LA CATECHESI DEL VESCOVO

 

Ringraziamo, gioiamo, usiamo con diligenza

Lettera ai Presbiteri del 14 Gennaio 2005

Carissimi,

1.
             approssimandosi il ritiro del Presbiterio mi andavo organizzando mentalmente per preparare la lettera che, a vantaggio dei miei ‘venticinque lettori’, ogni mese apre il nostro Notiziario.
Come prima cosa avrei ringraziato la Trinità Santissima per la Settimana della Fraternità con cui ha visitato la nostra Chiesa Pattese. Dato poi che i doni di Dio non sono risultato d’automatismi ma il concretarsi di mediazioni e grazia, di responsabilità ed equilibrio, fiducia e industria personale, pensavo di ringraziare, voi, fratelli sacerdoti, i laici che vi hanno coadiuvato, le religiose presenti nelle parrocchie, e le tante persone che, in silenzio, hanno pregato e sofferto.
Avrei poi esortato me e la Chiesa tutta a non pensare di avere portato a termine l’attività pastorale ma d’avere solo finito di… iniziare.
Infine avrei poi invitato a gioire nell’intravedere nelle nostre parrocchie i gruppi di persone tornare ad incontrarsi per parlare di Gesù in modo ordinato per periodicità e per argomento.
Fratelli carissimi, non lamentiamo l’istruzione, talvolta, approssimativa dei battezzati? Non constatiamo, altra volta, che, a parte i dieci minuti nell’omelia della messa domenicale, non è data opportunità d’approccio con il messaggio evangelico? Non osserviamo che i cristiani sono lasciati soli di fronte alle decisioni delicate e ardue che la vita pone davanti? Non lamentiamo che non sempre è esaltante la percentuale di quelli che, con i credenti della prima generazione, sentono di dire ‘senza la domenica non possiamo stare’? Non rileviamo che minima è la rilevanza numerica di quelli che fanno esperienza nell’associazionismo cattolico?
Bene, la Provvidenza, forse, ci fornisce un metodo: ringraziamo, usiamo con diligenza, gioiamo.

2.  Queste cose mi apprestavo a scrivere quando è finito sotto i miei occhi, riportato su una nota rivista, uno scritto delizioso sull’omelia. Ho pensato che avrei fatto male a non passarvelo, con qualche lieve adattamento.

3.  Tra i compiti dei presbiteri quello di tenere l’omelia è tra i più difficili. Non a caso c’è voluto un Concilio a rendere obbligatoria l’omelia. In questo ‘ufficio’ non soccorre l’ex opere operato, non basta la devozione, non incide la cultura: «Questo genere di demoni si cacciano solo con il digiuno e la preghiera!».
Sono i demoni che affollano la mente e il cuore dei fedeli che, la domenica mattina o il sabato sera, si sottopongono solitamente malvolentieri ai soli dieci minuti d’insegnamento cristiano che la loro vita conosce. Dieci minuti contro un numero spropositato di ore di televisione, contro la stampa benpensante (leggi anticristiana). Ma, soprattutto, dieci minuti appena contro la catechesi dei fatti che è la più micidiale ricevuta lungo tutta la settimana in ufficio, nel condominio, dal barbiere.
Questa potentissima catechesi li ha convinto che «oggi il mondo va così», quanto all’amore al prossimo che «a pensare male si fa peccato, ma ci si prende» e che «chi si fa pecora il lupo lo mangia!», quanto all’idolatria che «chi ha i soldi può tutto, mentre a chi crede niente è possibile», ecc.
Di Gesù è detto che provava pietà della gente che gli andava dietro, perché erano come pecore senza pastore e insegnava loro molte cose, a lungo!
A dispetto del carico di responsabilità che pende sull’unica forma di insegnamento garantito oggi al popolo di Dio, è tuttavia difficile ascoltare un’omelia.
Naturalmente se si intende per omelia quel ‘magico’ ensemble di coinvolgimento personale da parte del predicatore, di aderenza al testo biblico e alla sua connaturale potenza e di ‘annuncio’ mai taciuto. Forse perché il predicatore viene a sua volta da ore e ore di televisione, di chiacchiere mondane, di ‘peccati veniali’ presi troppo alla leggera? Forse.
Certamente non per la sua mancanza di cultura, né a causa di un suo eloquio poco sciolto, se è vero che è toccato al balbuziente Mosè, convincere un popolo intero di schiavitù.
Non si può fare l’omelia, credo, se non ci si è fermati, stupiti, presso il roveto ardente, dove brucia l’amore del Dio di Israele. Si potrebbe dire che dieci minuti di omelia devono essere preceduti, nel corso della settimana, da dieci ore almeno di meditazione e di colloquio con il Signore.
Cinquant’anni fa andava per la maggiore la ‘predica’ nella quale i sacerdoti si scagliavano spesso, animosamente, contro il malcostume dilagante, contro le spiagge, i films, il ballo.
Poi ci si è aggrappati al nuovo lessico conciliare, usurandolo nel giro di pochi anni.
Oggi circola una moda, nemmanco tanto nuova ma in compenso, perniciosa, che chiamo ‘l’infantilizzazione’ dell’omelia.
Il sacerdote scende tra i bambini, (magari sono solo due o tre), impugna il microfono e si rivolge loro amabilmente, con domandine di solito ‘infantili’ persino agli occhi degli stessi pretesi destinatari. Gli astanti si accomodano e… si rilassano, tanto la cosa, appunto perché per bambini, non li riguarda. Si tratterà di ascoltare, divertiti (?), un po’ di catechismo rivolto ai piccoli, cose che loro già sanno o devono fingere di sapere. Comunque, questo conta, non si tratta di loro.
L’effetto, domenica dopo domenica, è disastroso: il cristianesimo è una cosa da bambini e nessuno è disposto a confrontare seriamente la sua vita con una dottrina puerile.
Forse ripasseranno la ‘storia sacra’, ma le loro angosce e i loro dubbi resteranno interi e grevi come macigni e il pastore, non essendosene fatto carico, continuerà ad essere chiamato ‘buono’ per pura cortesia. È una trappola seducente perché l’assemblea si ‘anima’, perché tutti (?) partecipano volentieri (?). Si instaura una sorta di complicità tra ascoltatori svogliati e predicatore poco convinto?
Si ride indulgenti dei bambini che non sapevano che i sacramenti sono 7, che avvento vuol dire ‘venuta’ et similia. Intanto la Parola di Dio scivola via intatta. La motivazione ‘pastorale’ (?) si individua con poca fatica: «si parla ai bambini, perché gli adulti intendano».
Il che è vero, anzitutto ove si passi qualcosa di sostanzioso ai bambini - e non è così semplice - e solo nel caso in cui sussista altrove una solida formazione cristiana per gli adulti presenti, i quali si trovano ad ascoltare ‘anche’ l’esortazione ai piccoli. Ma, quando si tratta dell’omelia della messa domenicale, si rischia di bruciare gli unici dieci minuti a disposizione per distribuire il ‘cibo di sopravvivenza’ ai parrocchiani. In un’epoca in cui nel popolo, grazie a Dio è cresciuta la presenza di laureati, di diplomati, di gente abituata a leggere, scrivere e dibattere, stranamente in chiesa… si raccontano storielle per i bambini. Gli unici, peraltro, per i quali, nella maggior parte dei casi, le parrocchie hanno già un qualche spazio dedicato all’istruzione cristiana. In realtà, a nessuno piace avere davanti facce inespressive, che non si sa mai se stanno ascoltando o pensando alla squadra del cuore e al suo impegno nel campionato. Ma il rischio va corso, semplicemente perché la posta in gioco è alta. Quanto ai bambini, se i loro genitori riceveranno qualcosa di buono per sé, ne avranno anch’essi la loro parte. Decisamente meno probabile è il contrario.

4.  Che ve ne pare? A qualcuno dei miei ‘venticinque lettori’ che volesse intervenire sull’argomento – Settimana della Fraternità e gruppi da essa avviati, difficoltà di offrire un approccio continuo, ordinato e completo alle persone per le quali Gesù è morto in croce e che noi siamo chiamati a servire – il Notiziario Pastorale ben volentieri mette a disposizione le sue pagine.

 

L'Eucaristia modello e forza di vita

Lettera ai Presbiteri dell'11 Febbraio 2005

Carissimi,

1.
             la lettera che il S. Padre, lo scorso 7 ottobre 2004, ha inviato all’episcopato, al clero e ai fedeli e con la quale ha indetto l’anno dell’Eucaristia che ci accompagnerà fino all’ottobre di quest’anno, fin dalle prime parole, ‘Mane nobiscum, Domine’, evoca l’incontro di Gesù con due discepoli che definisce, affettuosamente rimproverandoli, ‘sciocchi e tardi di cuore’ mentre non disdegna di dedicare loro il suo tempo per recuperarli alla fede nella parola dei profeti, alla speranza e alla gioia dell’ardore apostolico.
Riesce sempre utile ‘ob-audire’, sempre da capo, l’episodio evangelico peraltro ben noto. Per comodità, lo riporto.

«Ecco in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome Emmaus, e conversavano di tutto quello che era accaduto. Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò e camminava con loro Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo. Ed egli disse loro: “Che sono questi discorsi che state facendo fra voi durante il cammino?”. Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli disse: “Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi giorni?”. Domandò: “Che cosa?”. Gli risposero: “Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l'hanno crocifisso. Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele; con tutto ciò sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; recatesi al mattino al sepolcro e non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l'hanno visto”. Ed egli disse loro: “Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti! Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?”. E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse
andare più lontano. Ma essi insistettero: “Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino”. Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista. Ed essi si dissero l'un l'altro: “Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?”. E partirono senz'indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro i quali dicevano: “Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone”. Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane» (Lc 24,13-35).

2.
Parlare dell’Eucaristia costringe a scegliere perché essa, fonte e culmine della vita della Chiesa, fa la Chiesa e dalla Chiesa è fatta. Qui ne parlo tenendo presente e seguendo il rito con cui essa è celebrata. Di più, prendo il via dal rito penitenziale (non dai riti appunto iniziali) in considerazione del fatto che questo numero del Notiziario Pastorale arriva nelle nostre mani a due giorni dal Mercoledì delle Ceneri, avvio del cammino quaresimale scuola e segno sacramentale di conversione. Il rito penitenziale comprende:
*  il momento di silenzio (non vuoto, non solo rituale, non minaccioso, non morte ma incontro con Dio e con sé) per prendere coscienza (per i maestri, l’esame di coscienza consta di cinque punti: ringraziare Dio dinanzi all’elenco dei doni di cui ci gratifica, chiedere la grazia di capire il peccato, elenco dei peccati, chiedere perdono, proporre) davanti a Dio dei nostri peccati e della solidarietà che ci lega ai peccati dei nostri fratelli e del mondo (peccati singoli, peccato sociale, il male cambiato in bene e viceversa);

*  la confessione comunitaria e reciproca delle colpe con l'implorazione della misericordia di Dio;

*  il cantico di lode contemplativa di Dio, l’unico Santo e Signore;
*  la preghiera “colletta”, conclusione di questa parte introduttiva, con la quale il presidente si fa interprete di tutti presentando a Dio i sentimenti e i propositi comuni. In questa orazione si sintetizza il senso della festa o il messaggio centrale delle letture che immediatamente seguiranno.

Il rito penitenziale, situato nella parte introduttiva della celebrazione eucaristica ricorda che la comunità ecclesiale è formata di peccatori
e si costruisce a partire dall’umiltà; peccatori che, allo stesso tempo, hanno coscienza di essere perdonati e riconciliati con Cristo, sentono la gioia della salvezza dopo il riconoscimento della propria verità esistenziale (è quella di non essere Dio). Solo dopo, è possibile camminare insieme, nella condizione comune di discepoli, verso la verità che ci farà liberi.

3.
Se guardare al rito è importante, fermarsi ad esso è fuorviante e genera non verità. Ogni incontro, qualunque sia la sua natura, deve incominciare con la creazione di un clima di sintonia, accoglienza e benevolenza reciproche che facilitino l’atteggiamento di amore, di ricerca della verità, di disponibilità e di subordinazione al bene comune. Questo suppone, se non ci si vuole contentare del rito e delle parole:
a) che tutti ci riconosciamo peccatori, bisognosi di salvezza, della salvezza dono di Dio, che “avviene” nella fraternità in Cristo. Solo con questa premessa di umiltà ci si può incontrarsi su un terreno che consenta a ciascuno di offrire su piano di uguaglianza la sua parte.
b) la creazione di forme di riconciliazione che permettano di vincere formalismo e superficialità che illudono e, in realtà, il non vivo, il non vero, la morte restano vivi e vegeti sotto la patina dei lustrini.
Al di là delle parole e delle pur rette intenzioni, occorre che, fin dall’inizio, in ogni incontro ci sia chiarezza nell'obiettivo da perseguire e spirito di preghiera. L'obiettivo, riconosciuto e accettato, unifica la volontà in uno stesso proposito e consente di evitare la dispersione e la frustrazione. Lo spirito di preghiera ‘alza’ all'umiltà, apre alla verità degli altri, rende adatti alla “verità” più ampia che è Dio riconoscendone la signoria, ad accettarci come fratelli, discepoli dell'unico Signore e pronti a  camminare con  la comunità e col passo della comunità.


4.
Ogni incontro, personale o comunitario, presuppone non solo il superamento di atteggiamenti negativi (pregiudizi, sfiducia, posizioni già prese...), ma di più:
•   atteggiamento di sincera apertura alla novità del Vangelo;

•   fede nella persona e nella comunità in quanto capaci di fedeltà
allo Spirito e di conversione a Lui. Tutti, battezzati, vescovo, presbiteri, si mettono davanti agli altri e ridestano la fiducia.
Non la prospettiva del ruolo ma l’uguale dignità battesimale (LG 32), la fraternità evangelica, l’atteggiamento misericordioso e la bene­volenza reciproca creano le condizioni per relazioni autentiche, vissute nella fede.
Convocare o lasciarsi convocare in nome di Cristo è convocare e lasciarsi convocare al superamento di tutte le barriere psicologiche, morali, spirituali che creano separazioni e distanza; è creare clima e disponibilità all'ascolto reciproco, al dialogo e alla accettazione della verità e del bene che si rivelano mediante il dialogo stesso.
In ogni occasione vescovo e presbiteri promuovono ed esercitano il ministero della riconciliazione creando occasioni e opportunità perché la comunità come tale e i suoi diversi componenti esercitino il perdono reciproco e ricompongano le relazioni di fraternità. L’incontro di tutti nella celebrazione liturgica è pieno se si è prima celebrata la riconciliazione secondo l’ammonimento netto di Gesù: «Se dunque presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all'altare e va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono» (Mt 5,23-24).
Potrebbe mancare la convergenza delle idee, non deve mancare mai la convergenza delle volontà (concordia). Per questo ad ogni in contro occorre arrivare ‘disarmati’, attratti esclusivamente dalla ricerca e dall’amore per la verità, per il bene, per le persone, per la comunità, collocati nell'orizzonte della Chiesa nella sua presenza qui ed ora e universale.


