La fondazione del monastero benedettino del “SS. Salvatore” e dell’annessa chiesa porta la data del 6 marzo 1094. Nel processo di grande trasformazione apportate alle strutture ecclesiastiche dal Conte Ruggero II in Sicilia alla fine dell’anno 1100, rientra a pieno titolo la chiesa di S. Bartolomeo in Patti , edificata in origine per accogliere le spoglie mortali della madre regina Adelasia, morta a Patti nel 1118 ,e che oggi sebbene le diverse ricostruzioni l’abbiano modificata, sorge sempre sullo stesso sito in cima alla città di Patti.
La diocesi ebbe riconosciuta la piena autonomia fin dai tempi di papa Bonifacio IX nel 1399, sebbene già di fatto esistesse tra il 1094 e il 1171 quando fece costruire la chiesa del monastero benedettino del SS. Salvatore che unì giuridicamente a quella di San Bartolomeo in Lipari e poi elevò a cattedrale il 24 settembre 1131.
La chiesa fu quasi integralmente ricostruita cambiando l’originario impianto normanno prima (1639) e dopo il terremoto (1693) che oltre la chiesa distrusse molti centri abitati della Sicilia centro-orientale. Inserita nel contesto del palazzo vescovile con cui si può dire è tutt’uno, fu ricostruita a partire dal 1724 e venne ampliata e ornata di stucchi nel 1824 sotto l’episcopato di Nicolò Gatto ma ancora nuovamente distrutta nel terremoto del 1908 che devastò anche Messina e Reggio Calabria .
Nel 1927, il vescovo Ferdinando Fiandaca iniziò la ricostruzione che finì intorno agli anni 1940, con successivi interventi di restauro dopo i bombardamenti dell’agosto del 1943 e successivamente per il rifacimento del tetto negli anni ’70.
Negli anni ’80 , dopo il terremoto del 16 aprile 1978 è stato realizzato consolidamento statico delle strutture. Nei vari periodi dell’originaria struttura è stato recuperato il portale di età normanna a sesto acuto e profonda strombatura collocato su colonne in mattoni in cotto, di diverso diametro, portanti capitelli con decorazione antropomorfa, sul fronte principale ad ovest, mentre a sud il portalebarocco del 1742.
La configurazione attuale della cattedrale comunque è quella che era nel 1693 al tempo del Vescovo Don Vincenzo Napoli; a croce latina ad unica navata con transetto con profonde cappelle laterali e abside centrale quadrangolare divisa dall’aula da una differenza di quota. Le cappelle votive , quella di Santa Febronia (seconda metà del ‘700) entro cui è inserita la cinquecentesca tomba della regina Adelasia realizzata in marmo, e quella del SS. Sacramento della fine del ‘700 entrambe decorate con marmi policromi intarsiati, sono divise dall’aula da balaustrate in marmi policromi della fine del settecento e poste alle estremità del transetto.
Limitrofe altre due cappelle di cui una dedicata a S. Agata (in cui alla fine degli anni ’80 è stato trasferito il fonte battesimale) entrambe incorniciate all’ingresso da coppia di colonne di granito egiziano proveniente dai resti di Tindari, e l’altra a S. Pietro Tommaso. Nel 1588, per volontà del Vescovo Giliberto Isfar y Corillas si arricchì del campanile che si erge sulla mole della cattedrale con la sua altezza di oltre 30 ml. come terminale della stessa chiesa. Tra gli anni novanta e duemila per volontà del vescovo Ignazio Zambito sono stati costruiti in marmo bianco statuario la cattedra posta in fondo alla conca absidale quadrata e successivamente l’ambone con pareti laterali in rosso e faccia principale con aquila leggio ello stesso marmo bianco statuario della cattedra. L’altare venne consacrato il 17 febbraio 1995, e realizzato al centro dell’abside utilizzando elementi dell’antico altare in marmo policromo, aggiungendo le nuove parti marmoree occorrenti.
La “Galleria”
Facente parte delle strutture castellane, la Galleria, ritrovata durante i lavori del 1980, appare costruita per assicurare uno spazio antistante al prospetto svevo-federiciano della Cattedrale.
Databile alla prima metà del XIII sec. è caratterizzata da quattro arconi in pietra riquadrata a sesto acuto che scandiscono lo spazio in cinque parti e che si dipartono da piedritti a quote irregolari che fanno a valle da contrappunto ad altri, più alti, quasi con funzioni di contrafforti.
Un quinto arco in mattoni, più recente, assicurava fondazione ad una struttura volumetrica soprastante.
Le pareti e la grande volta in pietra stilata e le aperture verso valle, nonché il reimpiego di materiali classici con funzioni costruttive (capitelli a lastrone) fanno della Galleria un luogo di particolare fascino.
Anche se non certi dell’uso originario, possiamo affermare, con l’ausilio di alcune fonti archivistiche, che con la lettera Viceregia del 22 ottobre 1559 veniva ordinata la chiusura di certi carceri criminali e civili che a quell’epoca risultavano “… inditto ep(iscop)ato et in lo entrare dela porta dela ecclesia…” nel luogo denominato Scurazzo che pare corrispondere alla galleria ancora visibile.
Oltre al restauro lapideo e murario si è posta in opera un adeguato pavimento in pietra arenaria, l’impiantistica tecnologica e gli infissi che possano consentirne l’uso.