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LA CATECHESI DEL VESCOVO
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Sitit sitiri Deus |
Omelia a Tindari, 29 aprile
2006, per il conferimento dell'Ordine Sacro
del Diaconato a Salvatore Lipari e del Presbiterato a don Antonio
Mancuso |
1. Il Santo Spirito è con noi imprevedibile.
È certo segno dell’imprevedibilità dell’amore di Dio la chiamata di
Salvatore e, più ancora, di Antonio. Meno di 10 anni fa egli, eletto
dai suoi concittadini, amministrava Ficarra; oggi grato e confuso,
gioioso e trepidante, eletto da Cristo Signore, nella mia persona di
vescovo della Chiesa, si accinge ad altro tipo di servizio,
circondato da altro tipo di consenso dei familiari, degli amici, dei
già colleghi, della chiesa intera. Come è vero che il Signore è
fuori dei nostri schemi e viene non percorrendo autostrade ma, come
canta il salmo,
‘sul
mare passa la sua via, i suoi sentieri sulle grandi acque le tue
orme rimangono invisibili’ e chiama chi vuole, come vuole, quando
vuole. Molta è la messe. Noi vediamo solo crisi e dimentichiamo il
solenne canto della Veglia Pasquale: Cristo ieri e oggi. Principio e
fine. Alfa e Omega. A lui appartengono il tempo e i secoli. A lui la
gloria e il potere per tutti i secoli.
2. Il Santo Spirito è provvido.
È segno della sua provvidenza:
a) l’incontro con una persona e la possibilità di intravederne la
storia personale, la ricchezza e varietà, il fiorire e la risposta
alla vocazione. E questo che vale sempre, oggi ci riguarda per d.
Salvatore Lipari da S. Stefano di Camastra, e don Antonio Mancuso da
Ficarra, che pervengono ad una tappa significativa del loro cammino
umano e cristiano e nel senso specificamente ovvio per questa nostra
assemblea.
b) (È segno della sua provvidenza:) la proclamazione della santa
Parola propria della III domenica di Pasqua: «II Dio d’Abramo,
d’Isacco e di Giacobbe, il Dio dei nostri padri ha glorificato il
suo servo Gesù, che voi avete consegnato e rinnegato di fronte a
Pilato; (…) Ora, fratelli, io so che voi avete agito per ignoranza,
così come i vostri capi; Dio però ha adempiuto così ciò che aveva
annunziato per bocca di tutti i profeti, che cioè il suo Cristo
sarebbe morto. Pentitevi dunque e cambiate vita, perché siano
cancellati i vostri peccati» (At 3,13-17).
In sintesi, abbiamo peccato, siamo peccatori: verità non soggetta a
discussioni; se, appena, consentiamo di tenere gli occhi della mente
sulla verità.
3. Peccatori come siamo:
a) abbiamo bisogno di un sommo sacerdote santo, innocente, senza
macchia, separato dai peccatori ed elevato sopra i cieli;
che
non ha bisogno ogni giorno, come gli altri sommi sacerdoti, di
offrire sacrifici prima per i propri peccati e poi per quelli del
popolo, poiché egli ha fatto questo una volta per tutte, offrendo se
stesso (Eb 7,26-27);
b) questo grande sacerdote l’abbiamo, è Gesù che ha attraversato i
cieli; è Gesù, Figlio di Dio, che sa compatire le nostre infermità (Eb
4,14-15).
4. L’amore di Dio.
Come parlarne? Come cantarne in modo apprezzabilmente accettabile?
L’attività di Gesù sacerdote si svolge nel tempo e nello spazio come
è nella natura dell’uomo ed egli è Dio fatto uomo, Dio in mezzo a
noi.
Per quelli che siamo venuti e per quelli che verranno fuori del suo
tempo e in altro spazio egli ha partecipato il suo sacerdozio a
tutti i battezzati per la consacrazione di tutta realtà, a quelli
che specificamente chiamiamo sacerdoti, per la predicazione e per
l’amministrazione dei sacramenti, nel triplice grado
dell’episcopato, del presbiterato e del diaconato.
Dalla predicazione della parola, dall’amministrazione dei
sacramenti, l’edificazione della comunità, della Chiesa, del corpo
santo di Cristo.
5. Qui, qui l’identità del sacerdozio.
Questo il dono che la chiesa sa preziosissimo. Questo il dono che
partecipo a don Salvatore Lipari e a don Antonio Mancuso oggi, nel
Santuario della Madonna Nera, vero centro della diocesi pattese.
Assemblea santa, amici e figli carissimi, sostiamo insieme in grata
adorazione. Dando e ricevendo questo dono non possiamo non andare
con la mente, ad alcune almeno, delle condizioni nelle quali il dono
troverà la sua esplicitazione.
a) ‘Tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa,
c'erano anche alcuni Greci.
Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsaida di Galilea, e
gli chiesero: «Signore, vogliamo vedere Gesù» (Gv 12, 20-21).
Sì, incontrerete fratelli che con i linguaggi più diversi vi diranno
‘vogliamo vedere Gesù’. Per questi fratelli, Antonio dovrai essere
in grado di rendere operante la promessa del Signore: ‘Lo sazierò di
lunghi giorni e gli mostrerò la mia salvezza’.
Per questi fratelli dovrai sapere
dire:
Cristo è morto per nostri peccati ed è risorto per la nostra
salvezza. Noi che, per la fede e per il battesimo, siamo una cosa
con lui, moriremo e risorgeremo con lui con l’ovvia esigenza di
vivere da risorti.
b) Molti, troppi, forse, sono tristi. Forse, perché nessuno ha
trasmesso: «Ecco infatti io creo nuovi cieli e nuova terra; non si
ricorderà più il passato, non verrà più in mente,
poiché si godrà e si gioirà
sempre di quello che sto per creare, e farò di Gerusalemme una
gioia, del suo popolo un gaudio» (Is 65,17-18).r
Tu, don Antonio, dovrai saperlo di dire. Concretamente.
Realisticamente. Senti il Maestro, anzi guardalo. Egli annunziava
loro la parola. Si recarono da lui con un paralitico portato da
quattro persone.
Non potendo però
portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto
nel punto dov’egli si trovava e, fatta un'apertura, calarono il
lettuccio su cui giaceva il paralitico.
Gesù,
vista la loro fede, disse al paralitico: «Figliolo, ti sono rimessi
i tuoi peccati». Quegli si alzò, prese il suo lettuccio e se n’andò
in presenza di tutti e tutti si meravigliarono e lodavano Dio
dicendo: «Non abbiamo mai visto nulla di simile!» (Mc 2,3-5.12).
Tu non parlerai del perdono; tu, in nome di Dio, darai il perdono;
ed è cosa del tutto diversa; e con la gioia nel cuore, cantando i
fratelli ti diranno: «Non abbiamo mai visto nulla di simile!»
c) Molti dicono: chi ci farà vedere il bene? Tu dovrai essere
attrezzato per testimoniare che il Signore ha messo più gioia nel
tuo cuore di quando abbondano vino e frumento. E che egli solo, il
Signore, al sicuro ti fa riposare (cfr. Sal 4,8-9).
d) Ogni creatura vuole, ha bisogno di essere amata e d’amare: noi
sappiamo che l’Amore esiste, ha parlato, è entrato nella storia, ha
una storia. Tu dovrai mettere a disposizione dei fratelli la gioia
del ruolo che ti è dato che consiste nel custodire le parole del
Signore, nell’esperimentare la dolcezza di essere a lui vicini,
nell’abitare i suoi atri e nel sapere che ci sazieremo dei beni
della sua casa (cfr. Sal 64).
Grande il dono e, dunque, grandemente delicato.
La vita divina che c’è data nello Spirito: o è condivisa, o non è
secondo lo Spirito; consiste nel
camminare
insieme verso la santità;
fermarsi, accontentarsi (non camminare) è morire; pensare di
camminare da soli è illusione blasfema, avere altra meta che non sia
la santità è fuorviante.
6.
Quando dunque ebbe lavato loro i piedi e riprese le vesti, sedette
di nuovo e disse loro: «Sapete ciò che vi ho fatto? Voi mi chiamate
Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono.
Se dunque io, il Signore e
il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i
piedi gli uni gli altri.
Vi ho dato infatti
l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi.
In
verità, in verità vi dico: un servo non è più grande del suo
padrone, né un apostolo è più grande di chi lo ha mandato. Sapendo
queste cose, sarete beati se le metterete in pratica».
Gesù, dunque, si propone Signore e Maestro da imitare. Da imitare
servo che lava i piedi.
C’è da guardare, riflettere, meditare, pregare, decidere, agire.
Gesù, vero Dio e vero uomo, si pone al servizio dei discepoli;
questi devono essere a servizio della Chiesa; con essa, i discepoli,
devono servire gli uomini.
E il servizio consiste nel proporre loro, con l’esempio un modo di
vivere alternativo a quello largamente presente attorno a noi
pasciuto di sensualità, impregnato di egoismo, si esalta nel potere,
semina morte nei cuori, nelle famiglie, nella società, tra i popoli.
Di tale servizio gli uomini hanno bisogno ma non lo sanno. Lo
sappiamo noi cui è giunto l’amore del Padre, noi illuminati da
Cristo, noi fortificati dal Santo Spirito. A noi spetta:
a) testimoniare che ‘Cristo è risuscitato dai morti, primizia di
coloro che sono morti.
Poiché se a causa di un
uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione
dei morti;
e
come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in
Cristo’ (1Cor 15,20-22);
b) coinvolgere nel canto gioioso e nel servizio ‘poiché l’amore di
Cristo ci spinge, al pensiero che uno è morto per tutti e quindi
tutti sono morti. Ed egli è morto per tutti, perché quelli che
vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e
risuscitato per loro’(2 Cor 5, 14-15);
_
c) proiettare nella vivificante speranza che ‘se quando eravamo
nemici, siamo stati riconciliati con Dio, per mezzo della morte del
Figlio suo, molto più ora che siamo riconciliati, saremo salvati
mediante la sua vita. Non solo, ma ci gloriamo pure in Dio, per
mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, dal quale ora abbiamo ottenuto
la riconciliazione’ (Rm 5,10-11).
7.
Fratelli amatissimi, mi accingo ad imporre le mani a d. Antonio e a
d. Salvatore pieno di gioia, di trepidazione e di santa speranza.
Mi sostiene la tensione orante di cui vibra questa santa assemblea.
La vostra vicinanza, fratelli sacerdoti, mi fortifica. Con me, voi
imporrete le mani sul capo del presbitero novello; voi lo
accetterete nel nostro ordine; voi con la vostra presenza orante
sostenete lui e me.
E mi sostiene la presenza di così bella rappresentanza della nostra
chiesa pattese che, lo sento, fa memoria della fedeltà del Signore e
dichiara la propria fedeltà. La presenza, poi, di tanti giovani dà
sostanza alla gioia serena con cui guardiamo al futuro in generale e
della nostra chiesa, in specie. Tra i giovani che sono qui e tra
quelli che qui non hanno potuto essere, sono tanti quelli che non si
limitano a guardare al bello, al buono che fanno gli altri,
all’impegno di donazione totale che assumono questa sera d. Antonio
e d. Salvatore.