5.
Si rimane sempre nel campo delle belle idee fin quando non ci si fornisce e non si utilizzano le adeguate strutture organizzative. Quelle stagionate ed esperimentate, quelle di cui la nostra Chiesa si è dotata, fedele alla massima classica ‘vetera novis augere et perficere’ (Leone XIII Aeterni Patris). Con la mia benedizione.

Parlare di Gesù

Omelia alla Messa Crismale - Giovedì Santo 2005

1. Due linee, carissimi fratelli, caratterizzano la partecipazione all’annuale Messa Crismale:
a) la nostra Chiesa, chierici, religiosi e laici, vanta una tradizione bella e consolidata: ringraziamo insieme il Signore; io, poi, ringrazio voi dall’intimo: per quel che mi riguarda, la vostra presenza mi edifica, incoraggia e rallegra;
b) lo scorso ottobre il Santo Padre, con una sua lettera, ha indetto l‘Anno Eucaristico ed ha auspicato che le diverse Chiese ne connotino la valenza ecclesiale anche con il rito stazionale che è celebrazione significativa della chiesa rappresentata da tutte le sue componenti e vivacizzata dalla presenza operativa dei ministeri istituiti e di fatto.


2. La Chiesa è qui
:
a) con le sue 84 parrocchie; dal Vescovo al battezzato per ultimo, dai presbiteri, ai religiosi e religiose a quelli che si preparano al sacerdozio, dai catechisti ai ministri della comunione, dai componenti le EPAP, ai messaggeri, a quelli che zelano il decoro degli edifici sacri e della sacra suppellettile, da coloro che della donazione a Dio, nella Chiesa, a servizio dei fratelli, hanno fatto il senso della vita, a coloro che si aprono alla vita e all’impegno ecclesiale, da quelli che vivono il battesimo in famiglia, nella società, nella professione senz’altra connotazione, a quelli che legittimamente si riconoscono in gruppi, movimenti, e associazioni.
b) attorno alla Cattedra che è istituzionalmente ad unionem comprendendo in questa unione ogni battezzato pattese, le Chiese sorelle, le altre diocesi e la presidenza del Santo Padre.


3. La situazione della Chiesa
a me pare che sia descritta con accettabile approssimazione dicendo che essa è:
a) viva; grata per quanto il Padre le ha dato, le dà e le fa intravedere;
b) consapevole dei suoi limiti. Essa, talvolta almeno, mi sembra che faccia doverosamente sua la parola di Geremia:
«i miei occhi grondano lacrime notte e giorno, senza cessare, perché da gran calamità è stata colpita la figlia del mio popolo, da una ferita mortale. Se esco in aperta campagna, ecco i trafitti di spada; se percorro la città, ecco gli orrori della fame. Anche il profeta e il sacerdote si aggirano per il paese e non sanno che cosa fare. Hai forse rigettato completamente Giuda, oppure ti sei disgustato di Sion? Perché ci hai colpito, e non c'è rimedio per noi? Aspettavamo la pace, ma non c'è alcun bene, l’ora della salvezza ed ecco il terrore! Riconosciamo, Signore, la nostra iniquità, l'iniquità dei nostri padri: abbiamo peccato contro di te. Ma per il tuo nome non abbandonarci, non rendere spregevole il trono della tua gloria. Ricordati! Non rompere la tua alleanza con noi» (Ger 14,17-21).
c)  Consapevole del suo problema primo che si fa desiderio, progetto e compito che è parlare di Gesù.


4. Parlare di Gesù:
questa la ragione d’essere, la gioia, la ricchezza, la forza, il presente, il futuro, di chi ha la fede. Proprio per noi che abbiamo il dono della fede, Isaia si chiede: «Chi di noi può abitare presso un fuoco divorante? Chi di noi può abitare tra fiamme perenni?» (Is 33,14). Fuoco perenne è Dio; fiamme perenni sono il suo amore, la sua onnipotenza, la sua assoluta trascendenza. Lo stesso Isaia addita la forza della testimonianza: «Chi cammina nella giustizia, parla con lealtà e rigetta un guadagno frutto d’angherie, (…) costui abiterà in alto, fortezze sulle rocce saranno il suo rifugio, gli sarà dato il pane, avrà l’acqua assicurata» (ivi, 15).
Potremo abitare presso questo fuoco, parlare efficacemente di Gesù:
a) se realizzeremo la fraternità ecclesiale in tutti i livelli, dimensioni e forme;
b) se la parola profetica animerà la nostra preghiera: «io vivrò per lui, lo servirà la mia discendenza. Si parlerà del Signore alla generazione che viene; annunzieranno la sua giustizia; al popolo che nascerà diranno: “Ecco l'opera del Signore!”» (Sal 22,30-32) e
c)  se accoglieremo l’esortazione rivolta già ai battezzati della prima   generazione: «Avete solo bisogno di costanza, perché dopo aver fatto la volontà di Dio possiate raggiungere la promessa»
(Eb 10,35-36).
d) se la nostra spiritualità avrà le caratteristiche indicate dal Magistero per l’oggi della Chiesa e del Mondo.


5. Spiritualità secondo il Magistero è:

a) Scelta fondamentale dell’esistenza
*  La spiritualità è di chi ha fatto la scelta decisiva, unificante e capace di dare un senso definitivo all’esistenza oltre che delle azioni immediate.
*  Spiritualità è scelta di rinuncia all’egoismo e d’apertura all’amore che genera l’atteggiamento oblativo; è “vivere secondo lo Spirito”, come Cristo che si è donato è agire non per sé, da padroni.

b) Esperienza di Dio

*  L’uomo oggi crede solo a ciò che si presenta come collaudato nella vita e il credente deve rendere contodell’esperienza religiosa; deve potere dire: ‘Dio esiste ed io l’ho incontrato’,

c) Impegno nel mondo

*  Dalla fuga del mondo alla contemplazione, alla collaborazione al compimento del mondo in Cristo. E’ necessario trasformare la propria esistenza in un culto spirituale a Dio gradito (Rm 12,1); perché è l’insieme della vita che deve piacere a Dio ed essere sorgente di vitalità spirituale.
*  Chi vive della fede, deve sentirsi impegnato nel cantiere del mondo per la costruzione di un migliore avvenire.

d) Comunitaria

*  Il mondo è un unico villaggio e la riflessione teologica evidenzia la dimensione comunitaria della persona. Così si è espresso il Concilio mettendo in luce la Chiesa come corpo di Cristo e popolo di Dio radunato nel vincolo d’amore della Trinità (LG 10-17).
*  La prospettiva conciliare della santificazione e salvezza in un popolo che riconosca Dio nella verità e lo serva nella fedeltà (cfr LG9), modifica l’impostazione della spiritualità e della pastorale in senso ecclesiale e abbozza una mistica della comunità che vive e celebra la fraternità in Cristo per lo Spirito;
*  la mistica comunitaria implica la riconciliazione, il dialogo, l’accettazione dell’altro, l’esigenza di favorire il cammino comune;
*  la comunità che vive di questa spiritualità diventa, dinanzi al mondo determinato dal potere, dalla manipolazione e dall’avere, segno dell’universo redento e diventa emblema di speranza.

6. La Chiesa qui presente e rappresentata è
impegnata nel lungo cammino catecumenale del quale abbiamo percorso la parte iniziale. Cammino non privo di difficoltà, con le radici nella nostra storia, nell’insopprimibile bisogno di Dio e nelle indicazioni del Magistero. Ora un gruppo considerevole di battezzati, nelle diverse parrocchie, realizza l’impegno di incontrarsi mensilmente per parlare di Gesù.

7. L’esperienza di Paolo Apostolo.

Parlare di Gesù. A riscaldare il cuore, giova l’esperienza di Paolo:
«Le comunità si andavano fortificando nella fede e crescevano di numero ogni giorno. Paolo e i suoi discepoli, (…) attraversata la Misia, discesero a Troade. Durante la notte apparve a Paolo una visione: gli stava davanti un Macedone e lo supplicava: ‘Passa in Macedonia e aiutaci!’. Dopo che ebbe avuto questa visione, cercammo di partire per la Macedonia, ritenendo che Dio ci aveva chiamati ad annunziarvi la parola del Signore» (At 16, 5-14).

8.
Quando, il 24 marzo del 1980, un colpo d’arma da fuoco lo introdusse nella Cena del Signore, il vescovo Romero stava celebrando la S. Messa. Nell’omelia così aveva pregato: «In questo calice il vino diventa il sangue che è stato il mezzo di salvezza. Possa questo sacrificio darci il coraggio di offrire il nostro sangue per la giustizia e la pace del nostro popolo. Questo momento di preghiera ci trovi uniti nella fede e nella speranza». Per lui il passaggio dall’offertorio- rito all’offertorio-vita era esigenza ovvia. Ottenga a noi analoga concretezza.

 

Una riflessione e una breve cronaca sulla Visita Pastorale

Lettera ai Presbiteri del 13 Maggio 2005


Carissimi, nello spazio che, come al solito, apre il Notiziario, offro in questo mese una riflessione e una breve cronaca.

La riflessione

La Madre Chiesa, desiderosa di fornire a noi suoi figli un nutrimento ricco, vario, vitale, dalla prima decade di febbraio, dalla Quaresima, ci ha messo davanti al tesoro della sua liturgia e, in essa, della Parola di Dio e della sapienza dei santi, più e meglio che negli altri periodi dell’anno.
A conclusione e viatico, dopo i tempi forti della Quaresima e della Pasqua, due testi che vi propongo nella loro semplice vitalità. Di mio quasi niente oltre la segmentazione della pagina.
Il primo testo è di Gesù.
Nessuno vi potrà togliere la vostra gioia.  In quel giorno non mi domanderete più nulla. In verità, in verità vi dico: Se chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà. Finora non avete chiesto nulla nel mio nome. Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena. Queste cose vi ho detto in similitudini; ma verrà l'ora in cui non vi parlerò più in similitudini, ma apertamente vi parlerò del Padre. In quel giorno chiederete nel mio nome e io non vi dico che pregherò il Padre per voi:  il Padre stesso vi ama, poiché voi mi avete amato, e avete creduto che io sono venuto da Dio (Gv 16,23-27).
Chiedere nel nome di Gesù significa: chiedere quel che Gesù chiederebbe; chiedere quanto non stride sulle labbra di Gesù; chiedere come chiede Gesù; chiedere consapevoli di essere vitalmente uniti a Gesù dall’azione  del Santo Spirito per mezzo dei sacramenti, dal Battesimo in poi, nella chiesa.
Viene in mente che S. Agostino spiegava che le nostre preghiere non vengono esaudite se chiediamo o mali o male o mala.

Da Milèto mandò a chiamare subito ad Efeso gli anziani della Chiesa. Quando essi giunsero disse loro: “Voi sapete come mi sono comportato con voi fin dal primo giorno in cui arrivai in Asia e per tutto questo tempo: ho servito il Signore con tutta umiltà, tra le lacrime e tra le prove che mi hanno procurato le insidie dei Giudei. Sapete come non mi sono mai sottratto a ciò che poteva essere utile, al fine di predicare a voi e di istruirvi in pubblico e nelle vostre case, scongiurando Giudei e Greci di convertirsi a Dio e di credere nel Signore nostro Gesù. Ed ecco ora, avvinto dallo Spirito, io vado a Gerusalemme senza sapere ciò che là mi accadrà. So soltanto che lo Spirito Santo in ogni città mi attesta che mi attendono catene e tribolazioni. Non ritengo tuttavia la mia vita meritevole di nulla, purché conduca a termine la mia corsa e il servizio che mi fu affidato dal Signore Gesù, di rendere testimonianza al messaggio della grazia di Dio. Ecco, ora so che non vedrete più il mio volto, voi tutti tra i quali sono passato annunziando il regno di Dio. Per questo dichiaro solennemente oggi davanti a voi che io sono senza colpa riguardo a coloro che si perdessero,  perché non mi sono sottratto al compito di annunziarvi tutta la volontà di Dio. Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha posti come vescovi a pascere la Chiesa di Dio, che egli si è acquistata con il suo sangue. Io so che dopo la mia partenza entreranno fra voi lupi rapaci, che non risparmieranno il gregge; perfino di mezzo a voi sorgeranno alcuni a insegnare dottrine perverse per attirare discepoli dietro di sé. Per questo vigilate, ricordando che per tre anni, notte e giorno, io non ho cessato di esortare fra le lacrime ciascuno di voi. Ed ora vi affido al Signore e alla parola della sua grazia che ha il potere di edificare e di concedere l'eredità con tutti i santificati.  Non ho desiderato né argento, né oro, né la veste di nessuno. Voi sapete che alle necessità mie e di quelli che erano con me hanno provveduto queste mie mani. In tutte le maniere vi ho dimostrato che lavorando così si devono soccorrere i deboli, ricordandoci delle parole del Signore Gesù, che disse: Vi è più gioia nel dare che nel ricevere!".  Detto questo, si inginocchiò con tutti loro e pregò (At 20,17-36).

Prendere in considerazione compiutamente le suggestioni presentate dall’Apostolo ai presbiteri di Efeso è tanto difficile quanto è bello e utile alla crescita umana, cristiana e ministeriale leggere e rileggere il brano umilmente aperti alla grazia dello Spirito che anche oggi parla a noi. La sua parola è luce ai passi, guida, spada a doppio taglio, miele, fonte di forza, di saggezza e di novità.


2. La cronaca

La Visita Pastorale iniziata l’anno scorso, quest’anno, sta continuando nelle parrocchie attorno a Gioiosa Marea; in aprile e nel corrente maggio, a Ficarra e Sinagra. Mi è sembrato utile scrivere della visita a queste due parrocchie e per farlo lascio la parola alla comunità sinagrese. In quanto essa scrive ed è qui riportato, la Visita Pastorale alle due comunità è sinteticamente fotografata. 

