bene, restare fedeli alla responsabilità assunte; spendersi con gioia per il servizio all’uomo e alle comunità. Con la sua grande fede Stefano compiva prodigi e mi­ra­coli per il popolo: quando si vive con fede, tutto quello che operiamo è più efficace di quello che diciamo.

          3. Nel brano del Vangelo abbiamo ascoltato le parole di Gesù «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete». Sono parole pronunciate a conclusione di un dialogo tra Gesù e la folla che gli chiede dei segni. La gente cerca un cibo che perisce e che delude. Gesù intende donare un cibo che viene da Dio: il pane che non delude e dona la vita, il pane che soddisfa il vero bisogno dell’uomo, di cui il pane terreno è solo simbolo. La gente si richiama alla manna del deserto e a Mosè e in tal modo mostra che loro ricerca è rivolta al passato. Gesù invece vede nel miracolo della manna la prefigurazione del vero pane che è la Sua Parola e la Sua persona. S. Agostino parafrasando le parole del vangelo fa dire a Gesù «La manna era simbolo di questo cibo e tutte le altre cose erano segni che si riferivano a me. Vi siete attaccati ai segni che si riferivano a me, e rifiutate me che questi segni annunciavano» (S. Agostino, Commento al vangelo di Giovanni, Omelia 25,13).

Dobbiamo desiderare e cercare Cristo, non ripiegarci sulle cose passeggere del passato: è necessario aprirsi alla vera novità di vita e non cercare riedizioni. Per Gesù la salvezza consiste nel «credere in colui che lo ha mandato». Egli si definisce il pane di vita e, con una nota polemica, sottolinea che egli è il vero pane e non sono le altre offerte di salvezza, non le ricerche dell’uomo, le ideologie, non l’oggetto delle speranze deludenti e delle false grandezze. È lui il vero pane di vita ed è in Lui che bisogna credere. È necessario quindi fare nostra la richiesta di quella gente: «Signore dacci sempre questo pane».

Solo così il cristiano che si nutre del pane vivo disceso dal cielo può essere portare di vita ai fratelli e donare ragioni di vita attingendo dall’eucaristia il vero cibo che nutre l’esistenza dell’uomo. Vita di Dio e vita dell’uomo si incontrano nel crocifisso risorto che rende presente Dio che è amore. La comunità che nasce dell’eucaristia è costituita dall’insieme delle persone che sanno donare la vita per far risplendere l’amore di Dio.

Carissimi fratelli e sorelle, dopo quattro anni di cammino insieme avverto dal profondo del cuore il bisogno di dirvi grazie per la vostra presenza e per il vostro servizio generoso alla nostra Chiesa. Da solo avrei potuto fare ben poco. Con voi oggi faccio mie l’invocazione del Salmo: «Alle Tue mani Signore affido la mia vita, Tu sei la mia roccia e il mio baluardo, per il tuo nome dirigi i miei passi» (Salmo 31,6).

Continuiamo il cammino sotto la guida dello Spirito che indica la via da seguire, ascoltiamo la sua voce: è Lui la nostra forza, il motivo della nostra speranza, il segreto della nostra perseveranza. Affidiamo alla Vergine Madre le nostre attese e speranze: O Bella Maria del Tindari benedici, il nostro popolo e la nostra Chiesa diocesana che sperimenta ogni giorno la Tua presenza di Madre dolce e premurosa verso i suoi figli. Così sia!

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