Grazie, giovani virgulti della Chiesa di Benedetto, Cono, Nicola,
Febronia, Pietro, Lorenzo.
Ascoltate e prendete coraggio dalla professione di gioiosa fedeltà
dei miei fratelli sacerdoti e fatela vostra: ‘Ho detto a Dio: «Sei
tu il mio Signore, senza di te non ho alcun bene». Si affrettino
altri a costruire idoli. Il Signore è mia parte d’eredità e mio
calice: nelle tue mani è la mia vita. Per me la sorte è caduta su
luoghi deliziosi, è magnifica la mia eredità. Io pongo sempre
innanzi a me il Signore, sta alla mia destra, non posso vacillare.Mi
indicherai il sentiero della vita, gioia piena nella tua presenza,
dolcezza senza fine alla tua destra’ (dal Sal 16). |
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Dopo aver cantato l'inno, uscirono verso il monte degli ulivi |
Lettera ai Presbiteri del 10
Giugno 2006 |
1.
L’anno liturgico, con la solennità della Pentecoste, ha portato a
compimento la presentazione del mistero nascosto da sempre in Dio e
ora rivelato in Gesù: Dio è entusiasta del mondo, è animato da un
pregiudizio favorevole all’uomo che ne anima l’attività creatrice
prima e di recupero poi.
Dio non si contenta di volere genericamente il bene dell’uomo. Egli
con l’uomo vuole condividere la sua pienezza di vita. Raffigurandoci
la vita divina come un banchetto festivo - l’immagine proviene da
Gesù - possiamo dire che Dio vuole l’uomo commensale a questo
banchetto.
La condivisione della festa di Dio, da parte dell’uomo, comprende
che Dio condivida tutto dell’umanità.
E sarà bene tenere sempre viva la parola di Paolo che, con poche
pennellate, dice l’indicibile: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti
che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina,
non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma
spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo
simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (Fil
2, 5-8).
A noi fa velo l’abitudine ma i primi discepoli trovavano indegno che
Dio entrasse nell’orizzonte umano comparendo, per di più, non in una
terra celebrata Gerico, per esempio, o Hebron, Gerusalemme, Galgala,
Meghiddo, ma nell’oscura Nazaret ignota, quasi alla Legge, ai
Profeti e agli Scritti.
Dio condivide la sorte dell’uomo, Dio con l’uomo solidale, questa è
la porta della salvezza: “per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato
il nome che è al di sopra d’ogni altro nome; perché
nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e
sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a
gloria di Dio Padre” (Fil 2, 9-11). E notiamo che di fatti si
tratta non di parole.
La fede cristiana non è un bel racconto, una bella interpretazione.
Gesù affida l’opera sua e l’opera dei suoi allo Spirito. E lo
Spirito è Creatore, intensità, concretezza, luce di verità, fuoco
che modella, vento che, smuovendo, anima ciò che è stagnante e senza
vita.
“La mia vita è infiammata” testimoniava Caterina da Siena. Ed è lo
Spirito che, se attraversa una vita, la infiamma. Giovani che
trascinano la vita per inventarsi bravate, anziani impegnati a
‘passare il tempo’ senza curiosità, senza interesse, maestri
demotivati, discepoli inviati e divenuti sale che non condisce, luce
spenta, rannicchiata sotto il moggio sono il contrario della vita
animata dallo Spirito.
2.
Portato a termine il mistero cristiano nella sua interezza, lo
stesso anno liturgico, nel cosiddetto tempo ordinario, presenta
aspetti particolari dello stesso mistero cristiano e, cioè, della
vita di Cristo che entra in comunione affettiva ed effettiva con
l’uomo.
In questa luce la celebrazione delle solennità della Santissima
Trinità, del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo e del Sacratissimo
Cuore di Gesù.
3. La
fede del popolo fedele, che sente molto questo aspetto del mistero
cristiano ed ha molto arricchito quest’ultima celebrazione, ha la
sua radice nella parola di Gesù. Per aiutarci ad imitare il popolo
cristiano, iniziamo con il rinnovato ascolto del racconto
evangelico.
“Il traditore, disse: «Rabbi, sono forse io?». Gli rispose: «Tu
l'hai detto».
Ora, mentre
essi mangiavano, Gesù prese il pane e, pronunziata la benedizione,
lo spezzò e lo diede ai discepoli dicendo: «Prendete e mangiate;
questo è il mio corpo». Poi prese il calice e, dopo aver reso
grazie, lo diede loro, dicendo: «Bevetene tutti,
perché
questo è il mio sangue dell'alleanza, versato per molti, in
remissione dei peccati.
Io vi dico
che da ora non berrò più di questo frutto della vite fino al giorno
in cui lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio». E dopo aver
cantato l'inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.” (Mt 26,
25-30)
Stando alle indicazioni della raccolta delle tradizioni ebraiche che
va sotto il nome di Mishnah, l’inno cui fa riferimento il testo
evangelico è:
Alleluia. Lodate, servi del Signore, lodate il nome del Signore._
Sia benedetto il nome del Signore, ora e sempre._
Dal sorgere del sole al suo tramonto sia lodato il nome del Signore._
Su tutti i popoli eccelso è il Signore, più alta dei cieli è la sua
gloria.
Chi è pari al Signore nostro Dio che siede nell'alto.
e si china a guadare nei cieli e sulla terra?_
Solleva l'indigente dalla polvere, dall'immondizia rialza il povero,_
per farlo sedere tra i principi, tra i principi del suo popolo._
Fa abitare la sterile nella sua casa quale madre gioiosa di figli
(Sal
113).
Il Talmud asserisce che, durante la cena pasquale, dalle case degli
ebrei esce un respiro di lode che, superati i tetti, giunge fino al
cielo: “La Pasqua - dice - è saporosa come l’oliva e l’Hallel
oltrepassa i tetti delle case per giungere il trono di Dio”.
Bello il respiro di lode e appropriata la fragranza dell’olio
evocati e noi utilmente ce ne approprieremo facendo nostri i
sentimenti di Gesù ogni volta che mangiamo di questo pane e beviamo
a questo calice.
4.
Gesù, morto per la nostra salvezza, gloriosamente risorto e asceso
al cielo, nell’attesa della sua venuta, si affida alla Chiesa.
Affida, poi, a noi sacerdoti, la presidenza dell’assemblea, di
parlare e agire come se fossimo lui, fatti partecipi in modo del
tutto particolare del suo sacerdozio.
Da qui derivano il dovere, la gioia, la responsabilità, l’impegno,
il compito d’essere consonanti con lui. E tale consonanza, che va
ben oltre una generica devozione e attenzione, non si improvvisa.
San Girolamo, a lode di Nepoziano, nella Lettera ad Eliodoro,
scrive che con la lettura e la meditazione assidue aveva fatto del
suo petto la biblioteca di Cristo.
Basta qui che richiami, sintetizzando al massimo, l’insegnamento
costante, peraltro ben conosciuto, dei maestri di spirito.
* Sii sacrificio e sacerdote di Dio.
* Rivestiti della stola della santità.
* Cingiti della cintura della castità.
* Sia Cristo velo sulla tua testa.
* Stia la croce a baluardo sulla tua fronte.
* Apponi al tuo petto il sacramento della scienza divina.
* Brucia sempre il profumo della sacra orazione.
* Afferra la spada dello spirito.
* Fa’ del tuo cuore un altare e offri così sicuro il tuo corpo
vittima a Dio.
* Offri la fede, in modo che sia punita ogni perfidia e brilli la
santità della vita.
5.
Senza altro intento che quello di accendere il desiderio di bere a
qualcosa che scuota il velo dell’assuefazione, che può giocare
qualche brutto scherzo al fervore che ci deve animare quando ci
accostiamo all’altare, riporto un brano ben noto dell’Imitazione
di Cristo:
«
Cap. 8 - L’oblazione di Cristo e la nostra
Il Signore
1. Con le braccia stese sulla croce, tutto nudo il corpo, io
offersi liberamente me stesso a Dio Padre, per i tuoi peccati,
cosicché nulla fosse in me che non si trasformasse interamente in
sacrificio, per placare Iddio.
Allo stesso modo anche tu devi offrire a me volontariamente te
stesso, con tutte le tue forze e con tutto il tuo slancio, dal più
profondo del cuore, in oblazione pura e santa.
Che cosa posso io desiderare da te più di questo, che tu cerchi di
offrirti a me interamente?
Qualunque cosa tu mi dia, fuor che te stesso, l'ho per un nulla,
perché io non cerco il tuo dono, ma te.
2. Come non ti basterebbe avere tutto, all'infuori di me, così
neppure a me potrebbe piacere qualunque cosa tu mi dessi, senza
l'offerta di te.
Offriti a me; da’ te stesso totalmente a Dio: così l'oblazione sarà
gradita.
Ecco, io mi offersi tutto al Padre, per te; diedi persino tutto il
mio corpo e il mio sangue in cibo, perché io potessi essere tutto
tuo e perché tu fossi sempre con me.
Se tu, invece, resterai chiuso in te, senza offrire volontariamente
te stesso secondo la mia volontà, l'offerta non sarebbe piena e la
nostra unione non sarebbe perfetta.
Perché, se vuoi giungere alla vera libertà e avere la mia grazia,
ogni tuo atto deve essere preceduto dalla piena offerta di te stesso
nelle mani di Dio.
Proprio per questo sono così pochi coloro che raggiungono la luce e
l'interiore libertà, perché non sanno rinnegare totalmente se
stessi.
Immutabili sono le mie parole: se uno non avrà rinunciato a «tutto,
non potrà essere mio discepolo» (Lc 14, 33).
Tu, dunque, se vuoi essere mio discepolo, offriti a me con tutto il
cuore.
Cap. 9 - Dobbiamo offrire a Dio noi e le nostre cose
e pregare per tutti
Il Discepolo
1. Tue sono tutte le cose, o Signore, quelle del cielo e quelle
della terra: a te voglio, liberamente, offrire me stesso e restare
tuo per sempre. O Signore, con cuore sincero, oggi io mi dono a te
in perpetuo servizio, in obbedienza e in sacrificio di lode perenne.
Accettami, insieme con questa offerta santa del tuo corpo prezioso,
che io - alla presenza e con l’assistenza invisibile degli angeli -
ora ti faccio, per la mia salvezza e per la salvezza di tutto il tuo
popolo.
2. O Signore, sull'altare della tua espiazione offro a te tutti i
miei peccati e le colpe da me commesse al cospetto tuo e dei tuoi
santi angeli, dal giorno in cui fui capace di peccare fino ad oggi;
affinché tutto tu accenda e consumi nel fuoco del tuo amore,
cancellando ogni macchia dei miei peccati; affinché tu purifichi la
mia coscienza da ogni colpa, affinché tu mi ridia la tua grazia, che
ho perduta col peccato, tutto perdonando e misericordiosamente
accogliendomi nel bacio della pace.
3. Che posso io fare per i miei peccati, se non confessarli
umilmente nel pianto e pregare senza posa per avere la tua
intercessione?
Ti scongiuro, dammi benevolo ascolto, mentre mi pongo dinanzi a te,
o mio Dio.
Grande disgusto io provo per tutti i miei peccati; non voglio più
commetterne, anzi di essi mi dolgo e mi dorrò per tutta la vita,
pronto a fare penitenza e, per quanto io possa, a pagare per essi.
