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LA CATECHESI DEL VESCOVO
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Ringraziamo, gioiamo, usiamo con diligenza |
Lettera ai Presbiteri del 14
Gennaio 2005 |
Carissimi,
1.
approssimandosi il ritiro del Presbiterio mi andavo organizzando
mentalmente per preparare la lettera che, a vantaggio dei miei
‘venticinque lettori’, ogni mese apre il nostro Notiziario.
Come prima cosa avrei ringraziato la Trinità Santissima per la
Settimana della Fraternità con cui ha visitato la nostra Chiesa
Pattese. Dato poi che i doni di Dio non sono risultato d’automatismi
ma il concretarsi di mediazioni e grazia, di responsabilità ed
equilibrio, fiducia e industria personale, pensavo di ringraziare,
voi, fratelli sacerdoti, i laici che vi hanno coadiuvato, le
religiose presenti nelle parrocchie, e le tante persone che, in
silenzio, hanno pregato e sofferto.
Avrei poi esortato me e la Chiesa tutta a non pensare di avere
portato a termine l’attività pastorale ma d’avere solo finito di…
iniziare.
Infine avrei poi invitato a gioire nell’intravedere nelle nostre
parrocchie i gruppi di persone tornare ad incontrarsi per parlare di
Gesù in modo ordinato per periodicità e per argomento.
Fratelli carissimi, non lamentiamo l’istruzione, talvolta,
approssimativa dei battezzati? Non constatiamo, altra volta, che, a
parte i dieci minuti nell’omelia della messa domenicale, non è data
opportunità d’approccio con il messaggio evangelico? Non osserviamo
che i cristiani sono lasciati soli di fronte alle decisioni delicate
e ardue che la vita pone davanti? Non lamentiamo che non sempre è
esaltante la percentuale di quelli che, con i credenti della prima
generazione, sentono di dire ‘senza la domenica non possiamo stare’?
Non rileviamo che minima è la rilevanza numerica di quelli che fanno
esperienza nell’associazionismo cattolico?
Bene, la Provvidenza, forse, ci fornisce un metodo: ringraziamo,
usiamo con diligenza, gioiamo.
2.
Queste cose mi apprestavo a scrivere quando è finito sotto i miei
occhi, riportato su una nota rivista, uno scritto delizioso
sull’omelia. Ho pensato che avrei fatto male a non passarvelo, con
qualche lieve adattamento.
3.
Tra i compiti dei presbiteri quello di tenere l’omelia è tra
i più difficili. Non a caso c’è voluto un Concilio a rendere
obbligatoria l’omelia. In questo ‘ufficio’ non soccorre l’ex
opere operato, non basta la devozione, non incide la cultura:
«Questo genere di demoni si cacciano solo con il digiuno e la
preghiera!».
Sono i demoni che affollano la mente e il cuore dei fedeli che, la
domenica mattina o il sabato sera, si sottopongono solitamente
malvolentieri ai soli dieci minuti d’insegnamento cristiano che la
loro vita conosce. Dieci minuti contro un numero spropositato di ore
di televisione, contro la stampa benpensante (leggi anticristiana).
Ma, soprattutto, dieci minuti appena contro la catechesi dei fatti
che è la più micidiale ricevuta lungo tutta la settimana in ufficio,
nel condominio, dal barbiere.
Questa potentissima catechesi li ha convinto che «oggi il mondo va
così», quanto all’amore al prossimo che «a pensare male si fa
peccato, ma ci si prende» e che «chi si fa pecora il lupo lo
mangia!», quanto all’idolatria che «chi ha i soldi può tutto, mentre
a chi crede niente è possibile», ecc.
Di Gesù è detto che provava pietà della gente che gli andava dietro,
perché erano come pecore senza pastore e insegnava loro molte cose,
a lungo!
A dispetto del carico di responsabilità che pende sull’unica forma
di insegnamento garantito oggi al popolo di Dio, è tuttavia
difficile ascoltare un’omelia.
Naturalmente se si intende per omelia quel ‘magico’ ensemble di
coinvolgimento personale da parte del predicatore, di aderenza al
testo biblico e alla sua connaturale potenza e di ‘annuncio’ mai
taciuto. Forse perché il predicatore viene a sua volta da ore e ore
di televisione, di chiacchiere mondane, di ‘peccati veniali’ presi
troppo alla leggera? Forse.
Certamente non per la sua mancanza di cultura, né a causa di un suo
eloquio poco sciolto, se è vero che è toccato al balbuziente Mosè,
convincere un popolo intero di schiavitù.
Non si può fare l’omelia, credo, se non ci si è fermati, stupiti,
presso il roveto ardente, dove brucia l’amore del Dio di Israele. Si
potrebbe dire che dieci minuti di omelia devono essere preceduti,
nel corso della settimana, da dieci ore almeno di meditazione e di
colloquio con il Signore.
Cinquant’anni fa andava per la maggiore la ‘predica’ nella quale i
sacerdoti si scagliavano spesso, animosamente, contro il malcostume
dilagante, contro le spiagge, i films, il ballo.
Poi ci si è aggrappati al nuovo lessico conciliare, usurandolo nel
giro di pochi anni.
Oggi circola una moda, nemmanco tanto nuova ma in compenso,
perniciosa, che chiamo ‘l’infantilizzazione’ dell’omelia.
Il sacerdote scende tra i bambini, (magari sono solo due o tre),
impugna il microfono e si rivolge loro amabilmente, con domandine di
solito ‘infantili’ persino agli occhi degli stessi pretesi
destinatari. Gli astanti si accomodano e… si rilassano, tanto la
cosa, appunto perché per bambini, non li riguarda. Si tratterà di
ascoltare, divertiti (?), un po’ di catechismo rivolto ai piccoli,
cose che loro già sanno o devono fingere di sapere. Comunque, questo
conta, non si tratta di loro.
L’effetto, domenica dopo domenica, è disastroso: il cristianesimo è
una cosa da bambini e nessuno è disposto a confrontare seriamente la
sua vita con una dottrina puerile.
Forse ripasseranno la ‘storia sacra’, ma le loro angosce e i loro
dubbi resteranno interi e grevi come macigni e il pastore, non
essendosene fatto carico, continuerà ad essere chiamato ‘buono’ per
pura cortesia. È una trappola seducente perché l’assemblea si ‘anima’,
perché tutti (?) partecipano volentieri (?). Si instaura una sorta
di complicità tra ascoltatori svogliati e predicatore poco convinto?
Si ride indulgenti dei bambini che non sapevano che i sacramenti
sono 7, che avvento vuol dire ‘venuta’ et similia. Intanto la Parola
di Dio scivola via intatta. La motivazione ‘pastorale’ (?) si
individua con poca fatica: «si parla ai bambini, perché gli adulti
intendano».
Il che è vero, anzitutto ove si passi qualcosa di sostanzioso ai
bambini - e non è così semplice - e solo nel caso in cui sussista
altrove una solida formazione cristiana per gli adulti presenti, i
quali si trovano ad ascoltare ‘anche’ l’esortazione ai piccoli. Ma,
quando si tratta dell’omelia della messa domenicale, si rischia di
bruciare gli unici dieci minuti a disposizione per distribuire il
‘cibo di sopravvivenza’ ai parrocchiani. In un’epoca in cui nel
popolo, grazie a Dio è cresciuta la presenza di laureati, di
diplomati, di gente abituata a leggere, scrivere e dibattere,
stranamente in chiesa… si raccontano storielle per i bambini. Gli
unici, peraltro, per i quali, nella maggior parte dei casi, le
parrocchie hanno già un qualche spazio dedicato all’istruzione
cristiana. In realtà, a nessuno piace avere davanti facce
inespressive, che non si sa mai se stanno ascoltando o pensando alla
squadra del cuore e al suo impegno nel campionato. Ma il rischio va
corso, semplicemente perché la posta in gioco è alta. Quanto ai
bambini, se i loro genitori riceveranno qualcosa di buono per sé, ne
avranno anch’essi la loro parte. Decisamente meno probabile è il
contrario.
4.
Che ve ne pare? A qualcuno dei miei ‘venticinque lettori’ che
volesse intervenire sull’argomento – Settimana della Fraternità e
gruppi da essa avviati, difficoltà di offrire un approccio continuo,
ordinato e completo alle persone per le quali Gesù è morto in croce
e che noi siamo chiamati a servire – il Notiziario Pastorale ben
volentieri mette a disposizione le sue pagine. |
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L'Eucaristia modello e forza di vita |
Lettera ai Presbiteri dell'11 Febbraio 2005 |
Carissimi,
1.
la lettera che il S. Padre, lo scorso 7 ottobre 2004, ha inviato
all’episcopato, al clero e ai fedeli e con la quale ha indetto
l’anno dell’Eucaristia che ci accompagnerà fino all’ottobre di
quest’anno, fin dalle prime parole, ‘Mane nobiscum, Domine’, evoca
l’incontro di Gesù con due discepoli che definisce, affettuosamente
rimproverandoli, ‘sciocchi e tardi di cuore’ mentre non disdegna di
dedicare loro il suo tempo per recuperarli alla fede nella parola
dei profeti, alla speranza e alla gioia dell’ardore apostolico.
Riesce sempre utile ‘ob-audire’, sempre da capo, l’episodio
evangelico peraltro ben noto. Per comodità, lo riporto.
«Ecco in quello stesso giorno due di loro erano in
cammino per un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme,
di nome Emmaus, e conversavano di tutto quello che era accaduto.
Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si
accostò e camminava con loro Ma i loro occhi erano incapaci di
riconoscerlo. Ed egli disse loro: “Che sono questi discorsi che
state facendo fra voi durante il cammino?”. Si fermarono, col volto
triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli disse: “Tu solo sei così
forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in
questi giorni?”. Domandò: “Che cosa?”. Gli risposero: “Tutto ciò che
riguarda Gesù Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole,
davanti a Dio e a tutto il popolo; come i sommi sacerdoti e i nostri
capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l'hanno
crocifisso. Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele; con
tutto ciò sono passati tre giorni da quando queste cose sono
accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti;
recatesi al mattino al sepolcro e non avendo trovato il suo corpo,
sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i
quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati al
sepolcro e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non
l'hanno visto”. Ed egli disse loro: “Sciocchi e tardi di cuore nel
credere alla parola dei profeti! Non bisognava che il Cristo
sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?”. E
cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le
Scritture ciò che si riferiva a lui. Quando furono vicini al
villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse
andare più lontano. Ma essi insistettero: “Resta con noi perché si
fa sera e il giorno già volge al declino”. Egli entrò per rimanere
con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la
benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli
occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista. Ed essi si
dissero l'un l'altro: “Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre
conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le
Scritture?”. E partirono senz'indugio e fecero ritorno a
Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano
con loro i quali dicevano: “Davvero il Signore è risorto ed è
apparso a Simone”. Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la
via e come l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane» (Lc
24,13-35).
2.
Parlare dell’Eucaristia costringe a scegliere perché essa, fonte e
culmine della vita della Chiesa, fa la Chiesa e dalla Chiesa è
fatta. Qui ne parlo tenendo presente e seguendo il rito con cui essa
è celebrata. Di più, prendo il via dal rito penitenziale
(non dai riti
appunto iniziali) in considerazione del fatto che questo numero del Notiziario Pastorale
arriva nelle nostre mani a due giorni dal Mercoledì delle Ceneri,
avvio del cammino quaresimale scuola e segno sacramentale di
conversione.
Il rito
penitenziale comprende:
* il momento di silenzio (non vuoto, non solo rituale, non
minaccioso, non morte ma incontro con Dio e con sé) per prendere
coscienza (per i maestri, l’esame di coscienza consta di cinque
punti: ringraziare Dio dinanzi all’elenco dei doni di cui ci
gratifica, chiedere la grazia di capire il peccato, elenco dei
peccati, chiedere perdono, proporre) davanti a Dio dei nostri
peccati e della solidarietà che ci lega ai peccati dei nostri
fratelli e del mondo (peccati singoli, peccato sociale, il male
cambiato in bene e viceversa);
* la confessione comunitaria e reciproca delle colpe con
l'implorazione della misericordia di Dio;
* il cantico di lode contemplativa di Dio, l’unico Santo e Signore;
* la preghiera “colletta”, conclusione di questa parte
introduttiva, con la quale il presidente si fa interprete di tutti
presentando a Dio i sentimenti e i propositi comuni. In questa
orazione si sintetizza il senso della festa o il messaggio centrale
delle letture che immediatamente seguiranno.
Il rito penitenziale, situato nella parte introduttiva della
celebrazione eucaristica ricorda che la comunità ecclesiale è
formata di peccatori
e si costruisce a partire dall’umiltà; peccatori che, allo stesso
tempo, hanno coscienza di essere perdonati e riconciliati con
Cristo, sentono la gioia della salvezza dopo il riconoscimento della
propria verità esistenziale (è quella di non essere Dio). Solo dopo,
è possibile camminare insieme, nella condizione comune di discepoli,
verso la verità che ci farà liberi.
3. Se
guardare al rito è importante, fermarsi ad esso è fuorviante e
genera non verità. Ogni incontro, qualunque sia la sua natura, deve
incominciare con la creazione di un clima di sintonia, accoglienza e
benevolenza reciproche che facilitino l’atteggiamento di amore, di
ricerca della verità, di disponibilità e di subordinazione al bene
comune. Questo suppone, se non ci si vuole contentare del rito e
delle parole:
a) che tutti ci riconosciamo peccatori, bisognosi di salvezza, della
salvezza dono di Dio, che “avviene” nella fraternità in Cristo. Solo
con questa premessa di umiltà ci si può incontrarsi su un terreno
che consenta a ciascuno di offrire su piano di uguaglianza la sua
parte.
b) la creazione di forme di riconciliazione che permettano di
vincere formalismo e superficialità che illudono e, in realtà, il
non vivo, il non vero, la morte restano vivi e vegeti sotto la
patina dei lustrini.
Al di là delle parole e delle pur rette intenzioni, occorre che, fin
dall’inizio, in ogni incontro ci sia chiarezza nell'obiettivo da
perseguire e spirito di preghiera. L'obiettivo, riconosciuto e
accettato, unifica la volontà in uno stesso proposito e consente di
evitare la dispersione e la frustrazione. Lo spirito di preghiera
‘alza’ all'umiltà, apre alla verità degli altri, rende adatti alla
“verità” più ampia che è Dio riconoscendone la signoria, ad
accettarci come fratelli, discepoli dell'unico Signore e pronti a
camminare con la comunità e col passo della comunità.
4. Ogni
incontro, personale o comunitario, presuppone non solo il
superamento di atteggiamenti negativi (pregiudizi, sfiducia,
posizioni già prese...), ma di più:
• atteggiamento di sincera apertura alla novità del Vangelo;
• fede nella persona e nella comunità in quanto capaci di fedeltà
allo Spirito e di conversione a Lui. Tutti, battezzati, vescovo,
presbiteri, si mettono davanti agli altri e ridestano la fiducia.