«Il Consiglio Pastorale parrocchiale ha dedicato due incontri per definire la preparazione della Visita e il programma dettagliato.
La lettera alle Famiglie di aprile con il messaggio del Vescovo e il programma è stata consegnata dai messaggeri a tutte le famiglie della parrocchia.
La Visita è stata preparata nelle Piccole Comunità con una catechesi sulla figura del Vescovo, sui suoi segni distintivi e sulla diocesi. Una catechesi è stata preparata per i fanciulli e una per gli anziani e i malati. I 70 cresimandi hanno consegnato la Lettera ai Giovani e la crocetta.   
Domenica 1 maggio la Comunità di Ficarra (questa l’aveva rilevato a Gliaca e portato a braccia fino a Ficarra) ci ha consegnato la Croce dei giovani accompagnandoci in processione alle porte del Paese. Dal bivio di Martini la Croce è stata portata a  braccio da giovani fino alla Chiesa Madre ove è stata intronizzata alla sommità della scala principale.
Lunedì 2 maggio alla S. Messa è seguita l'Adorazione Eucaristica sul tema del Congresso Eucaristico Nazionale.
Martedì 3 maggio è stata celebrata la Liturgia Penitenziale per tutta la Comunità:  nove sacerdoti hanno confessato delle ore 19,00 alle ore 20,30. Il Ringraziamento ha concluso la liturgia penitenziale.
Mercoledì 4 maggio è iniziata la Visita: il vescovo è stato accolto all'inizio di Via Roma. Durante la processione alla Chiesa Madre abbiamo pregato con le litanie del Sacro Cuore di Gesù. Dinanzi alla Chiesa abbiamo reso l'omaggio alla Croce concluso dall'incensazione da parte del Vescovo.
In Chiesa  il  Parroco ha introdotto la Preghiera universale, le invocazioni  sono  state  condotte da  un  unico  lettore e concluse dal Vescovo.

Il Parroco ha presentato la Visita Pastorale precisando l'importanza del ministero del vescovo, la natura della Visita e come la comunità si è preparata.
Un rappresentante delle Piccole Comunità ha rivolto un saluto al Vescovo a nome di tutto il Paese.
Un rappresentante di ogni Piccola Comunità ha portato al Vescovo un simbolico acino d'uva per comporre un grande grappolo su una icona della “vite e i tralci”, ricevendo dal vescovo la Lettera Apostolica “Mane nobiscum Domine” e la catechesi di maggio per le Piccole Comunità. Due bambini hanno presentato al vescovo una icona della Risurrezione preparata a scuola per la Pasqua.
Dopo la S. Messa il Vescovo ha salutato ogni persona, intrattenendo anche i bambini.
Nella mattinata del 5 il Vescovo ha fatto visita alle scuole dell'infanzia, alle scuole elementari e alla scuola media: gli alunni, ottimamente preparati dagli insegnanti, si sono esibiti in canti, in una rappresentazione sulla Passione di Gesù e posto al vescovo delle domande interessanti. Un breve incontro con tutti gli insegnanti ha concluso la visita alle scuole.
Nel pomeriggio, durante la S. Messa, il Vescovo ha amministrato la Cresima, preceduta dalla testimonianza di una ragazza, di una mamma, di un padrino e dalla presentazione del Parroco.
In serata c'è stato l'incontro, intenso e incoraggiante, con tutti gli Operatori Pastorali.
Nella mattinata del 6 il Vescovo ha fatto visita ad alcuni opifici: fabbrica di scarpe sportive, maglificio, falegnameria. Gli incontri sono stati molto graditi da imprenditori e lavoratori e sono emerse le attuali difficoltà del mondo del lavoro.
Nel pomeriggio è stata celebrata la S. Messa per gli ammalati e gli anziani con l'Unzione degli Infermi (questo punto del programma a Sinagra è stato necessariamente ridimensionato per le pessime condizioni meteorologiche). I ministri straordinari della Comunione hanno portato la S. Eucaristia nelle case di alcuni ammalati nell’impossibilità di muoversi sia pure col generoso aiuto di fratelli resisi disponibili. Dopo la S. Messa non è mancato il momento ricreativo.
A sera l'incontro con i giovani iniziato con il canto “pietre vive”. Subito si è stabilita un'atmosfera di confidenza e parecchi argomenti sono stati proposti, soprattutto quelli legati alla disoccupazione. L'incontro con i circa 200 (e 70) giovani  è stato vivace e sereno. È stato concluso con il canto “resta qui con noi” accompagnato con vari strumenti da alcuni elementi delle due bande musicali. (Impensabile la bravura di alcuni attori ficarresi nella  drammatizzazione di una scenetta. Erano presenti tutti i gruppi giovanili attivi in paese).
Giorno 7 il vescovo non è stato presente per impegni legati al suo ruolo di delegato dalla CESi per il laicato. La Comunità ha celebrato gli anniversari di matrimonio. Parecchie le coppie presenti (55 a Sinagra). Domenica, 8 maggio, Ascensione del Signore, giorno conclusivo. Dopo la processione, presentati dal Parroco, il vescovo con un'apposita liturgia ha accolto i 20 fanciulli che hanno poi ricevuto S. Comunione per la prima volta. Gremita la chiesa, ottimo per raccoglimento e fede il clima. All'omelia il Vescovo ha messo in evidenza i significati dei tre avvenimenti coincidenti: l'Ascensione, la Prima Comunione, la festa del S. Patrono di Sinagra, S. Leone Vescovo. Ci ha poi indicato, ringraziando il Signore per il cammino già fatto, la strada ancora da percorrere.
Dopo la S. Messa il Vescovo ha guidato la processione fino alla Chiesa del Crocifisso, ha rivolto ai fedeli un caloroso ringraziamento e un forte invito a proseguire sulla via della santità. Con la S. Benedizione si è conclusa la Visita Pastorale a Sinagra.
Siamo consapevoli che sono stati giorni particolari di Grazia. Già incamminati, sappiamo che non ci si può fermare. Proseguiremo il cammino con l'aiuto di Dio, la guida e l'incoraggiamento del Vescovo.
Conservando nel cuore la gioia dell'esperienza vissuta, ringraziando continuamente il Signore, ci sforzeremo di andare avanti verso le mete indicate dal Piano Pastorale Diocesano».

Affrettiamoci a conoscere il Signore

Lettera ai Presbiteri del 10 Giugno 2005

Carissimi,

1. il Notiziario Pastorale, ultimo prima della pausa estiva, ci trova nel bel mezzo di una esperienza esaltante oltre che molto impegnati.

L’esperienza

Come ringraziare il Padre del dono della esperienza di Pentecoste che ci ha offerto nei giorni della malattia e della morte del Santo Padre Giovanni Paolo?  È difficile pensare ad occasioni in cui il mondo intero sia stato a vegliare accanto ad un papa. Non vi pare che si sia ripetuto quanto gli Atti dicono della concorde e incessante preghiera per Pietro? E quelli che han fatto 12 ore di viaggio, 12 di attesa e dodici ancora di viaggio? E le persone incollate ai televisori? E le persone spontaneamente radunatesi nelle nostre chiese la sera del 2 aprile?
Ora la Chiesa vive trepidante, fiduciosa ed orante accanto a Benedetto XVI, il capo visibile che il Pastore Grande le ha dato per questi nostri giorni. Preghiera, trepidazione, fiduciosa sono nostre, di noi presbiterio, su un ordito di incessante e fervorosa implorazione.
E c’è un’altra ragione di gratitudine.
Lo sanno tutti, giorno 12 il popolo italiano si esprimerà con voto su problemi che esigerebbero, in verità, tutt’altro che lo sbrigativo - no.
Noi abbiamo fatto quanto la coscienza ci ha suggerito perché la vita non sia mercificata e perché l’uomo mai sia strumentalizzato. Abbiamo protestato che non ci esalta un ipotetico progresso scientifico che affondi le sue radici nel sangue innocente. Abbiamo gridato che quello referendario, ci appare strumento improprio e, in materia così delicata, come dire? truffaldino, dato che non rispetta manco l’aritmetica e, fateci bene attenzione, il 26% può valere più del … 49% e, paradossalmente,  10% più di 41%.
Abbiamo deciso per noi e suggerito agli altri di non recarsi a votare, come prevede la legge, perché non sia raggiunto il quorum e sia così invalidato il referendum. Ora siamo in attesa e non sappiamo quale sarà la conclusione della tornata elettorale. Una cosa però sappiamo: l’onore di difendere la vita è stato lasciato, pressoché totalmente, alla Chiesa, a noi battezzati.
Onore, però, rima, dal punto di vista cristiano, con onere, impegno e diligenza che dovremo mettere in cantiere a favore della vita, qualunque sia il responso delle urne.


Gli impegni pastorali

L’amministrazione del secondo e terzo sacramento dell’iniziazione cristiana, la preparazione delle feste popolari, l’annuale corso d’aggiornamento, un congruo periodo di ferie, la programmazione dell’anno pastorale 2005-06, il doveroso corso d’esercizi spirituali sono alcuni degli impegni.
Per alcuni di questi appuntamenti, quelli con valenza più chiaramente diocesana, nelle pagine di questo Notiziario trovate le necessarie indicazioni; qui io mi limito a raccomandarveli per la molteplice valenza che essi rivestono.
Per essere quasi in estate – estate è tempo di ferie! - non c’è male.
Noi però, resi ‘in Cristo un solo corpo e un solo spirito, fatti sacrificio perenne gradito al Padre, perché possiamo ottenere il regno promesso’ (Preghiera Eucaristica III), dal Fuoco dell’Amore Effuso e alimentati dalla partecipazione al Convito del corpo e sangue del Signore, superiamo fatica, disappunti, incostanza, incoerenze, fragilità e andiamo avanti nel nome del Signore (1Sam17,45) con ‘i cinque sassi lisci’ (ivi v. 40), semplici pietre delle sue ferite, ecclesialmente. Sappiamo infatti che di Dio è la crescita mentre a noi spetta coadiuvarlo da amministratori fedeli.


2.
Potrà tornare utile riascoltare (parlo, va da sé, dell’ascolto che passa all’interiorizzazione e perviene alla pratica) la  parola che abbiamo proclamato, pochi giorni addietro, nella solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù.
a)
‘Tu, infatti, sei un popolo consacrato al Signore tuo Dio; il Signore tuo Dio ti ha scelto per essere il suo popolo privilegiato. Il Signore si è legato a voi e vi ha scelto, non perché siete più numerosi di tutti gli altri popoli, ma perché il Signore vi ama. Riconoscete che il Signore vostro Dio è Dio, il Dio fedele, che mantiene la sua alleanza e benevolenza per mille generazioni, con coloro che l'amano e osservano i suoi comandamenti. Egli ti amerà, ti benedirà’ (cfr Dt 7, 6-13).
b)
‘Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama, non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. In questo si è manifestato l'amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui. Noi abbiamo riconosciuto e creduto all'amore che Dio ha per noi. Dio è amore; chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui’ (Cfr 1Gv 4,7-16). 
c)
"Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelato ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare. Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero (Mt 11, 25-30).

3.
Voglio richiamare l’attenzione della nostra chiesa – battezzati tutti, religiosi e chierici - su due avvenimenti che hanno al loro centro lo stesso incommensurabile dono del sacerdozio.
Sacerdote, voi lo sapete, è Gesù, noi partecipiamo del suo sacerdozio. Ed è grazia questa partecipazione. Grazia che ci giunge, per mezzo del Battesimo, quando si tratta del sacerdozio regale che ci accomuna a tutti i battezzati, per mezzo del sacro ordine, quando si tratta del sacerdozio ministeriale, nei suoi tre gradi. Dono del Padre è il sacerdozio che attiene, non appena alla crescita della Chiesa, ma alla sua fondazione. Noi, fragili vasi di creta ma investiti di questo dono, speriamo ardentemente di crescere nello stupore, per essere stati scelti, alimentiamo la speranza nella preghiera, affidiamo alla Tuttasanta Maria, alla Madre del Sacerdote Eterno, speranza, gratitudine, stupore, cammino.

a)
Il primo avvenimento è la ricorrenza del Giubileo Sacerdotale d’oro di Mons. Carmelo Ferraro che ha servito la nostra Chiesa per un decennio e che voi ben ricordate con gratitudine. Su questo ho avuto modo di scrivervi e aspetto le vostre risposte.
b)
Il secondo avvenimento consiste nel fatto che, giorno 9 luglio, a Tindari, alle 17,00, conferirò il sacramento dell’Ordine, nel grado del Presbiterato, a don Vincenzo Rigamo, originario di S.Agata Militello, alunno del nostro Seminario, nel grado del Diaconato a don Antonio Mancuso, originario di Ficarra, per il quale chiesi e ottenni l’ospitalità del Seminario di Milano. Il nove luglio è di sabato e conto moltissimo sulla vostra presenza.
Nel conferimento dell’Ordine i presbiteri, certo, hanno l’opportunità di riandare alla loro ordinazione ma la loro presenza ha valenza sacramentale perché, imponendo le mani sul capo dell’eletto, i sacerdoti l’accolgono nella fraternità presbiterale, nell’Ordine Sacerdotale.
Vi chiedo poi di proporre e facilitare la partecipazione alla ordinazione a una qualche rappresentanza della comunità che servite, segnatamente a quegli adolescenti o giovani o adulti che più acuto avvertono il bisogno di dare valore alla propria vita impiegandola per qualcosa di grande e valido. E cosa è più grande che essere collaboratori di Cristo? Non abbiamo nella nostra anima la convinzione che servire Dio è regnare?