Rimetti, o Signore, rimetti i miei peccati, per il tuo santo nome:
salva l'anima mia, che tu hai redenta con il tuo sangue prezioso.
Ecco, io mi affido alla tua misericordia; mi metto nelle tue mani.
Opera tu con me secondo la tua bontà, non secondo la mia perfidia e
la mia iniquità.
4. Anche tutto quello che ho di buono, per quanto sia molto poco e
imperfetto, lo offro a te, affinché tu lo perfezioni e lo
santifichi; affinché ti sia gradito e tu voglia accettarlo,
accrescendone il valore, affinché tu voglia portarmi - inoperoso e
inutile piccolo uomo, qual sono - ad un termine beato e glorioso.
5. Offro parimenti a te tutti i buoni desideri delle persone
devote e le necessità dei parenti e degli amici, dei fratelli e
delle sorelle, di tutti i miei cari e di coloro che per amor tuo,
fecero del bene a me o ad altri; infine di tutte le persone - quelle
ancora in vita e quelle che già hanno lasciato questo mondo - che da
me desiderarono e chiesero preghiere e sante Messe, per loro e per
tutti i loro cari.
Che tutti sentano venire sopra di sé l'aiuto della tua grazia,
l'abbondanza della consolazione, la protezione dai pericoli, la
liberazione dalle pene! Che tutti, liberati da ogni male, ti rendano
in letizia grazie solenni.
6. Ancora, e in modo speciale, ti offro preghiere e sacrifici
d’espiazione per quelli che mi hanno fatto qualche torto, mi hanno
cagionato dolore, mi hanno calunniato o recato danno, mi hanno messo
in difficoltà; e anche per tutti quelli ai quali io ho dato talora
motivo di tristezza e di turbamento, di dolore o di scandalo, con
parole o con fatti, consciamente oppure no, affinché tu perdoni
parimenti a tutti noi i nostri peccati e le offese vicendevoli.
O Signore, strappa dai nostri cuori ogni sospetto, ogni sdegno, ogni
collera, ogni contesa e tutto ciò che possa ferire la carità e
affievolire l'amore fraterno.
Abbi compassione, o Signore, di noi che imploriamo la tua
misericordia; concedi la tua grazia a noi che ne abbiamo bisogno; fa
che noi siamo fatti degni di godere della tua grazia e che possiamo
avanzare verso la vita eterna.».
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Sappiamo
in Chi abbiamo posto la nostra speranza |
Lettera ai Presbiteri del 13
Ottobre 2006 |
Carissimi,
1. il mese d’ottobre, per consolidata, condivisa
e ovvia tradizione, ci vede impegnati a ‘riprendere’ le attività
dopo la pausa estiva.
Vale per l’attività agricola, vale per il mondo scolastico con il
coinvolgimento di tutte le famiglie e vale per l’attività pastorale.
Essa ci coinvolge tutti in forza del solo Battesimo.
Ogni dono, infatti, è da Dio ed è per servire perché il talento
della fede che comprende la misericordia di Dio, la speranza della
risurrezione e di pienezza, la luce sul senso della vita, del
lavorare, del soffrire, dell’amare, non può essere tenuto
egoisticamente per sé stessi, ma dev’essere testimoniato, messo a
frutto, convertito in azioni.
2. Nel contesto di ‘ripresa’, penso che possa giovare la
proposta di riflessione di un intellettuale del quale vi sarà
capitato di leggere nei quotidiani.
Diffidate di
coloro che, quando proponete loro un piano di grande respiro dicono:
“non si può”.
È gente morta dentro, che preferisce continuare la sua vita pigra,
egoista, oppure, che non vuole che voi riusciate perché teme il
vostro successo. Quante volte ho incontrato persone di questo genere
nella mia vita.
Ricordo un rettore che voleva tenere tutto immobile, un direttore
che distruggeva i suoi migliori collaboratori per malvagità e decine
di invidiosi che mi consigliavano di rinunciare “per il mio bene”.
Invece se hai un progetto fondato sui bisogni reali, sulle esigenze
dell’industria, sulla domanda dei consumatori, per quanto appaia a
prima vista impossibile, puoi realizzarlo. Sempre.
Mi viene in mente F. De Lesseps, l’ingegnere francese che ha
realizzato il taglio del Canale di Suez.
Un canale che univa il Mediterraneo all’Oceano Indiano c’era sotto i
faraoni, c’era durante l’Impero romano, poi era stato coperto dalle
sabbie. Era assurdo che nell’Ottocento, in pieno sviluppo
industriale, si continuasse a circumnavigare l’Africa. Eppure quanti
ostacoli, difficoltà, ostracismi gli furono fatti! Alla fine vinse,
morì povero, la sua statua è stata abbattuta da nazionalisti
fanatici egiziani ma il canale esiste.
Ma per riuscire in una impresa devi crederci fino in fondo,
prodigarti fino in fondo, convincere gli altri e non farti deviare
dalla meta.
Troverai sempre qualcuno che ti propone una strada più facile, già
battuta, più sicura.
Invece no, se vuoi creare qualcosa di nuovo e di utile non devi mai
imitare, non devi fare mai quello che gli altri hanno già fatto.
E devi allontanare chi ti dissuade, i pessimisti, i pigri, i
dubbiosi e tenere fisso lo sguardo sullo scopo.
Infine devi dimenticarti di te stesso, considerarti solo un mezzo,
non un fine.
Allora vincerai, perché la gente capirà che lo fai non per te ma per
loro. È incredibile la forza che nasce dal disinteresse.
3.
Noi non siamo chiamati a costruire il canale di Suez e nemmanco
quella araba fenice del ponte tra Cariddi e Scilla. Siamo chiamati a
fare giungere la lettera del Padre ai suoi figli talvolta colpevoli
e talaltra vittime della loro distrazione.
Siamo chiamati ad aiutare le comunità, di cui facciamo parte e al
cui servizio siamo posti, a passare da massa indistinta a popolo.
Popolo consapevole, articolato, responsabile, in crescita.
Siamo chiamati ad aiutarci ed aiutare a proporre e realizzare un
modello di vita e di società alternativo a quello largamente diffuso
che, partendo dall’egoismo, dal profitto, dal culto incondizionato
del proprio particulare, genera i mostri che si chiamano guerra,
razzismo, arricchimento, spregio della persona.
Siamo chiamati a fare in modo che la Bibbia largamente diffusa
divenga criterio di valutazione di parole, pensieri e comportamenti
e, più ancora, tramite privilegiato per conoscere Gesù il suo amore,
lo splendore della sua gloria, la novità del suo modo di essere, per
rendere persuasi che nessuno ha parlato come lui, l’unico che ha
parole di vita eterna.
Pure le nostre carni possono esperimentare i morsi dello sconforto.
Pure noi possiamo essere tentati di dare spazio ai profeti di
sventura.
Pure noi.
Noi però sappiamo in Chi abbiamo posto la nostra speranza, siamo
educati ai tempi lunghi della maturazione umana e della pedagogia
divina, abbiamo sentito risuonare confortante dentro di noi la
parola del Signore “altri semina e altri miete, mi troveranno pure
quelli che non mi cercavano”.
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Venne ad abitare in mezzo
a noi |
Lettera ai Presbiteri del 10 Novembre 2006 |
Carissimi,
1. volge al termine l'anno liturgico 2006 e, con l’Avvento,
avrà inizio il nuovo anno Domini, il 2007^ a partu Virginis,
reparatae salutis. Ho elencato tre modi differenti che la tradizione
cristiana ha utilizzato per esprimere lo stupore esperimentato
dinanzi all’annunzio dell’unico fatto autenticamente nuovo, capace
di recuperare la vita dal non senso, di indicarne il valore, di
additare la destinazione del viaggio che ogni uomo intraprende
appena giunto su questa terra.
I pagani
avvertivano tale viaggio come marcia inesorabile verso la morte,
verso il nulla. E la morte poteva pure apparire bella in quanto
liberazione dai limiti che costellano le stagioni della vita, ma
essa, la morte è solo e sempre schifosa.
Qualcuno
lo scriveva, come qualche altro scriveva di sentirsi, prossimo alla
morte, come un viaggiatore scoperto, al controllo, senza biglietto a
certificare la consapevolezza della destinazione.
La massa poi non aveva manco il tempo di discettare di vita e di
morte, inghiottita com’era, dalla fatica del vivere.
2. A
rischiarare quelli che stavano nelle tenebre e nell'ombra della
morte, giunge sconvolgente la notizia che Dio ha visitato e redento
il suo popolo, e ha suscitato per noi una salvezza potente nella
casa di Davide, suo servo. Del resto, già per mezzo degli antichi
profeti, aveva promesso: salvezza dai nostri nemici, e dalle mani di
quanti ci odiano. Così egli ha concesso misericordia ai nostri padri
e si è ricordato della sua alleanza, del giuramento fatto ad Abramo,
nostro padre, di concederci, liberati dalle mani dei nemici, di
servirlo senza timore, in santità e giustizia al suo cospetto, per
tutti i nostri giorni. (Cfr Lc 1,68-76).
Queste parole sono ovviamente facilmente riconoscibili, ovvie,
memorizzate da sempre. Il guaio è che non sempre scalfiscono la
superficie delle coscienze rese coriacee dall’abitudine, dalla
superficialità, dalla cattiva testimonianza, dal peccato.
3.
Eppure, eppure… Immaginiamo di sentire per la prima volta che Dio si
è fatto uomo! Se Dio si è fatto uomo nulla è più come prima, nulla
può essere veramente nuovo, tutto è autenticamente nuovo.
Dio che si fa uomo è l’unica realtà che può riempire il cuore
dell’uomo che si esperimenta così piccolo da non bastare a se stesso
e così grande che niente lo può soddisfare se non Dio stesso che,
creandolo, l’ha sagomato su di sé.
Lo stupore dinanzi a Dio che viene, uomo in mezzo a noi uomini, è
abisso mai perfettamente attinto. Possiamo aiutarci, dobbiamo
fermarci aiutandoci, traendo dalla riflessione orante stimolo alla
imitazione come suggeriscono i credenti di ogni generazione.
Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il
quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso
la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la
condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma
umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla
morte di croce (Cfr. Fil 2, 5-8).
4.
Egli, l’Eterno, che viene ad abitare in mezzo a noi è la scaturigine
dello stupore non appena da gustare ma da annunciare. Anzi questa è
la ‘notizia’, la ‘bella notizia’, l’evangelo’, di essa tutto il
resto è contorno, preparazione, conseguenza; di essa siamo debitori
a tutti.
5. La
famiglia e, analogamente, la parrocchia se vogliono adempiere al
loro dovere educativo devono testimoniare alla generazione nuova la
destinazione che ha la permanenza su questa terra.
E quando si parla di radici cristiane della nostra Europa deve
essere chiaro che esse non stanno in un paio di righe più o meno
contorte inserite in testi chilometrici eminenti per la capacità di
dire senza dire, ma nella palpitante consapevolezza che non siamo
più soli dato che Dio ha posto la sua tra le nostre abitazioni.
Definitivamente.
6.