Non la prospettiva del ruolo ma l’uguale dignità battesimale (LG
32), la fraternità evangelica, l’atteggiamento misericordioso e la
benevolenza reciproca creano le condizioni per relazioni
autentiche, vissute nella fede.
Convocare o lasciarsi convocare in nome di Cristo è convocare e
lasciarsi convocare al superamento di tutte le barriere
psicologiche, morali, spirituali che creano separazioni e distanza;
è creare clima e disponibilità all'ascolto reciproco, al dialogo e
alla accettazione della verità e del bene che si rivelano mediante
il dialogo stesso.
In ogni occasione vescovo e presbiteri promuovono ed esercitano il
ministero della riconciliazione creando occasioni e
opportunità perché la comunità come tale e i suoi diversi componenti
esercitino il perdono reciproco e ricompongano le relazioni di
fraternità. L’incontro di tutti nella celebrazione liturgica è pieno
se si è prima celebrata la riconciliazione secondo l’ammonimento
netto di Gesù: «Se dunque presenti la tua offerta all’altare e lì ti
ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il
tuo dono davanti all'altare e va’ prima a riconciliarti con il tuo
fratello e poi torna ad offrire il tuo dono» (Mt 5,23-24).
Potrebbe mancare la convergenza delle idee, non deve mancare mai la
convergenza delle volontà (concordia). Per questo ad ogni in contro
occorre arrivare ‘disarmati’, attratti esclusivamente dalla ricerca
e dall’amore per la verità, per il bene, per le persone, per la
comunità, collocati nell'orizzonte della Chiesa nella sua presenza
qui ed ora e universale.
5. Si rimane sempre nel campo delle belle idee fin quando non ci si
fornisce e non si utilizzano le adeguate strutture organizzative.
Quelle stagionate ed esperimentate, quelle di cui la nostra Chiesa
si è dotata, fedele alla massima classica ‘vetera novis augere et
perficere’ (Leone XIII Aeterni Patris).
Con la mia benedizione. |
Parlare di Gesù |
Omelia alla Messa Crismale - Giovedì Santo
2005 |
1. Due linee,
carissimi fratelli, caratterizzano la partecipazione all’annuale
Messa Crismale:
a) la nostra Chiesa, chierici, religiosi e laici, vanta una
tradizione bella e consolidata: ringraziamo insieme il Signore; io,
poi, ringrazio voi dall’intimo: per quel che mi riguarda, la vostra
presenza mi edifica, incoraggia e rallegra;
b) lo scorso ottobre il Santo Padre, con una sua lettera, ha indetto
l‘Anno Eucaristico ed ha auspicato che le diverse Chiese ne
connotino la valenza ecclesiale anche con il rito stazionale che è
celebrazione significativa della chiesa rappresentata da tutte le
sue componenti e vivacizzata dalla presenza operativa dei ministeri
istituiti e di fatto.
2. La Chiesa è qui:
a) con le sue 84 parrocchie; dal Vescovo al battezzato per ultimo,
dai presbiteri, ai religiosi e religiose a quelli che si preparano
al sacerdozio, dai catechisti ai ministri della comunione, dai
componenti le EPAP, ai messaggeri, a quelli che zelano il decoro
degli edifici sacri e della sacra suppellettile, da coloro che della
donazione a Dio, nella Chiesa, a servizio dei fratelli, hanno fatto
il senso della vita, a coloro che si aprono alla vita e all’impegno
ecclesiale, da quelli che vivono il battesimo in famiglia, nella
società, nella professione senz’altra connotazione, a quelli che
legittimamente si riconoscono in gruppi, movimenti, e associazioni.
b) attorno alla Cattedra che è istituzionalmente ad unionem
comprendendo in questa unione ogni battezzato pattese, le Chiese
sorelle, le altre diocesi e la presidenza del Santo Padre.
3. La situazione della Chiesa
a me pare che sia
descritta con accettabile approssimazione dicendo che essa è:
a) viva; grata per quanto il Padre le ha dato, le dà e le fa
intravedere;
b) consapevole dei suoi limiti. Essa, talvolta almeno, mi sembra che
faccia doverosamente sua la parola di Geremia:
«i miei occhi grondano lacrime notte e giorno, senza cessare, perché
da gran calamità è stata colpita la figlia del mio popolo, da una
ferita mortale. Se esco in aperta campagna, ecco i trafitti di
spada; se percorro la città, ecco gli orrori della fame. Anche il
profeta e il sacerdote si aggirano per il paese e non sanno
che cosa fare. Hai forse rigettato completamente Giuda, oppure ti
sei disgustato di Sion? Perché ci hai colpito, e non c'è rimedio per
noi? Aspettavamo la pace, ma non c'è alcun bene, l’ora della
salvezza ed ecco il terrore! Riconosciamo, Signore, la nostra
iniquità, l'iniquità dei nostri padri: abbiamo peccato contro di te.
Ma per il tuo nome non abbandonarci, non rendere spregevole il trono
della tua gloria. Ricordati! Non rompere la tua alleanza con noi» (Ger
14,17-21).
c) Consapevole del suo problema primo che si fa desiderio, progetto
e compito che è parlare di Gesù.
4. Parlare di Gesù:
questa la ragione d’essere, la gioia, la ricchezza, la forza, il
presente, il futuro, di chi ha la fede. Proprio per noi che abbiamo
il dono della fede, Isaia si chiede: «Chi di noi può abitare presso
un fuoco divorante? Chi di noi può abitare tra fiamme perenni?» (Is
33,14). Fuoco perenne è Dio; fiamme perenni sono il suo amore, la
sua onnipotenza, la sua assoluta trascendenza. Lo stesso Isaia
addita la forza della testimonianza:
«Chi cammina nella giustizia, parla con lealtà e rigetta un guadagno
frutto d’angherie, (…) costui abiterà in alto, fortezze sulle rocce
saranno il suo rifugio, gli sarà dato il pane, avrà l’acqua
assicurata» (ivi, 15).
Potremo abitare presso questo fuoco, parlare efficacemente di Gesù:
a) se realizzeremo la fraternità ecclesiale in tutti i livelli,
dimensioni e forme;
b) se la parola profetica animerà la nostra preghiera: «io vivrò per
lui, lo servirà la mia discendenza. Si parlerà del Signore alla
generazione che viene; annunzieranno la sua giustizia; al popolo che
nascerà diranno: “Ecco l'opera del Signore!”» (Sal 22,30-32)
e
c) se accoglieremo l’esortazione rivolta già ai battezzati della
prima generazione: «Avete solo bisogno di costanza, perché dopo
aver fatto la volontà di Dio possiate raggiungere la promessa»
(Eb 10,35-36).
d) se la nostra spiritualità avrà le caratteristiche indicate dal
Magistero per l’oggi della Chiesa e del Mondo.
5. Spiritualità secondo il Magistero è:
a) Scelta fondamentale dell’esistenza
* La spiritualità è di chi ha fatto la scelta decisiva, unificante
e capace di dare un senso definitivo all’esistenza oltre che delle
azioni immediate.
* Spiritualità è scelta di rinuncia all’egoismo e d’apertura
all’amore che genera l’atteggiamento oblativo; è “vivere secondo lo
Spirito”, come Cristo che si è donato è agire non per sé, da
padroni.
b) Esperienza di Dio
* L’uomo oggi crede solo a ciò che si presenta come collaudato
nella vita e il credente deve rendere contodell’esperienza
religiosa; deve potere dire: ‘Dio esiste ed io l’ho incontrato’,
c) Impegno nel mondo
* Dalla fuga del mondo alla contemplazione, alla collaborazione al
compimento del mondo in Cristo. E’ necessario trasformare la propria
esistenza in un culto spirituale a Dio gradito (Rm 12,1); perché è
l’insieme della vita che deve piacere a Dio ed essere sorgente di
vitalità spirituale.
* Chi vive della fede, deve sentirsi impegnato nel cantiere del
mondo per la costruzione di un migliore avvenire.
d) Comunitaria
* Il mondo è un unico villaggio e la riflessione teologica
evidenzia la dimensione comunitaria della persona. Così si è
espresso il Concilio mettendo in luce la Chiesa come corpo di Cristo
e popolo di Dio radunato nel vincolo d’amore della Trinità (LG
10-17).
* La prospettiva conciliare della santificazione e salvezza in un
popolo che riconosca Dio nella verità e lo serva nella fedeltà (cfr
LG9), modifica l’impostazione della spiritualità e della pastorale
in senso ecclesiale e abbozza una mistica della comunità che vive e
celebra la fraternità in Cristo per lo Spirito;
* la mistica comunitaria implica la riconciliazione, il dialogo,
l’accettazione dell’altro, l’esigenza di favorire il cammino comune;
* la comunità che vive di questa spiritualità diventa, dinanzi al
mondo determinato dal potere, dalla manipolazione e dall’avere,
segno dell’universo redento e diventa emblema di speranza.
6. La Chiesa qui presente e rappresentata è
impegnata nel lungo cammino catecumenale del quale
abbiamo percorso la parte iniziale. Cammino non privo di difficoltà,
con le radici nella nostra storia, nell’insopprimibile bisogno di
Dio e nelle indicazioni del Magistero. Ora un gruppo considerevole
di battezzati, nelle diverse parrocchie, realizza l’impegno di
incontrarsi mensilmente per parlare di Gesù.
7. L’esperienza di Paolo Apostolo.
Parlare di Gesù. A riscaldare il cuore, giova l’esperienza di Paolo:
«Le comunità
si andavano fortificando nella fede e crescevano di numero ogni
giorno. Paolo e i suoi discepoli, (…) attraversata la Misia,
discesero a Troade. Durante la notte apparve a Paolo una visione:
gli stava davanti un Macedone e lo supplicava: ‘Passa in Macedonia e
aiutaci!’. Dopo che ebbe avuto questa visione, cercammo di partire
per la Macedonia, ritenendo che Dio ci aveva chiamati ad annunziarvi
la parola del Signore» (At 16, 5-14).
8.
Quando, il 24 marzo del 1980, un colpo d’arma da fuoco lo introdusse
nella Cena del Signore, il vescovo Romero stava celebrando la S.
Messa. Nell’omelia così aveva pregato:
«In questo calice il vino diventa il sangue che è
stato il mezzo di salvezza. Possa questo sacrificio darci il
coraggio di offrire il nostro sangue per la giustizia
e la pace del nostro popolo. Questo momento di preghiera ci trovi
uniti nella fede e nella speranza». Per lui il passaggio dall’offertorio- rito all’offertorio-vita era
esigenza ovvia. Ottenga a noi analoga concretezza. |
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Una riflessione e una breve cronaca sulla Visita Pastorale |
Lettera ai Presbiteri del 13 Maggio 2005 |
Carissimi, nello spazio che, come al solito, apre il Notiziario,
offro in questo mese una riflessione e una breve cronaca.
La riflessione
La Madre Chiesa,
desiderosa di fornire a noi suoi figli un nutrimento ricco, vario,
vitale, dalla prima decade di febbraio, dalla Quaresima, ci ha messo
davanti al tesoro della sua liturgia e, in essa, della Parola di Dio
e della sapienza dei santi, più e meglio che negli altri periodi
dell’anno.
A conclusione e viatico, dopo i tempi forti della Quaresima e della
Pasqua, due testi che vi propongo nella loro semplice vitalità. Di
mio quasi niente oltre la segmentazione della pagina.
Il primo testo è di Gesù.
Nessuno vi
potrà togliere la vostra gioia. In quel giorno non mi
domanderete più nulla. In verità, in verità vi dico: Se chiederete
qualche cosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà. Finora non
avete chiesto nulla nel mio nome. Chiedete e otterrete, perché la
vostra gioia sia piena. Queste cose vi ho detto in similitudini; ma
verrà l'ora in cui non vi parlerò più in similitudini, ma
apertamente vi parlerò del Padre. In quel giorno chiederete nel mio
nome e io non vi dico che pregherò il Padre per voi: il Padre
stesso vi ama, poiché voi mi avete amato, e avete creduto che io
sono venuto da Dio (Gv 16,23-27).
Chiedere nel nome di Gesù significa: chiedere quel che Gesù
chiederebbe; chiedere quanto non stride sulle labbra di Gesù;
chiedere come chiede Gesù; chiedere consapevoli di essere vitalmente
uniti a Gesù dall’azione del Santo Spirito per mezzo dei
sacramenti, dal Battesimo in poi, nella chiesa.
Viene in mente che S. Agostino spiegava che le nostre preghiere non
vengono esaudite se chiediamo o mali o male o mala.
Da Milèto
mandò a chiamare subito ad Efeso gli anziani della Chiesa. Quando
essi giunsero disse loro: “Voi sapete come mi sono comportato con
voi fin dal primo giorno in cui arrivai in Asia e per tutto questo
tempo: ho servito il Signore con tutta umiltà, tra le lacrime e tra
le prove che mi hanno procurato le insidie dei Giudei. Sapete come
non mi sono mai sottratto a ciò che poteva essere utile, al fine di
predicare a voi e di istruirvi in pubblico e nelle vostre case,
scongiurando Giudei e Greci di convertirsi a Dio e di credere nel
Signore nostro Gesù. Ed ecco ora, avvinto dallo Spirito, io vado a
Gerusalemme senza sapere ciò che là mi accadrà. So soltanto che lo
Spirito Santo in ogni città mi attesta che mi attendono catene e
tribolazioni. Non ritengo tuttavia la mia vita meritevole di nulla,
purché conduca a termine la mia corsa e il servizio che mi fu
affidato dal Signore Gesù, di rendere testimonianza al messaggio
della grazia di Dio. Ecco, ora so che non vedrete più il mio volto,
voi tutti tra i quali sono passato annunziando il regno di Dio. Per
questo dichiaro solennemente oggi davanti a voi che io sono senza
colpa riguardo a coloro che si perdessero, perché non mi sono
sottratto al compito di annunziarvi tutta la volontà di Dio.
Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge, in mezzo al quale lo
Spirito Santo vi ha posti come vescovi a pascere la Chiesa di Dio,
che egli si è acquistata con il suo sangue. Io so che dopo la mia
partenza entreranno fra voi lupi rapaci, che non risparmieranno il
gregge; perfino di mezzo a voi sorgeranno alcuni a insegnare
dottrine perverse per attirare discepoli dietro di sé. Per questo
vigilate, ricordando che per tre anni, notte e giorno, io non ho
cessato di esortare fra le lacrime ciascuno di voi. Ed ora vi affido
al Signore e alla parola della sua grazia che ha il potere di
edificare e di concedere l'eredità con tutti i santificati.
Non ho desiderato né argento, né oro, né la veste di nessuno. Voi
sapete che alle necessità mie e di quelli che erano con me hanno
provveduto queste mie mani. In tutte le maniere vi ho dimostrato che
lavorando così si devono soccorrere i deboli, ricordandoci delle
parole del Signore Gesù, che disse: Vi è più gioia nel dare che nel
ricevere!". Detto questo, si inginocchiò con tutti loro e
pregò (At 20,17-36).
