La teologia recente, attraverso un rinnovato contatto con la Parola di Dio e provocata dai
segni dei tempi, vede nella creazione un mistero di salvezza, un momento della storia dei
gesti di Dio, che culmina nel fatto dellincarnazione e di lì si proietta verso la
fine dei tempi. Creazione e redenzione, peccato e grazia, amore fedele di Dio e faticoso
impegno delluomo costituiscono il contenuto di questa storia. In essa proprio
luomo, portatore peculiare dellimmagine di Dio e reso suo partner, è
investito della formidabile responsabilità di farsi coscienza del mondo, per la
ricapitolazione in Cristo di tutte le cose. Così, lannunzio cristiano di Gesù
Salvatore del mondo appare come il centro gravitazionale dellintero creato. E anche
partire dal Vaticano II la riflessione teologica, attingendo alla rivelazione biblica,
attraverso la Costituzione Gaudium et Spes si pone nella prospettiva della
dimensione dialogica della creazione e indica il contesto entro il quale oggi va inteso il
discorso cristiano della creazione. La creazione non appare semplicemente come la
spiegazione della origine delle cose, ma come il compiersi di unumanizzazione, che
ha in Cristo il suo modello, il suo principio, il suo fine ultimo. Creato per luomo,
fine immediato della creazione, luniverso non è una realtà già compiuta, ma una
potenzialità che ancora cerca la sua realizzazione. Alluomo si svela insieme come
dono e come luogo di conquiste, come fatica e speranza. Così il credente sa che questo
mondo, nonostante tutto, cammina verso la pienezza della comunione in Cristo e questo
tempo è tutto orientato alla pienezza dei tempi e al non ancora di Dio.
1. Luomo nel creato
Attraverso questa riflessione intendiamo rivisitare alcune affermazioni del racconto
biblico della creazione del mondo per trarre, senza alcuna pretesa di esaustività, alcune
prospettive teologiche. Il racconto della creazione del mondo e delluomo in Genesi
1,1-2,4a appartiene alla tradizione sacerdotale (P. Priestercodex, sec. VI-V a.C.), quello
contenuto in Genesi 2,4b-24 alla più antica tradizione jahvista (j, sec. X-XI).
Fermandoci a riflettere innanzitutto sulla descrizione della fonte sacerdotale, ciò che
costituisce un elemento di assoluta singolarità è lo schema della settimana (Gen 1)
tendente al riposo del settimo giorno. Questo schema della settimana è di grande
importanza teologica: si vuole sanzionare il periodo dei sette giorni come ritmo di lavoro
e di vita per luomo. "Il fine di tutte le opere e di ogni attività ad essa
connessa è il riposo di Dio nella creazione e del creato in Dio nel giorno di Sabato. I
giorni non sono fatti per susseguirsi senza fine: cè per essi un termine, che
coincide con il riposo del Protagonista divino dellinizio, e che, rispetto
allinizio, presenta la novità meravigliosa della creatura associata al Creatore
nella festa dellultimo giorno".
1.1 Bontà della creazione
Il testo, poi, ci conduce quasi per mano nel cuore dellevento genesiaco che ognuna
delle opere di Dio è vista come buona da Lui. "E Dio vide era cosa buona".