Parole antiche e conosciute le nostre che servono però ad veicolare
la sostanza della nostra fede e sono, dunque, le uniche
autenticamente giovani. Proviamo a leggere con animo nuovo la stessa
fede in un testo meno noto e ugualmente vivo. Ve lo propongo:
«Canterò senza fine le grazie del Signore, con la mia bocca
annunzierò la tua fedeltà nei secoli, perché hai detto: "La mia
grazia rimane per sempre"; la tua fedeltà è fondata nei cieli.
Ho stretto un'alleanza con il mio eletto, ho giurato a Davide mio
servo: stabilirò per sempre la tua discendenza, ti darò un trono che
duri nei secoli". I cieli cantano le tue meraviglie, Signore, la tua
fedeltà nell'assemblea dei santi.
Chi sulle nubi è uguale al Signore, chi è simile al Signore tra gli
angeli di Dio. Dio è tremendo nell'assemblea dei santi, grande e
terribile tra quanti lo circondano.
Chi è uguale a te, Signore, Dio degli eserciti? Sei potente,
Signore, e la tua fedeltà ti fa corona. Tu domini l'orgoglio del
mare, tu plachi il tumulto dei suoi flutti. Tu hai calpestato Raab
come un vinto, con braccio potente hai disperso i tuoi nemici.
Tuoi sono i cieli, tua è la terra, tu hai fondato il mondo e quanto
contiene; il settentrione e il mezzogiorno tu li hai creati, il
Tabor e l'Ermon cantano il tuo nome. È potente il tuo braccio, forte
la tua mano, alta la tua destra.
Giustizia e diritto sono la base del tuo trono, grazia e fedeltà
precedono il tuo volto.
Beato il popolo che ti sa acclamare e cammina, o Signore, alla luce
del tuo volto: esulta tutto il giorno nel tuo nome, nella tua
giustizia trova la sua gloria.
Perché tu sei il vanto della sua forza e con il tuo favore innalzi
la nostra potenza. Perché del Signore è il nostro scudo, il nostro
re, del Santo d'Israele.
Un tempo parlasti in visione ai tuoi santi dicendo: "Ho portato
aiuto a un prode, ho innalzato un eletto tra il mio popolo.
Ho trovato Davide, mio servo, con il mio santo olio l'ho
consacrato; la mia mano è il suo sostegno, il mio braccio è la sua
forza. Su di lui non trionferà il nemico, né l'opprimerà l'iniquo.
Annienterò davanti a lui i suoi nemici e colpirò quelli che lo
odiano.
La mia fedeltà e la mia grazia saranno con lui e nel mio nome si
innalzerà la sua potenza. Stenderò sul mare la sua mano e sui fiumi
la sua destra.
Egli mi invocherà: Tu sei mio padre, mio Dio e roccia della mia
salvezza. Io lo costituirò mio primogenito, il più alto tra i re
della terra.
Gli conserverò sempre la mia grazia, la mia alleanza gli sarà
fedele. Stabilirò per sempre la sua discendenza, il suo trono come i
giorni del cielo» (cfr Sal 88).
Buona meditazione, carissimi, buona preghiera. Buona predicazione.
Buon approccio per noi e per quanti portiamo nel cuore con il
mistero di Dio che viene. |
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Dio ha posto la
sua tra le nostre dimore |
Lettera ai Presbiteri del 15 Dicembre 2006 |
Carissimi,
dicembre conclude l’anno civile ed è il mese che ci porta alla
meditazione sugli inizi della nostra fede.
1.
Rende bene questa caratteristica ed è molto adatta a svegliare lo
stupore dinanzi all’imprevedibilità dell’amore di Dio una ben nota
antica preghiera che riporto.
È veramente buono, giusto, doveroso e salvifico ringraziare sempre e
dappertutto il Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno, per
mezzo di Cristo nostro Signore.
Al suo primo avvento nell’umiltà della nostra natura umana egli
portò a compimento la promessa antica, e ci aprì la via dell’eterna
salvezza.
Verrà di nuovo nello splendore della gloria, e ci chiamerà a
possedere il regno promesso che ora osiamo sperare vigilanti
nell’attesa.
Noi, insieme agli angeli, cantiamo con gioia l’inno della sua lode.
2. Grande
il compito del battezzato che deve:
a) gustare l’altezza dell’amore di Dio che, pur essendo di natura
divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio;
ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo
simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce.; (Fil 2)
b) rinnovare la consapevolezza che Dio l'ha esaltato e gli ha dato
il nome che è al di sopra d’ogni altro nome; perché nel nome di Gesù
ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e
ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio
Padre. (ib. );
c) avere gli
stessi sentimenti di Cristo Gesù, con l'unione degli spiriti, con la
stessa carità, con i medesimi sentimenti, nulla facendo per spirito
di rivalità o per vanagloria, ma con tutta umiltà, considerando gli
altri superiori, senza cercare l’interesse proprio, ma anche quello
degli altri. (ib.)
d) proclamare per tutti la bella notizia del Salvatore nato per noi
come gli angeli nella notte di Betlemme: oggi vi è nato nella città
di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il
segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una
mangiatoia". E subito apparve con l'angelo una moltitudine
dell'esercito celeste che lodava Dio e diceva: "Gloria a Dio nel più
alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama". E come,
nella stessa campagna di Giudea, i pastori che vegliavano di notte
facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò
davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi
furono presi da grande spavento, ma l'angelo disse loro: "Non
temete, ecco vi annunzio una gran gioia, che sarà di tutto il
popolo: appena gli angeli si furono allontanati per tornare al
cielo, i pastori dicevano fra loro: "Andiamo fino a Betlemme,
vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere".
Andarono dunque senz'indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il
bambino, che giaceva nella mangiatoia. E dopo averlo visto,
riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli
che udirono, si stupirono delle cose che i pastori dicevano. I
pastori poi se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto
quello che avevano udito e visto, com'era stato detto loro. Come
Maria la madre, che, da parte sua, serbava tutte queste cose
meditandole nel suo cuore (Cfr Lc 2 passim).
3. Il
battezzato, discepolo del Risorto, vive lo stupore della pienezza
del tempo nel quale
Dio
mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge,
per
riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessero
l'adozione a figli (Gal 4,4-5)._
Vita che esige apertura al dono di Dio operante con la forza del suo
Spirito, sostegno esperimentato nella comunanza di vita coi fratelli
che condividono la stessa fede, impegno ascetico personale che si
alimenta nella gioia che nasce dalla consapevolezza di corrispondere
all’Amore fedele e sempre nuovo.
Apertura, ideale e vita nella comunità ecclesiale nel concreto
articolarsi di ministeri, carismi e doni, impegno ascetico: il tutto
connesso vitalmente dal vino che rallegra il cuore dell’uomo,
dall’olio che fa brillare il suo il volto e dal pane che sostiene il
suo vigore (Sal 103, 15).
4.
La consuetudine degli auguri nelle maggiori festività dell’anno è
radicata nelle considerazioni appena riportate. Noi non vogliamo
mancare a tale consuetudine e, dunque, fervidi auguri: la
consapevolezza di essere inseriti nella storia dell’amore divino ci
consoli, ci fortifichi, ci faccia operare determinati, costanti,
efficaci.
Per meglio esprimermi faccio mie le parole dell’apostolo: Sia
benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre
misericordioso e Dio d’ogni consolazione, il quale ci consola in
ogni nostra tribolazione perché possiamo anche noi consolare quelli
che si trovano in qualsiasi genere di afflizione con la consolazione
con cui siamo consolati noi stessi da Dio (2 Cor 1,3-4).
5.
Dunque Dio si è fatto uomo, ha posto la sua tra le nostre dimore.
Questo avvenimento motiva la mia vita, esso stesso esige che, nel
mio piccolo, me ne faccia banditore ed araldo.
a) Meditando, cantando, predicando:
è veramente
buono, giusto, doveroso e salvifico ringraziare sempre e dappertutto
il Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno, per mezzo di
Cristo nostro Signore.
Al suo primo avvento nell’umiltà della nostra natura umana egli
portò a compimento la promessa antica, e ci aprì la via dell’eterna
salvezza.
Verrà di nuovo nello splendore della gloria, ci chiamerà a possedere
il regno promesso che ora, vigilanti, speriamo di conseguire
nell’attesa, intessuta di speranza e di lode.
b) La meditazione, il canto, la predicazione sono destinate alla
sterilità se alla grazia di Dio che accompagna il banditore della
lieta notizia manca un modo di condurre la vita del quale la
predicazione stessa si possa intendere come didascalia. L’angelo
annunzia la gioia radicata nel nuovo Nato.
Il predicatore credibile non può essere separato dalla gioia
autentica. Cristo morto per i nostri peccati e risorto per la nostra
salvezza è fondamento della fede cristiana.
Il battezzato in tanto è valido predicatore in quanto vive da morto
a quanto è riconducibile al peccato e risorto alla vita da figlio di
Dio, pensoso senza essere barboso, consapevole senza essere
arrogante e sprezzante; aperto a rapporti autenticamente umani e ben
lontano dal pensare di potere dare senso alla propria vita incurante
degli altri; impegnato nel parentado, nel vicinato, nel quartiere,
nella professione.
La vita è talento da trafficare diligentemente e di cui rendere
conto. Così il Maestro Divino. La corrispondenza tra il talento e
l’esergo che esso reca è garanzia d’autenticità e, dunque, di
valore.
Che la nostra chiesa pattese sia splendida della vita di noi suoi
figli: è il mio augurio che accompagno con la pastorale benedizione. |
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Lettera ai Presbiteri del 12 Gennaio 2007 |
Carissimi,
la bontà del Padre, per mezzo di Gesù Sacerdote Pastore Grande,
Mediatore e Salvatore Unico, nello Spirito Santo, ci dona un nuovo
anno.
Lo ringraziamo dal profondo del cuore e
vogliamo che la nostra vita sia inno di gratitudine.
Speriamo, dal suo dono e dal nostro
corale impegno, che esso sia anno di grazia (Lc 4,19) per la
famiglia umana, per la Chiesa sparsa come grano sui colli di tutto
il mondo, per la Chiesa pattese col suo presbiterio, i chierici, i
battezzati.
Il nostro servizio, lo sappiamo, è in
esecuzione del mandato del Signore che ci affida il suo Vangelo per
predicarlo mostrandone la verità con il testimoniarlo insieme, per
tutti con diligenza e intelligenza perché, se sempre lo stesso è
Cristo (Lettera agli Ebrei), in profondo, travolgente, globale
mutamento è l’uomo destinatario.
1. Può riuscire opportuno riascoltare che
il Concilio,
«penetrato
più a fondo il mistero della Chiesa, rivolge la sua parola non più
ai soli figli della Chiesa e a tutti coloro che invocano il nome di
Cristo, ma a tutti gli uomini.
«A
tutti vuol esporre come esso intende la presenza e l’azione della
Chiesa nel mondo contemporaneo. Il mondo che esso ha presente è
perciò quello degli uomini, ossia l'intera famiglia umana in tutte
quelle realtà entro le quali essa vive; il mondo che è teatro della
storia del genere umano, e reca i segni degli sforzi dell'uomo,
delle sue sconfitte
e delle sue vittorie; il mondo che i cristiani credono creato e
conservato in esistenza dall'amore del Creatore: esso è caduto,
certo, sotto la schiavitù del peccato, ma Cristo, con la croce e la
risurrezione ha spezzato il potere del Maligno e l'ha liberato e
destinato, secondo il proposito divino, a trasformarsi e a giungere
al suo compimento»
(GS 2).
