Carissimi,
1. il mese di novembre vedrà la nostra Chiesa impegnata nella
celebrazione della Settimana della Fraternità. Il nome stesso ci fa
trasalire di gioia.
Non mancano, certo, convocazioni. Negli ultimi giorni d’ottobre, per
rimanere ad un fatto recente e molto importante, ‘i colli fatali di
Roma’, si sarebbe detto in altre epoche, hanno visto convocate teste
coronate e non per avviare un processo politico ed economico che
dovrebbe fare da ostetrico a rapporti nuovi tra i popoli della vecchia
Europa.
Peccato che, talvolta, anche le teste coronate si lascino prendere dallo
scintillio fasullo, s’inzaccherino nell’orgoglio e si lascino andare ad
affermazioni che di tutto difettano meno che di vuota demagogia.
Avrete letto l’affermazione di un ‘padre fondatore’ (?) secondo il quale
le sudate centinaia di pagine della nuova costituzione europea sono più
leggibili di molti capolavori della letteratura italiana (sic!).
Sono sicuro che anche a voi sarà venuto in mente di fare avere a codesto
illuminato padre costituente un quaderno di fumetti o, a scelta, il
capolavoro di Carlo Lorenzini e la rubrica telefonica di qualche città
italiana.
Non mancano poi convocazioni sportive, economiche, accademiche,
commemorative, per comporre liti.
2. La nostra Chiesa diocesana, nella Settimana della Fraternità, convoca
in forza del solo fatto che convocanti e convocati abbiamo la fede e,
solo che ci badiamo, questa è vera novità.
La Chiesa è, per sé, lo dice il suo stesso nome, comunità dei convocati
- riuniti dalla fede in Cristo e incorporati in lui per il Battesimo.
All'interno di questa convocazione grande, stabile e fondante, stanno
molte altre convocazioni e, tra queste, quella eucaristica.
Per fare l’Eucarestia è necessario convocare, accettare la convocazione
"fare Chiesa" insieme con i fratelli sotto la presidenza di un
presbitero - pastore che rappresenta Cristo in mezzo ai suoi.
La Chiesa è, così, qualcosa di già fatto e insieme un evento che accade,
che si deve realizzare sempre da capo.
Questo "convenire in unum" richiede un’adesione sempre nuova e libera,
com’è caratteristico della fede, alla convocazione che è al tempo stesso
ecclesiale ed eucaristica.
È convocazione ad una festa, il banchetto con il Signore, che non si può
realizzare né celebrare se non con i fratelli né isolandosi, ma facendo
Chiesa, che è come dire, facendo comunità.
Le assenze rimpiccioliscono, indeboliscono e impoveriscono il Corpo di
Cristo, la Chiesa. Diminuisce la festa e la comunione fraterna, per ciò
stesso, si attenua la forza testimoniale della Pasqua del Signore.
Noi però non siamo e non vogliamo essere rassegnati.
Non ci ergiamo giudici di chi sta ai margini. Non pensiamo di essere a
posto. Non vogliamo nel nostro vocabolario il verbo escludere.
3. In ascolto della parola di Gesù ‘gettate le reti’ convochiamo ancora
e ancora. Il successo non ci interessa.
È peraltro il Padre che, unico, dispone delle chiavi dei cuori e tiene
le fila del tutto.
Tutti convocati, dunque, carissimi e tutti al lavoro: c’è bisogno di
tutti.
Le indicazioni pratiche sono state date e saranno date ancora.
Ai fratelli sacerdoti raccomando di coinvolgere gli ammalati con le loro
preghiere e sofferenza.
Alle religiose chiedo un rinnovato slancio del cuore già donato al
Signore perché il volto della Chiesa splenda della bellezza di Cristo e
sia adatto ad ogni buona battaglia.
Ai giovani domando la presenza coinvolgente nel brio scintillante della
fantasia.
A me e a voi è necessaria concreta docilità allo Spirito che parla nella
Chiesa nella concretezza della sua viva articolazione. |
Carissimi,
il nostro incontro dicembrino è a metà del cammino liturgico, l’Avvento,
che, con la Chiesa tutta, abbiamo intrapreso in preparazione al Natale.
1. Ricordare.
Se non abbiamo bisogno di fare memoria del fatto che siamo invitati ad
andare incontro al Signore, che, in verità, è lui a venire da noi, di
certo abbiamo bisogno di ‘ricordare’ questa verità che, tipica della
fede cristiana, la qualifica e distingue da qualsiasi altra.
Nella voce ‘ricordare’ si sente senza difficoltà la radice ‘cuore’. Non
si tratta, infatti, del freddo richiamare alla mente per conoscere,
quanto del conservare in cuore per emozionarsi, trasalire per lo
stupore, lasciarsi prendere da gratitudine, gioia, voglia di gridare ai
quattro venti che «Dio ha concesso misericordia ai nostri padri e si è
ricordato della sua santa alleanza, del giuramento fatto ad Abramo,
nostro padre, di concederci, liberati dalle mani dei nemici, di servirlo
senza timore, in santità e giustizia al suo cospetto, per tutti i nostri
giorni» (Lc 1,72-75).
2. Il nostro Dio viene.
Il nostro Dio, dunque, è Dio che viene, Egli non resta nell’alto del suo
cielo, secondo una concezione di tipo deistico, troppo impegnato nella
sua gloria per prendere interesse all’umanità.