Il racconto sacerdotale sottolinea con questa espressione e in modo poetico che ogni cosa
è adatta al suo fine, conforme al suo senso e perciò orientata ad incontrare il Creatore
nella festa del settimo giorno. Inoltre, quasi con stupore viene sottolineato che la
parola creatrice di Dio trasforma il caos in uno spazio ordinato, consentendo il sorgere,
il brulicare della vita vegetale, animale e, infine, umana. La bontà e la bellezza delle
creature sta nel loro essere aperte verso Dio, tutte relative a Lui, fatte per incontrarlo
ed entrare nel suo riposo. Dio regna sovrano in tutte le cose, mentre ciascuna di esse
misura in rapporto a Lui la consistenza e la fragilità del proprio essere. Anche
luomo rientra in questa assoluta dipendenza e creaturalità situato in una stretta
rete di solidarietà con tutte le altre creature. Luomo però è destinato a
divenire partner dellalleanza: "Facciamo luomo a nostra immagine, a
nostra somiglianza e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su
tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra. Dio creò
luomo a sua immagine: a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò"
(Gen 1,26-27). Lessere immagine di Dio vuol dire che uomo e donna non soltanto
esistono, ma sono capaci di una relazione con Dio. Quindi "limmagine e la
somiglianza divina vanno lette nellorizzonte dellalleanza: esse esprimono la
capacità delluomo a entrare nel patto in maniera consapevole e libera, la sua
attitudine a relazionarsi in un rapporto di accoglienza e di gratuità". Se da
una parte, dunque, luomo è legato al suo mondo (è tratto dalla terra),
dallaltra parte è aperto alla relazione con Dio (Immagine di Dio). Il
"mondo" è finalizzato alla piena realizzazione delluomo, ma sua volta
luomo è finalizzato allincontro con Dio, trascinando con sé il mondo. Dal
mondo luomo trae non solo i prodotti che consuma ma anche i significati, nel
mondo egli investe i significati che Dio gli dona: è questo il senso del lavoro, ma anche
della contemplazione poetica. È soprattutto nel racconto Jahivista che la bontà della
creazione viene evidenziata dallo splendore del giardino, pieno di ogni sorta di alberi da
frutto e dalla ricchezza di acqua in esso presente, che indica fecondità (Gen 2,8-14).
Dire mondo come creazione non significa allora, in primo luogo, dichiararne la dipendenza
da una realtà totalmente altra, ma piuttosto indicarne il radicamento nella fonte della
misericordia che gli conferisce una bellezza e un valore intrinseco. Il creato è
loggetto del compiacimento affettuoso di Dio, lo spazio nel quale la sua sapienza
trova diletto e in cui viene a prendere dimora la sua gloria. In questo ampio orizzonte
non si deve contrapporre la storicità della rivelazione di Dio ad una pretesa staticità
della natura. Molti testi sapienziali considerano fonte di conoscenza e di timor di
Dio la contemplazione delle meraviglie del creato. Questi contenuti teologici sono
presenti nei Salmi e motivano la risposta di lode di fronte alle meraviglie operate dal
Signore nel creato e nella storia. "Lo splendore della creazione rinvia alla
grandezza del Creatore, in una meditazione in cui il "disincanto del mondo" si
salda allo stupore e alladorazione nei confronti dellunico Signore""
(cfr. Sal 104). Così infatti viene percepita la bellezza del creato (Sal 104): "Signore,
mio Dio, quanto sei grande! Rivestito di maestà e di splendore, avvolto di luce come di
un manto
Fai scaturire le sorgenti nelle valli e scorrono tra i monti
/ Quanto
sono grandi, Signore, le tue opere! Tutto hai fatto con saggezza, la terra è piena delle
tue creature
". Questa gioia che si esprime nella lode per il creato, è
nellAntico Testamento leffetto evidente del sapere che questo mondo ha avuto
origine dalla volontà e dallazione buona del Creatore. Come si può constatare,
lattenzione resta fissa al creato, alla bellezza dei cieli e della terra, al mistero
delluomo signore del mondo. La lode scaturisce da questo sentimento e prorompe nel
riconoscimento che tutto è stato fatto da Dio. La creazione, quindi, manifesta la
grandezza del Creatore e la sua bontà verso le creature, particolarmente luomo. Il
salmista sembra convocare tutta la creazione per celebrare la gloria del Creatore e a
rendergli testimonianza col fatto stesso di esserci (cfr. Sal 148 e inizio del Sal 19).
Proprio la lode, la contemplazione, la meditazione danno alluomo la giusta
comprensione del mondo come creazione di Dio.
1.2 "Poi il Signore Dio disse: Non
è bene che luomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile"
(Gen 2,10).