Si
tratta di una dichiarazione d’intenti con la quale il Concilio
orienta il suo sguardo sul mondo in luce positiva, vedendolo come
luogo teologico.
La
visione moraleggiante del mondo che fa capolino, talvolta, nel modo
di parlare, valutare e agire, è dal Magistero superata.
Concepire il mondo come l'opposto dell'uomo, dello spirito, della
Chiesa, implica affermare un dualismo dannoso e falso.
Può
riuscire utile precisare tre dimensioni nell’intendere cosa diciamo
con la parola mondo. Cose che sappiamo, giustamente, si dice e qui
si vuole solo ricordare, in vista della comune utilità.
* In chiave
cosmologica e antropologica,
il mondo è l'uomo, in tutta la realtà; l'uomo centro della
creazione.
* In chiave
culturale
«è il teatro della storia del genere umano e reca i segni degli
sforzi suoi, delle sue sconfitte e delle sue vittorie »; è l'umanità
in quanto, con le sue libere scelte, dà senso e indirizzo alla
propria vita e a tutta la realtà.
* In chiave
teologica
è oggetto diretto, intenzionale, esplicito del piano di Dio: i
cristiani crediamo che il mondo è creato e conservato nell'esistenza
dall'amore del Creatore; il mondo, non siamo né ingenui né ottimisti
a buon mercato, è posto sotto il segno del peccato, ma è redento da
Cristo ed è destinato, questo è il progetto di Dio, a trasformarsi e
a giungere al suo compimento!
Il Concilio
meditando la Parola, afferma con eguale convinta forza, primo che
c’è distinzione fra Dio e il mondo e, secondo, che c’è unità nella
storia nella quale Dio opera.
Di più, insegna il
Concilio che il mondo cammina verso la sua pienezza o perfezione in
Dio stesso che, alla fine dei tempi, Egli, Dio, farà cieli e terra
nuovi.
Secondo il solenne
Magistero della Chiesa, dunque, il mondo è realtà che avanza verso
il suo compimento, misteriosamente condotto dall'amore di Dio.
Sta a noi capire
come l'uomo, nel suo sforzo per essere e per costruire il mondo, di
fatto, procede verso il regno di Dio, e come la Chiesa, parte essa
stessa del mondo, è vocata a servire l'uomo, perché entri nel regno
di Dio.
2. Visione religiosa della realtà economica mondo.
Non è allora
cristiano lasciarsi andare a banalità sul presente del mondo o, ed è
l’identica cosa, alla magnificazione acritica e smemorata del
passato. Il mondo è dato all’uomo, ma la grandiosità del dono non
deve fare velo al fatto che il mondo è dato all'uomo come compito.
Lungo il corso
della storia, l'uomo lotta per cercare risposte alle sue necessità,
per organizzare la convivenza e crea, così le diverse civiltà, la
preminenza di certi valori su altri.
L'uomo è chiamato a
dominare la terra, a crescere come persona e come comunità umana.
Proprio tale crescita è il suo compito.
Quando l'uomo cerca
le risposte alle sue necessità primarie come assicurarsi cibo,
vestito, casa, salute, in una parola i
beni economico/socia-li,
non insegue
primariamente il gusto del possesso ma, anzitutto, la protezione
della propria vita. Egli cerca di durare come essere vivente e di
non morire inane e impotente.
Quando si sforza di
dominare e porre la natura al suo servizio, chiede, in definitiva,
di vivere. È questa la motivazione profonda.
Vivere, voler
vivere, è un atteggiamento profondamente umano. È accettare
l'esistenza, è accettare la vita come preferibile al non esistere, è
accogliere la vita come un dono prezioso e degno di essere
conservato.
Quest’atteggiamento
profondamente umano è anche atteggiamento inizialmente religioso.
L’uomo che vuole vivere, consapevolmente o no, è nella dinamica
della creazione e, implicitamente, loda Dio, autore della vita.
L'uomo che non
vuole vivere, in realtà odia la propria vita, se stesso, la
creazione e Dio stesso. Perciò, è normale che l'uomo, di qualunque
religione, abbia fatto e faccia della vita e della morte un momento
essenziale e religioso.
Anche oggi, le
tante attuali lotte per il lavoro, la casa, la salute, non sono
ricerca indebita di beni economici, materialismo mascherato,
attentato all'ordine costituito ma elemento profondamente umano e
inizialmente religioso.
3. Visione religiosa della realtà politica.
Analogamente,
quando l'uomo tende a formarsi una famiglia e a stabilire
relazioni di convivenza
con gli altri
uomini e a costituirsi in popolo, che cosa cerca?
Quando uomo e donna
si uniscono per completarsi cercano di uscire dall’isolamento, dalla
solitudine dell'individuo, per rapportarsi ed essere, così, persone.
È l'uomo che vuole
uscire dall'anonimato, dalla propria impotenza, per aprirsi, nel
dono di sé, alla comunione con altri e condividere tutto ciò che è e
che ha, e costituire così una nuova realtà. Di più, attraverso
l’incontro, vuole che l'amore, perdurando e prolungandosi nei figli,
diventi storia.
Nella comunità di
vita e di amore coniugale, l'uomo esprime la sua aspirazione più
profonda: una convivenza umana come famiglia, che viene a essere
segno e germe della fraternità universale.
È nella stessa
linea la tensione ad uscire dal piccolo mondo familiare per
integrarsi in gruppo umano più vasto. È l'ambito «politico» in cui
la persona fa l'esperienza dell'altro e degli altri, coi quali forma
gruppi umani sempre più ampi. L'uomo tende così a essere «qualcuno»,
riconosciuto nel consorzio sociale, partecipe e corresponsabile del
destino comune, popolo, soggetto collettivo, parte della storia.
Attraverso
l'integrazione in una comunità nazionale, l'uomo è in condizione di
esperimentare la storia.
Attraverso la
comunità nazionale si apre a tutti i popoli e fa l'esperienza della
storia come realtà universale, come insieme di popoli che, insieme,
lottano per la crescita dell'umanità.
Ora, il voler
uscire dall'isolamento, dalla solitudine, dall'anonimato, per
stabilire rapporti di comunione, di partecipazione, a livello
familiare e a livello nazionale e internazionale, ha indubbiamente
un profondo significato umano.
È la volontà di
assumere, più o meno consapevolmente, la responsabilità del destino
dell'altro, degli altri, dell'umanità.
Così si supera
l’esperienza individuale, familiare e nazionale del rapporto con
l'altro, per aprirsi al bene universale e si sperimenta la
relatività del possesso delle cose, perché, senza armonia e
concordia con gli altri, ossia, senza giustizia e amore, la vita non
ha senso, non è vita ma morte nello spirito.
E tale significato
racchiude, in germe, una valenza religiosa.
L'uomo volendo il
bene universale, tendendo ad esso e assumendone la responsabilità,
s’inserisce, che lo sappia o no, nella dinamica dell'amore
evangelico che, per l’appunto, tende all'universalità degli uomini e
delle genti.
Per questo, oltre
alla dimensione economica, l'uomo, in tutti i tempi, ha sentito come
fatto religioso, non solo il matrimonio ma anche la pace, come
armonia di convivenza, e la guerra, come legittima difesa.
Sempre per questo,
alla lotta per uscire dall'emarginazione e dall'anonimato, onde
conoscere di più, avere di più per essere di più, per prendere parte
nelle decisioni, va riconosciuto valore, in radice, religioso.
4. Visione religiosa della realtà culturale.
Un altro ambito nel
quale l'uomo esprime il suo essere mondo è quello della
cultura.
Quando l'uomo vuole
trovare e dare senso alla vita e alla morte, al bene e al male, al
rapporto con la natura e con gli altri, cerca, prima di tutto, di
uscire dal non senso, da una situazione infantile e dare un perché,
un indirizzo alla propria esistenza, una spiegazione, un obiettivo
alla propria esistenza.
Cerca cioè di
superare la condizione vicina al determinismo animale per elevarsi
alla condizione di persona mediante la conoscenza e la libertà.
Al fondo di tutto
ciò c’è la ricerca che non si può eludere del vero e del bene. E
tale atteggiamento, profondamente umano, ha dato origine alle varie
culture che è come dire ai modi di essere, sentire e agire di fronte
alla vita, alla morte, alla natura, al tempo, al lavoro, al dolore,
ecc. Così sono sorte culture fatalistiche e culture penetrate di
speranza; culture più contemplative e culture più dedite a valutare
l’efficienza immediata; culture più sensibili al bello e più inclini
al pratico.
I diversi gruppi
umani, di fronte alle stesse realtà, reagiscono in modo diverso, a
seconda della propria sintesi di valori e, cioè, della propria
cultura. L’uomo, dunque, e i popoli che difendono la loro cultura,
difendono in realtà la loro identità; e quando cercano di integrare
in sintesi dinamica quello che scoprono di nuovo, arricchiscono la
loro cultura. Così offrono qualcosa di proprio alla convivenza dei
popoli, il loro senso della vita, il loro stile di vita.
Anche la realtà
profonda che chiamiamo cultura, poiché appartiene a quanto vi è di
più nobile nell'uomo, è pure quanto vi è di più prossimo al fatto
religioso.
Anzi, la ricerca
del vero, del bene e del vero, se procede da coscienza sincera e
retta, è senz'altro atto religioso, dal momento che ciò che,
coscientemente o inconsciamente, si cerca è l'Assoluto, il Tutto,
Dio stesso, Verità, Bene e Bellezza suprema.
È pertanto
legittimo affermare che la cultura, le relazioni umane e il senso
religioso della vita si richiamano, sostengono e motivano
vicendevolmente.
L’uomo manifesta
nei suoi atteggiamenti più essenzialmente umani la sua natura
radicalmente religiosa. Quando egli fa il mondo più umano, risponde
all’esigenza del senso della vita che gli viene dal Creatore,
esprime la propria natura religiosa.
5. Cosa dona la fede all’esperienza umana.
La fede non è
realtà divina semplicemente accostata e sovrapposta alla già
esistente realtà umana. Essa è dono gratuito (virtù teologale) col
quale Dio rivela all’uomo il senso di tutta la realtà. Quello che
Dio rivela non è esteriore all'uomo ma, in germe, è già presente in
lui, sebbene non possa conoscerlo totalmente senza la fede. Dio ci
rivela ciò che sta all'origine e al termine, ciò che costituisce il
presente di tutta la realtà, ossia il suo (di Dio) proposito, la sua
intenzione, il suo piano che costituisce il fondamento stesso
dell'esistenza.
La fede viene a
compiere e a mettere nella sua luce definitiva quanto l'uomo arriva
a scoprire e a fare solo in parte. La fede, quindi, come senso della
vita offre un modo di vivere il mondo, la storia, con riferimento a
Dio. È il senso cristiano dell'«essere-mondo» che perfeziona e porta
a compimento il senso umano. Accogliere la fede vuol dire vivere le
dimensioni umane dell'«essere-mondo» (economia, famiglia, politica,
cultura) nella prospettiva della comunione con Dio e con gli uomini,
in Cristo.