Veniamo anche noi con te

Lettera ai Presbiteri del 14 Ottobre 2005

Carissimi,

1. all’inizio del nuovo anno, anno del Signore e, dunque, di grazia, il Santo Spirito mi suggerisce di richiamare per me e per voi la pagina conclusiva del Vangelo di Giovanni:
«Dopo questi fatti, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dì-dimo, Natanaèle di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due di-scepoli. Disse loro Simon Pietro: "Io vado a pescare". Gli dissero: "Veniamo anche noi con te". Allora uscirono e salirono sulla barca; ma in quella notte non presero nulla» (Gv 21,1-3).
Sappiamo bene a quali sono ‘questi fatti’, i fatti a cui si riferisce Giovanni: la pietra del sepolcro ribaltata; la sconsolata constatazione che, dopo tanta convivenza con Gesù non avevano ancora compreso la Scrittura, che egli, cioè, doveva risuscitare dai morti; il loro mesto ritorno a casa; il pianto di Maria vicino al sepolcro e il suo impensabile grido, la sua testimonianza: "Ho visto il Signore"; l’amorevole ritorno di Gesù che si ferma in mezzo a loro e dice: "Pace a voi!", come il Padre ha mandato me io mando voi, "Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi; la vicenda di Tommaso, uno dei Dodici, che passa dall’incredulità alla professione di fede nella divina signoria di Gesù; la proclamazione fatta da Gesù della beatitudine di chi crederà non per avere visto ma solo sull’autorevolezza della parola fedele di Dio (cfr. Gv 20 passim).
L’atmosfera, si comprende pure senza acume esegetico, è greve, le speranze, tutte deluse, fanno apparire la sequela del Maestro un vacuo scenario di cartapesta.
‘Vado a pescare, dice Pietro’ forse perché non ne può più di attendere non si sa bene cosa, forse perché il cuore va oltre le apparenze…
‘Veniamo anche noi con te’ gli fanno eco Tommaso, Giovanni, Gia-como…ed è la salvezza. Veniamo anche noi e veniamo con te.
Se i discepoli non fossero rimasti uniti e non si fossero mossi insieme non avrebbero incontrato Gesù, si sarebbero intristiti, si sarebbero perduti per strada; avrebbero fatto l’esperienza dell’insignificanza, dell’agitarsi senza costrutto.
E vale sempre, pure per i discepoli che siamo noi. Guai a rimanere soli, a pensare di agire da soli, a farsi la propria strada, all’insegna del momento.
Gesù è Dio fattosi carne, concretezza, azione in solidarietà, Dio che percorre la strada ‘insieme’, che si mette ‘in fila’ come al Giordano per il Battesimo, come quando a Pietro indica che, come gli altri, è giusto pagare la tassa.
Insieme; sempre insieme perché sempre da preferire la forma comunitaria, perché santa, cattolica ed apostolica, la chiesa è rigorosamente una come uno è Dio, uno è il Redentore Gesù, uno è il Battesimo, una la Divina Eucaristia ed una è la fede.

2. Aggeo è mandato dal Signore al popolo in una epoca che è, ad un tempo, carica di guai e aperta alla speranza: il popolo deportato al tempo di Nabucodonosor, ora, finalmente, per la politica di Ciro e di Dario, può tornare in Giudea e ricostruire il Tempio.
A tale costruzione potrà perfino dedicare una quota delle tasse provenienti dalla popolazione stanziata ‘nell’oltre fiume’.
Ma i problemi non finiscono. Alcuni dei rimpatriati, molto concreti, argomentano che, impegnati a costruirsi una loro privata abitazione o a cercare soluzione ad altri problemi vitali, non hanno spazio e denaro e tempo per dedicarsi al Tempio che, alla fine, può attendere.
Aggeo che interviene in questo contesto dice: non c’è tempo da perdere pensate a quello che fate, salite sul monte, portate legno e ferro.
La sua spinta sarà decisiva e il Tempio risorgerà. La sua parola infuocata animerà Esdra, il sacerdote, e Neemia il governatore e popolo si riapproprierà della sua dignità attorno alla Parola di Dio letta a brani distinti, con spiegazioni ordinate.
Non è difficile vedere punti di contatto con la situazione in cui si svolge la nostra bella avventura battesimale nell’anno 2005-2006: molto facile il rimpianto dei tempi andati, comune la sensazione d’essere all’ultima spiaggia, non mancano i profeti di sventura.
E per di più non siamo chiamati a costruire un tempio di pietre, che non sarà all’altezza né di quello costruito da Salomone né di quello costruito da Erode in cui entrerà Gesù, ma il tempio vivo fatto di per-sone con Gesù a capo, legate dalla legge dell’amore, rispettose della dignità di tutti, in cammino verso il Regno di Dio su questa terra e in Paradiso.
Siamo umilmente fiduciosi nella forza della grazia, faremo un bel cammino illuminati dalla Parola del Signore, contenuta nella Bibbia e letta nella chiesa e con la chiesa nel concreto delle sue articolazioni che vanno dal S. Padre, ai vescovi, ai sacerdoti, ai semplici, ai maestri.

3. Ed ora:
a) Alcune comunicazioni.
- Giorno 16 settembre nel Santuario di Tindari ho ricevuto la professione religiosa di Sr. Cinzia Ficarra, originaria della diocesi di Messina e cresciuta da sempre a Capo d’Orlando, nell’Istituto delle Suore del Bell’Amore.
- Il 16 ottobre farà la professione perpetua nell’Ordine della Visitazione Sr. Giovanna Francesca Veglianti della nostra diocesi e già impegnata nella vita amministrativa come sindaco di Castel di Lucio e come madre di famiglia. Come è vero che il Signore chiama quando vuole, come vuole, chi vuole!
- Giorno 8 dicembre, solennità della Immacolata Concezione, nella chiesa di S. Ippolito in Patti, ammetterò tra i candidati al Sacerdozio Giuseppe Capizzi da Cesarò e Marco Manfrè da Patti.
Sogno il giorno in cui il Seminario si rallegrerà della presenza di un aspirante al sacerdozio per ognuno dei 42 comuni della diocesi. Vi pare troppo? Forse che il Signore è in pensione? Noi, forse, siamo un po’ induriti negli orecchi e nel cuore.
- Giorno 18 dicembre, a S. Stefano di Camastra, istituirò accolito Salvatore Lipari di quella comunità.
- Nel prossimo anno, in una data che da qui a poco sceglierò, ordinerò sacerdote don Antonio Mancuso, già diacono, originario di Ficarra. Don Antonio Mancuso viene da esperienze accumulate nella scuola e nell’amministrazione della natia Ficarra dove è stato sindaco più volte.
b) Una proposta. ‘Pregate!’ ci ha detto Gesù. ‘Preghiamo!’ ripeto io. Satana è impegnato nel impedirci di farci operai del bene e rendendo vacuo con la vanagloria il bene che riusciamo a fare. Preghiamo, dunque.
Mi permetto di suggerirvi, prendendoli a prestito dai santi, moti dell’anima che possono aiutare la nostra preghiera.
Quanto sono beati, quanto sono felici «quei servi che il Signore, al suo ritorno, troverà ancora svegli»! (Lc 12,37). Veglia veramente beata quella in cui si è in attesa di Dio, creatore dell'universo, che tutto riempie e tutto trascende! Volesse il cielo che il Signore si degnasse di scuotere anche me, meschino suo servo, dal sonno della mia mediocrità e accendermi talmente della sua divina carità da farmi divampare del suo amore sin sopra le stelle, sicché ardessi dal desiderio di amarlo sempre più, né mai più in me questo fuoco si estinguesse!
Volesse il cielo che i miei meriti fossero così grandi che la mia lucerna risplendesse continuamente di notte nel tempio del mio Dio, sì da poter illuminare tutti quelli che entrano nella casa del mio Signore! Dio Padre, ti prego nel nome del tuo Figlio Gesù Cristo, donami quella carità che non viene mai meno, perché la mia lucerna si mantenga sempre accesa, né mai si estingua; arda per me, brilli per gli altri. Degnati, Gesù, dolcissimo Salvatore, di accendere le nostre lucerne: brillino continuamente nel tuo tempio e siano alimentate sempre da te che sei la luce eterna; siano rischiarati gli angoli oscuri del nostro spirito e fuggano da noi le tenebre del mondo.
Dona, dunque, o Gesù mio, la tua luce alla mia lucerna, perché al suo splendore mi si apra il santuario celeste, il santo dei santi, che sotto le sue volte maestose accoglie te, sacerdote eterno del sacrificio perenne.
Fa' che io guardi, contempli e desideri solo te; solo te ami e solo te attenda nel più ardente desiderio. Nella visione dell'amore il mio desiderio si spenga in te e al tuo cospetto la mia lucerna continuamente brilli ed arda. Degnati, amato nostro Salvatore, di mostrarti a noi che bussiamo, perché, conoscendoti, amiamo solo da te, te solo desideriamo, a te solo pensiamo continuamente, e meditiamo giorno e notte le tue parole.
Degnati di infonderci un amore così grande, quale si conviene a te che sei Dio e quale meriti che ti sia reso, perché il tuo amore pervada tutto il nostro essere interiore e ci faccia completamente tuoi. In questo modo non saremo capaci d’amare altra cosa all'infuori di te, che sei eterno, e la nostra carità non potrà essere estinta dalle molte acque di questo cielo, di questa terra e di questo mare, come sta scritto: «Le grandi acque non possono spegnere l'amore» (Ct 8,7).
Possa questo avverarsi per tua grazia, anche per noi, o Signore nostro Gesù Cristo, a cui sia gloria nei secoli dei secoli. Amen (San Colombano abate, Istituzioni, la compunzione).

Il messaggio di San Felice

Lettera ai Presbiteri dell'11 Novembre 2005

Carissimi,
                il mese d’ottobre appena finito ha portato alla Chiesa tutta e alle nostre Chiese di Sicilia in particolare il dono della canonizzazione di S. Felice da Nicosia.
In rapporto a quest’evento ecclesiale,

±
il 23 ottobre, a Roma, in piazza S. Pietro, ho concelebrato la S. Messa col Santo Padre e con i Padri del Sinodo ordinario sull’Eucaristia;
±
 il 24 ottobre ho partecipato all’Udienza che il Santo Padre ha concesso ai pellegrini convenuti a Roma per la canonizzazione;
±
il 29 ottobre ho partecipato al pellegrinaggio della nostra diocesi a Nicosia per rendere omaggio al Santo visitando i luoghi santificati dal passaggio terreno, dall’umiltà, dalla penitenza, in una parola, dalla testimonianza evangelica di questa autentica reincarnazione del Poverello d’Assisi in terra siciliana.
Ritengo che possa riuscire di qualche utilità proporvi la breve e schematica riflessione che, per fraterno invito del vescovo di Nicosia, ho proposto nella Cattedrale di Nicosia per aiutare i pellegrini a riflettere sul messaggio che promana da questo Santo che è passato dalla nostra terra avendo trascorso il suo noviziato religioso nella nostra Mistretta.


i
 Caro Santo,
S. Felice, nostro Santo, nostro S. Felice, eccoci qui, nei luoghi che sono stati e sono tuoi per:
a) ringraziare, lodare con te la Trinità Santissima. Il Padre che, con amore ineffabile ti ha creato; il Figlio che ti ha redento facendosi uomo come noi, come noi fino a morire, a morire in croce; lo Spirito Santo che ti ha reso strumento docile, trasparenza di grazia, testimone del Regno, anticipo di quello che vorrebbe fare con ogni creatura;
b) gioire perché la santa Chiesa, nostra madre, con l’autorevolezza che le viene dal Pastore Buono ti ha a noi additato ufficialmente come modello da imitare e intercessore da invocare.
c) ascoltare il messaggio che ci viene dalla tua vita silenziosa, umile, incandescente d’amore. 


j
 Il silenzio.

a) Silenzio degli uomini:

*  il silenzio impossibile, come vuoto;
*  carico di tensione;
*  il silenzio della coscienza che, se non ascoltata, si vendica non parlando oltre;
*  il silenzio davanti a Dio: fermatevi e sappiate che io sono Dio;
b) il silenzio vivaio di Dio e spazio per la sua azione: il silenzio della peccatrice (Lc 7,36-50) e dell’adultera (Gv 8), se tu non mi parli io sono come chi scende nella fossa;
c) il silenzio dei santi: chi non potrà mai entrare nel mistero della preghiera dei santi, di S. Felice? E la preghiera si nutre, cresce nel silenzio;
d) proposto da Gesù:
*  Guardatevi dal praticare le vostre buone opere davanti agli uomini per essere da loro ammirati, altrimenti non avrete ricompensa presso il Padre vostro che è nei cieli. Quando dunque fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade per essere lodati dagli uomini. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Quando invece tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti segreta; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà. Quando pregate, non siate simili agli ipocriti che amano pregare stando ritti nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, per essere visti dagli uomini. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Pregando poi, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di essere ascoltati a forza di parole (Mt 6,1-7);
e) il silenzio di Gesù:
*  il silenzio di Betlemme;
*  il lungo nascondimento di Nazaret;
*  il silenzio pieno di dignità e di libertà dinanzi a Pilato (Mt 27,15-16) ed Erode (Lc23,9);
*  il silenzio pesante e finale della tomba;
f) l’eterno silenzio di Dio: dum medium silentium tenerent omnia omnipotens sermo tuus.


k
  Fascino e valore delle
cose piccole: sono piccole cose mentre non è piccola cosa essere fedele nelle piccole cose;
*  Gesù: i piccoli e il Regno;
*  Francesco d’Assisi, la minorità e la perfetta letizia;
*  Teresa la piccola e l’amore;
*  S. Felice: religioso laico, calzolaio, questuante; obbediente sempre, fino all’assurdo, all’impossibile, al capriccio degli uomini.


l
  La spiegazione di tutto: sia per l’amore di Dio

L’amore è tutto e tutto si volge in bene per chi ama Dio o, secondo un’altra lettura, da Dio è amato.
Chi accuserà gli eletti di Dio? Dio giustifica. Chi condannerà? Cristo Gesù, che è morto, anzi, che è risuscitato, sta alla destra di Dio e intercede per noi?
Chi ci separerà dunque dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? (Rm 8,33-35).
Ama e fa’ ciò che vuoi perché, se ami, non puoi fare altro che il bene.
Amare è dare e soffrire.


m
  S. Felice da Nicosia
ovvero del silenzio, della minorità e dell’Amore: la lezione del Padre Amore onnipotente all’uomo sempre, che, tronfio d’albagia e presunta grandezza, è tentato di dimenticare che:
a)  l’uomo, anche quando impone il nome alla terra, è come soffio;
b)  egli, Dio, ‘guarda l’umiltà della sua serva, stende la misericordia di generazione in generazione su quanti lo temono, spiega la potenza del suo braccio, disperde i superbi, innalza gli umili (Lc 1,48-52);
c)  di una stirpe iniqua terribile è il destino (Sap 3,19).