Nella meditazione genesiaca, nonostante la speciale provvidenza di Dio che si manifesta
nellamoroso chinarsi verso luomo, la vita di Adamo è caratterizzata dalla
solitudine, che per lui non è bene. Questo secondo racconto dimostra che la creazione
nella quale tutto è "cosa molto buona" (Gen 1,31) non è ancora
terminata. Così nel sonno profondo delluomo, la donna viene creata da Dio traendola
dalla costola delluomo (a partire da lui ) come sua compagna (verso di lui) al
cospetto della quale egli esclama: "Questa volta essa è carne dalla mia carne e
osso dalle mie ossa. La si chiamerà ishà (donna) perché da ihs (uomo) fu
tolta" (Gen 2,23). Come il Creatore aveva prima condotto alluomo gli
animali, così conduce a lui la donna, e luomo laccoglie con un esultante
saluto di benedizione: questo è veramente laiuto che egli è corrispondente! Si
tratta di un aiuto inteso nel senso più ampio della parola, che riguarda tutti i
campi della vita. Per questo solo di fronte ad Eva, Adamo può erompere nel grido di chi
incontra finalmente una propria pari, qualcuno capace di stargli dinanzi (Gen 2,23). E con
questa esclamazione gioiosa, con cui luomo saluta la compagna, il racconto della
creazione delluomo raggiunge il suo vertice. Ora soltanto lessere creato da
Dio è realmente uomo: luomo nella comunità. Non è senza significato teologico
ciò che il testo aggiunge subito dopo: "Per questo luomo abbandonerà suo
padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola" (Gen
2,23-24). "Se prima il rapporto dei sessi veniva posto accanto allimmagine
di Dio, il rapporto io-tu, specialmente di uomo e donna (ma proprio non di provenienza
sessuale) le appartiene pure in modo assolutamente intrinseco, perché solo così il
soggetto che è portatore dellimmagine, si compie. Ma mentre lessere
delluomo per laltro (comportante una differenza di livello ma anche una
sostanziale uguaglianza) dei due costituisce il soggetto, il tema della relazione di
partner tra Dio e luomo, della possibilità per luomo di essere colui a cui si
rivolge la parola e del parlare di Dio in lui". È da sottolineare infine, nel
contesto della creazione, limportanza del tema biblico della benedizione: "Dio
li benedisse e disse loro: "Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la
terra
"" (Gen 1,28). A queste parole di benedizione segue
immediatamente la seconda determinazione: "
soggiogatela e dominate sui
pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla
terra" (Gen 1,28). Il compito delluomo, espresso con i verbi
"soggiogare" e "dominare", non si identifica con lessere
immagine di Dio, ma ne è la conseguenza. Infatti il v. 28 riporta le parole della
benedizione divina sulluomo e non è un comando o un imperativo etico.
Alluomo, creato a sua immagine, Dio conferisce una energia vitale (questo è il
senso di "benedizione") con cui luomo può esercitare il suo compito nel
mondo. È questa energia della benedizione che si esplicita nella serie delle generazioni
che è presentata poi nella genealogia del cap. 5 del testo genesiaco. Lazione
suscitata dallenergia della benedizione non mira soltanto a conservare perché la
benedizione è una forza che spinge ad avanzare, a progredire, ed è gravida di futuro.
Una particolare attenzione meritano i verbi qui usati. Quello che di solito è reso con
"soggiogare" è il verbo ebraico "Kàbas", con cui si indica
"la presa di possesso di un territorio". Con la benedizione divina,
lumanità riceve la capacità di generare e di moltiplicarsi fino a riempire la
terra: i singoli popoli, dunque, prenderanno possesso ciascuno del proprio territorio.