6. La fede dischiude orizzonti nuovi.
a)
Luce della fede sull’esperienza economica
Dominare la natura,
con tutte le attività che questo implica, sia scientifiche, che
tecniche o economico-sociali, è compito conforme al piano di Dio e
che ha come senso la costruzione della fraternità umana. Questa
fraternità si realizza solo se tutti gli uomini possono
effettivamente aver parte ai beni della terra e se possono
esercitare i loro diritti fondamentali.
Riconoscere la vita
come dono del Dio vivente prescindendo dalla partecipazione ai beni
e senza l’esercizio dei diritti fondamentali è vacuo esercizio
retorico. Attraverso il lavoro, la scienza, la tecnica, il
progresso, gli uomini potranno esprimersi come immagine di Dio, a
livello individuale e, soprattutto come comunità umana.
La comunità, a
fronte di disuguaglianze non umane, non può raggiungere la statura
che esige la fede. L'uomo attua il suo essere signore del mondo
tanto quanto crea una situazione più giusta. Compie la sua vocazione
di con-creatore mettendo la natura al servizio di tutta l'umanità.
b)
Luce della fede sull’esperienza politica
Formare una
famiglia, alla luce della fede, significa vivere l'amore scambievole
con la gratuità incondizionata con cui Dio ama. Allora dare la vita
l’uno per l’altro viene a essere un segno dell'amore di Dio, ne
manifesta la natura attualizzando l'amore con cui Cristo ha amato la
sua Chiesa, dando cioè la vita per lei. Manifesta l'ideale stesso
delle relazioni umane che consiste nella comunione con Dio vissuta
nell'amore fraterno.
La famiglia risulta
pertanto sacramento dei rapporti fra gli uomini, segno e strumento
della fraternità universale, la cui piena manifestazione avverrà
«nel giorno del Signore».
Anche l'impegno
politico inteso e realizzato alla luce della fede, significa far
propria la causa dell'intera umanità, per costruire, passo dopo
passo, una convivenza umana più giusta e più autentica nell'amore.
Pure in quest’ambito, l’amore cristiano significa dare la vita,
gratuitamente e incondizionatamente, perché tutti gli uomini
realizzino la loro vocazione personale e collettiva.
Vivere l'amore, il
dono di sé, come risposta a Dio nell’universalità degli uomini e dei
popoli. Vivere l'umanità come Corpo di Cristo. Impegnarsi nella
crescita di questo Corpo fino alla pienezza. Affermazioni che
suonano utopiche, sembrano un sogno. Sono l’utopia e il sogno della
politica da cristiani.
c)
Luce della fede sull’esperienza culturale
Sempre nella fede,
identificarsi come popolo, affermare la propria originalità,
comunicare i valori delle diverse culture, alla ricerca di una
verità sempre più completa, assume un senso molto profondo.
È un'affermazione,
un'espressione della multiforme manifestazione di Dio; è il cammino
di tutte le genti verso quella comunione che culmina nella comunione
stessa di Dio, Padre, Figlio e Spirito.
Comunione, quella
di cui parliamo, già realizzata in Cristo e donata all'uomo mediante
lo Spirito, così che è presente in germe e sarà manifestata al
ritorno del Signore. La fede, insomma, offre la comprensione
profonda della vita e, con ciò, conferisce pienezza alle varie
culture integrandole e stimola la crescita qualitativa dello spirito
e delle doti di ogni popolo.
7. In sintesi,
sia detto a modo di immagine, superata perché non evangelica la
visione piramidale che colloca Dio al vertice per scendere al Papa,
ai vescovi, ai sacerdoti, agli anonimi battezzati e, più giù ancora,
al mondo tutto posto sotto l’influsso del maligno, occorre superare
la visione del mondo e della chiesa come realtà che vanno per i
fatti loro, una indifferente o armata contro l’altra.
La storia santa non
è parallela alla storia del mondo. È la stessa storia del mondo.
Fatta e abitata da ombre, tenebre, drammi, tragedie. In essa Dio,
dopo esservi entrato, è
presente e all’opera. Egli dona “il vino che allieta il cuore
dell'uomo, l'olio che fa brillare il suo volto e il pane che
sostiene il suo vigore” (Sal 103,15).
La
fede offre stimoli ed energie impensate, prospettive inedite.
Stimoli, energie e prospettive sono chiamata e responsabilità.
Seguendole, l’uomo lascia cadere i moralismi, vince le paure, vede
positivo, esperimenta l’ebbrezza della benignità. E la benignità è
lente mirabile che calamita verso il bene, il bello, il vero, pone
l’uomo nella filiera della realizzazione della sua vocazione di
signore del mondo accanto al suo Signore, di creatore accanto al suo
Creatore.
8. Gesù,
all’inizio del ministero messianico, nella sinagoga di Nazaret,
legge e riferisce a sé l’oracolo d’Isaia:
«Lo
Spirito del Signore è sopra di me;
per questo mi ha consacrato con l'unzione,
e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto
messaggio,
per proclamare ai prigionieri la liberazione
e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli
oppressi,
e predicare un anno di grazia del Signore»
(S. Luca).
Che il 2007 appena
avviato sia
anno di grazia del Signore
per la nostra Chiesa pattese a servizio del mondo.
Che questo servizio
ci trovi vivaci e disponibili a vedere che il mondo, radicalmente
buono perché opera di Dio, è nella attesa del dono del Vangelo: è il
mio augurio.
Lo sostengo con la
preghiera che quotidianamente elevo al Padre, per mezzo di Gesù,
nello Spirito Santo con voi e per voi. |
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Lettera ai Presbiteri del 9 Febbraio 2007 |
1. A modo di premessa.
a) Condizione perché l’esperienza religiosa cristiana sia
autentica è che sia ‘detta’ per un popolo con il linguaggio di quel
popolo, che sia, come si dice di solito, inculturata, cioè, situata
nello spazio e nel tempo.
b) Se il Concilio e il Magistero dei Vescovi italiani ci avvertono
che siamo ad una svolta culturale (cfr. GS 5 e 54-55 e La
Chiesa Italiana e prospettive del paese) noi deduciamo che ci
troviamo davanti all’esaurimento del modello di esperienza religiosa
fatta di sole tradizioni sociali.
c) Il rinnovamento della Chiesa dipende dall’incontro armonioso e
coerente tra le quattro componenti: 1) pastorale, 2) ministeriale,
3) teologica e 4) spirituale. E quando avviene un mutamento
culturale profondo, in quanto tocca cioè i modelli di vita e
l’autocoscienza umana, è inevitabile, necessaria, indispensabile e
urgente la riforma o rifondazione di quelle quattro componenti.
d) Tali componenti, però, sono disuguali: determinante è la
componente spirituale senza della quale le altre tre non stanno in
piedi. Sono necessarie, ma sul principio e fondamento di una
nuova esperienza spirituale.
2. S. Ignazio di Loyola,
al quale volentieri ci si riferisce quando si parla a questo
livello, ha posto la centralità dell’uomo alla base dell’autentico e
riconosciuto ministero di guida esercitato per quattro secoli.
Ciò facendo aveva bene individuato, non senza uno speciale dono
dello Spirito, il carattere essenziale dell’allora esordiente epoca
moderna. Tanto era stato teo-centrico il medioevo, tanto la
modernità si avviava a diventare antropocentrica.
Egli aveva individuato un metodo adatto per favorire l’esperienza
della ricerca della volontà di Dio nel tipo di uomo che andava
nascendo, nel tipo di società che andava delineandosi. Quell’uomo,
quella società egli doveva servire.
La scoperta è stata tempestiva e meritoria. Fino a quel tempo
l’accesso agli stati di vita, religioso ed ecclesiastico, era affare
di alcuni, soprattutto nobili, ora, la “scelta dello stato di vita”
si universalizzava. Non andava più da sé, spontaneamente. Diventava
questione universale ed ogni battezzato diventava potenziale
soggetto nella Chiesa Cattolica.
S. Ignazio favorisce l’attenzione alla interiorità, riformando
l’esperienza religiosa. Egli delimita il ruolo clericale nella
scelta dello stato di vita come risposta alla volontà di Dio.
Evento, questo, decisivo perché ad esso è legata la salvezza, la
maggior gloria di Dio, il bene della chiesa e del mondo. Vale la
pena riportare dagli Esercizi:
«Chi li dà
non deve spingere chi li riceve più verso la povertà o la promessa
che verso i loro opposti, né a uno stato o modo di vivere piuttosto
che ad un altro.
«Perché
sebbene fuori degli esercizi possiamo spingere, lecitamente e
meritoriamente, tutte le persone che probabilmente ne avessero le
capacità a scegliere continenza, verginità, stato religioso e ogni
tipo di perfezione evangelica, tuttavia in questi esercizi
spirituali è più conveniente e molto meglio, poiché si cerca la
divina volontà, che lo stesso Creatore e Signore si comunichi alla
sua anima devota abbracciandola con il suo amore e la sua gloria e
predisponendola alla via nella quale meglio possa servirlo in
appresso.
«Perciò chi
li dà non propenda, né si inclini verso l’una o verso l’altra parte,
ma stando nel mezzo, come una bilancia, lasci operare il Creatore
con la creatura e la creatura con il suo Creatore e Signore».
Gli Esercizi di S. Ignazio che hanno educato intere generazioni,
oltre che itinerario e metodo spirituale, definiscono una forma
fondamentale di realizzazione della Chiesa.
Se si aggiunge la creazione dei Seminari per la formazione al
ministero del prete-pastore, si vede in atto il modo con cui la
Chiesa Cattolica risponde alla svolta della modernità.
Risulta allora logico che la Chiesa Cattolica si affidi ai
Gesuiti per la formazione del suo personale e che gli Esercizi
spirituali divengano la forma della sua interiorità.
Non occorre acume particolare per registrare un limite storico e,
perciò, l’attesa di una sintesi migliore per un disegno globale
della riforma della Chiesa e delle Chiese.
3. La scoperta della volontà di Dio oggi.
Utilizzando la terminologia che sempre più diventa comune, possiamo
dire che i nostri giorni vedono la fine della modernità, dell’uomo
maschilista e patriarcale, della società coloniale e della Chiesa
eurocentrica e l’inizio della post-modernità, dell’uomo-donna in
relazione, del mondo interdipendente, globalizzato e pluriculturale,
della “Chiesa mondiale”, del cammino ecumenico tra confessioni
cristiane e del dialogo tra religioni mondiali.
Il contesto in cui viviamo sfida l’esperienza religiosa, su due
versanti:
* il primo è segnato dal passaggio dal soggetto
individuo al soggetto in-relazione. Questo essere in relazione vale
per l’uomo in se stesso, come essere connotato dalla socialità e
dalla comunicabilità, nella sua espressione basilare come coppia,
come mondi culturali in reciproco confronto; è la fine del…
“con-fine” inteso come identità caratterizzata per
autoreferenzialità e l’inizio dell’identità definita per via di
alterità: alterità di origine nell’evento della nascita, alterità di
stile nel confronto e nei processi, alterità di destinazione;
* il secondo, quello del passaggio dalla ricerca dello
“stato di vita personale”, che vede la volontà di Dio e la sua
ricerca come riguardanti la singola persona, alla ricerca dello
“stato del mondo” al cui interno si pone inscindibilmente lo stato
di vita della persona.