Il silenzio e la parola

Lettera ai Presbiteri del 9 Dicembre 2005


Carissimi, il ritiro spirituale e questo numero del Notiziario Pastorale ci trovano nell’immediata vicinanza del Santo Natale che, lo sappiamo bene, è la solennità più sentita dell’intero Anno Liturgico.

0.     Ci preparano ad esso tradizioni numerose, varie, belle, sentite e ‘inventate’ dallo zelo di chi ci ha preceduto nella vigna del Signore in contesti diversi ma sempre bisognosi dell’annunzio della Parola, della celebrazione del mistero cristiano, della testimonianza diligente e intelligente.
Sappiamo bene che il Natale del Signore e la preparazione ad esso, rischiano, talvolta almeno, di rimanere asfittici travolti dal ciclone impetuoso del mercato, dallo spirito esageratamente festaiolo che poco o punto hanno da dividere col Natale.
Natale è solidarietà.
Natale è purezza di cuore, semplicità, libertà autentica, orecchio per ciò che vale.
Natale è Dio che si fa uomo.

Natale è “la grazia di Dio, apparsa, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini e che ci insegna a rinnegare l'empietà e i desideri mondani e a vivere con sobrietà, giustizia e pietà in questo mondo, nell'attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo; il quale ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formarsi un popolo puro che gli appartenga, zelante nelle opere buone” (Cfr Tt 2,11-14).
Natale è  Dio che si mette nelle mani della creatura talché Maria, stringendo al petto il suo Gesù, può dire: “figlio mio, che sei il mioDio!” e: “Dio mio, che sei mio figlio!” (J. P. Satre). 
Natale è Dio che, divenuto uomo, è, in certo modo - lo insegna la Gaudium et spes - unito  ad ogni uomo, base  della  fondamentale uguaglianza in dignità, progetto di umanità, campo concreto della gloria di Dio.
Natale è comunione tra gli uomini richiesta e possibile perché Dio agli uomini ha esteso la comunione d’amore che Egli è.
La comunione però è, insieme, dono di Dio all’uomo e costruzione dell’uomo. È esigenza della famiglia umana ed è meta da tenere desta e raggiungere. È coerente con la natura della persona umana che solo in relazioni degne ed autentiche nasce, cresce e si esprime ed è da coltivare faticosamente perché sempre insidiata dall’egoismo.
Se ne parla tanto, forse anche molto. Guai però a confondere le parole coi fatti. Guai a contentarsi di parlarne. Non può essere programmata, ma solo in solchi programmati è possibile che si realizzi.
È impegno della persona che è, cresce, porta frutto se pienamente se stessa e vive in profonde relazioni con gli altri.
Le relazioni però non s’inventano e non s’improvvisano, si costruiscono pazientemente, giorno dopo giorno, tra l’altro nel silenzio.

E mi viene in mente un luogo biblico di lettura tutt’altro che facile ma che pone in relazione l’azione di Dio e il silenzio:
«Mentre un profondo silenzio avvolgeva tutte le cose, e la notte era a metà del suo corso, la tua parola onnipotente dal cielo, dal tuo trono regale, guerriero implacabile, si lanciò in mezzo a quella terra di sterminio, portando, come spada affilata, il tuo ordine inesorabile» (Sap 18,15).
A proposito del silenzio ritengo di fare cosa utile presentandovi una delle meditazioni del corso d’esercizi che, organizzato dalla diocesi, si è recentemente svolto ad Acireale.
Non c'è vita comunitaria, in qualunque grado sia vissuta, che sia possibile senza un'educazione permanente alla comunità. È indispensabile una disciplina interiore che porti ogni persona alla liber­tà del dono di sé; questa è certamente un dono di Dio ma diventa, allo stesso tempo, una responsabilità di ciascuno e insieme della comunità. Parliamone ora sotto l'aspetto di silenzio e di parola.


1. Il silenzio
(far silenzio)
Il silenzio è un atteggiamento che porta al dominio di sé o, meglio, alla signoria di Dio su di noi. Esso richiede un itinerario, per ridurre progressivamente a silenzio il nostro io.

a)
Aspetti ed esigenze del silenzio
*  Il silenzio fisico. Tacere, non parlare: è l'aspetto esteriore, d’autocontrollo, d’educazione, d’autodominio.
*  Il silenzio biopsichico. Rendere passivo ciò che è istintivo:

-   la sensibilità, cioè i sentimenti di simpatia o antipatia, gusto o disgusto, attrazione o ripulsa, euforia o depressione;
-   le tendenze naturali, come l'ira e le sue espressioni di violenza, l'impazienza, l'ostinazione, la durezza, la rigidezza temperamentali; la lussuria, perciò si cerca ciò che piace; l'amor proprio, con l'autosufficienza, la vanità, l'orgoglio, la ricerca dell'autoaffermazione e del potere dominativo;
-   l'affettività, per la quale ci si aggrappa a persone, a cose, a tradizioni, esperienze...

*  il silenzio spirituale:

-   dell'intelligenza: sogni e illusioni evasive; raziocinio dialettico ad oltranza e casistica polemica; pregiudizi e parametri mentali prefabbricati e acritici; criteri naturali e ideologie correnti...
-   della volontà: interessi personali, immediatismo, imborghesimento, ripetitività, mediocrità, competitività, pretesa di emergere, vigliaccheria ...

b)
Motivazioni del silenzio
Si deve ascoltare e accogliere:
- ciò che l'altro dice; nel senso fisico dei concetti e delle parole, in modo da saper ripetere con esattezza quanto ha detto;
-   ciò che l'altro vuol dire, dato che si esprime con la sua carica esistenziale; si deve ascoltarlo e accoglierlo nella sua interiorità e nella sua storia, col suo carattere e la sua diversità;
-   ciò che Dio vuol dire attraverso l'altro, andando di là dalle sue parole e scoprendo nella profondità quanto non si coglie immediatamente: è l'ascolto fatto di preghiera e l'accoglienza dell’altro nella fede in Dio, che parla e si rivela come verità, bene, giustizia, eccetera; sono valori che si percepiscono solo in un clima di fede amorosa e disarmata davanti ad un fratello;
-   ciò che Dio ci vuol dire per mezzo dell'altro di là dalle sue intenzioni ed espressioni, per invitarci ad una risposta a Lui, o a noi stessi, o all'altro (nel senso che ci riesce di capire); è l'ascolto fatto preghiera che diventa un alla Parola e, allo stesso tempo, un a quella profondità dell'altro che è la presenza intima di Dio; è l’ascolto-accoglienza della comunione.

c)
Gradi della disciplina (o ascesi del silenzio)
1. Il primo è quello di farsi passivo con il controllo fisico e il dominio della lingua, per dare spazio alla parola altrui.
2. Il secondo è quello di riconoscere che l'altro può dire qualcosa di valido, ché nessuno sa tutto; permettere all'altro di comunicare ciò che può completare e arricchire tutti. Inizia cosi il dialogo autentico, nella condizione minima d’umiltà, per ascoltare veramente e accogliere l'altro.

3. Il terzo è quello di fare il vuoto, la pacificazione e la purificazione interiore, e insieme attivare la capacità di percezione e di attenzione, per essere in condizione di ascoltare e di accogliere l'altro con tutto il proprio essere, e così comprenderlo e accoglierlo nella sua realtà.

4. Il quarto è quello di ascoltare e accogliere Dio che parla dall'interiorità dell'altro, di là da quello che egli dice e vive nell'immediato e che è più profondo di quanto lui stesso sia in grado di capire; ascolto e accoglienza propria del silenzio della preghiera. Così, ogni rapporto tende a diventare preghiera e lo stare con altri opportunità di essere più, come persone e figli di Dio.
5. Il quinto è quello di contemplare Dio e di consentire al suo invito dando una risposta d'amore a Lui e/o all'altro. Si entra nel rapporto mistico, vissuto solo nella fede, nella speranza e nella carità; rapporto ecclesiale perché comunione con Dio e in Dio, cioè Chiesa.


2. La parola
(offrire la propria parola)
a)
Aspetti ed esigenze della parola da offrire:
1. Pronunciarsi, definirsi, prendere posizione di fronte a qualcosa o a qualcuno; esporsi, non cedendo alla tentazione di mantenere un silenzio evasivo, diplomatico, vago, interessato...
2. Dire la verità non accettando la sfida della dialettica, utilizzata come arma per sconfiggere l'altro.

3. Dire quella verità che edifica l'altro, rendendolo più se stesso perché più libero.
4. Comunicare l'amore nella verità che si dice, un amore accogliente che fa emergere il bene dell'altro e lo pone davanti al proprio bene, anche dove altri non vedono che del male.
5. Dire la parola di fede, che interpreta l'altro nella luce e nell'amore di Dio, contribuendo allo sviluppo della sua vocazione.
6. Dire la parola di Dio che matura nel silenzio mistico e trasmette e fonda nell'altro la certezza di essere amato da Dio, sollecitandolo alla donazione radicale di sé. La parola diventa così veicolo di comunione, di liberazione e d’amicizia autentica.

b)
Gradi della disciplina (o ascesi) della parola da offrire
1. Il primo è quello di vincere gli impedimenti psicologici, prima esteriori, poi interiori, che ci bloccano.
2. Il secondo è quello d’essere umili accettando anche il rischio di sbagliare, non lasciandosi opprimere se si sbaglia, ma, al contrario, trarne profitto, per imparare a parlare con una maggiore preparazione e precisione.
3. Il terzo è quello d’essere onesti intellettualmente, nella ricerca della verità, e leali moralmente per comunicare quanto in coscienza si crede vero e buono, senza sotterfugi o evasioni.

4. Il quarto è quello di ascoltare la parola di Dio, per interpretare e dire ciò che si crede vero e buono, a edificazione degli altri.
5. Il quinto è quello dell'amore d’amicizia, per cui si parla più col silenzio che con la parola, perché questa è diventata insufficiente ad esprimere quella carica d’amore che, essendo vissuto nella fede, nella speranza e nella carità, è veicolo dell'amore di Dio convissuto. Allora, silenzio e parola si unificano, nella contemplazione.

In conclusione, silenzio e parola sono i canali:
-   coi quali si edifica o si distrugge un rapporto o una comunità;
-   per mezzo dei quali si esprime o si nasconde la propria interiorità e quindi si può costruire la comunità;
-   attraverso i quali si dà spazio a Dio, lo si comunica agli altri;

-   che permettono di creare:

    *  l'amicizia come fatto umano;
    *  la comunione con Dio e in Dio,
    *  l'unità mistica o la maturità ecclesiale della comunità.

Qui, oggi il Verbo di Dio

Lettera ai Presbiteri del 13 Gennaio 2006


Carissimi,

1.             sono appena finiti i giorni nei quali, aiutati anche dalle tradizioni popolari fatte di novene, canti, incontri, sacre rappresentazioni, poesie ecc. abbiamo contemplato che «quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l'adozione a figli» (Gal 4,4-5).
Siamo, dunque, nella condizione migliore per valutare con profitto il fatto fondante della fede cristiana e cioè che «Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo» (Eb 1,1).


2.   Fatto fondante perché?

a)   Il Catechismo di sempre della Chiesa Cattolica indica questo fatto, Dio che si fa uomo in Gesù, insieme con la passione morte sepoltura e risurrezione dello stesso Gesù, come mistero fondamentale della fede, secondo dopo l’Unicità assoluta di Dio nella Trinità delle Divine Persone.
b)   Il Concilio Vaticano Secondo ne parla diffusamente e, seppure sappiamo bene come, vale sempre la pena riportarlo nel cuore (ri-cordare!) e, per la grazia del Santo Spirito, nella vita. Mi scuso pertanto della lunga citazione che, sono certo che ne convenite, è oltre modo utile.

Origine natura e fine della rivelazione
Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelarsi in persona e manifestare il mistero della sua volontà mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, hanno accesso al Padre nello Spirito Santo e sono resi partecipi della divina natura. Con questa Rivelazione infatti Dio invisibile nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi, per invitarli e ammetterli alla comunione con sé. Questa economia della Rivelazione comprende eventi e parole intimamente connessi, in modo che le opere, compiute da Dio nella storia della salvezza, manifestano e rafforzano la dottrina e le realtà significate dalle parole, mentre le parole proclamano le opere e illustrano il mistero in esse contenuto. La profonda verità, poi, che questa Rivelazione manifesta su Dio e sulla salvezza degli uomini, risplende per noi in Cristo, il quale è insieme il mediatore e la pienezza di tutta intera la Rivelazione.

Preparazione della Rivelazione evangelica

Dio, che crea e conserva tutte le cose per mezzo del Verbo, offre agli uomini nelle cose create una perenne testimonianza di sé; inoltre, volendo aprire la via di una salvezza superiore, fin dal principio manifestò se stesso ai progenitori. Dopo la loro caduta, con la promessa della redenzione, li risollevò alla speranza della salvezza, ed ebbe assidua cura del genere umano, per dare la vita eterna a tutti coloro i quali cercano la salvezza con la perseveranza nella pratica del bene. A suo tempo chiamò Abramo, per fare di lui un gran popolo; dopo i patriarchi ammaestrò questo popolo per mezzo di Mosè e dei profeti, affinché lo riconoscesse come il solo Dio vivo e vero, Padre provvido e giusto giudice, e stesse in attesa del Salvatore promesso, preparando in tal modo lungo i secoli la via all'Evangelo.

Cristo completa la Rivelazione

Dopo aver a più riprese e in più modi, parlato per mezzo dei profeti, Dio «alla fine, nei giorni nostri, ha parlato a noi per mezzo del Figlio». Mandò infatti suo Figlio, cioè il Verbo eterno, che illumina tutti gli uomini, affinché dimorasse tra gli uomini e spiegasse loro i segreti di Dio. Gesù Cristo dunque, Verbo fatto carne, mandato come «uomo agli uomini», «parla le parole di Dio» e porta a compimento l'opera di salvezza affidatagli dal Padre. Perciò egli, vedendo il quale si vede anche il Padre, col fatto stesso della sua presenza e con la manifestazione che fa di sé con le parole e con le opere, con i segni e con i miracoli, e specialmente con la sua morte e la sua risurrezione di tra i morti, e infine con l'invio dello Spirito di verità, compie e completa la Rivelazione e la corrobora con la testimonianza divina, che cioè Dio è con noi per liberarci dalle tenebre del peccato e della morte e risuscitarci per la vita eterna. L'economia cristiana dunque, in quanto è l'Alleanza nuova e definitiva, non passerà mai, e non è da aspettarsi alcun'altra Rivelazione pubblica prima della manifestazione gloriosa del Signore nostro Gesù Cristo.