Laltro verbo riguarda il rapporto delluomo con il mondo animale. In ebraico,
è "ràdah", reso con "dominare", ma che significa piuttosto
"pascolare, condurre, guidare, reggere". Il verbo suggerisce limmagine
delluomo come "pastore" di tutti gli animali. Alluomo, quindi, è
affidato il territorio e gli animali. Ma tale affidamento avviene mediante una benedizione
divina. Ciò vuol dire che il rapporto delluomo con il territorio e gli animali
dovrà attingere da Dio i criteri del suo realizzarsi concretamente. Il Creatore rimane
sempre signore di questa forza. Nel tema biblico della benedizione, dunque, è presente la
coscienza di una continua azione divina che promuove "la crescita, il successo, il
fatto del moltiplicarsi, la provvidenza", dimensioni che interessano luomo
con gli altri viventi. Si potrebbe dire, anzi affermare col Salmo 55, che la terra stessa,
visitata e benedetta da Dio, grida di esultanza nella sua fecondità. Questo dato presente
nel Primo Testamento è superato nella rivelazione neotestamentaria: anche "sulla
croce è rappresentato il dio benedicente, che benedice, rassicura e protegge dai pericoli
il terreno, il bestiame, la casa e la famiglia". Una riflessione attenta della
rivelazione biblica scopre qui un elemento di continuità, pur nella differenza. Tra la
creazione e la redenzione, nella mano benedicente di un Dio che promuove la vita, anche al
di là del peccato e del fallimento.
2. Luomo redento in Cristo. La
Redenzione operata da Cristo morto e risorto.
La storia di passione delluomo di tutti tempi, al cui affanno partecipa
lintera creazione, presenta delle istanze di domande di salvezza. Tra le tante ce
nè una intima o fondamentale che si sprigiona dalla "coscienza di
peccato". È questa che conduce al mistero trascendente di Dio e trova nel mistero di
Cristo crocifisso e risorto la vera e definitiva risposta. Egli ricapitola in sé
lintera realtà umana, essendo diventato da invisibile visibile, da impassibile
passibile, da Dio immortale uomo mortale. Nella sua passione e morte si completa così Io
scandalo dellincarnazione: "Noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per
i giudei, stoltezza per i pagani" (1Cor 1,23). Nel passato come ancora oggi la
scandalosa insipienza della croce costituisce la dura roccia che sostiene la fede
cristiana. È la croce la paradossale e problematica identità cristiana nei confronti
delle altre religioni. Colui che aveva proclamato il Regno di Dio, sembrò essere stato
abbandonato dal Dio del Regno che egli annunciava; colui che aveva aiutato gli altri a
guarire e a liberarsi dalle potenze demoniache, morì senza essere stato aiutato e difeso
da nessuno; colui che aveva sempre operato come benefattore del suo prossimo, fu
condannato a morire come un malfattore su una croce in mezzo a ladroni; colui che aveva
fatto della sua vita un evento unicamente religioso, spirò fuori della città santa e dal
suo tempio, fuori da ogni contesto religioso, crocifisso e deriso nel profano "luogo
del cranio" (cfr. Gv 19,17). La croce è lineliminabile autocritica interna
del cristianesimo! È il suo segno di contraddizione. La croce giustifica laudacia
di pronunciare la parola scandalosa: Dio soffre!
È proprio nel mistero della
sofferenza di Dio, infatti, che più emerge lindeducibile identità e rilevanza
dellannuncio cristiano. Del resto la resurrezione, che rappresenta il traguardo
ultimo dellincarnazione, non sarà che la resurrezione del Crocefisso.
2.1 "Cristo morì per i nostri
peccati secondo le scritture" (1Cor 15.3)
Concordando pienamente con la coscienza espressa da Gesù, il kerigma apostolico annunciò
subito: "Cristo morì per i nostri peccati secondo le scritture" (1Cor
15,3). Fu questo, infatti, il contenuto del vangelo ricevuto e trasmesso fedelmente da
Paolo (1Cor 15,1-5). Egli affermava che il messia era morto per gli altri uomini
peccatori, la sua era dunque una morte vicaria, una morte in luogo e a
favore degli uomini tutti peccatori e perciò lontani da Dio e incapaci di avere
accesso a lui. La vera motivazione della morte di Gesù è quella della sua stessa
incarnazione: la carità di Dio che si manifesta nella storia con la misericordia e il
perdono. È il Natale ad essere orientato intrinsecamente alla Pasqua come ci insegna
tutta la tradizione patristica consegnataci nel simbolo niceno e in quello
niceno-costantinopolitano: "Per noi e per la nostra salvezza è disceso dal cielo,
si è incarnato dallo Spirito Santo e da Maria Vergine e si è fatto uomo. È stato
crocifisso per noi" (DS 150).