La domanda “quale mondo” e la persuasione era di essere in una
società che aveva il diritto-dovere, il compito di espandersi con la
propria forma di mondo agli altri popoli, liberandoli da
oscurantismo e inciviltà.
Non diverso era il sentire nel campo ecclesiastico e l’opera
missionaria, conseguentemente, veniva intesa come attività di
espansione, esportazione e riproduzione del modello ecclesiastico
già esperimentato nella vecchia Europa.
In questo contesto era impensabile che ci si interrogasse
teologicamente sul mondo come problema.
4. Il mondo come questione teologica.
Improponibile in passato, il problema mondo, oggi, invece
esplode in modo drammatico. Dato che il problema mondo non esisteva,
non poteva esistere la questione di “quale mondo” e la ricerca della
volontà di Dio in sant’Ignazio, e nei movimenti che hanno preso il
via da lui, non poteva che limitarsi alla questione di “quale stato
di vita” per il cristiano.
La situazione di interdipendenza e di globalità tipica di oggi,
scatena, in tutta la sua forza, la questione mondo.
Il mondo emerge come dramma, risulta abbandonato alla logica
mercantile, che non tiene conto della dignità umana. In teoria se ne
fa un gran parlare, in senso generale e teoricamente, ma gran parte
della famiglia umana è e resta oppressa e alienata.
La Chiesa esperimenta di essere impotente e percepisce, sempre più
drammaticamente il mondo come questione teologica. Ci manca una “via
teologica” per accedere al mondo, non riusciamo a fare vivere e
servire il mondo “ex parte Dei”.
5. Un nuovo metodo spirituale.
La Chiesa, l’intero popolo di Dio riunito dal Cristo, è chiamata
(occorre rileggere GS 3) dallo Spirito a dimostrare solidarietà,
rispetto e amore verso l'intera famiglia umana, dentro la quale è
inserita. Con tre grandi linee di azione:
* instaurare con l’intera famiglia umana un dialogo sui vari
problemi sopra accennati;
* proiettare su di essi la luce del Vangelo;
* mettere a disposizione le energie di salvezza che essa, sotto
la guida dello Spirito Santo, riceve dal suo Fondatore.
Perché questo possa avvenire le occorrono, però, modello e metodo
nuovi per vivere l’esperienza religiosa fondamentale, con due
caratteristiche nuove:
* la Chiesa-popolo di Dio come soggetto mistico, che tutto
insieme, nella unità e nella diversità dei suoi
doni-carismi-ministeri, viva la ricerca e la scelta della volontà di
Dio, con l’esperienza comunitaria delle consolazioni di Dio;
* la forma - mondo come oggetto di tale ricerca - scelta,
riscoprendo la globalità e la totalità non a partire dal proprio
stato di vita, ma riscoprendo il proprio stato di vita
a partire dalla globalità e dalla totalità.
Sarà così possibile edificare la Chiesa che dipinge la Gaudium et
Spes:
«Il santo
Concilio, proclamando la grandezza somma della vocazione dell'uomo e
la presenza in lui di un germe divino, offre all'umanità la
cooperazione sincera della Chiesa, al fine d'instaurare quella
fraternità universale che corrisponda a tale vocazione.
«Nessuna
ambizione terrena spinge la Chiesa; essa mira a questo solo:
continuare, sotto la guida dello Spirito consolatore, l'opera stessa
di Cristo, il quale è venuto nel mondo a rendere testimonianza alla
verità, a salvare e non a condannare, a servire e non ad essere
servito».
Questa riproposta della esperienza religiosa, proprio per potersi
realizzare - come già insegna sant’Ignazio - ha bisogno di un metodo
adatto, che sia in condizione di coinvolgere come soggetto l’intera
Chiesa locale, comunità una e diversificata, e di avere come
oggetto il discernimento sulla status del mondo nella sua
complessità.
Con la mia benedizione e con l’impegno della preghiera con e per
voi, vi benedico di cuore.
X
Ignazio
Vescovo
Nota Con il solo intento di essere più immediatamente utile, vi propongo di
utilizzare per la personale meditazione alcuni testi.
[
Dalla Parola di Dio
* Gv 3,14-17:
E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia
innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la
vita eterna". Dio, infatti, ha tanto amato il mondo da dare il suo
Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia
la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare
il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui.
* Gv 6,32-40:
Rispose loro Gesù: "In verità, in verità vi dico: non Mosè vi ha
dato il pane dal cielo, ma il Padre mio vi da il pane dal cielo,
quello vero; il pane di Dio è colui che discende dal cielo e da la
vita al mondo". Allora gli dissero: "Signore, dacci sempre questo
pane". Gesù rispose: "Io sono il pane della vita; chi viene a me non
avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete. Vi ho detto però
che voi mi avete visto e non credete. Tutto ciò che il Padre mi da,
verrà a me; colui che viene a me, non lo respingerò, perché sono
disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di
colui che mi ha mandato. E questa è la volontà di colui che mi ha
mandato, che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma lo
risusciti nell’ultimo giorno. Questa infatti è la volontà del Padre
mio, che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita
eterna; io lo risusciterò nell’ultimo giorno".
* Gv
12,31-32: Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di
questo mondo sarà gettato fuori. Io, quando sarò elevato da terra,
attirerò tutti a me.
* Gv 17,1-2:
Così parlò Gesù. Quindi, alzati gli occhi al cielo, disse: "Padre, è
giunta l’ora, glorifica il Figlio tuo, perché il Figlio glorifichi
te. Poiché tu gli hai dato potere sopra ogni essere umano, perché
egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato.
* Ebrei
1,1-4: Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte
e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in
questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha
costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto
anche il mondo. Questo Figlio, che è irradiazione della sua gloria e
impronta della sua sostanza e sostiene tutto con la potenza della
sua parola, dopo aver compiuto la purificazione dei peccati, si è
assiso alla destra della maestà nell’alto dei cieli, ed è diventato
tanto superiore agli angeli quanto più eccellente del loro è il nome
che ha ereditato.
[
Dal Magistero della chiesa
* GS 5: Il movimento stesso della storia diventa così
rapido, da poter difficilmente esser seguito dai singoli uomini.
Unico diventa il destino dell’umana società o senza diversificarsi
più in tante storie separate. Così il genere umano passa da una
concezione piuttosto statica dell'ordine delle cose, ad una
concezione più dinamica ed evolutiva. Ciò favorisce il sorgere di un
formidabile complesso di nuovi problemi, che stimola ad analisi e a
sintesi nuove.
* GS 54:
Le condizioni di vita dell'uomo moderno, sotto l'aspetto sociale e
culturale, sono profondamente cambiate, così che è lecito parlare di
una nuova epoca della storia umana. Di qui si aprono nuove vie per
perfezionare e diffondere più largamente la cultura.
Esse sono state
preparate da un grandioso sviluppo delle scienze naturali e umane,
anche sociali, dal progresso delle tecniche, dallo sviluppo e
dall'organizzazione degli strumenti di comunicazione sociale.
Perciò la cultura
odierna è caratterizzata da alcune note distintive: le scienze dette
“esatte” affinano al massimo il senso critico; i più recenti studi
di psicologia spiegano in profondità l'attività umana; le scienze
storiche spingono fortemente a considerare le cose sotto l'aspetto
della loro mutabilità ed evoluzione; i modi di vivere ed i costumi
diventano sempre più uniformi; l'industrializzazione, l'urbanesimo e
le altre cause che favoriscono la vita collettiva creano nuove forme
di cultura (cultura di massa), da cui nascono nuovi modi di pensare,
di agire, di impiegare il tempo libero; lo sviluppo dei rapporti fra
le varie nazioni e le classi sociali rivela più ampiamente a tutti e
a ciascuno i tesori delle diverse forme di cultura, e così poco a
poco si prepara una forma di cultura umana più universale, la quale
tanto più promuove ed esprime l'unità del genere umano, quanto
meglio rispetta le particolarità delle diverse culture.
* GS 55:
Cresce sempre più il numero degli uomini e delle donne d’ogni gruppo
o nazione che prendono coscienza d’essere artefici e promotori della
cultura della propria comunità.
In tutto il mondo
si sviluppa sempre più il senso dell'autonomia e della
responsabilità, cosa che è di somma importanza per la maturità
spirituale e morale dell'umanità.
Ciò appare ancor
più chiaramente se teniamo presente l'unificazione del mondo e il
compito che ci s’impone di costruire un mondo migliore nella verità
e nella giustizia.
In tal modo siamo
testimoni della nascita d'un nuovo umanesimo, in cui l'uomo si
definisce anzitutto per la sua responsabilità verso i suoi fratelli
e verso la storia.
* GS 22:
In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce
il mistero dell'uomo. Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di
quello futuro (Rm 5,14) e cioè di Cristo Signore. Cristo, che è il
nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore
svela anche pienamente l'uomo a se stesso e gli manifesta la sua
altissima vocazione. Nessuna meraviglia, quindi, che tutte le verità
su esposte in lui trovino la loro sorgente e tocchino il loro
vertice.
Egli è “l'immagine dell'invisibile Iddio” è l'uomo perfetto che ha
restituito ai figli d’Adamo la somiglianza con Dio, resa deforme già
subito agli inizi a causa del peccato. Poiché in lui la natura umana
è stata assunta, senza per questo venire annientata per ciò stesso
essa è stata anche in noi innalzata ad una dignità sublime. Con
l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni
uomo.
Ha lavorato con mani d'uomo, ha pensato con intelligenza d'uomo, ha
agito con volontà d'uomo ha amato con cuore d'uomo. Nascendo da
Maria vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile
a noi fuorché il peccato. Agnello innocente, col suo sangue sparso
liberamente ci ha meritato la vita; in lui Dio ci ha riconciliati
con se stesso e tra noi e ci ha strappati dalla schiavitù del
diavolo e del peccato; così che ognuno di noi può dire con
l'Apostolo: il Figlio di Dio “ mi ha amato e ha sacrificato se
stesso per me” (Gal 2,20). Soffrendo per noi non ci ha dato
semplicemente l'esempio perché seguiamo le sue orme ma ci ha anche
aperta la strada: se la seguiamo, la vita e la morte vengono
santificate e acquistano nuovo significato.
Il cristiano poi, reso conforme all'immagine del Figlio che è il
primogenito tra molti fratelli riceve “le primizie dello Spirito” (Rm
8,23) per cui diventa capace di adempiere la legge nuova dell'amore.
In virtù di questo Spirito, che è il “pegno dell’eredità” (Ef 1,14),
tutto l'uomo viene interiormente rinnovato, nell'attesa della
redenzione del corpo: “Se in voi dimora lo Spirito di colui che
risuscitò Gesù da morte, egli che ha risuscitato Gesù Cristo da
morte darà vita anche ai vostri corpi mortali, mediante il suo
Spirito che abita in voi” (Rm 8,11). Il cristiano certamente è
assillato dalla necessità e dal dovere di combattere contro il male
attraverso molte tribolazioni, e di subire la morte; ma, associato
al mistero pasquale, diventando conforme al Cristo nella morte, così
anche andrà incontro alla risurrezione fortificato dalla speranza.