Prendere in considerazione compiutamente le suggestioni presentate
dall’Apostolo ai presbiteri di Efeso è tanto difficile quanto è
bello e utile alla crescita umana, cristiana e ministeriale leggere
e rileggere il brano umilmente aperti alla grazia dello Spirito che
anche oggi parla a noi. La sua parola è luce ai passi, guida, spada
a doppio taglio, miele, fonte di forza, di saggezza e di novità.
2. La cronaca
La Visita Pastorale iniziata l’anno scorso, quest’anno, sta
continuando nelle parrocchie attorno a Gioiosa Marea; in aprile e
nel corrente maggio, a Ficarra e Sinagra. Mi è sembrato utile
scrivere della visita a queste due parrocchie e per farlo lascio la
parola alla comunità sinagrese. In quanto essa scrive ed è qui
riportato, la Visita Pastorale alle due comunità è sinteticamente
fotografata.
«Il Consiglio
Pastorale parrocchiale ha dedicato due incontri per definire la
preparazione della Visita e il programma dettagliato.
La lettera alle Famiglie di aprile con il messaggio del Vescovo e il
programma è stata consegnata dai messaggeri a tutte le famiglie
della parrocchia.
La Visita è stata preparata nelle Piccole Comunità con una catechesi
sulla figura del Vescovo, sui suoi segni distintivi e sulla diocesi.
Una catechesi è stata preparata per i fanciulli e una per gli
anziani e i malati. I 70 cresimandi hanno consegnato la Lettera ai
Giovani e la crocetta.
Domenica 1 maggio la Comunità di Ficarra (questa l’aveva rilevato a
Gliaca e portato a braccia fino a Ficarra) ci ha consegnato la Croce
dei giovani accompagnandoci in processione alle porte del Paese. Dal
bivio di Martini la Croce è stata portata a braccio da giovani fino
alla Chiesa Madre ove è stata intronizzata alla sommità della scala
principale.
Lunedì 2 maggio alla S. Messa è seguita l'Adorazione Eucaristica sul
tema del Congresso Eucaristico Nazionale.
Martedì 3 maggio è stata celebrata la Liturgia Penitenziale per
tutta la Comunità: nove sacerdoti hanno confessato delle ore 19,00
alle ore 20,30. Il Ringraziamento ha concluso la liturgia
penitenziale.
Mercoledì 4 maggio è iniziata la Visita: il vescovo è stato accolto
all'inizio di Via Roma. Durante la processione alla Chiesa Madre
abbiamo pregato con le litanie del Sacro Cuore di Gesù. Dinanzi alla
Chiesa abbiamo reso l'omaggio alla Croce concluso dall'incensazione
da parte del Vescovo.
In Chiesa il Parroco ha introdotto la Preghiera universale, le
invocazioni sono state condotte da un unico lettore e concluse
dal Vescovo.
Il Parroco ha
presentato la Visita Pastorale precisando l'importanza del ministero
del vescovo, la natura della Visita e come la comunità si è
preparata.
Un rappresentante delle Piccole Comunità ha rivolto un saluto al
Vescovo a nome di tutto il Paese.
Un rappresentante di ogni Piccola Comunità ha portato al Vescovo un
simbolico acino d'uva per comporre un grande grappolo su una icona
della “vite e i tralci”, ricevendo dal vescovo la Lettera Apostolica
“Mane nobiscum Domine” e la catechesi di maggio per le Piccole
Comunità. Due bambini hanno presentato al vescovo una icona della
Risurrezione preparata a scuola per la Pasqua.
Dopo la S. Messa il Vescovo ha salutato ogni persona, intrattenendo
anche i bambini.
Nella mattinata del 5 il Vescovo ha fatto visita alle scuole
dell'infanzia, alle scuole elementari e alla scuola media: gli
alunni, ottimamente preparati dagli insegnanti, si sono esibiti in
canti, in una rappresentazione sulla Passione di Gesù e posto al
vescovo delle domande interessanti. Un breve incontro con tutti gli
insegnanti ha concluso la visita alle scuole.
Nel pomeriggio, durante la S. Messa, il Vescovo ha amministrato la
Cresima, preceduta dalla testimonianza di una ragazza, di una mamma,
di un padrino e dalla presentazione del Parroco.
In serata c'è stato l'incontro, intenso e incoraggiante, con tutti
gli Operatori Pastorali.
Nella mattinata del 6 il Vescovo ha fatto visita ad alcuni opifici:
fabbrica di scarpe sportive, maglificio, falegnameria. Gli incontri
sono stati molto graditi da imprenditori e lavoratori e sono emerse
le attuali difficoltà del mondo del lavoro.
Nel pomeriggio è stata celebrata la S. Messa per gli ammalati e gli
anziani con l'Unzione degli Infermi (questo punto del programma a
Sinagra è stato necessariamente ridimensionato per le pessime
condizioni meteorologiche). I ministri straordinari della Comunione
hanno portato la S. Eucaristia nelle case di alcuni ammalati
nell’impossibilità di muoversi sia pure col generoso aiuto di
fratelli resisi disponibili. Dopo la S. Messa non è mancato il
momento ricreativo.
A sera l'incontro con i giovani iniziato con il canto “pietre vive”.
Subito si è stabilita un'atmosfera di confidenza e parecchi
argomenti sono stati proposti, soprattutto quelli legati alla
disoccupazione. L'incontro con i circa 200 (e 70) giovani è stato
vivace e sereno. È stato concluso con il canto “resta qui con noi”
accompagnato con vari strumenti da alcuni elementi delle due bande
musicali. (Impensabile la bravura di alcuni attori ficarresi nella
drammatizzazione di una scenetta. Erano presenti tutti i gruppi
giovanili attivi in paese).
Giorno 7 il vescovo non è stato presente per impegni legati al suo
ruolo di delegato dalla CESi per il laicato. La Comunità ha
celebrato gli anniversari di matrimonio. Parecchie le coppie
presenti (55 a Sinagra). Domenica, 8 maggio, Ascensione del Signore,
giorno conclusivo. Dopo la processione, presentati dal Parroco, il
vescovo con un'apposita liturgia ha accolto i 20 fanciulli che hanno
poi ricevuto S. Comunione per la prima volta. Gremita la chiesa,
ottimo per raccoglimento e fede il clima. All'omelia il Vescovo ha
messo in evidenza i significati dei tre avvenimenti coincidenti:
l'Ascensione, la Prima Comunione, la festa del S. Patrono di Sinagra,
S. Leone Vescovo. Ci ha poi indicato, ringraziando il Signore per il
cammino già fatto, la strada ancora da percorrere.
Dopo la S. Messa il Vescovo ha guidato la processione fino alla
Chiesa del Crocifisso, ha rivolto ai fedeli un caloroso
ringraziamento e un forte invito a proseguire sulla via della
santità. Con la S. Benedizione si è conclusa la Visita Pastorale a
Sinagra.
Siamo consapevoli che sono stati giorni particolari di Grazia. Già
incamminati, sappiamo che non ci si può fermare. Proseguiremo il
cammino con l'aiuto di Dio, la guida e l'incoraggiamento del
Vescovo.
Conservando nel cuore la gioia dell'esperienza vissuta, ringraziando
continuamente il Signore, ci sforzeremo di andare avanti verso le
mete indicate dal Piano Pastorale Diocesano». |
Affrettiamoci a conoscere il Signore |
Lettera ai Presbiteri del 10 Giugno 2005 |
Carissimi,
1.
il Notiziario
Pastorale, ultimo prima della pausa estiva, ci trova nel bel mezzo
di una esperienza esaltante oltre che molto impegnati.
L’esperienza
Come ringraziare il Padre del dono della esperienza di Pentecoste
che ci ha offerto nei giorni della malattia e della morte del Santo
Padre Giovanni Paolo? È difficile pensare ad occasioni in cui il
mondo intero sia stato a vegliare accanto ad un papa. Non vi pare
che si sia ripetuto quanto gli Atti dicono della concorde e
incessante preghiera per Pietro? E quelli che han fatto 12 ore di
viaggio, 12 di attesa e dodici ancora di viaggio? E le persone
incollate ai televisori? E le persone spontaneamente radunatesi
nelle nostre chiese la sera del 2 aprile?
Ora la Chiesa vive trepidante, fiduciosa ed orante accanto a
Benedetto XVI, il capo visibile che il Pastore Grande le ha dato per
questi nostri giorni. Preghiera, trepidazione, fiduciosa sono
nostre, di noi presbiterio, su un ordito di incessante e fervorosa
implorazione.
E c’è un’altra ragione di gratitudine.
Lo sanno tutti, giorno 12 il popolo italiano si esprimerà con voto
su problemi che esigerebbero, in verità, tutt’altro che lo
sbrigativo sì - no.
Noi abbiamo fatto quanto la coscienza ci ha suggerito perché la vita
non sia mercificata e perché l’uomo mai sia strumentalizzato.
Abbiamo protestato che non ci esalta un ipotetico progresso
scientifico che affondi le sue radici nel sangue innocente. Abbiamo
gridato che quello referendario, ci appare strumento improprio e, in
materia così delicata, come dire? truffaldino, dato che non rispetta
manco l’aritmetica e, fateci bene attenzione, il 26% può valere più
del … 49% e, paradossalmente, 10% più di 41%.
Abbiamo deciso per noi e suggerito agli altri di non recarsi a
votare, come prevede la legge, perché non sia raggiunto il quorum
e sia così invalidato il referendum. Ora siamo in attesa e non
sappiamo quale sarà la conclusione della tornata elettorale. Una
cosa però sappiamo: l’onore di difendere la vita è stato lasciato,
pressoché totalmente, alla Chiesa, a noi battezzati.
Onore, però, rima, dal punto di vista cristiano, con onere, impegno
e diligenza che dovremo mettere in cantiere a favore della vita,
qualunque sia il responso delle urne.
Gli impegni pastorali
L’amministrazione del secondo e terzo sacramento dell’iniziazione
cristiana, la preparazione delle feste popolari, l’annuale corso
d’aggiornamento, un congruo periodo di ferie, la programmazione
dell’anno pastorale 2005-06, il doveroso corso d’esercizi spirituali
sono alcuni degli impegni.
Per alcuni di questi appuntamenti, quelli con valenza più
chiaramente diocesana, nelle pagine di questo Notiziario trovate le
necessarie indicazioni; qui io mi limito a raccomandarveli per la
molteplice valenza che essi rivestono.
Per essere quasi in estate – estate è tempo di ferie! - non c’è
male.
Noi però, resi ‘in Cristo un solo corpo e un solo spirito, fatti
sacrificio perenne gradito al Padre, perché possiamo ottenere il
regno promesso’ (Preghiera Eucaristica III), dal Fuoco dell’Amore
Effuso e alimentati dalla partecipazione al Convito del corpo e
sangue del Signore, superiamo fatica, disappunti, incostanza,
incoerenze, fragilità e andiamo avanti nel nome del Signore
(1Sam17,45) con ‘i cinque sassi lisci’ (ivi v. 40), semplici pietre
delle sue ferite, ecclesialmente. Sappiamo infatti che di Dio è la
crescita mentre a noi spetta coadiuvarlo da amministratori fedeli.
2.
Potrà tornare utile riascoltare (parlo, va da sé, dell’ascolto che
passa all’interiorizzazione e perviene alla pratica) la parola che
abbiamo proclamato, pochi giorni addietro, nella solennità del
Sacratissimo Cuore di Gesù.
a)
‘Tu, infatti, sei un popolo consacrato al Signore tuo Dio; il
Signore tuo Dio ti ha scelto per essere il suo popolo privilegiato.
Il Signore si è legato a voi e vi ha scelto, non perché siete più
numerosi di tutti gli altri popoli, ma perché il Signore vi ama.
Riconoscete che il Signore vostro Dio è Dio, il Dio fedele, che
mantiene la sua alleanza e benevolenza per mille generazioni, con
coloro che l'amano e osservano i suoi comandamenti. Egli ti amerà,
ti benedirà’ (cfr Dt 7, 6-13).
b)
‘Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è da Dio:
chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama, non ha
conosciuto Dio, perché Dio è amore. In questo si è manifestato
l'amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel
mondo, perché noi avessimo la vita per lui. Noi abbiamo riconosciuto
e creduto all'amore che Dio ha per noi. Dio è amore; chi sta
nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui’ (Cfr 1Gv 4,7-16).
c) "Ti
benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai
tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai
rivelato ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. Tutto
mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il
Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale
il Figlio lo voglia rivelare. Venite a me, voi tutti, che siete
affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo
sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e
troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce
e il mio carico leggero (Mt 11, 25-30).
3.
Voglio richiamare l’attenzione della nostra chiesa – battezzati
tutti, religiosi e chierici - su due avvenimenti che hanno al loro
centro lo stesso incommensurabile dono del sacerdozio.
Sacerdote, voi lo sapete, è Gesù, noi partecipiamo del suo
sacerdozio. Ed è grazia questa partecipazione. Grazia che ci giunge,
per mezzo del Battesimo, quando si tratta del sacerdozio regale che
ci accomuna a tutti i battezzati, per mezzo del sacro ordine, quando
si tratta del sacerdozio ministeriale, nei suoi tre gradi. Dono del
Padre è il sacerdozio che attiene, non appena alla crescita della
Chiesa, ma alla sua fondazione. Noi, fragili vasi di creta ma
investiti di questo dono, speriamo ardentemente di crescere nello
stupore, per essere stati scelti, alimentiamo la speranza nella
preghiera, affidiamo alla Tuttasanta Maria, alla Madre del Sacerdote
Eterno, speranza, gratitudine, stupore, cammino.
a) Il
primo avvenimento è la ricorrenza del Giubileo Sacerdotale d’oro di
Mons. Carmelo Ferraro che ha servito la nostra Chiesa per un
decennio e che voi ben ricordate con gratitudine. Su questo ho avuto
modo di scrivervi e aspetto le vostre risposte.
b) Il
secondo avvenimento consiste nel fatto che, giorno 9 luglio, a
Tindari, alle 17,00, conferirò il sacramento dell’Ordine, nel grado
del Presbiterato, a don Vincenzo Rigamo, originario di S.Agata
Militello, alunno del nostro Seminario, nel grado del Diaconato a
don Antonio Mancuso, originario di Ficarra, per il quale chiesi e
ottenni l’ospitalità del Seminario di Milano. Il nove luglio è di
sabato e conto moltissimo sulla vostra presenza.
Nel conferimento dell’Ordine i presbiteri, certo, hanno
l’opportunità di riandare alla loro ordinazione ma la loro presenza
ha valenza sacramentale perché, imponendo le mani sul capo
dell’eletto, i sacerdoti l’accolgono nella fraternità presbiterale,
nell’Ordine Sacerdotale.