"Secondo le scritture". Questaffermazione ci suggerisce due
sottolineature. Anzitutto la morte di Gesù rientra nel piano di salvezza che Dio dispone
per luomo. Già annunciato nellAntico Testamento, attraverso il sacrificio di
espiazione, la sofferenza dellinnocente e soprattutto la straordinaria figura del Servo
di Jahvé. In secondo luogo Gesù stesso fu consapevole di essere luomo dei
dolori di cui parla il profeta Isaia (cfr. Is 53,3) e di vivere sotto il segno grave e
doloroso della croce. Questa consapevolezza lo spinge verso Gerusalemme, affrontando con
grande libertà il viaggio che si sarebbe concluso con la sua passione e morte: "Ecco
noi saliamo a Gerusalemme e il figlio delluomo sarà consegnato ai sommi sacerdoti e
agli scribi: lo condanneranno a morte
e lo uccideranno; ma dopo tre giorni
risusciterà" (cfr. Mc 10,33-34; Mc 8,31; Mt 20,17-19; Lc 18,31-34). Per amore e
con piena libertà il Nazareno è andato incontro alla morte di croce. Egli si è lasciato
consegnare, di mano in mano. Non si tratta di un cieco destino ma di un Padre che consegna
il figlio per amore (cfr. Rm 4,25; 8,32; Gv 3,16) e del figlio che ubbidisce: "bisogna
che il mondo sappia che io amo il Padre e faccio quello che il Padre mi ha comandato"
(Gv 14,31). Quindi la vera motivazione del sacrificio cruento della croce è lamore
del Padre e del Figlio per la salvezza dellumanità: "Dio infatti ha tanto
amato il mondo da dare il suo figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia,
ma abbia la vita eterna" (Gv 3,16)
2.2 La croce testimonianza rivelatrice
di amore
La croce di Gesù non è uno strumento di castigo divino ma assolve la testimonianza
rivelatrice di Dio come Amore. Non è lira punitiva di Dio che si manifesta nella
desolata morte in croce di Gesù, ma la sua carità senza limiti che perdona e riconcilia
a sé tutto il mondo. La parola della "croce" indica che la "Croce di
Cristo" da supplizio infamante diventa evento salvifico, con un proprio originale
annunzio di amore. La croce così diventa teofania dellamore di Cristo, che ha
liberamente accettato la sua passione, prima di patirla. Non si tratta quindi di un evento
umano semplicemente tragico, ma di una precisa iniziativa salvifica del figlio, che
incarnandosi, "umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte
di croce" (Fil 2,8). La morte di Gesù è stata considerata da Giovanni come
"esaltazione" del Figlio, che mediante il sacrificio glorifica il Padre (cfr. Gv
3,14-15; 8,28; 12,32). Si deve notare che i due grandi momenti della passione,
lagonia e la morte in croce, rappresentano due significative situazioni di intimità
filiale col Padre. Sono questi due poli estremi dellesistente cosciente e
testimoniale di Gesù che "relazionandosi a vicenda, sottolineano lintimità
di dedizione e di carità del Figlio nei confronti del Padre, soprattutto nei momenti
decisivi del suo evento salvifico". Allamore del Padre che si manifesta
nellinvio del Figlio e nel suo donarlo per noi (1Gv 4,10), risponde lamore
fedele del Figlio che compie il disegno del Padre e torna a lui (Gv 17,13) coinvolgendo in
questo amore coloro che il Padre gli ha dato. In questa prospettiva la redenzione
sacrificale appare come ora di gloria in cui si realizza pienamente la morte e la
resurrezione, il passaggio di Dio tra noi, in Cristo. Il sacrificio pasquale sancisce il
punto culminante di tutta una economia di salvezza: esso esprime, al vertice, tutto il
senso della vita terrena di Gesù, come passaggio al Padre e tutto il senso della
Chiesa che nasce e vive di questo mistero sacrificale di passaggio. In esso il peccato
delluomo è vinto dalla potenza conquistatrice e liberante dellamore perché "lagonia
della croce libera gli uomini dalle potenze che li rendono schiavi: nella forza