Accogliere la Rivelazione con fede

A Dio che rivela è dovuta «l'obbedienza della fede» con la quale l'uomo gli si abbandona interamente e liberamente prestandogli «il pieno ossequio dell'intelletto e della volontà» e assentendo volontariamente alla Rivelazione che egli fa. Perché si possa prestare questa fede, sono necessari la grazia di Dio che previene e soccorre e gli aiuti interiori dello Spirito Santo, il quale muova il cuore e lo rivolga a Dio, apra gli occhi dello spirito e dia «a tutti dolcezza nel consentire e nel credere alla verità». Affinché poi l’intelligenza della Rivelazione diventi sempre più profonda, lo stesso Spirito Santo perfeziona continuamente la fede per mezzo dei suoi doni.

Le verità rivelate

Con la divina Rivelazione Dio volle manifestare e comunicare se stesso e i decreti eterni della sua volontà riguardo alla salvezza degli uomini, «per renderli cioè partecipi di quei beni divini, che trascendono la comprensione della mente umana». Il santo Concilio professa che «Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto con certezza con il lume naturale dell'umana ragione a partire dalle cose create»; ma insegna anche che è merito della Rivelazione divina se «tutto ciò che nelle cose divine non è di per sé inaccessibile alla umana ragione, può, anche nel presente stato del genere umano, essere conosciuto da tutti facilmente, con ferma certezza e senza mescolanza d'errore»
(DV 2-6).
c)   La Liturgia, eco della stessa divina parola, commenta e ammonisce: «Quale grande nazione ha la divinità così vicina a sé, come il Signore nostro Dio è vicino a noi ogni volta che lo invochiamo? E qual grande nazione ha leggi e norme giuste come è tutta questa legislazione che io oggi vi espongo? Guardati, guardati bene dal dimenticare le cose che i tuoi occhi hanno visto: non ti sfuggano dal cuore, per tutto il tempo della tua vita. Le insegnerai anche ai tuoi figli e ai figli dei tuoi figli» (Dt 4,7-10).

3.   Cosa fare se Dio si è fatto a noi così vicino?

a)   La vita del credente non può che essere caratterizzata da serena gioia:
«cantate inni al Signore, perché ha fatto cose grandiose, ciò sia noto in tutta la terra. Gridate giulivi ed esultate, abitanti di Sion, perché grande in mezzo a voi è il Santo di Israele» (Is 12,5-6) e da calda speranza: «tutte le genti che si trovano su tutta la terra si convertiranno e temeranno Dio nella verità. Tutti abbandoneranno i loro idoli, che li hanno fatti errare nella menzogna, e benediranno il Dio dei secoli nella giustizia» (Tb 14,6).
b)   L’assunzione della responsabilità, nello stesso credente, mette in gioco mente, cuore, fantasia, attitudini. Tutto, infatti, dipende da Dio grande nell’amore, generoso e onnipotente, ma egli, il credente, sa di essere, per il Battesimo, luce, sale, responsabile del fratello; e del fratello, se la sua fede è autentica, se vuole onorare Dio, se vuole crescere, non può disinteressarsi, perché risuona nel suo orecchio la parola profetica «ti ho fatto luce dei popoli, perché tu porti la mia salvezza sino ai confini della terra».


4.   La parola di Dio e la nostra Chiesa pattese

In coerenza con il Piano Pastorale Diocesano, nella prossima Quaresima, lo sapete già, la nostra Chiesa sarà impegnata nella distribuzione della Bibbia alle famiglie: nel nome del Signore, salviamo questa operazione dalla banalità. Non si tratta di ‘collocare’ delle bibbie.
È la Parola del Signore! È il tesoro della Chiesa! È il miele, il maglio valido a frantumare il granito impenetrabile della mediocrità. È il fuoco purificatore. È lo Spirito Creatore che, dal tronco arido, rinsecchito e buono solo come legna da ardere, può e vuole suscitare il germoglio novello, il pane che sostenta, il vino che rallegra il cuore, l’olio che dà splendore. È il collante di cui si serve lo Spirito per adunare e tenere insieme la Chiesa e renderla sacramento - segno e strumento - di unità dell’umanità.
È madre, alimento e criterio di verifica della divina consolazione. È forza che spinge ad uscire da sé per andare ai fratelli, concreta presenza di Dio, oggi e qui. È l’antidoto per non piangersi addosso nel vacuo sogno del passato o nell’alienante visione del futuro. È luce per scoprire Dio nella pieghe del presente per ascoltarlo e seguirlo.
È lievito e fuoco novello che arriva nelle nostre case, nei nostri cuori, nelle nostre vite per divenire metro valutativo di pensieri, parole e azioni, per vivificare il nostro dialogo con Dio stesso, per rendere impegnata la fede, costante la speranza, operosa la carità.


5.   In pratica

Per i particolari operativi, che qui non prendo in considerazione, rimando ai momenti nei quali abbiamo analizzato, programmato e deciso.
a)   Propongo di leggere umilmente, lentamente, dolcemente un testo che conosciamo bene perché ci è proposto dalla
Liturgia delle Ore.
«Benedetto sia Dio che vive in eterno, il suo regno dura per tutti i secoli. Egli castiga e usa misericordia, fa scendere fino all'abisso più profondo della terra e fa risalire dalla grande perdizione, non c'è nulla che sfugga alla sua mano.
Celebratelo, Israeliti, davanti alle nazioni, perché egli vi ha dispersi in mezzo ad esse,
e qui vi ha fatto vedere la sua grandezza. Esaltatelo davanti ad ogni vivente, perché egli è il nostro Signore, il nostro Dio, egli è il nostro Padre, il Dio per tutti i secoli._
Vi castiga a causa delle vostre iniquità, ma avrà pietà di tutti voi in mezzo a tutte le nazioni, fra le quali siete stati dispersi.
Quando vi sarete convertiti a lui, con tutto il vostro cuore e con tutta l'anima per essere sinceri con lui, egli si volgerà verso di voi e non vi nasconderà più il volto.
_
Ora considerate ciò che ha operato per voi e celebratelo a piena voce. Benedite il Signore della giustizia ed esaltate il Re dei secoli.
_
Io lo celebro nel mio paese di esilio e annuncio la sua potenza e grandezza a un popolo di peccatori.
Convertitevi, o peccatori, e operate rettamente in sua presenza. Chissà che non torni ad amarvi e a farvi misericordia.
_
Esalto il mio Dio e celebro il Re del cielo ed esulto per la sua grandezza.
_
Che tutti lo lodino e gli rendano grazie in Gerusalemme. Gerusalemme, città santa, Dio ti castigò a causa delle opere dei tuoi figli, ma avrà di nuovo pietà dei figli dei giusti (Tb 12,2-10).

b)   Addito la Vergine che ha concepito, generato, educato e offerto Gesù a Nazaret, Betlemme e Gerusalemme per ricordare che ella lo concepisce, genera, educa ed offre, ancora oggi, ove ci sia qualcuno che cerca, si lascia guidare ed ascolta.
c)   Vi esorto, in forza della partecipazione allo stesso presbiterio, allo stesso sacerdozio di Gesù, di facilitare la strada a Dio che passa, ricco di grazia da versare nei fedeli affidati alla nostra cura.
d)   Vi benedico di cuore nel nome della Santa Trinità e della santa umanità del Redentore del cui sacerdozio partecipiamo, insieme ai battezzati che vi fanno corona.

In religioso ascolto della Parola

Lettera ai Presbiteri del 10 Febbraio 2006

Carissimi,

1.            questo è l’ultimo incontro che il nostro Presbiterio fa prima dell’inizio della Quaresima che ci preparerà alla Pasqua dell’anno di grazia 2006.
Quaresima e Pasqua. Anno di Grazia. Preparazione.
Per quanti dei nostri battezzati queste parole hanno senso?
Quanti dei nostri giovani, (nostri perché sono la gioia, l’occupazione e la preoccupazione delle famiglie che formano l’ordito delle nostre comunità, perché con noi o coi nostri confratelli hanno celebrato i sacramenti della iniziazione cristiana; nostri perché sentiamo di volerne sinceramente il bene, perché sappiamo che dall’eternità sono oggetto dell’amore della Trinità Santissima), quelli che affollano i muretti, le palestre, le scuole, i cantieri dei nostri paesi hanno idea che la vita cristiana è cammino che esige impegno, che si verifica in tappe, di cui fanno parte la Quaresima e la Pasqua, quella del calendario, in vista della Pasqua eterna che è vita, pienezza di gioia?
E scadenze, ripresa, verifica, per quanti, pure tra quelli che frequentano le nostre assemblea domenicali, hanno senso?

2.
Il punto di domanda non deve indurre a considerazioni pessimistiche ma a sano ottimismo e ad efficace impegno perché se esso, il punto di domanda, può essere cambiato con le parole del salmo ‘Come potrà un giovane tenere pura la sua via?’ lo stesso salmo ci appronta la risposta: ‘Custodendo le tue parole’ (Sal 119,9-10).
Stando così le cose,
a) per noi stessi interiorizziamo il seguito del salmo che innumerevoli volte abbiamo fatto nostra nell’ora liturgica media:
«Con tutto il cuore ti cerco: non farmi deviare dai tuoi precetti.
_
Conservo nel cuore le tue parole per non offenderti con il peccato.
_
Benedetto sei tu, Signore; mostrami il tuo volere.
_
Con le mie labbra ho enumerato tutti i giudizi della tua bocca.
_
Nel seguire i tuoi ordini è la mia gioia più che in ogni altro bene.
Voglio meditare i tuoi comandamenti, considerare le tue vie.
_
Nella tua volontà è la mia gioia; mai dimenticherò la tua parola» (Sal 119,8-16);
b) per gli altri di tutte le stagioni della vita occorre che ci diamo da fare perché conoscano pure ‘le sue parole, le cerchino, per trovarvi gioia, per riprenderle, senza stanchezza, con umile disponibilità’.


3.
In questa prospettiva l’impegno della nostra chiesa pattese nella operazione che si incentra sulla Bibbia e che, nei giorni della Quaresima, arriva al suo culmine.
Non ho bisogno di dirvi quanto vi sia grato per la disponibilità docile che state esplicando: la nostra diocesi, pur con mille limiti, in conclusione, resta affascinata e attratta all’azione da «tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, che è virtù e merita lode» perché «tutto questo è oggetto dei suoi vostri pensieri» (Fil 4,8).


4.
L’approccio con la Parola di Dio, ovviamente, non si esplica e conclude nella lettura attenta di un salmo o di parte di esso. Esso esige metodo, costanza, umiltà, ecclesialità, preghiera. Cose tutte che possono contare sulla preghiera di Gesù.
A titolo d’esempio facciamoci discepoli dell'insegnamento sulla preghiera che si concentra nella lunga narrazione della Cena, in specie nei capitoli 14-16, e 17 del vangelo di Giovanni.
Prima Gesù rivela che Lui è la Via e la Verità e la Vita, e si va al Padre solo mediante Lui (Gv 14,6) e che quanto i discepoli chiederanno al Padre nel Nome suo sarà concesso (Gv 14,13). Egli stesso, di più, concederà tutto (Gv 14,14). Poi inizia la grande rivelazione sullo Spirito Santo attraverso varie grandi promesse:
Il Padre è l'unico Principio dello Spirito Santo (Gv 15,26).
Egli solo può quindi darlo ai discepoli del Figlio, tuttavia il Figlio ha una funzione decisiva in questo, non solo perché il Padre invia lo Spirito Santo solo in forza della preghiera del Figlio, ma anche perché anche il Figlio prende l'iniziativa in questo invio.
Gesù conclude la Cena con la preghiera (Gv 17,1-26) che la tradizione, da sempre, riconosce come sacerdotale.
La preghiera di Gesù visibilmente procede per gradi, per tre avanzamenti:
a) Gesù prega per se stesso, per riavere la gloria di cui godeva dall'eternità, per donare la Vita eterna a chi conoscerà il Padre e che il Padre inviò il Figlio.
b) Gesù, poi, prega per i discepoli che debbono proseguire la sua opera sacerdotale con l'annuncio della Parola divina, affinché siano custoditi, siano una realtà unica, come il Padre e il Figlio abbiano la pienezza della gioia, siano santificati per la Verità.
c) E, infine, Gesù prega il Padre per quanti crederanno in Lui per la sua Parola portata da questi discepoli presenti, affinché anche essi siano una realtà unica; per questo riceveranno dal Padre la gloria di Gesù stesso. Inoltre, Gesù prega affinché questi fedeli stiano dove sta Lui, nella contemplazione della divina Gloria. Anche a questi Gesù farà conoscere il Nome divino del Padre, affinché l'amore del Padre per il Figlio sia anche in essi e Gesù stesso stia in essi.


5.
Confratelli carissimi, niente ho scritto che voi non sappiate già. Ho scritto per suggerire ancora che, con la nostra “operazione Bibbia”, siamo al cuore della vita della Chiesa e per pregustare con voi il giorno felice, giorno ‘albo lapillo signando’, in cui i nostri battezzati, nutriti della Santa Parola, sentiranno propria l’indicazione del salmo dal quale ha preso l’abbrivo la pagina che vi sta davanti.
Penso di fare cosa utile riproponendovi il capitolo sesto della Dei Verbum.


21. La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il Corpo stesso di Cristo, non mancando mai, soprattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi del pane di vita dalla mensa sia della Parola di Dio che del Corpo di Cristo, e di porgerlo ai fedeli. Insieme con la sacra Tradizione, ha sempre considerato e considera le divine Scritture come la regola suprema della
propria fede; esse infatti, ispirate come sono da Dio e redatte una volta per sempre, comunicano immutabilmente la parola di Dio stesso e fanno risuonare nelle parole dei profeti e degli apostoli la voce dello Spirito Santo. È necessario dunque che la predicazione ecclesiastica, come la stessa religione cristiana, sia nutrita e regolata dalla sacra Scrittura.
Nei libri sacri, infatti, il Padre che è nei cieli viene con molta amorevolezza incontro ai suoi figli ed entra in conversazione con essi; nella parola di Dio poi è insita tanta efficacia e potenza, da essere sostegno e vigore della Chiesa, e per i figli della Chiesa la forza della loro fede, il nutrimento dell'anima, la sorgente pura e perenne della vita spirituale. Perciò si deve riferire per eccellenza alla sacra Scrittura ciò che è stato detto: «viva ed efficace è la parola di Dio» (Eb 4,12), «che ha il potere di edificare e dare l'eredità con tutti i santificati» (At 20,32; cfr 1Ts 2,13).


