i raccoglie qui il
desiderio, autentico bisogno dell’anima, di ritrovarci, pregare,
incoraggiarci, quasi, nel nome di Sua Santità Giovanni Paolo II. Io che,
per dare corpo a tale desiderio, vi ho invitato, adempio, innanzi tutto,
il dovere di ringraziarvi. E sono due i motivi del mio grazie:
a) il primo: avete accettato di unire la vostra alla mia preghiera, il
vostro al mio pubblico attestato di stima e affetto per il Santo Padre;
b) il secondo: insieme alla umanità intera avete offerto in questa
occasione un credito di stima per la Chiesa veramente grande, che ha
sorpreso me e non solo me: di questo vi ringrazio.
alla sera di sabato
scorso, 2 aprile, il mondo, ne siamo testimoni, veglia accanto alla
salma di Giovanni Paolo II rispettoso, in preghiera, come con il fiato
sospeso. Come Gamaliele, di cui nel brano degli Atti, egli è
«dottore
della legge, stimato presso di tutto il popolo».
Di lui si sono occupati i giornalisti, gli uomini politici, i
professionisti della cultura e le persone che, in numero non
calcolabile, intuiscono la grandezza del carisma di questo uomo che,
venuto dal Nord, ha accompagnato il passaggio dell’umanità al terzo
millennio.
Sarete agevolmente d’accordo con me se dico che non è facile dire cose
che non siano già state dette. Per questo che, più che parlare di lui,
di lui, con voi, voglio mettermi in ascolto.
iovanni Paolo II non
ha una famiglia. Morti i genitori e l’unico fratello quando egli era
ancora ventenne. Come Melchisedek re di Salem, è senza padre e senza
madre, la sua famiglia è la Chiesa e, con la Chiesa, è a servizio del
mondo.
È un mistico, persona educata a guardare cose, avvenimenti e persone dal
punto di vista di Dio. Educato, intendo, dal temperamento, dal lavorio
personale, dall’incontro con persone di statura eccezionale, (egli amava
ricordare l’arcivescovo Stefano Sapieha che durante gli anni del Nazismo
l’aveva accolto nel seminario diocesano costretto alla clandestinità e
tutti sanno del rapporto con l’eroico arcivescovo Stefano Wyszvnki)
educato, dicevo, dalla lunga preghiera, dalle esperienze di vita, dalle
frequentazioni filosofiche, dall’impatto con le inumane ideologie del XX
secolo.
Questa educazione l’ha portato alla convinzione che l’uomo, fornito di
coscienza psicologica e morale, per ciò stesso, non è solo materia, egli
stesso è testimonianza, la più autorevole, dell’esistenza del
trascendente.
Questa trascendenza, da prete, da vescovo, da papa, in tutte le vicende,
testimonierà sempre e dovunque. Su questa trascendenza innesta il suo
essere efficace testimone di speranza.
hi non tiene conto di
questo ha vera insuperabile difficoltà a comprendere il suo alzarsi
dinanzi al giovane che va a salutarlo dopo avergli rivolto un
imbarazzato indirizzo augurale, la sua disponibilità ad incontrare
tutti, senza risparmiarsi, senza paura di chi per motivi ideologici
avrebbe desiderato che il Papa, per esempio, ricevesse i politici
dell’orientamento politico preferito negandosi ad altri d’orientamento
opposto, il suo correre da un continente all’altro, da una sede
istituzionale all’altra, l’invito estemporaneo ad esibirsi con il loro
spettacolo negli austeri saloni agli occasionali giocolieri in sosta
dinanzi al portone della residenza papale di Castelgandolfo, il suo
desiderio di incontrare e ascoltare scienziati, filosofi, teologici,
letterati ecc. in un elenco che non finisce mai.
E la trascendenza dell’uomo spiega come mai l’uomo è inchiodato
all’insoddisfazione finché non giunge a riposare in Dio.
Da qui, da qui e da nessun’altra fonte, il grido con cui ha dato inizio
al servizio di capo visibile della Chiesa, di papa:
«non
abbiate paura di aprire le porte a Cristo, Cristo infatti sa quello che
c’è in ogni uomo» (Gv 2, 25) Lui solo lo sa!
Da qui il motto che offre la chiave interpretativa del suo servizio,
quel Totus tuus! che dall’ottobre 1978, campeggia in Vaticano e
gira per il mondo in santini, canti, statue.
Da qui la convinzione, non teorica ma stella che ne orienta parole ed
azioni, che la gloria di Dio è l’uomo vivente!’.
Da qui, teologo, parte da Dio per arrivare all’uomo; uomo vero ed
esperto d’umanità, partendo dall’uomo, cerca di condurre a Dio gli
uomini datigli come fratelli dalla Provvidenza.
ai primi mesi del suo
servizio Giovanni Paolo II ci ha dato una messe abbondante di documenti
che spaziano dalla ecclesiologia all’ecumenismo, dalla sociologia
all’etica nei diversi ambiti, dalla liturgia all’arte, alla dogmatica.