dellamore trinitario che lattraversa, la croce è scandalo, spezzamento di
ogni legge di paura e di ogni potere di peccato" (cfr. Gal 5,11). In tutto questo
risplende già la luce della Pasqua perché non è possibile pensare da cristiani alla
croce e tentare di penetrarne il mistero, senza contemporaneamente guardare alla
resurrezione. Ora, nella croce e nella resurrezione, Dio opera in Cristo per distruggere
la resistenza del male perché luomo nella riconciliazione e nella liberazione dal
peccato sia salvato e costituito in Cristo, partner perfetto del dialogo di amicizia con
Lui. La croce e la resurrezione costituiscono quel processo di redenzione nel quale la
Chiesa e i credenti sono coinvolti, nellamore sofferente, che caratterizza questo
passaggio liberatore attraverso una dinamica di purificazione da tutte le tracce antiche
della colpa, da quelle deviazioni e difficoltà derivanti dalla rottura della comunione
con Dio. Il mistero pasquale di Cristo diviene il nuovo esodo verso la pienezza di
quellincontro di amore con il Padre che nella croce risplende nella obbedienza
filiale e nella comunione gloriosa della resurrezione. In Gesù crocifisso-risorto si
mostra un Dio che ha tempo per luomo e che con la potenza del suo Spirito opera nel
cuore delluomo (Rm 5,5) vincendo la resistenza della carne e convertendolo verso la
risposta di amore più perfetta e fedele, conforme alla sua vocazione filiale. Il futuro
delluomo redento è il suo futuro, perché il tempo delluomo è ormai il tempo
del suo Spirito.
3. Lo Spirito Santo dono e principio di
santità nella Chiesa
Camminare secondo lo Spirito è la via nuova che il Nuovo Testamento traccia per il
cristiano. Infatti il cammino del cristiano viene configurato come sequela di Cristo nella
via dello spirito: "Se viviamo dello Spirito, camminiamo secondo lo Spirito"
(Gal 5,25). Non si tratta di uno sforzo umano di perfezionamento, ma di un dono dello
stesso Spirito che santifica il popolo di Dio con i Sacramenti, i ministeri, i carismi
(cfr. Gv 12,15; EV 1/316 n). "La Chiesa (dunque) è agli occhi della
fede indefettibilmente santa. Infatti Cristo, figlio di Dio, il quale col Padre e lo
Spirito è proclamato "il solo Santo", amò la Chiesa come sua sposa e diede se
stesso per essa, al fine di santificarla (cfr. Ef 5,25-26), e la congiunse a sé come suo
corpo e lha riempita col dono dello Spirito Santo per la gloria di Dio. Perciò
tutti, nella Chiesa
sono chiamati alla santità... Orbene, questa santità della
Chiesa costantemente si manifesta e si deve manifestare nei frutti della grazia che lo
Spirito produce nei fedeli; si esprime in varie forme presso i singoli, i quali nel loro
grado di vita tendono alla perfezione della carità ed edificano gli altri" (LG
39). Camminare secondo lo Spirito è dono prima di essere impegno; è vivere e seguire una
determinata condotta non per diventare santi, ma perché siamo santi. In pratica, vuol
dire vivere unesistenza teologale nella carità, nella speranza, nella fede. Il
Concilio Vaticano II ad ogni fedele, come allintero popolo di Dio, addita
lesempio di Maria e presenta la santità della Chiesa che "ad imitazione
della Madre del suo Signore, con la virtù dello Spirito Santo, conserva verginalmente
integra la fede, solida la speranza, sincera la carità" (LG 64).
3.1 La Chiesa nasce da Cristo
Risorto e dallo Spirito
La Chiesa, "popolo adunato nellunità del Padre, del Figlio e dello Spirito
Santo" (LG 4), è nata e vive grazie a due "missioni", quella di Cristo
e quella dello Spirito Santo. È particolarmente espressiva limmagine delle due mani
di Dio utilizzata da SantIreneo per esprimere la nascita della Chiesa dalle due
missioni, quella del Verbo e quella del Soffio: "Dio sarà glorificato
nellopera da Lui modellata quando lavrà resa conforme e simile al Figlio suo.