Vi chiedo poi di proporre e facilitare la partecipazione alla
ordinazione a una qualche rappresentanza della comunità che servite,
segnatamente a quegli adolescenti o giovani o adulti che più acuto
avvertono il bisogno di dare valore alla propria vita impiegandola
per qualcosa di grande e valido. E cosa è più grande che essere
collaboratori di Cristo? Non abbiamo nella nostra anima la
convinzione che servire Dio è regnare? |
Veniamo anche noi con te |
Lettera ai Presbiteri del 14 Ottobre 2005 |
Carissimi,
1. all’inizio del nuovo anno, anno del Signore e, dunque, di
grazia, il Santo Spirito mi suggerisce di richiamare per me e per
voi la pagina conclusiva del Vangelo di Giovanni:
«Dopo questi fatti, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare
di Tiberìade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon
Pietro, Tommaso detto Dì-dimo, Natanaèle di Cana di Galilea, i figli
di Zebedèo e altri due di-scepoli. Disse loro Simon Pietro: "Io vado
a pescare". Gli dissero: "Veniamo anche noi con te". Allora uscirono
e salirono sulla barca; ma in quella notte non presero nulla» (Gv
21,1-3).
Sappiamo bene a quali sono ‘questi fatti’, i fatti a cui si
riferisce Giovanni: la pietra del sepolcro ribaltata; la sconsolata
constatazione che, dopo tanta convivenza con Gesù non avevano ancora
compreso la Scrittura, che egli, cioè, doveva risuscitare dai morti;
il loro mesto ritorno a casa; il pianto di Maria vicino al sepolcro
e il suo impensabile grido, la sua testimonianza: "Ho visto il
Signore"; l’amorevole ritorno di Gesù che si ferma in mezzo a loro e
dice: "Pace a voi!", come il Padre ha mandato me io mando voi,
"Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno
rimessi; la vicenda di Tommaso, uno dei Dodici, che passa
dall’incredulità alla professione di fede nella divina signoria di
Gesù; la proclamazione fatta da Gesù della beatitudine di chi
crederà non per avere visto ma solo sull’autorevolezza della parola
fedele di Dio (cfr. Gv 20 passim).
L’atmosfera, si comprende pure senza acume esegetico, è greve, le
speranze, tutte deluse, fanno apparire la sequela del Maestro un
vacuo scenario di cartapesta.
‘Vado a pescare, dice Pietro’ forse perché non ne può più di
attendere non si sa bene cosa, forse perché il cuore va oltre le
apparenze…
‘Veniamo anche noi con te’ gli fanno eco Tommaso, Giovanni, Gia-como…ed
è la salvezza. Veniamo anche noi e veniamo con te.
Se i discepoli non fossero rimasti uniti e non si fossero mossi
insieme non avrebbero incontrato Gesù, si sarebbero intristiti, si
sarebbero perduti per strada; avrebbero fatto l’esperienza
dell’insignificanza, dell’agitarsi senza costrutto.
E vale sempre, pure per i discepoli che siamo noi. Guai a rimanere
soli, a pensare di agire da soli, a farsi la propria strada,
all’insegna del momento.
Gesù è Dio fattosi carne, concretezza, azione in solidarietà, Dio
che percorre la strada ‘insieme’, che si mette ‘in fila’ come al
Giordano per il Battesimo, come quando a Pietro indica che, come gli
altri, è giusto pagare la tassa.
Insieme; sempre insieme perché sempre da preferire la forma
comunitaria, perché santa, cattolica ed apostolica, la chiesa è
rigorosamente una come uno è Dio, uno è il Redentore Gesù, uno è il
Battesimo, una la Divina Eucaristia ed una è la fede.
2. Aggeo è mandato dal Signore al popolo in una epoca che è,
ad un tempo, carica di guai e aperta alla speranza: il popolo
deportato al tempo di Nabucodonosor, ora, finalmente, per la
politica di Ciro e di Dario, può tornare in Giudea e ricostruire il
Tempio.
A tale costruzione potrà perfino dedicare una quota delle tasse
provenienti dalla popolazione stanziata ‘nell’oltre fiume’.
Ma i problemi non finiscono. Alcuni dei rimpatriati, molto concreti,
argomentano che, impegnati a costruirsi una loro privata abitazione
o a cercare soluzione ad altri problemi vitali, non hanno spazio e
denaro e tempo per dedicarsi al Tempio che, alla fine, può
attendere.
Aggeo che interviene in questo contesto dice: non c’è tempo da
perdere pensate a quello che fate, salite sul monte, portate legno e
ferro.
La sua spinta sarà decisiva e il Tempio risorgerà. La sua parola
infuocata animerà Esdra, il sacerdote, e Neemia il governatore e
popolo si riapproprierà della sua dignità attorno alla Parola di Dio
letta a brani distinti, con spiegazioni ordinate.
Non è difficile vedere punti di contatto con la situazione in cui si
svolge la nostra bella avventura battesimale nell’anno 2005-2006:
molto facile il rimpianto dei tempi andati, comune la sensazione
d’essere all’ultima spiaggia, non mancano i profeti di sventura.
E per di più non siamo chiamati a costruire un tempio di pietre, che
non sarà all’altezza né di quello costruito da Salomone né di quello
costruito da Erode in cui entrerà Gesù, ma il tempio vivo fatto di
per-sone con Gesù a capo, legate dalla legge dell’amore, rispettose
della dignità di tutti, in cammino verso il Regno di Dio su questa
terra e in Paradiso.
Siamo umilmente fiduciosi nella forza della grazia, faremo un bel
cammino illuminati dalla Parola del Signore, contenuta nella Bibbia
e letta nella chiesa e con la chiesa nel concreto delle sue
articolazioni che vanno dal S. Padre, ai vescovi, ai sacerdoti, ai
semplici, ai maestri.
3. Ed ora:
a) Alcune comunicazioni.
- Giorno 16 settembre nel Santuario di Tindari ho ricevuto la
professione religiosa di Sr. Cinzia Ficarra, originaria della
diocesi di Messina e cresciuta da sempre a Capo d’Orlando,
nell’Istituto delle Suore del Bell’Amore.
- Il 16 ottobre farà la professione perpetua nell’Ordine della
Visitazione Sr. Giovanna Francesca Veglianti della nostra diocesi e
già impegnata nella vita amministrativa come sindaco di Castel di
Lucio e come madre di famiglia. Come è vero che il Signore chiama
quando vuole, come vuole, chi vuole!
- Giorno 8 dicembre, solennità della Immacolata Concezione, nella
chiesa di S. Ippolito in Patti, ammetterò tra i candidati al
Sacerdozio Giuseppe Capizzi da Cesarò e Marco Manfrè da Patti.
Sogno il giorno in cui il Seminario si rallegrerà della presenza di
un aspirante al sacerdozio per ognuno dei 42 comuni della diocesi.
Vi pare troppo? Forse che il Signore è in pensione? Noi, forse,
siamo un po’ induriti negli orecchi e nel cuore.
- Giorno 18 dicembre, a S. Stefano di Camastra, istituirò accolito
Salvatore Lipari di quella comunità.
- Nel prossimo anno, in una data che da qui a poco sceglierò,
ordinerò sacerdote don Antonio Mancuso, già diacono, originario di
Ficarra. Don Antonio Mancuso viene da esperienze accumulate nella
scuola e nell’amministrazione della natia Ficarra dove è stato
sindaco più volte.
b) Una proposta. ‘Pregate!’ ci ha detto Gesù. ‘Preghiamo!’ ripeto
io. Satana è impegnato nel impedirci di farci operai del bene e
rendendo vacuo con la vanagloria il bene che riusciamo a fare.
Preghiamo, dunque.
Mi permetto di suggerirvi, prendendoli a prestito dai santi, moti
dell’anima che possono aiutare la nostra preghiera.
Quanto sono beati, quanto sono
felici «quei servi che il Signore, al suo ritorno, troverà ancora
svegli»! (Lc 12,37). Veglia veramente beata quella in cui si è in
attesa di Dio, creatore dell'universo, che tutto riempie e tutto
trascende! Volesse il cielo che il Signore si degnasse di scuotere
anche me, meschino suo servo, dal sonno della mia mediocrità e
accendermi talmente della sua divina carità da farmi divampare del
suo amore sin sopra le stelle, sicché ardessi dal desiderio di
amarlo sempre più, né mai più in me questo fuoco si estinguesse!
Volesse il cielo che i miei meriti fossero così grandi che la mia
lucerna risplendesse continuamente di notte nel tempio del mio Dio,
sì da poter illuminare tutti quelli che entrano nella casa del mio
Signore! Dio Padre, ti prego nel nome del tuo Figlio Gesù Cristo,
donami quella carità che non viene mai meno, perché la mia lucerna
si mantenga sempre accesa, né mai si estingua; arda per me, brilli
per gli altri. Degnati, Gesù, dolcissimo Salvatore, di accendere le
nostre lucerne: brillino continuamente nel tuo tempio e siano
alimentate sempre da te che sei la luce eterna; siano rischiarati
gli angoli oscuri del nostro spirito e fuggano da noi le tenebre del
mondo.
Dona, dunque, o Gesù mio, la tua luce alla mia lucerna, perché al
suo splendore mi si apra il santuario celeste, il santo dei santi,
che sotto le sue volte maestose accoglie te, sacerdote eterno del
sacrificio perenne.
Fa' che io guardi, contempli e desideri solo te; solo te ami e solo
te attenda nel più ardente desiderio. Nella visione dell'amore il
mio desiderio si spenga in te e al tuo cospetto la mia lucerna
continuamente brilli ed arda. Degnati, amato nostro Salvatore, di
mostrarti a noi che bussiamo, perché, conoscendoti, amiamo solo da
te, te solo desideriamo, a te solo pensiamo continuamente, e
meditiamo giorno e notte le tue parole.
Degnati di infonderci un amore così grande, quale si conviene a te
che sei Dio e quale meriti che ti sia reso, perché il tuo amore
pervada tutto il nostro essere interiore e ci faccia completamente
tuoi. In questo modo non saremo capaci d’amare altra cosa
all'infuori di te, che sei eterno, e la nostra carità non potrà
essere estinta dalle molte acque di questo cielo, di questa terra e
di questo mare, come sta scritto: «Le grandi acque non possono
spegnere l'amore» (Ct 8,7).
Possa questo avverarsi per tua grazia, anche per noi, o Signore
nostro Gesù Cristo, a cui sia gloria nei secoli dei secoli. Amen
(San Colombano abate, Istituzioni, la compunzione). |
Il messaggio di San Felice |
Lettera ai Presbiteri dell'11 Novembre
2005 |
Carissimi,
il mese d’ottobre appena finito ha portato alla
Chiesa tutta e alle nostre Chiese di Sicilia in particolare il dono
della canonizzazione di S. Felice da Nicosia.
In rapporto a quest’evento ecclesiale,
±
il 23 ottobre, a
Roma, in piazza S. Pietro, ho concelebrato la S. Messa col Santo
Padre e con i Padri del Sinodo ordinario sull’Eucaristia;
± il 24
ottobre ho partecipato all’Udienza che il Santo Padre ha concesso ai
pellegrini convenuti a Roma per la canonizzazione;
± il 29 ottobre ho partecipato al pellegrinaggio della nostra
diocesi a Nicosia per rendere omaggio al Santo visitando i luoghi
santificati dal passaggio terreno, dall’umiltà, dalla penitenza, in
una parola, dalla testimonianza evangelica di questa autentica
reincarnazione del Poverello d’Assisi in terra siciliana.
Ritengo che possa riuscire di qualche utilità proporvi la breve e
schematica riflessione che, per fraterno invito del vescovo di
Nicosia, ho proposto nella Cattedrale di Nicosia per aiutare i
pellegrini a riflettere sul messaggio che promana da questo Santo
che è passato dalla nostra terra avendo trascorso il suo noviziato
religioso nella nostra Mistretta.
i Caro
Santo,
S. Felice, nostro Santo, nostro S. Felice, eccoci qui, nei
luoghi che sono stati e sono tuoi per:
a) ringraziare, lodare con te la Trinità Santissima. Il Padre che,
con amore ineffabile ti ha creato; il Figlio che ti ha redento
facendosi uomo come noi, come noi fino a morire, a morire in croce;
lo Spirito Santo che ti ha reso strumento docile, trasparenza di
grazia, testimone del Regno, anticipo di quello che vorrebbe fare
con ogni creatura;
b) gioire perché la santa Chiesa, nostra madre, con l’autorevolezza
che le viene dal Pastore Buono ti ha a noi additato ufficialmente
come modello da imitare e intercessore da invocare.
c) ascoltare il messaggio che ci viene dalla tua vita silenziosa,
umile, incandescente d’amore.
j Il
silenzio.
a) Silenzio degli uomini:
* il silenzio impossibile, come vuoto;
* carico di tensione;
* il silenzio della coscienza che, se non ascoltata, si vendica non
parlando oltre;
* il silenzio davanti a Dio: fermatevi e sappiate che io sono Dio;
b) il silenzio vivaio di Dio e spazio per la sua azione: il silenzio
della peccatrice (Lc 7,36-50) e dell’adultera (Gv 8), se tu non mi
parli io sono come chi scende nella fossa;
c) il silenzio dei santi: chi non potrà mai entrare nel mistero
della preghiera dei santi, di S. Felice? E la preghiera si nutre,
cresce nel silenzio;
d) proposto da Gesù:
* Guardatevi dal praticare le vostre buone opere davanti agli
uomini per essere da loro ammirati, altrimenti non avrete ricompensa
presso il Padre vostro che è nei cieli. Quando dunque fai
l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli
ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade per essere lodati dagli
uomini. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa.
Quando invece tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che
fa la tua destra, perché la tua elemosina resti segreta; e il Padre
tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà. Quando pregate, non
siate simili agli ipocriti che amano pregare stando ritti nelle
sinagoghe e negli angoli delle piazze, per essere visti dagli
uomini. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa.
Pregando poi, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di
essere ascoltati a forza di parole (Mt 6,1-7);
e) il silenzio di Gesù:
* il silenzio di Betlemme;
* il lungo nascondimento di Nazaret;
* il silenzio pieno di dignità e di libertà dinanzi a Pilato (Mt
27,15-16) ed Erode (Lc23,9);
* il silenzio pesante e finale della tomba;
f) l’eterno silenzio di Dio: dum medium silentium tenerent omnia
omnipotens sermo tuus.
k Fascino
e valore delle
cose piccole: sono piccole cose mentre non è piccola cosa
essere fedele nelle piccole cose;
* Gesù: i piccoli e il Regno;
* Francesco d’Assisi, la minorità e la perfetta letizia;
* Teresa la piccola e l’amore;
* S. Felice: religioso laico, calzolaio, questuante; obbediente
sempre, fino all’assurdo, all’impossibile, al capriccio degli
uomini.
l La
spiegazione di tutto: sia per l’amore di Dio
L’amore è tutto e tutto si volge in bene per chi ama Dio o, secondo
un’altra lettura, da Dio è amato.
Chi accuserà gli eletti di Dio? Dio giustifica. Chi condannerà?
Cristo Gesù, che è morto, anzi, che è risuscitato, sta alla destra
di Dio e intercede per noi?
Chi ci separerà dunque dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione,
l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la
spada? (Rm 8,33-35).
Ama e fa’ ciò che vuoi perché, se ami, non puoi fare altro che il
bene.
Amare è dare e soffrire.
m S.