Egli alla fine, però, non predica
«se non Cristo,
questi crocifisso» (1Cor 2,2) e il suo amore per l’uomo.
Amore che niente ha da spartire con l’accondiscendenza a buon mercato,
con la svendita delle vette dell’impegno.
Amore che non ignora gli ostacoli ma tutti li supera perché tutto vince
l’amore.
Amore che non è vaga poesia ma si esprime, come fa sempre l’amore
autentico, dando e soffrendo.
Amore che passa dalla povertà di Betlemme, transita dall’anonimato
trentennale di Nazaret, giunge alla radicalità sconvolgente del
Getsemani, del pretorio di Pilato, della corona di spine, dei flagelli,
del Calvario e tutto supera e sconvolge
«di mattino, nel primo giorno dopo il sabato» (Mc 16, 9) quando i suoi amici esperimentano che il Vivente non va
cercato nella tomba, tra i morti.
Amore che è passione per l’uomo per il quale sente il debito della
verità intera della proposta cristiana:
«Questo Gesù Dio l’ha risuscitato e noi tutti ne siamo
testimoni, (io ne sono testimone). Sappia dunque con certezza tutta la
casa d’Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi
avete crocifisso!»
(At 2,32.36).
«Tutti voi infatti siete figli di Dio per la fede in Cristo
Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti
di Cristo. Non c'è più giudeo né greco; non c'è più schiavo né libero;
non c'è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in C. Gesù» (Gal 3,27-28).
Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete
azzimi. E infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato! Celebriamo
dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e
di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità (1Cor 5,7-8).
E Giovanni Paolo non ha avuto mai diplomazie, paure, reticenze nel
chiamare col nome specifico il vecchiume da cui vuole salvaguardare
chiunque accetti di ascoltarlo: vecchiume è il nazismo, vecchiume è il
comunismo, vecchiume è il capitale che, se innalzato a divinità, si
rivela tragico Moloc che travolge, pesta, spoglia d’ogni dignità masse
enormi e inermi, vecchiume è il disprezzo della vita. Della vita
segnatamente debole.
Egli, Giovanni Paolo, è il servitore del Crocifisso risorto e rende
conto solo a lui e, per questo, avrà un solo parlare con i potenti della
terra, con l’attentatore che, il 13 maggio 1981, cambiò la sua vita, con
le masse che accorrono a vederlo e sentirlo in tutte le piazze del
mondo, negli USA, nella polvere dell’Africa, in Asia, nelle città
italiane, con i figli della Chiesa, con i credenti di religioni altre
rispetto alla Cattolica.
bele, insegna la
Lettera agli Ebrei, per fede, offrì a Dio un sacrificio migliore di
quello di Caino e in base a tale fede fu dichiarato giusto, attestando
Dio stesso di gradire i suoi doni; per la fede, benché morto, parla
ancora (Eb 11,4).
La stessa cosa si può dire del nostro Santo Padre Giovanni Paolo II,
dono autentico di Dio alla nostra epoca.
Egli è morto ed è proprio la sua morte che ci raccoglie nel Santuario di
Tindari dove venne pellegrino nel 1988 rallegrando e onorando la nostra
terra.
Egli è morto ma la fede che gli consentì di offrire la sua vita in
sacrificio a Dio, a vantaggio degli uomini, fa sì che egli ci parli
ancora.
Egli parla ancora e noi vogliamo:
● ascoltare e fare tesoro del suo magistero;
● fare grata memoria del suo pellegrinaggio a Tindari;
● in comunione con la Chiesa Universale e con tutti gli uomini di buona
volontà, lodare Dio per il suo lungo, fedele, generoso, innovatore,
provvidenziale servizio teso a portare il Vangelo al mondo intero;
● accompagnare, nella preghiera, il suo passaggio alla visione di Dio
faccia a faccia;
● proclamare nostra la fede per la quale sappiamo che, in Gesù Cristo
morto e risorto, anche per noi è aperto l’ingresso alla vita in Dio
Amore Onnipotente.
n un passato non molto
remoto, tra il Papa e i cardinali che a lui si accostavano per
presentargli gli auguri pasquali, si svolgeva un dialogo semplice e
suggestivo: Il Signore è veramente risorto, diceva il Papa; Ed
è apparso a Simone, gli rispondeva il cardinale.
Fratelli, ancora grazie vivissime per la vostra partecipazione a questa
celebrazione.
Portate la mia gratitudine a quanti, a voi in qualsiasi modo prossimi,
condividono il comune lutto.
Dite loro che a Tindari, aiutati dal magistero del Santo Padre Giovanni
Paolo II, abbiamo rinnovato la nostra fede in Cristo, il Risorto del
venerdì santo.
Dite che è stato bello, nella stima e nell’affetto che a lui ci lega,
pensare che egli gioisce già alla presenza dello stesso Risorto perché,
come assicura la Parola Santa «una luce si è levata per il giusto, gioia per i retti di cuore» (Sal 96,11). |