Necessità di traduzioni appropriate e corrette

22. È necessario che i fedeli abbiano largo accesso alla sacra Scrittura. (…)


Impegno apostolico degli studiosi

23. La sposa del Verbo incarnato, la Chiesa, ammaestrata dallo Spirito Santo, si preoccupa di raggiungere un’intelligenza sempre più profonda delle sacre Scritture, per poter nutrire di continuo i suoi figli con le divine parole; perciò a ragione favorisce anche lo studio dei santi Padri d'Oriente e d'Occidente e delle sacre liturgie. Gli esegeti cattolici poi, e gli altri cultori di sacra teologia, collaborando insieme con zelo, si adoperino affinché, sotto la vigilanza del sacro magistero, studino e spieghino con gli opportuni sussidi le divine Lettere, in modo che il più gran numero possibile di ministri della divina parola siano in grado di offrire con frutto al popolo di Dio l'alimento delle Scritture, che illumina la mente, corrobora le volontà e accende i cuori degli uomini all'amore di Dio.
Il Concilio incoraggia i figli della Chiesa che coltivano le scienze bibliche, affinché, con energie sempre rinnovate, continuino fino in fondo il lavoro felicemente intrapreso con un ardore totale e secondo il senso della Chiesa.


Importanza della sacra Scrittura per la teologia

24. La sacra teologia si basa come su un fondamento perenne sulla parola di Dio scritta, inseparabile dalla sacra Tradizione; in essa vigorosamente si consolida e si ringiovanisce sempre, scrutando alla luce della fede ogni verità racchiusa nel mistero di Cristo. Le sacre Scritture contengono la parola di Dio e, perché ispirate, sono veramente parola di Dio, sia dunque lo studio delle sacre pagine come l'anima della sacra teologia.
Anche il ministero della parola, cioè la predicazione pastorale, la catechesi e ogni tipo d’istruzione cristiana, nella quale l'omelia liturgica deve avere un posto privilegiato, trova in questa stessa parola della Scrittura un sano nutrimento e un santo vigore.


Si raccomanda la lettura della sacra Scrittura

25. Perciò è necessario che tutti i chierici, principalmente i sacerdoti e quanti, come i diaconi o i catechisti, attendono legittimamente al ministero della parola, conservino un contatto continuo con le Scritture mediante una lettura spirituale assidua e uno studio accurato, affinché non diventi «un vano predicatore della parola di Dio all'esterno colui che non l'ascolta dentro di sé», mentre deve partecipare ai fedeli a lui affidati le sovrabbondanti ricchezze della parola divina, specialmente nella sacra liturgia.
Parimenti il santo Concilio esorta con ardore e insistenza tutti i fedeli, soprattutto i religiosi, ad apprendere «la sublime scienza di Gesù Cristo» (Fil 3,8) con la frequente lettura delle divine Scritture. «L'ignoranza delle Scritture, infatti, è ignoranza di Cristo».
Si accostino essi volentieri al sacro testo, sia per mezzo della sacra liturgia, che è impregnata di parole divine, sia mediante la pia lettura, sia per mezzo delle iniziative adatte a tale scopo e d’altri sussidi, che con l'approvazione e a cura dei pastori della Chiesa, lodevolmente oggi si diffondono ovunque.
Si ricordino però che la lettura della sacra Scrittura dev'essere accompagnata dalla preghiera, affinché si stabilisca il dialogo tra Dio e l'uomo; poiché «quando preghiamo, parliamo con lui; lui ascoltiamo, quando leggiamo gli oracoli divini».
Compete ai vescovi, «depositari della dottrina apostolica», ammaestrare opportunamente i fedeli loro affidati sul retto uso dei libri divini, in modo particolare del Nuovo Testamento e in primo luogo dei Vangeli, grazie a traduzioni dei sacri testi; queste devono essere corredate delle note necessarie e veramente sufficienti, affinché i figli della Chiesa si familiarizzino con sicurezza e profitto con le sacre Scritture e si imbevano del loro spirito. Inoltre, siano preparate edizioni della sacra Scrittura fornite d’idonee annotazioni, ad uso anche dei non cristiani e adattate alla loro situazione; sia i pastori d'anime, sia i cristiani di qualsiasi stato avranno cura di diffonderle con zelo e prudenza.


Conclusione

26. In tal modo dunque, con la lettura e lo studio dei sacri libri «la parola di Dio compia la sua corsa e sia glorificata» (2Ts 3,1), e il tesoro della rivelazione, affidato alla Chiesa, riempia sempre più il cuore degli uomini.
Come dall'assidua frequenza del mistero eucaristico si accresce la vita della Chiesa, così è lecito sperare nuovo impulso alla vita spirituale dalla cresciuta venerazione per la Parola di Dio, che «permane in eterno» (Is 40,8; cfr. 1Pt 1,23-25).


6.
Quanto ho fin qui scritto, ne sono certo, vi trova d’accordo.
Per la sua traduzione in termini operativi e concretezza, oltre che raccomandarvi zelo nel seguire l’attività nelle piccole comunità, vi propongo di utilizzare la nostra bella tradizione per la quale in ogni parrocchia ci si prepara alla solennità pasquale e animando anche le varie categorie (scuole, confraternite, associazioni, movimenti, gruppi, club, circoli culturali ecc.) secondo le opportunità offerte o da suscitare.
Una traccia da sviluppare, utilizzando anche i moderni strumenti telematici, potrebbe essere quella contenuta nel quinterno La BIBBIA “In principio…” con cui inizia la nostra Bibbia, quella che io consegnerò a voi e che voi, nel modo ripetutamente illustrato, consegnerete alle famiglie.
Quella traccia si articola così:

Ø        
Introduzione.
Ø        
Contenuto.
Ø        
In dialogo.
Ø        
Il Nuovo Testamento.
Ø        
La struttura della Bibbia.
Ø        
Una proposta di lettura.
Resta, ovviamente, che la grazia del Santo Spirito che vi abita per il Battesimo, la Confermazione, la Divina Eucaristia, il Sacro Ordine, la Penitenza celebrata come penitenti  e come ministri, la meditazione quotidiana, zelo, personale preparazione e, da non sottovalutare, conoscenza delle concrete situazioni suggeriranno ad ognuno articolazioni e metodologie altre.

Il cammino quaresimale

Lettera ai Presbiteri del 10 Marzo 2006

Carissimi,

1.            questo numero del Notiziario ci trova all’inizio del cammino quaresimale che ci accompagnerà fino al triduo santo della Pasqua. Tempo forte per lo spirito per il quale non c’è presentazione migliore di quella elaborata dai testi liturgici.

a) Un prefazio che, dopo la ben nota introduzione, presenta:
*  la scansione temporale, irrinunciabile per noi uomini che pensiamo sempre in termini di spazio e di tempo, dell’azione di Dio: ogni anno tu doni ai tuoi fedeli,
*  la caratteristica fondamentale della stessa azione di Dio con la creatura: tu doni;
*  i beneficiari del dono e la loro caratteristica: i fedeli purificati nello spirito;
*  la meta della preparazione: partecipare ai misteri della redenzione, raggiungere la pienezza della vita nuova in Cristo tuo Figlio, che è come dire la celebrazione del Signore morto e risorto;
*  il modo della partecipazione: con gioia, purificati nello spirito;
*  la collaborazione dei fedeli: assiduità nella preghiera e nella carità operosa.
    Lo ripropongo nella sua unità:
«Ogni anno, tu doni ai tuoi fedeli, di prepararsi con gioia, purificati nello spirito, alla celebrazione della Pasqua, perché assidui nella preghiera e nella carità operosa raggiungano la pienezza della vita nuova in Cristo tuo Figlio».

b) La proposta del Lezionario.
    La parola di Dio, parte essenziale della liturgia, è proposta divisa in cicli di due anni, (I e II), per i giorni feriali, e di tre anni, (A B C), per i giorni festivi. La schematizzazione è finalizzata alla presentazione di tutta la Bibbia in un periodo ragionevolmente breve. Per il periodo quaresimale, si può utilizzare sempre il ciclo A, per il fatto che è il più collaudato essendo già utilizzato in epoca patristica, e per il fatto che è il più adatto al cammino catecumenale proposto a chi si prepara a ricevere il Battesimo e riproposto a chi, già battezzato, intende rivitalizzare l’adesione al vangelo.


2.
     Presento velocemente le tematiche di questo ciclo che, per comodità, chiamo battesimale.
a) Gesù vero uomo, tentato perfino, nella 1^ domenica.
b) Gesù trasfigurato che si mostra, vale a dire, vero Dio, nella 2^ domenica.
c) La vita di Dio donata a noi e spiegata nella sua preziosità con i paragoni dell’acqua, della luce e della situazione di morte e di vita rispettivamente nelle domeniche 3^, 4^ e 5^ coi brani evangelici che riportano l’incontro di Gesù con la donna di Samaria che va ad attingere acqua al pozzo di Sicàr, la guarigione dell’uomo cieco fin dalla nascita e la risurrezione di Lazzaro, l’amico di Gesù, già cadavere di quattro giorni.
d) La preparazione culmina nella Settimana Santa che fa rivivere la morte e risurrezione di Gesù.


3.
     Rivivere non significa solo ricordare, rappresentare, magari vivacemente.
Significa, invece, che il nostro Signore si è fatto uomo, come noi, fino a morire, perché noi possiamo essere, come lui, fino a risorgere, scendendo nell’acqua del Battesimo, come nel sepolcro del Signore, e uscendo dalla stessa acqua, com’è uscito lui il Signore.
Significa che fede è davvero «fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono» (Eb 11,1) e cioè il visibile di ciò che, in viaggio verso il Padre, ancora non siamo in grado di vedere, la garanzia, l’anticipo, la caparra di quello che il progetto amoroso del Padre ci ha assegnato.

 
4.
     Dato che il cammino quaresimale è  catecumenale, può riuscire utile tenerlo presente nelle sue linee essenziali. La segmentazione è utile per l’individuazione di altrettanti temi di meditazione e predicazione.
a) Riti per fare i catecumeni:
    preghiere, / gesti come: segni di croce / e l’imposizione delle mani sui catecumeni, / esorcismi.
b) Riti per il catecumenato:
    preghiere e gesti come per fari i catecumeni, più una serrata istruzione sui rudimenti della fede.
c) Riti dell’illuminazione:
    preghiere preparatorie, / la benedizione del fonte, / il battesimo con le unzioni prima e dopo, / la confermazione / e l’accesso al Convito eucaristico; / gli altri sacramenti.
d) Tempo della mistagogia:
    insistenza e approfondimento delle realtà divine e  dell’iniziazione ricevuta.


5.
     Mi auguro per la Chiesa e, in essa, per la nostra Chiesa pattese, l’adempimento generoso di una delle preghiere che qualificano il cammino quaresimale:
«Concedi, Signore, alla tua Chiesa di prepararsi interiormente alla celebrazione della Pasqua, perché il comune impegno nella mortificazione corporale porti a tutti noi un vero rinnovamento dello spirito»
(Colletta per il venerdì della 1^ settim. di Quaresima).

6.
     Non posso ignorare i due importanti appuntamenti sui quali la nostra Chiesa pone tanto d’attesa e di fiducia.
a) Il primo appuntamento è per giorno 25 del corrente mese.
    A Tindari consegnerò la ‘nostra’ Bibbia ai parroci. La coincidenza con la solennità dell’Annunciazione del Signore è stata provvidenzialmente voluta dal Consiglio Presbiterale: il Verbo ha posto la sua, tra le nostre case, in Maria nostra madre che la grazia del Santo Spirito ha reso discepola fervida e fattiva, madre forte ed amorosa, sorella attenta e premurosa. Lo stesso Spirito porta il Verbo qui ed oggi e vuole agire in noi.  In noi vuole creare le stesse condizioni d’accoglienza.
b) Il Giovedì Santo è per noi appuntamento bello, santo, sentito più d’ogni altro: questo è già dono di Dio, effetto della fine sensibilità sacerdotale del nostro Presbiterio.
Per i due appuntamenti vi chiedo preghiera, coinvolgimento, partecipazione.
Entrambi gli appuntamenti ci vedranno a Tindari.
Per il Giovedì Santo coinvolgete quanti più potete e, in modo particolare, quanti nel corso dell’anno hanno ricevuto o riceveranno la Cresima.

…il Verbo si fece carne e dimorò tra noi

Omelia a Tindari, 25 marzo 2006, per la Consegna della Bibbia

1.    Grazie
a)  Perché, per essere qui, avete superato difficoltà varie e numerose.
b)  Per il cammino che, con me e con la chiesa pattese tutta, avete intrapreso per conto vostro e come guide dei fratelli oggetto delle vostre cure pastorali. Parlo, voi lo capite, del cammino catecumenale nella tappa kerigmatica, la prima, culminata nella costituzione delle piccole comunità che qui a Tindari, l’anno scorso, da voi guidate, hanno esemplarmente pellegrinato, nella tappa precatecumenale, la seconda, che ci vedrà radunati attorno alla fede e alla persona di Gesù, ci vede attorno alla Bibbia e culminerà nella celebrazione del Sinodo Diocesano, nella tappa catecumenale, la terza, che ci vedrà prendere vitalmente a cuore la vita della chiesa con la valorizzazione di tutti i carismi e culminerà nel Congresso Eucaristico Diocesano. Vi rimuneri l’Onnipotente.


2.    Al centro di tutto l’iniziativa generosa del Padre

Le rispose l'angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo». Allora Maria disse: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto». E l'angelo partì da lei. (Lc1,35.38).
_Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; noi vedemmo la sua gloria, gloria come d’unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità (Gv 1,14). Siamo nella casa di Maria, e Maria è, già realizzato, il progetto che Dio ha su tutta l’umanità; e Maria è parte viva della Chiesa.