Felice da Nicosia
ovvero del silenzio, della minorità e dell’Amore: la lezione del
Padre Amore onnipotente all’uomo sempre, che, tronfio d’albagia e
presunta grandezza, è tentato di dimenticare che:
a) l’uomo, anche quando impone il nome alla terra, è come soffio;
b) egli, Dio, ‘guarda l’umiltà della sua serva, stende la
misericordia di generazione in generazione su quanti lo temono,
spiega la potenza del suo braccio, disperde i superbi, innalza gli
umili (Lc 1,48-52);
c) di una stirpe iniqua terribile è il destino (Sap 3,19). |
Il silenzio e la parola |
Lettera ai Presbiteri del 9 Dicembre 2005 |
Carissimi, il ritiro spirituale e questo numero del Notiziario
Pastorale ci trovano nell’immediata vicinanza del Santo Natale che,
lo sappiamo bene, è la solennità più sentita dell’intero Anno
Liturgico.
0.
Ci preparano
ad esso tradizioni numerose, varie, belle, sentite e ‘inventate’
dallo zelo di chi ci ha preceduto nella vigna del Signore in
contesti diversi ma sempre bisognosi dell’annunzio della Parola,
della celebrazione del mistero cristiano, della testimonianza
diligente e intelligente.
Sappiamo bene che il Natale del Signore e la preparazione ad esso,
rischiano, talvolta almeno, di rimanere asfittici travolti dal
ciclone impetuoso del mercato, dallo spirito esageratamente
festaiolo che poco o punto hanno da dividere col Natale.
Natale è solidarietà.
Natale è purezza di cuore, semplicità, libertà autentica, orecchio
per ciò che vale.
Natale è Dio che si fa uomo.
Natale è “la grazia di Dio, apparsa, apportatrice di salvezza per
tutti gli uomini e che ci insegna a rinnegare l'empietà e i desideri
mondani e a vivere con sobrietà, giustizia e pietà in questo mondo,
nell'attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria
del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo; il quale ha dato se
stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formarsi un
popolo puro che gli appartenga, zelante nelle opere buone” (Cfr Tt
2,11-14).
Natale è Dio che si mette nelle mani della creatura talché Maria,
stringendo al petto il suo Gesù, può dire: “figlio mio, che sei il
mioDio!” e: “Dio mio, che sei mio figlio!” (J. P. Satre).
Natale è Dio che, divenuto uomo, è, in certo modo - lo insegna la
Gaudium et spes - unito ad ogni uomo, base della fondamentale
uguaglianza in dignità, progetto di umanità, campo concreto della
gloria di Dio.
Natale è comunione tra gli uomini richiesta e possibile perché Dio agli
uomini ha esteso la comunione d’amore che Egli è.
La comunione però è, insieme, dono di Dio all’uomo e costruzione
dell’uomo. È esigenza della famiglia umana ed è meta da tenere desta
e raggiungere. È coerente con la natura della persona umana che solo
in relazioni degne ed autentiche nasce, cresce e si esprime ed è da
coltivare faticosamente perché sempre insidiata dall’egoismo.
Se ne parla tanto, forse anche molto. Guai però a confondere le
parole coi fatti. Guai a contentarsi di parlarne. Non può essere
programmata, ma solo in solchi programmati è possibile che si
realizzi.
È impegno della persona che è, cresce, porta frutto se pienamente se
stessa e vive in profonde relazioni con gli altri.
Le relazioni però non s’inventano e non s’improvvisano, si
costruiscono pazientemente, giorno dopo giorno, tra l’altro nel
silenzio.
E mi viene in mente un luogo biblico di lettura tutt’altro che
facile ma che pone in relazione l’azione di Dio e il silenzio:
«Mentre un
profondo silenzio avvolgeva tutte le cose, e la notte era a metà del
suo corso, la tua parola onnipotente dal cielo, dal tuo trono
regale, guerriero implacabile, si lanciò in mezzo a quella terra di
sterminio, portando, come spada affilata, il tuo ordine inesorabile»
(Sap 18,15).
A proposito del silenzio ritengo di fare cosa utile presentandovi
una delle meditazioni del corso d’esercizi che, organizzato dalla
diocesi, si è recentemente svolto ad Acireale.
Non c'è vita comunitaria, in qualunque grado sia vissuta, che sia
possibile senza un'educazione permanente alla comunità. È
indispensabile una disciplina interiore che porti ogni persona alla
libertà del dono di sé; questa è certamente un dono di Dio ma
diventa, allo stesso tempo, una responsabilità di ciascuno e insieme
della comunità. Parliamone ora sotto l'aspetto di silenzio e di
parola.
1. Il silenzio
(far silenzio)
Il silenzio è un atteggiamento che porta al dominio di sé o, meglio,
alla signoria di Dio su di noi. Esso richiede un itinerario, per
ridurre progressivamente a silenzio il nostro io.
a)
Aspetti ed esigenze del silenzio
* Il silenzio fisico. Tacere, non parlare: è l'aspetto esteriore,
d’autocontrollo, d’educazione, d’autodominio.
* Il silenzio biopsichico. Rendere passivo ciò che è istintivo:
- la sensibilità, cioè i sentimenti di simpatia o antipatia, gusto
o disgusto, attrazione o ripulsa, euforia o depressione;
- le tendenze naturali, come l'ira e le sue espressioni di
violenza, l'impazienza, l'ostinazione, la durezza, la rigidezza
temperamentali; la lussuria, perciò si cerca ciò che piace; l'amor
proprio, con l'autosufficienza, la vanità, l'orgoglio, la ricerca
dell'autoaffermazione e del potere dominativo;
- l'affettività, per la quale ci si aggrappa a persone, a cose, a
tradizioni, esperienze...
* il silenzio spirituale:
- dell'intelligenza: sogni e illusioni evasive; raziocinio
dialettico ad oltranza e casistica polemica; pregiudizi e parametri
mentali prefabbricati e acritici; criteri naturali e ideologie
correnti...
- della volontà: interessi personali, immediatismo,
imborghesimento, ripetitività, mediocrità, competitività, pretesa di
emergere, vigliaccheria ...
b) Motivazioni del silenzio
Si deve ascoltare e accogliere:
- ciò che l'altro dice; nel senso fisico dei concetti e delle
parole, in modo da saper ripetere con esattezza quanto ha detto;
- ciò che l'altro vuol dire, dato che si esprime con la sua carica
esistenziale; si deve ascoltarlo e accoglierlo nella sua interiorità
e nella sua storia, col suo carattere e la sua diversità;
- ciò che Dio vuol dire attraverso l'altro, andando di là dalle
sue parole e scoprendo nella profondità quanto non si coglie
immediatamente: è l'ascolto fatto di preghiera e l'accoglienza
dell’altro nella fede in Dio, che parla e si rivela come verità,
bene, giustizia, eccetera; sono valori che si percepiscono solo in
un clima di fede amorosa e disarmata davanti ad un fratello;
- ciò che Dio ci vuol dire per mezzo dell'altro di là dalle sue
intenzioni ed espressioni, per invitarci ad una risposta a Lui, o a
noi stessi, o all'altro (nel senso che ci riesce di capire); è
l'ascolto fatto preghiera che diventa un Sì alla Parola e,
allo stesso tempo, un Sì a quella profondità dell'altro che è
la presenza intima di Dio; è l’ascolto-accoglienza della comunione.
c) Gradi della disciplina (o ascesi del silenzio)
1. Il primo è quello di farsi passivo con il controllo fisico e il
dominio della lingua, per dare spazio alla parola altrui.
2. Il secondo è quello di riconoscere che l'altro può dire qualcosa
di valido, ché nessuno sa tutto; permettere all'altro di comunicare
ciò che può completare e arricchire tutti. Inizia cosi il dialogo
autentico, nella condizione minima d’umiltà, per ascoltare veramente
e accogliere l'altro.
3. Il terzo è quello di fare il vuoto, la pacificazione e la
purificazione interiore, e insieme attivare la capacità di
percezione e di attenzione, per essere in condizione di ascoltare e
di accogliere l'altro con tutto il proprio essere, e così
comprenderlo e accoglierlo nella sua realtà.
4. Il quarto è quello di ascoltare e accogliere Dio che parla
dall'interiorità dell'altro, di là da quello che egli dice e vive
nell'immediato e che è più profondo di quanto lui stesso sia in
grado di capire; ascolto e accoglienza propria del silenzio della
preghiera. Così, ogni rapporto tende a diventare preghiera e lo
stare con altri opportunità di essere più, come persone e figli di
Dio.
5. Il quinto è quello di contemplare Dio e di consentire al suo
invito dando una risposta d'amore a Lui e/o all'altro. Si entra nel
rapporto mistico, vissuto solo nella fede, nella speranza e nella
carità; rapporto ecclesiale perché comunione con Dio e in Dio, cioè
Chiesa.
2. La parola
(offrire la propria parola)
a)
Aspetti ed esigenze della parola da offrire:
1. Pronunciarsi, definirsi, prendere posizione di fronte a qualcosa
o a qualcuno; esporsi, non cedendo alla tentazione di mantenere un
silenzio evasivo, diplomatico, vago, interessato...
2. Dire la verità non accettando la sfida della dialettica,
utilizzata come arma per sconfiggere l'altro.
3. Dire quella verità che edifica l'altro, rendendolo più se stesso
perché più libero.
4. Comunicare l'amore nella verità che si dice, un amore accogliente
che fa emergere il bene dell'altro e lo pone davanti al proprio
bene, anche dove altri non vedono che del male.
5. Dire la parola di fede, che interpreta l'altro nella luce e
nell'amore di Dio, contribuendo allo sviluppo della sua vocazione.
6. Dire la parola di Dio che matura nel silenzio mistico e trasmette
e fonda nell'altro la certezza di essere amato da Dio,
sollecitandolo alla donazione radicale di sé. La parola diventa così
veicolo di comunione, di liberazione e d’amicizia autentica.
b) Gradi della disciplina (o ascesi) della parola da offrire
1. Il primo è quello di vincere gli impedimenti psicologici, prima
esteriori, poi interiori, che ci bloccano.
2. Il secondo è quello d’essere umili accettando anche il rischio di
sbagliare, non lasciandosi opprimere se si sbaglia, ma, al
contrario, trarne profitto, per imparare a parlare con una maggiore
preparazione e precisione.
3. Il terzo è quello d’essere onesti intellettualmente, nella
ricerca della verità, e leali moralmente per comunicare quanto in
coscienza si crede vero e buono, senza sotterfugi o evasioni.
4. Il quarto è quello di ascoltare la parola di Dio, per
interpretare e dire ciò che si crede vero e buono, a edificazione
degli altri.
5. Il quinto è quello dell'amore d’amicizia, per cui si parla più
col silenzio che con la parola, perché questa è diventata
insufficiente ad esprimere quella carica d’amore che, essendo
vissuto nella fede, nella speranza e nella carità, è veicolo
dell'amore di Dio convissuto. Allora, silenzio e parola si
unificano, nella contemplazione.
In conclusione, silenzio e parola sono i canali:
- coi quali si edifica o si distrugge un rapporto o una comunità;
- per mezzo dei quali si esprime o si nasconde la propria
interiorità e quindi si può costruire la comunità;
- attraverso i quali si dà spazio a Dio, lo si comunica agli
altri;
- che permettono di creare:
* l'amicizia come fatto umano;
* la comunione con Dio e in Dio,
* l'unità mistica o la maturità ecclesiale della comunità. |
Qui, oggi il Verbo di Dio |
Lettera ai Presbiteri del 13 Gennaio 2006 |
Carissimi,
1.
sono appena finiti i giorni nei quali, aiutati anche dalle
tradizioni popolari fatte di novene, canti, incontri, sacre
rappresentazioni, poesie ecc. abbiamo contemplato che «quando venne
la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato
sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge,
perché ricevessimo l'adozione a figli» (Gal 4,4-5).
Siamo, dunque, nella condizione migliore per valutare con profitto
il fatto fondante della fede cristiana e cioè che «Dio, che aveva
già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri
per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a
noi per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose e
per mezzo del quale ha fatto anche il mondo» (Eb 1,1).
2. Fatto fondante perché?
a) Il Catechismo di sempre della Chiesa Cattolica indica questo
fatto, Dio che si fa uomo in Gesù, insieme con la passione morte
sepoltura e risurrezione dello stesso Gesù, come mistero
fondamentale della fede, secondo dopo l’Unicità assoluta di Dio
nella Trinità delle Divine Persone.
b) Il Concilio Vaticano Secondo ne parla diffusamente e, seppure
sappiamo bene come, vale sempre la pena riportarlo nel cuore
(ri-cordare!) e, per la grazia del Santo Spirito, nella vita. Mi
scuso pertanto della lunga citazione che, sono certo che ne
convenite, è oltre modo utile.
Origine natura e fine della
rivelazione
Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelarsi in persona e
manifestare il mistero della sua volontà mediante il quale gli
uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, hanno accesso al
Padre nello Spirito Santo e sono resi partecipi della divina natura.
Con questa Rivelazione infatti Dio invisibile nel suo grande amore
parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi, per
invitarli e ammetterli alla comunione con sé. Questa economia della
Rivelazione comprende eventi e parole intimamente connessi, in modo
che le opere, compiute da Dio nella storia della salvezza,
manifestano e rafforzano la dottrina e le realtà significate dalle
parole, mentre le parole proclamano le opere e illustrano il mistero
in esse contenuto. La profonda verità, poi, che questa Rivelazione
manifesta su Dio e sulla salvezza degli uomini, risplende per noi in
Cristo, il quale è insieme il mediatore e la pienezza di tutta
intera la Rivelazione.
Preparazione della Rivelazione evangelica
Dio, che crea e conserva tutte le cose per mezzo del Verbo, offre
agli uomini nelle cose create una perenne testimonianza di sé;
inoltre, volendo aprire la via di una salvezza superiore, fin dal
principio manifestò se stesso ai progenitori. Dopo la loro caduta,
con la promessa della redenzione, li risollevò alla speranza della
salvezza, ed ebbe assidua cura del genere umano, per dare la vita
eterna a tutti coloro i quali cercano la salvezza con la
perseveranza nella pratica del bene. A suo tempo chiamò Abramo, per
fare di lui un gran popolo; dopo i patriarchi ammaestrò questo
popolo per mezzo di Mosè e dei profeti, affinché lo riconoscesse
come il solo Dio vivo e vero, Padre provvido e giusto giudice, e
stesse in attesa del Salvatore promesso, preparando in tal modo
lungo i secoli la via all'Evangelo.