Egli si presenta dicendo: «Ho osservato la miseria del mio popolo;
conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo e per farlo uscire
da questo paese verso un paese bello e spazioso, verso un paese dove
scorre latte e miele. Ora dunque il grido degli Israeliti è arrivato
fino a me, ho visto l'oppressione con cui gli Egiziani li tormentano.
Ora va’! Io ti mando. Fa’ uscire dall'Egitto il mio popolo, gli
Israeliti!» (cfr Es 3, 7-10).
La sua venuta è triplice.
a) Per la prima, nell’umiltà della natura umana, fu annunziato da tutti
i profeti, la Vergine Madre l’attese e portò in grembo con ineffabile
amore, Giovanni lo proclamò venuto e lo indicò presente nel mondo, egli
stesso, infine, portò a compimento la promessa antica e ci aprì la via
dell’eterna la salvezza.
b) Verrà di nuovo nello splendore della sua gloria e noi otterremo, alla
fine, in pienezza di luce, i beni promessi che ora osiamo sperare
vigilanti nell’attesa.
c) C’è una terza venuta intermedia, nei nostri giorni, ora.
Di essa sappiamo:
* quel che dice Gesù: «Sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la
mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con
me. Il vincitore lo farò sedere presso di me, sul mio trono, come io ho
vinto e mi sono assiso presso il Padre mio sul suo trono. Chi ha
orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese» (Ap 3,20,22);
* che si realizza: nella Parola; in ogni uomo e in ogni tempo affinché
accogliamo nella fede e testimoniamo nell’amore la beata speranza del
suo regno; nella Santa Eucaristia.
3. La terza venuta.
Le modalità della terza venuta si richiamano, intrecciano e stanno
insieme; noi le facciamo oggetto di devota attenzione, ne traiamo
orientamento per la preghiera e l’impegno quotidiano; vediamo come segno
provvidenziale il fatto che esse corrispondono al Piano Pastorale
Diocesano e agli orientamenti dati dal Papa alla Chiesa con l’indizione
dell’Anno Eucaristico e la Lettera apostolica Mane nobiscum dello scorso
7 ottobre.
4. Il Signore è venuto, verrà, viene.
«Ecco, faccio una cosa nuova; proprio ora la faccio: non lo vedete?».
Questa parola profetica mi torna in mente mentre penso alla Settimana
della Fraternità che un buon numero di parrocchie ha realizzato dal 21
al 28 dello scorso novembre.
Essa è stata visita del Signore, sua consolante venuta, seme di speranza
evangelica, fonte di gioia.
Oltre le attese.
Questa venuta è dono della sua bontà, frutto della terra e del lavoro
dell’uomo. Voi, carissimi fratelli, siete l’uomo che ha lavorato la
terra. Voi e quelli che, da voi seguiti e preceduti nella via del
Signore, generosamente vi hanno coadiuvato. Alla vostra lunga fatica è
da ascrivere il dono della scoperta del Signore presente e che viene in
mezzo al suo popolo per dare risposta alla sete di comunione con lui e
tra i fratelli.
Sono consapevole che non potrò mai dirvi grazie con accento
apprezzabilmente valido, per la fiducia, la generosità, la tenacia, con
cui avete accolto il duc in altum evangelico di cui, per il mio
ministero, sono eco flebile e scolorita quando alla diocesi propongo il
cammino pastorale.
Vorrei essere poeta per girare a voi quanto, qualche tempo addietro, mi
ha scritto un confratello:
«I poeti, i poeti!
Come Dio trafiggono l’anima
con parole amare e struggenti,
con nenie dolci ed ammalianti…;
come i sogni respirano liberi, curvano spazi e tempi.
Profeticamente confondono passato, futuro e presente,
danno vita ai sentimenti».
5. Andiamo oltre.
Ecco, fratelli, possiate fare l’esperienza di Geremia, il timido profeta
di Anatot l’insignificante villaggio della Giudea, che sentiva nel
cuore, come chiuso nelle ossa, un fuoco ardente, che si sforzava perfino
di addomesticare, sotto la coltre rassicurante della cenere, senza però
riuscirvi (cfr Ger 20,9).
Vi travolga, contagiosa, la gioia. La gioia di vedere che ‘i pascoli del
deserto hanno germogliato’ (cfr Gl 2-22).
Siano con voi la grazia e la pace da Gesù Cristo, testimone fedele,
primogenito dei morti e principe dei re della terra, colui che ci ama e
ci liberato dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un
regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre.
Sentiate consolante la sua promessa: Io sono l'Alfa e l'Omega, Colui che
è, che era e che viene, l’Onnipotente!
Possiate esultare nel vedere i suoi occhi fiammeggianti come fuoco, le
sette stelle e i sette candelabri nella sua destra.
Siate animati dalla contemplazione degli angeli che vigilano sulla
nostra Chiesa e, in essa, sulle nostre comunità parrocchiali, su voi
stessi e sui fratelli e sulle sorelle nei quali, senza risparmiarvi,
servite il Signore (cfr Ap 1,4-20).
Nella Chiesa di Patti è stato depositato un piccolo seme che, per la
grazia divina, diventerà pianta atta ad accogliere e fare vivere: sarà
il nostro, il vostro, tesoro. E sappiamo che esso, posto nelle mani
dell’Amore onnipotente, è al sicuro da ladri, ruggine e tignola. |