3.    È tutto ma c’è una storia

Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente,
in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo (Eb 1,1-2).

a)   Una storia della quale facciamo parte

È la storia della salvezza che, iniziata dall’eternità nel cuore di Dio, continua, oggi, con noi e ci interpella. ‘O voi tutti assetati venite all'acqua, chi non ha denaro venga ugualmente; comprate e mangiate senza denaro e, senza spesa, vino e latte. Perché spendete denaro per ciò che non è pane, il vostro patrimonio per ciò che non sazia? Su, ascoltatemi e mangerete cose buone e gusterete cibi succulenti. Porgete l'orecchio e venite a me, ascoltate e voi vivrete. Io stabilirò per voi un'alleanza eterna, i favori assicurati a Davide.


b)   che esige impegno

L'empio abbandoni la sua via e l'uomo iniquo i suoi pensieri; ritorni al Signore che avrà misericordia di lui e al nostro Dio che largamente perdona. Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie – oracolo del Signore


c)    porterà frutto per la grazia di Dio

Ecco, verranno giorni,– dice il Signore Dio – in cui manderò la fame nel paese, non fame di pane, né sete di acqua, ma d'ascoltare la parola del Signore
(Passim Is 55,1-11). (

d)   come possono testimoniare i santi di tutti i tempi

Quando le tue parole mi vennero incontro, le divorai con avidità; la tua parola fu la gioia e la letizia del mio cuore, perché io portavo il tuo nome, Signore, Dio degli eserciti
(Ger 15,16).
Mi disse: «Figlio dell'uomo, mangia ciò che hai davanti, mangia questo rotolo, poi va' e parla alla casa d'Israele».
Io aprii la bocca ed egli mi fece mangiare quel rotolo, dicendomi: «Figlio dell'uomo, nutri il ventre e riempi le viscere con questo rotolo che ti porgo». Io lo mangiai e fu per la mia bocca dolce come il miele (Ez 2,8-3,3).

e)   come la grazia magnanima di Dio, sempre da capo, dona di esperimentare

Poi la voce che avevo udito dal cielo mi parlò di nuovo: «Va’, prendi il libro aperto dalla mano dell’angelo, che sta ritto sul mare e sulla terra». Allora mi avvicinai all'angelo e lo pregai di darmi il piccolo libro. Ed egli mi disse: «Prendilo e divoralo; ti riempirà di amarezza le viscere, ma in bocca ti sarà dolce come il miele».
Presi quel piccolo libro dalla mano dell'angelo e lo divorai; in bocca lo sentii dolce come il miele, ma come l’ebbi inghiottito ne sentii nelle viscere tutta l'amarezza (Ap 10,8-10).

4.    L’esperienza dei santi raggiunge il culmine nei discepoli del Signore

Sono essi che, trovandosi tra il Signore e quelli “che anzi procedettero secondo l’ostinazione del loro cuore malvagio e invece di voltargli la faccia gli hanno voltato le spalle (Ger 7,24)”, con Pietro, esperimentano il brivido di trovarsi sull’orlo del precipizio dal quale si liberano attaccandosi sinceramente, consapevolmente, gioiosamente al Maestro, dicono: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna;
noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio» (Gv 6,68).

5.    Una grazia singolare: il Verbo fatto carne tra noi

Fratelli, la nostra chiesa è destinataria di un’esperienza di grazia singolare: oggi è affidata a noi la Bibbia perché, da oggi in poi, nei modi di cui tante volte abbiamo parlato, raggiunga tutti. Non occorre che ripeta quanto della ‘nostra Bibbia’ abbiamo ascoltato nei primi due giorni di assemblea. A sintesi vi dirò che lessi, tempo fa, un’elegia, nata nel centro Europa, nell’ambiente dei Kassidim.
L’autore immagina di vedere un gruppo di ebrei in amara fuga, braccati dalla follia nazista. La morte non potrebbe essere meglio raffigurata di come la rappresentano i volti di quei fuggiaschi scavati dall’ansia, dalla paura e dalle privazioni. Eppure, dice il poeta, quei poveracci rifioriranno, hanno con sé la radice della speranza e della vita perché i loro mantelli sfilacciati e sporchi nascondono il rotolo della Torah. Piccola chiesa, la nostra ha gravi e numerose povertà; ma non temiamo.
Dio che si è promesso vicino a chi lo cerca con cuore sincero, ci parla, oltre che nelle cose e negli avvenimenti, in modo più specifico, con la sua Parola che oggi c’è dato di accogliere. Essa è germe. Essa, come acqua, non passerà senza effetto. La sua Parola entrerà nelle nostre famiglie ed egli animerà in noi la ‘speranza che è piena d’immortalità’ (Sap 3,4) e renderà operosa la carità e Patti, la nostra chiesa di Patti, ‘rinnoverà come aquila la sua giovinezza’ (Sal 103,5). E si parlerà del Signore alla generazione che viene; e annunzieranno la sua giustizia; al popolo che nascerà diranno:«Ecco l'opera del Signore!» (Sal 22,31-32)._

Natan, a Davide che aveva manifestato il desiderio di costruire un tempio, una casa per il Signore, rispose «Fa' quanto desideri in cuor tuo, perché Dio è con te». Ora in quella medesima notte fu rivolta a Natan questa parola di Dio:
_Va' a riferire a Davide mio servo: Dice il Signore: Tu non mi costruirai la casa per la mia dimora. Il Signore ha intenzione di costruire a te una casa.
Allora il re Davide, presentatosi al Signore, disse: «Chi sono io, Signore Dio, e che cos'è la mia casa perché tu mi abbia condotto fin qui?
Come può pretendere Davide di aggiungere qualcosa alla tua gloria? Tu conosci il tuo servo. Signore, per amore del tuo servo e secondo il tuo cuore hai compiuto quest'opera straordinaria per manifestare tutte le tue meraviglie. Signore, non esiste uno simile a te e non c'è Dio fuori di te, come abbiamo sentito con i nostri orecchi. Tu, Signore, sei stato il loro Dio. Ora, Signore, la parola che hai pronunciata sul tuo servo e sulla sua famiglia resti sempre verace; fa' come hai detto._Sia saldo e sia sempre magnificato il tuo nome! Pertanto ti piaccia di benedire la casa del tuo servo perché sussista per sempre davanti a te, poiché quanto tu benedici è sempre benedetto» (Passim 1Cr 17,2-27).
Con la mia benedizione ed il mio augurio.

Lo Spirito del Signore su di me

Omelia a Tindari, 13 aprile 2006, per la Messa Crismale

1.   Ed eccoci al Giovedì Santo. «È un miracolo della bontà di Dio quello di far sentire solidali nella celebrazione e fondere nell’unità della fede lontani e vicini, presenti e assenti» (cfr. S. Atanasio, Lettere Pasquali).

2.
   In questa celebrazione, santa tra tutte, invoco lo Spirito del Signore per essere capace di un canto d’amore. Vorrei potere dire «effonde il mio cuore liete parole, io canto al re il mio poema. La mia lingua è stilo di scriba veloce».
Lo desidero per me e per voi che rappresentate l’intera Chiesa pattese nostra madre. Lo farò brevemente «sapendo che voi siete pieni di Dio» (cfr. S. Ignazio d’Antiochia,
Ad Magnesios).
E lo farò dicendo a questa amata Chiesa: «allarga lo spazio della tua tenda» (Is 54,2), osa, non temere. La tua piccolezza calamìta lo sguardo del Padre. E vedono i giusti e ne gioiscono e ogni iniquo chiude la bocca. Chi è saggio osservi queste cose e comprenderà la bontà del Signore (cfr
Sal 106, 42-43).
a) Radunati nella casa di Maria, a Lei voglio, per prima, cantare. So di essere dissono per i molti e vari limiti; grato e forte, però, per la vostra partecipazione, oso dirle cantando: «Offri, tu, beata perché hai creduto, offri da capo per noi, il Figlio, Unigenito del Padre e tuo; offri colui nel quale anche noi siamo offerti, offri il prezzo del nostro riscatto». E mentre, con voi, canto a Maria nella sua casa, ricordo che casa di Dio «siamo noi se conserviamo la libertà e la speranza di cui ci vantiamo» (
Eb 3,6).
b) E voglio, sempre vostro fratello, per l’unico battessimo, fatto padre per l’ordine sacro, cantare a lui, a Gesù, «a colui che ci ama, ci ha liberato dai nostri peccati con il suo sangue,
che ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre, che è l’Alfa e l’Omega» (cfr Ap 1,5-8).
Preso dallo stupore che origina l’interrogativo ‘chi è questo re di gloria?’ voglio dirgli: «Tu sei il più bello tra i figli dell’uomo, sulle tue labbra è diffusa la grazia, ti ha benedetto Dio per sempre. Cingi, prode, la spada al tuo fianco, nello splendore della tua maestà ti arrida la sorte, avanza, per la verità, la mitezza e la giustizia.
La tua destra ti mostri prodigi. Il tuo trono, Dio, dura per sempre; ed è scettro giusto lo scettro del tuo regno. Le tue vesti sono tutte mirra, aloe e cassia, dai palazzi d'avorio ti allietano le cetre».
Con e per Gesù, con la forza del Santo Spirito, il canto mio e vostro è al Padre. E il canto, lo desidero ardentemente, illumini questa nostra vita così ricca di superfluo e così povera dell’essenziale.
c) E si rivolge il mio canto alla Chiesa di Patti nostra, chiamata ad essere ‘profezia di giovinezza’ per tutti:
«Ascolta, figlia, guarda, porgi l'orecchio, dimentica il tuo popolo e la casa di tuo padre; al re piacerà la tua bellezza. Egli è il tuo Signore: prostrati a lui.
«Tu, figlia del re, sei tutta splendore, gemme e tessuto d'oro è il tuo vestito. Sei presentata al re in preziosi ricami; con te le vergini compagne sono condotte;
guidate in gioia ed esultanza, entrano insieme nel palazzo del re» (dal Sal 45).
Cantiamo, fratelli, cantiamo alla nostra Chiesa e con essa. Molti, troppi sono tristi, forse perché nessuno ha trasmesso la certezza:
«Ecco infatti io creo nuovi cieli e nuova terra; non si ricorderà più il passato, non verrà più in mente, poiché si godrà e si gioirà sempre di quello che sto per creare, e farò di Gerusalemme una gioia, del suo popolo un gaudio» (Is 65,17-18).
Per quel che mi riguarda testimonio che ogni contatto con la nostra Chiesa - mi riferisco a tutti gli incontri che ho la grazia di avere - con la  consolazione che mi dà, rafforza la mia fede, e motiva la mia speranza.


3.
Il nostro canto sarà gradito a Dio, alla Vergine nostra sorella nella peregrinazione della fede se, non contenti di assaporarne la melodia, faremo di esso una ben orchestrata armonia e, cioè, una manifestazione del nostro essere chiesa.
In essa tutte le voci sono preziose, belle, utili, necessarie e indispensabili se ne faremo un unico armonico canto: all’unità del sacrificio, del sacerdozio e del popolo di Dio.
a)
Unità del sacrificio. Unico è il sacrificio dell’economia definitiva della salvezza ed è quello che Cristo ha offerto di sé sul Calvario.
Per noi - distanti per spazio e tempo e che del tempo e dello spazio non possiamo fare a meno per capire, parlare, agire - l’inesauribile fantasia dell’amore divino ha disposto i segni sacramentali del pane e del vino per unirci a quell’unico sacrificio.
«La prima alleanza aveva un santuario nel quale norme meticolose regolavano il ripetersi dei sacrifici cultuali.
«Lo Spirito Santo mostrava che non era ancora il tempo del sacrificio vero.
«Cristo invece, venuto come sommo sacerdote dei beni futuri, attraverso una tenda più grande e più perfetta, non costruita da mano di uomo, cioè non appartenente a questa creazione,
entrò una volta per sempre nel santuario non con sangue di capri e di vitelli, ma con il proprio sangue, dopo averci ottenuto la redenzione eterna. Per questo egli è mediatore di una nuova alleanza.
«Come è stabilito che gli uomini muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio, così Cristo, dopo essersi offerto una volta per tutte allo scopo di togliere i peccati di molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione col peccato, a coloro che l’aspettano per la loro salvezza» (da
Eb 9,1-28).
Come non pensare a Giovanni Crisostomo che canta con accenti ineguagliabili le sue labbra imporporate dal sangue dell’agnello divino? Dinanzi al mistero dell’acqua e del sangue usciti dal costato di Gesù squarciato dal soldato, ammonisce: non andare avanti troppo in fretta, guarda, medita, prega, fa’ tuo quel sangue.
b)
Unità del sacerdozio. Unico è il sacerdozio, quello di Cristo vero uomo e vero Dio; egli lo partecipa a tutti i battezzati, per la regalità, la profezia e la santificazione di tutta la realtà; e lo partecipa, col sacramento dell’Ordine Sacro, nel triplice grado dell’Episcopato nella pienezza, del Presbiterato, per la collaborazione, e del Diaconato, quale immagine vivente di lui venuto non per essere servito ma per servire. E questo sacerdozio Dio ha dato a noi!
Cantiamogli:
«Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio. Sei tu il mio Signore, senza di te non ho alcun bene».
Per i santi, che sono sulla terra, uomini nobili, è tutto il mio amore. Si affrettino altri a costruire idoli: io non spanderò le loro librazioni di sangue, né pronunzierò con le mie labbra i loro nomi.

E testimoniamo:
il Signore è mia parte d’eredità e mio calice: nelle tue mani è la mia vita.
Per me è magnifica l’eredità. Benedico il Signore che mi ha dato consiglio. Io ho sempre innanzi il Signore, egli sta alla mia destra e io non posso vacillare.
_
E ancora a lui con umile gratitudine diciamo:
di questo gioisce il mio cuore, esulta la mia anima; e il mio corpo riposa al sicuro, non abbandonerai la mia vita nel sepolcro, né lascerai che io veda la corruzione. Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena nella tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra (Sal 16).
c)
Unità del popolo di Dio. Unico è il popolo del Signore che, Crocifisso, ha fatto unità tra cielo e terra e dei due un solo popolo.
Ha affidato a tutti la stessa Eucaristia, lo stesso Sacerdozio, la stessa missione, la stessa unica Parola, memoria delle meraviglie da Lui operate, luce, calore, forza e progetto per quelle che ancora opera fino alla fine del mondo senza mai dare fondo alla sua capacità di meraviglie sempre nuove per l’avvento della civiltà dell’amore, nella quale avviene la realizzazione di sé e in proporzione del dono di sé.
Con il mio augurio e la mia benedizione.
>> Foto della liturgia

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