Cristo completa la Rivelazione
Dopo aver a più riprese e in più modi, parlato per mezzo dei
profeti, Dio «alla fine, nei giorni nostri, ha parlato a noi per
mezzo del Figlio». Mandò infatti suo Figlio, cioè il Verbo eterno,
che illumina tutti gli uomini, affinché dimorasse tra gli uomini e
spiegasse loro i segreti di Dio. Gesù Cristo dunque, Verbo fatto
carne, mandato come «uomo agli uomini», «parla le parole di Dio» e
porta a compimento l'opera di salvezza affidatagli dal Padre. Perciò
egli, vedendo il quale si vede anche il Padre, col fatto stesso
della sua presenza e con la manifestazione che fa di sé con le
parole e con le opere, con i segni e con i miracoli, e specialmente
con la sua morte e la sua risurrezione di tra i morti, e infine con
l'invio dello Spirito di verità, compie e completa la Rivelazione e
la corrobora con la testimonianza divina, che cioè Dio è con noi per
liberarci dalle tenebre del peccato e della morte e risuscitarci per
la vita eterna. L'economia cristiana dunque, in quanto è l'Alleanza
nuova e definitiva, non passerà mai, e non è da aspettarsi alcun'altra
Rivelazione pubblica prima della manifestazione gloriosa del Signore
nostro Gesù Cristo.
Accogliere la Rivelazione con fede
A Dio che rivela è dovuta «l'obbedienza della fede» con la quale
l'uomo gli si abbandona interamente e liberamente prestandogli «il
pieno ossequio dell'intelletto e della volontà» e assentendo
volontariamente alla Rivelazione che egli fa. Perché si possa
prestare questa fede, sono necessari la grazia di Dio che previene e
soccorre e gli aiuti interiori dello Spirito Santo, il quale muova
il cuore e lo rivolga a Dio, apra gli occhi dello spirito e dia «a
tutti dolcezza nel consentire e nel credere alla verità». Affinché
poi l’intelligenza della Rivelazione diventi sempre più profonda, lo
stesso Spirito Santo perfeziona continuamente la fede per mezzo dei
suoi doni.
Le verità rivelate
Con la divina Rivelazione Dio volle manifestare e comunicare se
stesso e i decreti eterni della sua volontà riguardo alla salvezza
degli uomini, «per renderli cioè partecipi di quei beni divini, che
trascendono la comprensione della mente umana». Il santo Concilio
professa che «Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere
conosciuto con certezza con il lume naturale dell'umana ragione a
partire dalle cose create»; ma insegna anche che è merito della
Rivelazione divina se «tutto ciò che nelle cose divine non è di per
sé inaccessibile alla umana ragione, può, anche nel presente stato
del genere umano, essere conosciuto da tutti facilmente, con ferma
certezza e senza mescolanza d'errore» (DV 2-6).
c) La Liturgia, eco della stessa
divina parola, commenta e ammonisce:
«Quale grande nazione ha la divinità così vicina a sé, come il
Signore nostro Dio è vicino a noi ogni volta che lo invochiamo? E
qual grande nazione ha leggi e norme giuste come è tutta questa
legislazione che io oggi vi espongo? Guardati, guardati bene dal
dimenticare le cose che i tuoi occhi hanno visto: non ti sfuggano
dal cuore, per tutto il tempo della tua vita. Le insegnerai anche ai
tuoi figli e ai figli dei tuoi figli» (Dt 4,7-10).
3. Cosa fare se Dio si è fatto a noi così vicino?
a) La vita del credente non può che essere caratterizzata da
serena gioia: «cantate
inni al Signore, perché ha fatto cose grandiose, ciò sia noto in
tutta la terra. Gridate giulivi ed esultate, abitanti di Sion,
perché grande in mezzo a voi è il Santo di Israele» (Is
12,5-6) e da calda
speranza: «tutte le genti che si trovano su tutta la terra si
convertiranno e temeranno Dio nella verità. Tutti abbandoneranno i
loro idoli, che li hanno fatti errare nella menzogna, e benediranno
il Dio dei secoli nella giustizia» (Tb 14,6).
b) L’assunzione della responsabilità, nello stesso credente, mette
in gioco mente, cuore, fantasia, attitudini. Tutto, infatti, dipende
da Dio grande nell’amore, generoso e onnipotente, ma egli, il
credente, sa di essere, per il Battesimo, luce, sale, responsabile
del fratello; e del fratello, se la sua fede è autentica, se vuole
onorare Dio, se vuole crescere, non può disinteressarsi, perché
risuona nel suo orecchio la parola profetica «ti ho fatto luce dei
popoli, perché tu porti la mia salvezza sino ai confini della
terra».
4. La parola di Dio e la nostra Chiesa pattese
In coerenza con il Piano Pastorale Diocesano, nella prossima
Quaresima, lo sapete già, la nostra Chiesa sarà impegnata nella
distribuzione della Bibbia alle famiglie: nel nome del Signore,
salviamo questa operazione dalla banalità. Non si tratta di
‘collocare’ delle bibbie.
È la Parola del Signore! È il tesoro della Chiesa! È il miele, il
maglio valido a frantumare il granito impenetrabile della
mediocrità. È il fuoco purificatore. È lo Spirito Creatore che, dal
tronco arido, rinsecchito e buono solo come legna da ardere, può e
vuole suscitare il germoglio novello, il pane che sostenta, il vino
che rallegra il cuore, l’olio che dà splendore. È il collante di cui
si serve lo Spirito per adunare e tenere insieme la Chiesa e
renderla sacramento - segno e strumento - di unità dell’umanità.
È madre, alimento e criterio di verifica della divina consolazione.
È forza che spinge ad uscire da sé per andare ai fratelli, concreta
presenza di Dio, oggi e qui. È l’antidoto per non piangersi addosso
nel vacuo sogno del passato o nell’alienante visione del futuro. È
luce per scoprire Dio nella pieghe del presente per ascoltarlo e
seguirlo.
È lievito e fuoco novello che arriva nelle nostre case, nei nostri
cuori, nelle nostre vite per divenire metro valutativo di pensieri,
parole e azioni, per vivificare il nostro dialogo con Dio stesso,
per rendere impegnata la fede, costante la speranza, operosa la
carità.
5. In pratica
Per i particolari operativi, che qui non prendo in considerazione,
rimando ai momenti nei quali abbiamo analizzato, programmato e
deciso.
a) Propongo di leggere umilmente, lentamente, dolcemente un testo
che conosciamo bene perché ci è proposto dalla
Liturgia delle Ore.
«Benedetto sia Dio che vive in eterno, il suo
regno dura per tutti i secoli. Egli castiga e usa misericordia, fa
scendere fino all'abisso più profondo della terra e fa risalire
dalla grande perdizione, non c'è nulla che sfugga alla sua mano.
Celebratelo, Israeliti, davanti alle nazioni, perché egli vi ha
dispersi in mezzo ad esse,
e qui vi ha fatto vedere la
sua grandezza. Esaltatelo davanti ad ogni vivente, perché egli è il
nostro Signore, il nostro Dio, egli è il nostro Padre, il Dio per
tutti i secoli._
Vi castiga a causa delle vostre iniquità, ma avrà pietà di tutti voi
in mezzo a tutte le nazioni, fra le quali siete stati dispersi.
Quando vi sarete convertiti a lui, con tutto il vostro cuore e con
tutta l'anima per essere sinceri con lui, egli si volgerà verso di
voi e non vi nasconderà più il volto._
Ora considerate ciò che ha operato per voi e celebratelo a piena
voce. Benedite il Signore della giustizia ed esaltate il Re dei
secoli._
Io lo celebro nel mio paese di esilio e annuncio la sua potenza e
grandezza a un popolo di peccatori.
Convertitevi, o peccatori, e operate rettamente in sua presenza.
Chissà che non torni ad amarvi e a farvi misericordia._
Esalto il mio Dio e celebro il Re del cielo ed esulto per la sua
grandezza._
Che tutti lo lodino e gli rendano grazie in Gerusalemme.
Gerusalemme, città santa, Dio ti castigò a causa delle opere dei
tuoi figli, ma avrà di nuovo pietà dei figli dei giusti (Tb
12,2-10).
b) Addito la Vergine che ha
concepito, generato, educato e offerto Gesù a Nazaret, Betlemme e
Gerusalemme per ricordare che ella lo concepisce, genera, educa ed
offre, ancora oggi, ove ci sia qualcuno che cerca, si lascia guidare
ed ascolta.
c) Vi esorto, in forza della partecipazione allo stesso
presbiterio, allo stesso sacerdozio di Gesù, di facilitare la strada
a Dio che passa, ricco di grazia da versare nei fedeli affidati alla
nostra cura.
d) Vi benedico di cuore nel nome della Santa Trinità e della santa
umanità del Redentore del cui sacerdozio partecipiamo, insieme ai
battezzati che vi fanno corona. |
In religioso ascolto
della Parola |
Lettera ai Presbiteri del 10 Febbraio 2006 |
Carissimi,
1.
questo è l’ultimo incontro che il nostro Presbiterio fa prima
dell’inizio della Quaresima che ci preparerà alla Pasqua dell’anno
di grazia 2006.
Quaresima e Pasqua. Anno di Grazia. Preparazione.
Per quanti dei nostri battezzati queste parole hanno senso?
Quanti dei nostri giovani, (nostri perché sono la gioia,
l’occupazione e la preoccupazione delle famiglie che formano
l’ordito delle nostre comunità, perché con noi o coi nostri
confratelli hanno celebrato i sacramenti della iniziazione
cristiana; nostri perché sentiamo di volerne sinceramente il bene,
perché sappiamo che dall’eternità sono oggetto dell’amore della
Trinità Santissima), quelli che affollano i muretti, le palestre, le
scuole, i cantieri dei nostri paesi hanno idea che la vita cristiana
è cammino che esige impegno, che si verifica in tappe, di cui fanno
parte la Quaresima e la Pasqua, quella del calendario, in vista
della Pasqua eterna che è vita, pienezza di gioia?
E scadenze, ripresa, verifica, per quanti, pure tra quelli che
frequentano le nostre assemblea domenicali, hanno senso?
2. Il
punto di domanda non deve indurre a considerazioni pessimistiche ma
a sano ottimismo e ad efficace impegno perché se esso, il punto di
domanda, può essere cambiato con le parole del salmo ‘Come potrà
un giovane tenere pura la sua via?’ lo stesso salmo ci appronta
la risposta: ‘Custodendo le tue parole’ (Sal 119,9-10).
Stando così le cose,
a) per noi stessi interiorizziamo il seguito del salmo che
innumerevoli volte abbiamo fatto nostra nell’ora liturgica media:
«Con tutto il cuore ti cerco: non farmi deviare dai tuoi precetti._
Conservo nel cuore le tue parole per non offenderti con il peccato._
Benedetto sei tu, Signore; mostrami il tuo volere._
Con le mie labbra ho enumerato tutti i giudizi della tua bocca._
Nel seguire i tuoi ordini è la mia gioia più che in ogni altro bene.
Voglio meditare i tuoi comandamenti, considerare le tue vie._
Nella tua volontà è la mia gioia; mai dimenticherò la tua parola» (Sal
119,8-16);
b) per gli altri di tutte le stagioni della vita occorre che ci
diamo da fare perché conoscano pure ‘le sue parole, le cerchino, per
trovarvi gioia, per riprenderle, senza stanchezza, con umile
disponibilità’.
3. In
questa prospettiva l’impegno della nostra chiesa pattese nella
operazione che si incentra sulla Bibbia e che, nei giorni della
Quaresima, arriva al suo culmine.
Non ho bisogno di dirvi quanto vi sia grato per la disponibilità
docile che state esplicando: la nostra diocesi, pur con mille
limiti, in conclusione, resta affascinata e attratta all’azione da
«tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato,
che è virtù e merita lode» perché «tutto questo è oggetto dei suoi
vostri pensieri» (Fil 4,8).
4.
L’approccio con la Parola di Dio, ovviamente, non si esplica e
conclude nella lettura attenta di un salmo o di parte di esso. Esso
esige metodo, costanza, umiltà, ecclesialità, preghiera. Cose tutte
che possono contare sulla preghiera di Gesù.
A titolo d’esempio facciamoci discepoli dell'insegnamento sulla
preghiera che si concentra nella lunga narrazione della Cena, in
specie nei capitoli 14-16, e 17 del vangelo di Giovanni.
Prima Gesù rivela che Lui è la Via e la Verità e la Vita, e si va al
Padre solo mediante Lui (Gv 14,6) e che quanto i discepoli
chiederanno al Padre nel Nome suo sarà concesso (Gv 14,13). Egli
stesso, di più, concederà tutto (Gv 14,14). Poi inizia la grande
rivelazione sullo Spirito Santo attraverso varie grandi promesse:
Il Padre è l'unico Principio dello Spirito Santo (Gv 15,26).
Egli solo può quindi darlo ai discepoli del Figlio, tuttavia il
Figlio ha una funzione decisiva in questo, non solo perché il Padre
invia lo Spirito Santo solo in forza della preghiera del Figlio, ma
anche perché anche il Figlio prende l'iniziativa in questo invio.
Gesù conclude la Cena con la preghiera (Gv 17,1-26) che la
tradizione, da sempre, riconosce come sacerdotale.
La preghiera di Gesù visibilmente procede per gradi, per tre
avanzamenti:
a) Gesù prega per se stesso, per riavere la gloria di cui godeva
dall'eternità, per donare la Vita eterna a chi conoscerà il Padre e
che il Padre inviò il Figlio.
b) Gesù, poi, prega per i discepoli che debbono proseguire la sua
opera sacerdotale con l'annuncio della Parola divina, affinché siano
custoditi, siano una realtà unica, come il Padre e il Figlio abbiano
la pienezza della gioia, siano santificati per la Verità.
c) E, infine, Gesù prega il Padre per quanti crederanno in Lui per
la sua Parola portata da questi discepoli presenti, affinché anche
essi siano una realtà unica; per questo riceveranno dal Padre la
gloria di Gesù stesso. Inoltre, Gesù prega affinché questi fedeli
stiano dove sta Lui, nella contemplazione della divina Gloria. Anche
a questi Gesù farà conoscere il Nome divino del Padre, affinché
l'amore del Padre per il Figlio sia anche in essi e Gesù stesso stia
in essi.
5. Confratelli carissimi, niente ho scritto che voi non sappiate già. Ho
scritto per suggerire ancora che, con la nostra “operazione Bibbia”,
siamo al cuore della vita della Chiesa e per pregustare con voi il
giorno felice, giorno ‘albo lapillo signando’, in cui i nostri
battezzati, nutriti della Santa Parola, sentiranno propria
l’indicazione del salmo dal quale ha preso l’abbrivo la pagina che
vi sta davanti.
Penso di fare cosa utile riproponendovi il capitolo sesto della
Dei Verbum.
21. La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto
per il Corpo stesso di Cristo, non mancando mai, soprattutto nella
sacra liturgia, di nutrirsi del pane di vita dalla mensa sia della
Parola di Dio che del Corpo di Cristo, e di porgerlo ai fedeli.
Insieme con la sacra Tradizione, ha sempre considerato e considera
le divine Scritture come la regola suprema della
propria fede; esse infatti, ispirate come sono da Dio e redatte
una volta per sempre, comunicano immutabilmente la parola di Dio
stesso e fanno risuonare nelle parole dei profeti e degli apostoli
la voce dello Spirito Santo. È necessario dunque che la predicazione
ecclesiastica, come la stessa religione cristiana, sia nutrita e
regolata dalla sacra Scrittura.
