Carissimi,
1.
la
Quaresima
dell’anno di grazia 2004 è già iniziata e ognuno, docile alla sua
guida spirituale, ha non solo predisposto il tono da dare quest’anno al
suo cammino quaresimale, ma è già avanti in esso. Ciò non vanifica la
veloce proposta di riflessione con la quale si apre, come sempre, il
nostro Notiziario Pastorale pensato realizzato e distribuito
fedelmente, mese dopo mese, come strumento di comunicazione immediata e
che prende l’abbrivo dalla Parola, dalla Liturgia e dalla tradizione
ascetica.
a)
La Parola di Dio
«Guardate a lui e sarete raggianti; Venite, figli, ascoltatemi;
v’insegnerò il timore del Signore; la malizia uccide l’empio» (Sl
33,9.12.22). Testo biblico suscettibile d’approfondimenti vari e
preziosi e, insieme, leggibile immediatamente.
*
Guardare al Signore Creatore e Padre illumina e riscalda, è fonte
di saggezza e di fiducia perché se il Signore è con noi chi sarà contro
di noi e poi egli «osserva l’oppressione di cui è vittima il suo
popolo, ode il suo grido, conosce, scende, fa uscire, libera» (cfr Es
3,7); «alle spalle e di fronte mi circonda e pone su di me la sua mano»
(Sl 138, 5).
*
Egli è maestro del santo timore cosa ben diversa della paura e
che, alla fine, è un altro nome dell’amore.
*
La malizia, il peccato non è tale perché Dio, capriccioso, così
ha stabilito, ma perché fa male, uccide chi se ne rende responsabile.
*
«Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ne
ha le opere? Forse quella fede può salvarlo? Tu credi che c’è un Dio
solo? fai bene; anche i demòni credono e tremano!» (Gc 2,14.19)
b)
La
Liturgia
*
La seconda strofa di un inno predisposto per la preghiera della
sesta così canta: «Cuius luce clarissima / tenebricat meridies; /
sumamus toto pectore / tanti splendoris gratiam».
Il riferimento è all’ora sesta nella quale «mentre le tenebre
avvolgevano il mondo, il Signore fu inchiodato sulla croce». Ora
tenebrosa, perché oscura è la croce e Gesù stesso così la esperimenta
se urla la sua sensazione di essere abbandonato. La croce, però, pur
oscura, fa impallidire il chiarore del sole giunto all’apice del suo
cammino.
*
La colletta della messa votiva per la chiesa: Signore, il popolo
da te adunato ti tema, ti ami, ti segua, perché, avendo te come guida,
consegua la promessa partecipazione alla mensa della tua gioia. Molto
efficace questa scansione: timore, amore, sequela, premio eterno.
c)
La
Tradizione ascetica
*
Qui se diligit, Deum amare non potest (Diadoco di Fotice).
*
«Dio Signore, che tutte le mie intenzioni, attività esterne e
operazioni interiori tendano unicamente al servizio e alla lode della tua
divina Maestà» (S. Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali, n. 46).
2.
Nei testi biblici e liturgici appena letti c’è, costante, la
preoccupazione di rilevare che le precisazioni più puntuali, le contemplazioni
più ardite, sono monche se non pervengono al fare; ché il fare non
è altra cosa rispetto alla spiritualità, alla fede al punto che questa,
sembra dire S. Giacomo, se priva d’approdo al fare, non salva e, anzi,
di essa pure
i demòni possono vantare
il possesso.
3.
Nei due testi ascetici, poi, il medesimo insegnamento è espresso
in modo diretto: amarsi rende impossibile amare Dio, perché amare Dio è
servirlo; e amare Dio è amare e servire il prossimo; e amare e servire
non è parlare d’amore e di servizio ma agire con lealtà, mitezza,
benevolenza, affabilità, disponibilità. Come, peraltro, a titolo di
esempio, civiltà non è maledire gli incivili e descrivere ed elogiare i
vantaggi della civiltà.
Civiltà è agire da persona civile nel rispetto dei diritti degli altri,
tacendo o parlando secondo che le concrete situazioni esigono, adempiendo
fedelmente i doveri di cittadino, operando scelte civiche consapevoli,
facendo la fila in un ufficio, custodendo e rispettando i
beni della comunità, aborrendo prepotenza e furbizie.
Così non è spiritualità parlare di spiritualità ma fare scelte che
vadano d’accordo con le indicazioni dello Spirito. E queste niente hanno
di vago e fumoso. Infatti: «frutto dello Spirito invece è amore, gioia,
pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal
5,22).
Può riuscire utile leggere la stessa indicazione in negativo: «le opere
della carne sono ben note: fornicazione, impurità, libertinaggio,
idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi,
divisioni, fazioni, invidie, ubriachezza, orge e cose del genere; circa
queste cose vi preavviso, come già ho detto, che chi le compie non
erediterà il regno di Dio» (ivi 19).