Poiché con le mani del Padre, cioè con il Figlio e lo Spirito, luomo diventa
immagine e somiglianza di Dio". Il Padre manda il Figlio e poi, quando questi,
compiuta la sua missione con la morte in croce, con la resurrezione, nellincontro
pasquale con gli Undici viene personalmente a comunicare il dono della vita nuova: "Ricevete
lo Spirito Santo" (Gv 20,22). La Chiesa nascente, (rappresentata dagli Undici) è
così una nuova creazione (cfr. Ef 2,15). Come nella prima creazione il soffio del Padre
diede la vita alluomo, così Cristo Risorto, apparendo agli Apostoli, alitò su
di loro comunicando loro lo Spirito Santo e il potere di perdonare i peccati (cfr. Gv
20,12-23). Questa Pentecoste anticipata nel giorno di Pasqua, nel cenacolo, divenne
pubblica il giorno di Pentecoste, quando Gesù innalzato alla destra di Dio, ricevette dal
Padre lo Spirito Santo promesso e lo effuse sugli Apostoli (Atti 2,33). Allora, per opera
dello Spirito Santo, si realizzò la nuova creazione. Dal Cristo risorto, dunque, la vita
dello Spirito si irradia nella Chiesa che diventa Pentecoste continua. Lo Spirito Santo
così non può essere separato dalla Chiesa, né la Chiesa dallo Spirito Santo. Lo Spirito
dimora nella Chiesa, creandola, rinnovandola, santificandola, guidandola e operando
attraverso di essa.
3.2 Lo stesso spirito nel capo e nelle
membra
Il Figlio di Dio, unendo a sé la natura umana e vincendo la morte, ha redento luomo
e lha trasformato in una nuova creatura (cfr. Gal 6,15; 2Cor 5,17). Comunicando
infatti il suo Spirito costituisce misticamente come suo corpo i suoi fratelli, che
raccoglie da tutte le genti. In questo corpo la vita di Cristo si diffonde nei credenti
che, attraverso i sacramenti, si uniscono in modo arcano e reale a lui sofferente e
glorioso (LG 7). Ne deriva che essendo la Chiesa santa, i suoi membri si chiamano santi,
sacerdozio santo, nazione santa (cfr. 1Pt 2,5-9), tempio santo (Ef 2,21). Da
qui nasce la comunione dei santi, delle cose sante e dei fedeli santi, in cielo e in
terra. Per questo, nel simbolo della fede gli articoli sullo Spirito Santo, la Chiesa e la
comunione dei santi sono uniti tra loro: Credo nello Spirito Santo, la santa Chiesa
cattolica, la comunione dei santi. La pienezza di questa comunione dei santi sarà il
frutto escatologico della santità seminata dallo Spirito Santo nei figli generati nella
Chiesa. Perciò, nella liturgia eucaristica possiamo implorare. "Padre di bontà,
che riunisci tutti i tuoi figli nelleredità del tuo regno, con Maria la vergine
madre di Dio, con gli apostoli e i santi; e lì, insieme a tutta la creazione già libera
dal peccato e dalla morte, ti glorifichiamo per Cristo, Signore nostro, per il quale
concedi al mondo ogni bene" (Preghiera eucaristica IV). Noi viviamo già dello
Spirito e tuttavia dobbiamo continuare a camminare secondo lo Spirito finché tutta la
storia non sfocerà nelloceano infinito della Trinità. Lo Spirito ci fa veramente
figli, ma lintimità filiale delluomo con il Padre è appena cominciata. Lo
Spirito ispira la fraternità di tutti in Cristo, ma la comunione è sempre al di là dei
risultati raggiunti. Per questo lo Spirito tormenta ed inquieta, appaga e affanna, ci
spinge in avanti e ci rivolge come il Verbo verso il Padre (cfr. Gv 1,1) fino a
quando il Padre sarà tutto in tutti (1Cor 15,28). Questa tensione verso il futuro di Dio
suscita in noi la risposta della speranza "poiché nella speranza noi siamo stati
salvati" (cfr. Rm 8,23-25).