Nei libri sacri, infatti, il Padre che è nei cieli viene con molta
amorevolezza incontro ai suoi figli ed entra in conversazione con
essi; nella parola di Dio poi è insita tanta efficacia e potenza, da
essere sostegno e vigore della Chiesa, e per i figli della Chiesa la
forza della loro fede, il nutrimento dell'anima, la sorgente pura e
perenne della vita spirituale. Perciò si deve riferire per
eccellenza alla sacra Scrittura ciò che è stato detto: «viva ed
efficace è la parola di Dio» (Eb 4,12), «che ha il potere di
edificare e dare l'eredità con tutti i santificati» (At 20,32; cfr
1Ts 2,13).
Necessità di traduzioni appropriate e corrette
22. È necessario che i fedeli abbiano largo accesso alla sacra
Scrittura. (…)
Impegno apostolico degli studiosi
23. La sposa del Verbo incarnato, la Chiesa, ammaestrata dallo
Spirito Santo, si preoccupa di raggiungere un’intelligenza sempre
più profonda delle sacre Scritture, per poter nutrire di continuo i
suoi figli con le divine parole; perciò a ragione favorisce anche lo
studio dei santi Padri d'Oriente e d'Occidente e delle sacre
liturgie. Gli esegeti cattolici poi, e gli altri cultori di sacra
teologia, collaborando insieme con zelo, si adoperino affinché,
sotto la vigilanza del sacro magistero, studino e spieghino con gli
opportuni sussidi le divine Lettere, in modo che il più gran numero
possibile di ministri della divina parola siano in grado di offrire
con frutto al popolo di Dio l'alimento delle Scritture, che illumina
la mente, corrobora le volontà e accende i cuori degli uomini
all'amore di Dio.
Il Concilio incoraggia i figli della Chiesa che coltivano le scienze
bibliche, affinché, con energie sempre rinnovate, continuino fino in
fondo il lavoro felicemente intrapreso con un ardore totale e
secondo il senso della Chiesa.
Importanza della sacra Scrittura per la teologia
24. La sacra teologia si basa come su un fondamento perenne sulla
parola di Dio scritta, inseparabile dalla sacra Tradizione; in essa
vigorosamente si consolida e si ringiovanisce sempre, scrutando alla
luce della fede ogni verità racchiusa nel mistero di Cristo. Le
sacre Scritture contengono la parola di Dio e, perché ispirate, sono
veramente parola di Dio, sia dunque lo studio delle sacre pagine
come l'anima della sacra teologia.
Anche il ministero della parola, cioè la predicazione pastorale, la
catechesi e ogni tipo d’istruzione cristiana, nella quale l'omelia
liturgica deve avere un posto privilegiato, trova in questa stessa
parola della Scrittura un sano nutrimento e un santo vigore.
Si raccomanda la lettura della sacra Scrittura
25. Perciò è necessario che tutti i chierici, principalmente i
sacerdoti e quanti, come i diaconi o i catechisti, attendono
legittimamente al ministero della parola, conservino un contatto
continuo con le Scritture mediante una lettura spirituale assidua e
uno studio accurato, affinché non diventi «un vano predicatore della
parola di Dio all'esterno colui che non l'ascolta dentro di sé»,
mentre deve partecipare ai fedeli a lui affidati le sovrabbondanti
ricchezze della parola divina, specialmente nella sacra liturgia.
Parimenti il santo Concilio esorta con ardore e insistenza tutti i
fedeli, soprattutto i religiosi, ad apprendere «la sublime scienza
di Gesù Cristo» (Fil 3,8) con la frequente lettura delle divine
Scritture. «L'ignoranza delle Scritture, infatti, è ignoranza di
Cristo».
Si accostino essi volentieri al sacro testo, sia per mezzo della
sacra liturgia, che è impregnata di parole divine, sia mediante la
pia lettura, sia per mezzo delle iniziative adatte a tale scopo e
d’altri sussidi, che con l'approvazione e a cura dei pastori della
Chiesa, lodevolmente oggi si diffondono ovunque.
Si ricordino però che la lettura della sacra Scrittura dev'essere
accompagnata dalla preghiera, affinché si stabilisca il dialogo tra
Dio e l'uomo; poiché «quando preghiamo, parliamo con lui; lui
ascoltiamo, quando leggiamo gli oracoli divini».
Compete ai vescovi, «depositari della dottrina apostolica»,
ammaestrare opportunamente i fedeli loro affidati sul retto uso dei
libri divini, in modo particolare del Nuovo Testamento e in primo
luogo dei Vangeli, grazie a traduzioni dei sacri testi; queste
devono essere corredate delle note necessarie e veramente
sufficienti, affinché i figli della Chiesa si familiarizzino con
sicurezza e profitto con le sacre Scritture e si imbevano del loro
spirito. Inoltre, siano preparate edizioni della sacra Scrittura
fornite d’idonee annotazioni, ad uso anche dei non cristiani e
adattate alla loro situazione; sia i pastori d'anime, sia i
cristiani di qualsiasi stato avranno cura di diffonderle con zelo e
prudenza.
Conclusione
26. In tal modo dunque, con la lettura e lo studio dei sacri libri
«la parola di Dio compia la sua corsa e sia glorificata» (2Ts 3,1),
e il tesoro della rivelazione, affidato alla Chiesa, riempia sempre
più il cuore degli uomini.
Come dall'assidua frequenza del mistero eucaristico si accresce la
vita della Chiesa, così è lecito sperare nuovo impulso alla vita
spirituale dalla cresciuta venerazione per la Parola di Dio, che
«permane in eterno» (Is 40,8; cfr. 1Pt 1,23-25).
6.
Quanto ho fin qui scritto, ne sono certo, vi trova d’accordo.
Per la sua traduzione in termini operativi e concretezza, oltre che
raccomandarvi zelo nel seguire l’attività nelle piccole comunità, vi
propongo di utilizzare la nostra bella tradizione per la quale in
ogni parrocchia ci si prepara alla solennità pasquale e animando
anche le varie categorie (scuole, confraternite, associazioni,
movimenti, gruppi, club, circoli culturali ecc.) secondo le
opportunità offerte o da suscitare.
Una traccia da sviluppare, utilizzando anche i moderni strumenti
telematici, potrebbe essere quella contenuta nel quinterno La
BIBBIA “In principio…” con cui inizia la nostra Bibbia, quella
che io consegnerò a voi e che voi, nel modo ripetutamente
illustrato, consegnerete alle famiglie.
Quella traccia si articola così:
Ø
Introduzione.
Ø
Contenuto.
Ø
In
dialogo.
Ø
Il
Nuovo Testamento.
Ø
La
struttura della Bibbia.
Ø
Una
proposta di lettura.
Resta, ovviamente, che la grazia del Santo Spirito che vi abita per
il Battesimo, la Confermazione, la Divina Eucaristia, il Sacro
Ordine, la Penitenza celebrata come penitenti e come ministri, la
meditazione quotidiana, zelo, personale preparazione e, da non
sottovalutare, conoscenza delle concrete situazioni suggeriranno ad
ognuno articolazioni e metodologie altre. |
Il cammino
quaresimale |
Lettera ai Presbiteri del 10 Marzo 2006 |
Carissimi,
1.
questo numero del Notiziario ci trova all’inizio del cammino
quaresimale che ci accompagnerà fino al triduo santo della Pasqua.
Tempo forte per lo spirito per il quale non c’è presentazione
migliore di quella elaborata dai testi liturgici.
a) Un prefazio che, dopo la ben nota introduzione, presenta:
* la scansione temporale, irrinunciabile per noi uomini che
pensiamo sempre in termini di spazio e di tempo, dell’azione di Dio:
ogni anno tu doni ai tuoi fedeli,
* la caratteristica fondamentale della stessa azione di Dio con la
creatura: tu doni;
* i beneficiari del dono e la loro caratteristica: i fedeli
purificati nello spirito;
* la meta della preparazione: partecipare ai misteri della
redenzione, raggiungere la pienezza della vita nuova in
Cristo tuo Figlio, che è come dire la celebrazione del Signore
morto e risorto;
* il modo della partecipazione: con gioia, purificati nello
spirito;
* la collaborazione dei fedeli: assiduità nella preghiera e
nella carità operosa.
Lo ripropongo nella sua unità:
«Ogni anno, tu doni ai tuoi fedeli, di prepararsi con gioia,
purificati nello spirito, alla celebrazione della Pasqua, perché
assidui nella preghiera e nella carità operosa raggiungano la
pienezza della vita nuova in Cristo tuo Figlio».
b) La proposta del Lezionario.
La parola di Dio, parte essenziale della liturgia, è proposta
divisa in cicli di due anni, (I e II), per i giorni feriali, e di
tre anni, (A B C), per i giorni festivi. La schematizzazione è
finalizzata alla presentazione di tutta la Bibbia in un periodo
ragionevolmente breve. Per il periodo quaresimale, si può utilizzare
sempre il ciclo A, per il fatto che è il più collaudato essendo già
utilizzato in epoca patristica, e per il fatto che è il più adatto
al cammino catecumenale proposto a chi si prepara a ricevere il
Battesimo e riproposto a chi, già battezzato, intende rivitalizzare
l’adesione al vangelo.
2.
Presento velocemente le tematiche di questo ciclo che, per comodità,
chiamo battesimale.
a) Gesù vero uomo, tentato perfino, nella 1^ domenica.
b) Gesù trasfigurato che si mostra, vale a dire, vero Dio,
nella 2^ domenica.
c) La vita di Dio donata a noi e spiegata nella sua
preziosità con i paragoni dell’acqua, della luce e della situazione
di morte e di vita rispettivamente nelle domeniche 3^, 4^ e 5^ coi
brani evangelici che riportano l’incontro di Gesù con la donna di
Samaria che va ad attingere acqua al pozzo di Sicàr, la guarigione
dell’uomo cieco fin dalla nascita e la risurrezione di Lazzaro,
l’amico di Gesù, già cadavere di quattro giorni.
d) La preparazione culmina nella Settimana Santa che fa
rivivere la morte e risurrezione di Gesù.
3.
Rivivere non significa solo ricordare, rappresentare, magari
vivacemente.
Significa, invece, che il nostro Signore si è fatto uomo, come noi,
fino a morire, perché noi possiamo essere, come lui, fino a
risorgere, scendendo nell’acqua del Battesimo, come nel sepolcro del
Signore, e uscendo dalla stessa acqua, com’è uscito lui il Signore.
Significa che fede è davvero «fondamento delle cose che si sperano e
prova di quelle che non si vedono» (Eb 11,1) e cioè il visibile di
ciò che, in viaggio verso il Padre, ancora non siamo in grado di
vedere, la garanzia, l’anticipo, la caparra di quello che il
progetto amoroso del Padre ci ha assegnato.
4.
Dato che il cammino quaresimale è catecumenale, può riuscire utile
tenerlo presente nelle sue linee essenziali. La segmentazione è
utile per l’individuazione di altrettanti temi di meditazione e
predicazione.
a) Riti per fare i catecumeni:
preghiere, / gesti come: segni di croce / e l’imposizione delle
mani sui catecumeni, / esorcismi.
b) Riti per il catecumenato:
preghiere e gesti come per fari i catecumeni, più una
serrata istruzione sui rudimenti della fede.
c) Riti dell’illuminazione:
preghiere preparatorie, / la benedizione del fonte, / il
battesimo con le unzioni prima e dopo, / la confermazione / e
l’accesso al Convito eucaristico; / gli altri sacramenti.
d) Tempo della mistagogia:
insistenza e approfondimento delle realtà divine e
dell’iniziazione ricevuta.
5.
Mi auguro per la Chiesa e, in essa, per la nostra Chiesa pattese,
l’adempimento generoso di una delle preghiere che qualificano il
cammino quaresimale:
«Concedi, Signore, alla tua Chiesa di prepararsi interiormente alla
celebrazione della Pasqua, perché il comune impegno nella
mortificazione corporale porti a tutti noi un vero rinnovamento
dello spirito»
(Colletta per il
venerdì della 1^ settim. di Quaresima).
6.
Non posso ignorare i due importanti appuntamenti sui quali la nostra
Chiesa pone tanto d’attesa e di fiducia.
a) Il primo appuntamento è per giorno 25 del corrente mese.
A Tindari consegnerò la ‘nostra’ Bibbia ai parroci. La
coincidenza con la solennità dell’Annunciazione del Signore è stata
provvidenzialmente voluta dal Consiglio Presbiterale: il Verbo ha
posto la sua, tra le nostre case, in Maria nostra madre che la
grazia del Santo Spirito ha reso discepola fervida e fattiva, madre
forte ed amorosa, sorella attenta e premurosa. Lo stesso Spirito
porta il Verbo qui ed oggi e vuole agire in noi. In noi vuole
creare le stesse condizioni d’accoglienza.
b) Il Giovedì Santo è per noi appuntamento bello, santo,
sentito più d’ogni altro: questo è già dono di Dio, effetto della
fine sensibilità sacerdotale del nostro Presbiterio.
Per i due appuntamenti vi chiedo preghiera, coinvolgimento,
partecipazione.
Entrambi gli appuntamenti ci vedranno a Tindari.
Per il Giovedì Santo coinvolgete quanti più potete e, in modo
particolare, quanti nel corso dell’anno hanno ricevuto o riceveranno
la Cresima. |
…il Verbo si fece
carne e dimorò tra noi |
Omelia a Tindari, 25 marzo
2006, per la Consegna della Bibbia |
1. Grazie
a) Perché, per essere qui, avete superato difficoltà varie e
numerose.
b) Per il cammino che, con me e con la chiesa pattese tutta, avete
intrapreso per conto vostro e come guide dei fratelli oggetto delle
vostre cure pastorali. Parlo, voi lo capite, del cammino
catecumenale nella tappa kerigmatica, la prima, culminata nella
costituzione delle piccole comunità che qui a Tindari, l’anno
scorso, da voi guidate, hanno esemplarmente pellegrinato, nella
tappa precatecumenale, la seconda, che ci vedrà radunati attorno
alla fede e alla persona di Gesù, ci vede attorno alla Bibbia e
culminerà nella celebrazione del Sinodo Diocesano, nella tappa
catecumenale, la terza, che ci vedrà prendere vitalmente a cuore la
vita della chiesa con la valorizzazione di tutti i carismi e
culminerà nel Congresso Eucaristico Diocesano. Vi rimuneri
l’Onnipotente.
2. Al centro di tutto l’iniziativa generosa del Padre
Le rispose l'angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te
stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo». Allora Maria
disse: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che
hai detto». E l'angelo partì da lei. (Lc1,35.38)._Il
Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; noi vedemmo
la sua gloria, gloria come d’unigenito dal Padre, pieno di grazia e
di verità
(Gv 1,14). Siamo nella casa di Maria, e Maria è, già realizzato, il
progetto che Dio ha su tutta l’umanità; e Maria è parte viva della
Chiesa.