E non serve a niente presumere di avere diretto intenzioni e operazioni
intellettuali e affettive al servizio e alla lode di Dio se vanno in altra
direzione, per i fatti propri, seguendo altre dinamiche, le attività
esterne e controllabili operazioni.
Paolo incalza: «Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio,
ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio;
è questo il vostro culto spirituale. Non conformatevi alla mentalità di
questo secolo, ma trasformatevi, rinnovando la vostra mente, per poter
discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto»
(Rm 12, 1), che è come se dicesse: “badate, badate bene che, da
discepoli di Gesù, siete chiamati a costruire, per la vostra parte,
modelli di comportamento alternativi a quelli di cui va fiero il mondo”.
Mons. Angelo Ficarra incalzava, sbrigativo ed essenziale, una persona che
lo intratteneva epistolarmente sui suoi pretesi impegni ascetici e
mistici: ma lei visita gli ammalati? Si mette a disposizione per la scuola
parrocchiale di catechesi? Fa opere di
carità? Assiste i suoi genitori? È fedele ai doveri domestici?
4.
Sono consapevole e lodo il Signore perché nella nostra chiesa
diocesana sono numerosi gli operatori pastorali, laici, religiosi e
sacerdoti
che si sentono vibrare l’animo di santi desideri leggendo Isaia:
«per amore di Sion non tacerò, per amore di Gerusalemme non mi darò
pace, finché non sorga come stella la sua giustizia e la sua salvezza non
risplenda come lampada» (Is 62,1), correttamente sovrapponendo Sion e
Gerusalemme ai nomi delle nostre contrade.
Non serve però tale ardore. Esso di apostolico ha solo la forma finché
non si compiono azioni piccole, magari, ma concrete come quelle che la
nostra chiesa si è date con il suo Piano Pastorale, frutto d’analisi,
scelte e decisioni comunitarie, che accetta la legge dell’incarnazione e
si sottopone a mete, traguardi, verifiche e, soprattutto, al passo dei più
piccoli. Non serve lamentare l’eclissi degli adolescenti dopo la
Cresima, la ‘lontananza’ della maggior parte dei battezzati, il dramma
della solitudine degli anziani, la tragedia della mancanza di senso della
vita, l’ignoranza religiosa dei più, l’aumento di famiglie di
battezzati irregolari se non si accetta di porre in cantiere i piccoli
gesti che creino rapporti che sfocino nell’accettazione del dono divino
della comunione per la quale Dio ci ha pensato, creato, redento, mandato
il Divino Spirito, fatto membra del corpo santo della Chiesa.
5.
Pongo tra queste piccole azioni la Settimana della Fraternità,
preparata così a lungo, con l’animo pieno di santi desideri. Essa non
pretende di essere una bacchetta magica. Vuole fare esperimentare la gioia
di sapersi famiglia di Dio, chiesa, per la fede e il Battesimo. Spera di
suscitare il desiderio di incontrarsi ancora e, con la nascita dei piccoli
gruppi, che si verifichino le condizioni che consentano che si parli di
Dio e si realizzi la previsione d’Isaia: «mi feci ricercare da chi non
mi interrogava, mi feci trovare da chi non mi cercava. Dissi: Eccomi, a
gente che non invocava il mio nome»
(Is
65,1).
6.
Sono sicuro che nessuno di noi esiterebbe
affermazioni come queste: ‘Dio tre volte Santo va adorato con fatti di
vita’, ‘l’Eucaristia dev’essere centro della vita’, ‘non è
possibile che si formi una comunità cristiana se non assumendo come
radice e, come cardine, la celebrazione della sacra Eucaristia, dalla
quale deve quindi prendere le mosse qualsiasi educazione tendente a
formare lo spirito di comunità.
A sua volta la Celebrazione Eucaristica, per essere piena e sincera, deve
spingere sia alle diverse opere di carità e al reciproco aiuto, sia
all'azione missionaria e alle varie forme di testimonianza cristiana (cfr.
PO 7). I valori evangelici della mitezza, benevolenza, semplicità,
affabilità devono improntare la vita, le beatitudini non sono per
colorare di miniature codici medievali e stampe moderne, ma per la vita.
Avere fede, negli stati di vita, laicale, religioso e sacerdotale, è
impegno a seguire, con la vita, Cristo povero, casto, obbediente.
Perché le affermazioni non restino declamate, il cammino della nostra
chiesa ci propone il modo; i santi e la Vergine, venerata anche nella
nostra Tindari come Odigitria, ci indicano, appunto, la strada. La fedeltà
che caratterizza la nostra chiesa mi assicura che siamo già in cammino. |