3. È tutto ma c’è una storia
Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in
diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente,
in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha
costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto
anche il mondo
(Eb 1,1-2).
a) Una storia della quale facciamo parte
È la storia della salvezza che, iniziata dall’eternità nel cuore di
Dio, continua, oggi, con noi e ci interpella. ‘O
voi tutti assetati venite all'acqua, chi non ha denaro venga
ugualmente; comprate e mangiate senza denaro e, senza spesa, vino e
latte. Perché spendete denaro per ciò che non è pane, il
vostro patrimonio per ciò che non sazia? Su, ascoltatemi e mangerete
cose buone e gusterete cibi succulenti.
Porgete l'orecchio e venite a me,
ascoltate e voi vivrete. Io stabilirò per voi un'alleanza eterna, i
favori assicurati a Davide.
b) che esige impegno
L'empio abbandoni la sua via e l'uomo iniquo i suoi pensieri;
ritorni al Signore che avrà misericordia di lui e al nostro Dio che
largamente perdona. Perché i miei pensieri non sono i vostri
pensieri, le vostre vie non sono le mie vie – oracolo del Signore
c) porterà frutto per la grazia di Dio
Ecco, verranno giorni,– dice il Signore Dio – in cui manderò la fame
nel paese, non fame di pane, né sete di acqua, ma d'ascoltare la
parola del Signore
(Passim Is 55,1-11). (
d) come possono testimoniare i santi di tutti i tempi
Quando le tue parole mi vennero incontro, le divorai con avidità; la
tua parola fu la gioia e la letizia del mio cuore, perché io portavo
il tuo nome, Signore, Dio degli eserciti
(Ger 15,16).
Mi disse: «Figlio dell'uomo, mangia ciò che hai davanti, mangia
questo rotolo, poi va' e parla alla casa d'Israele».
Io aprii la bocca ed egli mi fece mangiare quel rotolo,
dicendomi: «Figlio dell'uomo, nutri il ventre e riempi le viscere
con questo rotolo che ti porgo». Io lo mangiai e fu per la mia bocca
dolce come il miele (Ez 2,8-3,3).
e) come la grazia magnanima di Dio, sempre da capo, dona di
esperimentare
Poi la voce che avevo udito dal cielo mi parlò di nuovo: «Va’,
prendi il libro aperto dalla mano dell’angelo, che sta ritto sul
mare e sulla terra». Allora mi avvicinai all'angelo e lo
pregai di darmi il piccolo libro. Ed egli mi disse: «Prendilo e
divoralo; ti riempirà di amarezza le viscere, ma in bocca ti sarà
dolce come il miele».
Presi quel piccolo libro dalla mano dell'angelo e lo divorai; in
bocca lo sentii dolce come il miele, ma come l’ebbi inghiottito ne
sentii nelle viscere tutta l'amarezza (Ap 10,8-10).
4. L’esperienza dei santi raggiunge il culmine nei discepoli del
Signore
Sono essi che, trovandosi tra il Signore e quelli “che anzi
procedettero secondo l’ostinazione del loro cuore malvagio e invece
di voltargli la faccia gli hanno voltato le spalle (Ger 7,24)”, con
Pietro, esperimentano il brivido di trovarsi sull’orlo del
precipizio dal quale si liberano attaccandosi sinceramente,
consapevolmente, gioiosamente al Maestro, dicono: «Signore, da chi
andremo? Tu hai parole di vita eterna;
noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio» (Gv
6,68).
5. Una grazia singolare: il Verbo fatto carne tra noi
Fratelli, la nostra chiesa è destinataria di un’esperienza di grazia
singolare: oggi è affidata a noi la Bibbia perché, da oggi in poi,
nei modi di cui tante volte abbiamo parlato, raggiunga tutti. Non
occorre che ripeta quanto della ‘nostra Bibbia’ abbiamo ascoltato
nei primi due giorni di assemblea. A sintesi vi dirò che lessi,
tempo fa, un’elegia, nata nel centro Europa, nell’ambiente dei
Kassidim.
L’autore immagina di vedere un gruppo di ebrei in amara fuga,
braccati dalla follia nazista. La morte non potrebbe essere meglio
raffigurata di come la rappresentano i volti di quei fuggiaschi
scavati dall’ansia, dalla paura e dalle privazioni. Eppure, dice il
poeta, quei poveracci rifioriranno, hanno con sé la radice della
speranza e della vita perché i loro mantelli sfilacciati e sporchi
nascondono il rotolo della Torah. Piccola chiesa, la nostra ha gravi
e numerose povertà; ma non temiamo.
Dio che si è promesso vicino a chi lo cerca con cuore sincero, ci
parla, oltre che nelle cose e negli avvenimenti, in modo più
specifico, con la sua Parola che oggi c’è dato di accogliere. Essa è
germe. Essa, come acqua, non passerà senza effetto. La sua Parola
entrerà nelle nostre famiglie ed egli animerà in noi la ‘speranza
che è piena d’immortalità’ (Sap 3,4) e renderà operosa la carità e
Patti, la nostra chiesa di Patti, ‘rinnoverà come aquila la sua
giovinezza’ (Sal 103,5). E si parlerà del
Signore alla generazione che viene; e annunzieranno la sua
giustizia; al popolo che nascerà diranno:«Ecco l'opera del Signore!»
(Sal 22,31-32)._
Natan, a Davide che aveva manifestato il desiderio di costruire un
tempio, una casa per il Signore, rispose «Fa' quanto desideri in
cuor tuo, perché Dio è con te». Ora in quella medesima notte fu
rivolta a Natan questa parola di Dio:_Va'
a riferire a Davide mio servo: Dice il Signore: Tu non mi costruirai
la casa per la mia dimora. Il Signore ha intenzione di costruire a
te una casa.
Allora il re Davide, presentatosi al Signore, disse: «Chi sono io,
Signore Dio, e che cos'è la mia casa perché tu mi abbia condotto fin
qui?
Come può pretendere Davide di aggiungere qualcosa alla tua gloria?
Tu conosci il tuo servo. Signore, per amore del tuo servo e secondo
il tuo cuore hai compiuto quest'opera straordinaria per manifestare
tutte le tue meraviglie.
Signore, non esiste uno simile a te e non c'è Dio fuori di te, come
abbiamo sentito con i nostri orecchi. Tu, Signore, sei stato il loro
Dio.
Ora, Signore, la parola che hai pronunciata sul tuo servo e sulla
sua famiglia resti sempre verace; fa' come hai detto._Sia
saldo e sia sempre magnificato il tuo nome! Pertanto ti piaccia di
benedire la casa del tuo servo perché sussista per sempre davanti a
te, poiché quanto tu benedici è sempre benedetto» (Passim 1Cr
17,2-27).
Con la mia benedizione ed il mio augurio. |
Lo
Spirito del Signore su di me |
Omelia a Tindari, 13 aprile
2006, per la
Messa Crismale |
1. Ed
eccoci al Giovedì Santo. «È un miracolo della bontà di Dio quello di
far sentire solidali nella celebrazione e fondere nell’unità della
fede lontani e vicini, presenti e assenti» (cfr. S. Atanasio,
Lettere Pasquali).
2. In
questa celebrazione, santa tra tutte, invoco lo Spirito del Signore
per essere capace di un canto d’amore. Vorrei potere dire «effonde
il mio cuore liete parole, io canto al re il mio poema. La mia
lingua è stilo di scriba veloce».
Lo desidero per me e per voi che rappresentate l’intera Chiesa
pattese nostra madre. Lo farò brevemente «sapendo che voi siete
pieni di Dio» (cfr. S. Ignazio d’Antiochia,
Ad Magnesios).
E lo farò dicendo a questa amata Chiesa: «allarga lo spazio della
tua tenda» (Is 54,2), osa, non temere. La tua piccolezza calamìta lo
sguardo del Padre. E vedono i giusti e ne gioiscono e ogni iniquo
chiude la bocca. Chi è saggio osservi queste cose e comprenderà la
bontà del Signore (cfr
Sal 106,
42-43).
a) Radunati nella casa di Maria, a Lei voglio, per prima, cantare.
So di essere dissono per i molti e vari limiti; grato e forte, però,
per la vostra partecipazione, oso dirle cantando: «Offri, tu, beata
perché hai creduto, offri da capo per noi, il Figlio, Unigenito del
Padre e tuo; offri colui nel quale anche noi siamo offerti, offri il
prezzo del nostro riscatto». E mentre, con voi, canto a Maria nella
sua casa, ricordo che casa di Dio «siamo noi se conserviamo la
libertà e la speranza di cui ci vantiamo» (Eb
3,6).
b) E voglio, sempre vostro fratello, per l’unico battessimo, fatto
padre per l’ordine sacro, cantare a lui, a Gesù, «a colui che ci
ama, ci ha liberato dai nostri peccati con il suo sangue,
che ha
fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre, che è
l’Alfa e l’Omega» (cfr
Ap
1,5-8).
Preso dallo stupore che origina l’interrogativo ‘chi è questo re di
gloria?’ voglio dirgli: «Tu sei il più bello tra i figli dell’uomo,
sulle tue labbra è diffusa la grazia, ti ha benedetto Dio per
sempre. Cingi, prode, la spada al tuo fianco, nello splendore della
tua maestà ti arrida la sorte, avanza, per la verità, la mitezza e
la giustizia.
La tua
destra ti mostri prodigi. Il tuo trono, Dio, dura per sempre; ed è
scettro giusto lo scettro del tuo regno. Le tue vesti sono tutte
mirra, aloe e cassia, dai palazzi d'avorio ti allietano le cetre».
Con e per Gesù, con la forza del Santo Spirito, il canto mio e
vostro è al Padre. E il canto, lo desidero ardentemente, illumini
questa nostra vita così ricca di superfluo e così povera
dell’essenziale.
c) E si rivolge il mio canto alla Chiesa di Patti nostra, chiamata
ad essere ‘profezia di giovinezza’ per tutti:
«Ascolta, figlia, guarda, porgi l'orecchio, dimentica il tuo popolo
e la casa di tuo padre; al re piacerà la tua bellezza. Egli è il tuo
Signore: prostrati a lui.
«Tu, figlia del re, sei tutta splendore, gemme e tessuto d'oro è il
tuo vestito. Sei presentata al re in preziosi ricami; con te le
vergini compagne sono condotte;
guidate
in gioia ed esultanza, entrano insieme nel palazzo del re» (dal
Sal 45).
Cantiamo, fratelli, cantiamo alla nostra Chiesa e con essa. Molti,
troppi sono tristi, forse perché nessuno ha trasmesso la certezza:
«Ecco
infatti io creo nuovi cieli e nuova terra; non si ricorderà più il
passato, non verrà più in mente,
poiché
si godrà e si gioirà sempre di quello che sto per creare, e farò di
Gerusalemme una gioia, del suo popolo un gaudio» (Is
65,17-18).
Per quel che mi riguarda testimonio che ogni contatto con la nostra
Chiesa - mi riferisco a tutti gli incontri che ho la grazia di avere
- con la consolazione che mi dà, rafforza la mia fede, e motiva la
mia speranza.
3. Il
nostro canto sarà gradito a Dio, alla Vergine nostra sorella nella
peregrinazione della fede se, non contenti di assaporarne la
melodia, faremo di esso una ben orchestrata armonia e, cioè, una
manifestazione del nostro essere chiesa.
In essa tutte le voci sono preziose, belle, utili, necessarie e
indispensabili se ne faremo un unico armonico canto: all’unità del
sacrificio, del sacerdozio e del popolo di Dio.
a)
Unità del sacrificio.
Unico è il sacrificio dell’economia definitiva della salvezza ed è
quello che Cristo ha offerto di sé sul Calvario.
Per noi - distanti per spazio e tempo e che del tempo e dello spazio
non possiamo fare a meno per capire, parlare, agire - l’inesauribile
fantasia dell’amore divino ha disposto i segni sacramentali del pane
e del vino per unirci a quell’unico sacrificio.
«La prima alleanza aveva un santuario nel quale norme meticolose
regolavano il ripetersi dei sacrifici cultuali.
«Lo Spirito Santo mostrava che non era ancora il tempo del
sacrificio vero.
«Cristo invece, venuto come sommo sacerdote dei beni futuri,
attraverso una tenda più grande e più perfetta, non costruita da
mano di uomo, cioè non appartenente a questa creazione,
entrò
una volta per sempre nel santuario non con sangue di capri e di
vitelli, ma con il proprio sangue, dopo averci ottenuto la
redenzione eterna.
Per
questo egli è mediatore di una nuova alleanza.
«Come è stabilito che gli uomini muoiano una sola volta, dopo di che
viene il giudizio, così Cristo, dopo essersi offerto una volta per
tutte allo scopo di togliere i peccati di molti, apparirà una
seconda volta, senza alcuna relazione col peccato, a coloro che
l’aspettano per la loro salvezza» (da
Eb
9,1-28).
Come non pensare a Giovanni Crisostomo che canta con accenti
ineguagliabili le sue labbra imporporate dal sangue dell’agnello
divino? Dinanzi al mistero dell’acqua e del sangue usciti dal
costato di Gesù squarciato dal soldato, ammonisce: non andare avanti
troppo in fretta, guarda, medita, prega, fa’ tuo quel sangue.
b)
Unità del sacerdozio.
Unico è il sacerdozio, quello di Cristo vero uomo e vero Dio; egli
lo partecipa a tutti i battezzati, per la regalità, la profezia e la
santificazione di tutta la realtà; e lo partecipa, col sacramento
dell’Ordine Sacro, nel triplice grado dell’Episcopato nella
pienezza, del Presbiterato, per la collaborazione, e del Diaconato,
quale immagine vivente di lui venuto non per essere servito ma per
servire. E questo sacerdozio Dio ha dato a noi!
Cantiamogli:
«Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio. Sei tu il mio Signore, senza
di te non ho alcun bene».
Per i santi, che sono sulla terra, uomini nobili, è tutto il mio
amore. Si affrettino altri a costruire idoli: io non spanderò le
loro librazioni di sangue, né pronunzierò con le mie labbra i loro
nomi.
E testimoniamo:
il Signore è
mia parte d’eredità e mio calice: nelle tue mani è la mia vita.
Per me è magnifica l’eredità. Benedico il Signore che mi ha dato
consiglio. Io ho sempre innanzi il Signore, egli sta alla mia destra
e io non posso vacillare._
E ancora a lui con umile gratitudine diciamo:
di questo
gioisce il mio cuore, esulta la mia anima; e il mio corpo riposa al
sicuro, non abbandonerai la mia vita nel sepolcro, né lascerai che
io veda la corruzione. Mi indicherai il sentiero della vita, gioia
piena nella tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra (Sal
16).
c)
Unità del popolo di Dio.
Unico è il popolo del Signore che, Crocifisso, ha fatto unità tra
cielo e terra e dei due un solo popolo.
Ha affidato a tutti la stessa Eucaristia, lo stesso Sacerdozio, la
stessa missione, la stessa unica Parola, memoria delle meraviglie da
Lui operate, luce, calore, forza e progetto per quelle che ancora
opera fino alla fine del mondo senza mai dare fondo alla sua
capacità di meraviglie sempre nuove per l’avvento della civiltà
dell’amore, nella quale avviene la realizzazione di sé e in
proporzione del dono di sé.
Con il mio augurio e la mia benedizione.
>> Foto della liturgia |
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