E ciò vale non solamente per i cristiani, ma anche per tutti gli
uomini di buona volontà, nel cui cuore lavora invisibilmente la
grazia. Cristo, infatti, è morto per tutti e la vocazione ultima
dell'uomo è effettivamente una sola, quella divina; perciò dobbiamo
ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire
associati, nel modo che Dio conosce, al mistero pasquale.
Tale e così grande è il mistero dell'uomo, questo mistero che la
Rivelazione cristiana fa brillare agli occhi dei credenti. Per
Cristo e in Cristo riceve luce quell'enigma del dolore e della
morte, che al di fuori del suo Vangelo ci opprime. Con la sua morte
egli ha distrutto la morte, con la sua risurrezione ci ha fatto dono
della vita, perché anche noi, diventando figli col Figlio, possiamo
pregare esclamando nello Spirito: Abba, Padre!.
* GS 32:
Come Dio creò gli uomini non perché vivessero individualisticamente,
ma perché si unissero in società, così a lui anche “… piacque
santificare e salvare gli uomini non a uno ad uno, fuori di ogni
mutuo legame, ma volle costituirli in popolo, che lo conoscesse
nella verità e santamente lo servisse”.
Sin dall'inizio
della storia della salvezza, egli stesso ha scelto degli uomini, non
soltanto come individui ma come membri di una certa comunità Infatti
questi eletti Dio, manifestando il suo disegno, chiamò a suo popolo.
Con questo popolo poi strinse il patto sul Sinai.
Tale carattere
comunitario è perfezionato e compiuto dall'opera di Cristo Gesù. Lo
stesso Verbo incarnato volle essere partecipe della solidarietà
umana. Prese parte alle nozze di Cana, entrò nella casa di Zaccheo,
mangiò con i pubblicani e i peccatori.
Ha rivelato l'amore
del Padre e la magnifica vocazione degli uomini ricordando gli
aspetti più ordinari della vita sociale e adoperando linguaggio e
immagini della vita d'ogni giorno. Santificò le relazioni umane,
innanzitutto quelle familiari, dalle quali trae origine la vita
sociale. Si sottomise volontariamente alle leggi della sua patria.
Volle condurre la vita di un artigiano del suo tempo e della sua
regione.
Nella sua
predicazione ha chiaramente affermato che i figli di Dio hanno
l'obbligo di trattarsi vicendevolmente come fratelli.
Nella sua preghiera
chiese che tutti i suoi discepoli fossero una “cosa sola”. Anzi egli
stesso si offrì per tutti fino alla morte, lui il redentore di
tutti. “Nessuno ha maggior amore di chi sacrifica la propria vita
per i suoi amici” (Gv 15,13).
Comandò inoltre
agli apostoli di annunciare il messaggio evangelico a tutte le
genti, perché il genere umano diventasse la famiglia di Dio, nella
quale la pienezza della legge fosse l'amore.
Primogenito tra
molti fratelli, dopo la sua morte e risurrezione ha istituito
attraverso il dono del suo Spirito una nuova comunione fraterna fra
tutti coloro che l'accolgono con la fede e la carità: essa si
realizza nel suo corpo, che è la Chiesa.
In questo corpo
tutti, membri tra di loro, si debbono prestare servizi reciproci,
secondo i doni diversi loro concessi.
Questa solidarietà
dovrà sempre essere accresciuta, fino a quel giorno in cui sarà
consumata; in quel giorno gli uomini, salvati dalla grazia,
renderanno gloria perfetta a Dio, come famiglia amata da Dio e da
Cristo, loro fratello.
* GS 38:
Il Verbo di Dio, per mezzo del quale tutto è stato creato,
fattosi carne lui stesso e venuto ad abitare sulla terra degli
uomini, entrò nella storia del mondo come uomo perfetto, assumendo
questa e ricapitolandola in sé.
Egli ci rivela “
che Dio è carità ” (1Gv 4,8) e insieme c’insegna che la legge
fondamentale dell’umana perfezione, e perciò anche della
trasformazione del mondo, è il nuovo comandamento dell'amore.
Coloro pertanto che
credono alla carità divina, sono da lui resi certi che la strada
della carità è aperta a tutti gli uomini e che gli sforzi intesi a
realizzare la fraternità universale non sono vani.
Così pure egli
ammonisce a non camminare sulla strada della carità solamente nelle
grandi cose, bensì e soprattutto nelle circostanze ordinarie della
vita.
Accettando di
morire per noi tutti peccatori, egli c’insegna con il suo esempio
che è necessario anche portare quella croce che dalla carne e dal
mondo viene messa sulle spalle di quanti cercano la pace e la
giustizia.
Con la sua
risurrezione costituito Signore, egli, il Cristo cui è stato dato
ogni potere in cielo e in terra, agisce ora nel cuore degli uomini
con la virtù del suo Spirito; non solo suscita il desiderio del
mondo futuro, ma con ciò stesso ispira anche, purifica e fortifica
quei generosi propositi con i quali la famiglia degli uomini cerca
di rendere più umana la propria vita e di sottomettere a questo fine
tutta la terra.
Ma i doni dello
Spirito sono vari: alcuni li chiama a dare testimonianza manifesta
al desiderio della dimora celeste, contribuendo così a mantenerlo
vivo nell'umanità; altri li chiama a consacrarsi al servizio terreno
degli uomini, così da preparare - attraverso tale loro ministero -
quasi la materia per il regno dei cieli.
Di tutti, però, fa
degli uomini liberi, in quanto nel rinnegamento dell'egoismo e
convogliando tutte le forze terrene verso la vita umana, essi si
proiettano nel futuro, quando l'umanità stessa diventerà offerta
accetta a Dio.
Un pegno di questa
speranza e un alimento per il cammino il Signore lo ha lasciato ai
suoi in quel sacramento della fede nel quale elementi naturali
coltivati dall'uomo vengono trasmutati nel Corpo e nel Sangue
glorioso di lui, in un banchetto di comunione fraterna che è
pregustazione del convito del cielo.
* GS 39:
Ignoriamo il tempo in cui avranno fine la terra e l'umanità
e non sappiamo in che modo sarà trasformato l'universo. Passa
certamente l'aspetto di questo mondo, deformato dal peccato.
Sappiamo però dalla
Rivelazione che Dio prepara una nuova abitazione e una terra nuova,
in cui abita la giustizia, e la cui felicità sazierà in modo
sovrabbondante tutti i desideri di pace che salgono nel cuore degli
uomini.
Allora, vinta la
morte, i figli di Dio saranno risuscitati in Cristo, e ciò che fu
seminato in infermità e corruzione rivestirà l'incorruttibilità;
resterà la carità coi suoi frutti, e sarà liberata dalla schiavitù
della vanità tutta quella realtà che Dio ha creato appunto per
l'uomo.
Certo, siamo
avvertiti che niente giova all'uomo se guadagna il mondo intero ma
perde se stesso.
Tuttavia l'attesa
di una terra nuova non deve indebolire, bensì piuttosto stimolare la
sollecitudine nel lavoro relativo alla terra presente, dove cresce
quel corpo dell’umanità nuova che già riesce ad offrire una certa
prefigurazione, che adombra il mondo nuovo.
Pertanto, benché si
debba accuratamente distinguere il progresso terreno dallo sviluppo
del regno di Cristo, tuttavia, tale progresso, nella misura in cui
può contribuire a meglio ordinare l'umana società, è di grande
importanza per il regno di io.
Ed infatti quei
valori, quali la dignità dell'uomo, la comunione fraterna e la
libertà, e cioè tutti i buoni frutti della natura e della nostra
operosità, dopo che li avremo diffusi sulla terra nello Spirito del
Signore e secondo il suo precetto, li ritroveremo poi di nuovo, ma
purificati da ogni macchia, illuminati e trasfigurati, allorquando
il Cristo rimetterà al Padre “il regno eterno ed universale: che è
regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di
giustizia, di amore e di pace”.
Qui sulla terra il
regno è già presente, in mistero; ma con la venuta del Signore,
giungerà a perfezione. |
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Lettera ai Presbiteri del 9 Marzo 2007 |
Carissimi, nella
pagina iniziale del Notiziario dei mesi passati abbiamo cercato di
farci attenti discepoli del Magistero del Concilio per superare la
concezione piramidale (Dio e la Chiesa al di sopra di tutto per poi
scendere, via via sempre più in basso, al mondo e al singolo) e la
concezione che vede la storia sacra come parallela alla storia senza
aggettivi. Ora dobbiamo continuare il nostro discepolato tenendo
presenti la concezione societaria, per superarla, e quella
cristologia per farla nostra.
1. Dall’ottica societaria all’ottica cristologica.
L’ottica societaria è quella che sa vedere solo la conformità
“visibile, tangibile, fruibile” delle forme storiche con la sua
precomprensione dottrinale; in questa ottica è la Chiesa – con la
sua autocoscienza dottrinale e morale – che si trasforma in misura
concreta della verità e del bene del mondo; d’istinto, ciò che
questa ottica non riesce a mettere a fuoco, è secondo i casi,
irrilevante, fuorviante, erroneo.
L’ottica societaria è predisposta a cogliere la realtà secondo
l’adeguatezza o inadeguatezza al vero e al bene, così come sono
finora tradotte e sancite nelle forme ufficiali e dominanti
della dottrina e della morale.
Gesù è l’antitesi dell’ottica societaria. Egli coglie la realtà
umana non a partire dalla sua espressione sociologica - positiva o
negativa - quale si offre allo sguardo immediato. Egli va “al di là”
del visibile e coglie l’orientamento intenzionale che precede le
parole e i gesti umani. Egli coglie le persone nello stadio
“nascente”, anche quando le espressioni esterne lo contraddicono.
Egli penetra con il suo sguardo amoroso nel nucleo ultimo della
libertà umana, là dove essa può decidere di sé smentendo se stessa e
avviando la sua risurrezione.
Così con Zaccheo (cfr Lc 18,1ss), partendo dalla sua
“curiosità”, se si vuole banale, per scavare dentro di lui la
curiosità per una diversa edizione di se stesso e della sua vita.
Così con l’uomo ricco (cfr Mc 10,17ss) parte dalla sua vita
ordinata per aprirlo a ciò che gli mancava.
Così con la donna sorpresa in adulterio (cfr Gv 8,1ss), parte
dalla sua vergogna per spingerla a credere in un'altra se stessa
credendo lui per primo che in lei c’è una donna “altra”.
Così con il servo che lo percuote (cfr Gv 18,19ss), parte
dalla di lui servile violenza per attizzare nella sua coscienza il
fuoco di un interrogativo che non lo abbandonerà mai più: “se ho
parlato male, dimostrami dov’è il male; e, se ho parlato bene,
perché mi percuoti”? (Gv 18,23).
Così con Simone (cfr Gv 21,15ss), parte dal suo triplice
rinnegamento ed educa alla moltiplicazione degli atti d’amore e al
servizio da rendere all’unità e di conferma della comunità.
2. Nuova sensibilità cristologica.
La lettura adatta per comprendere la realtà del mondo dal punto di
vista di Dio è solo la lettura cristologica. Essa si basa sul fatto
che Cristo, incarnandosi, si è unito ad ogni uomo, che, risorgendo,
agisce nel cuore d’ogni vivente uomo e che a Pentecoste lo Spirito è
stato effuso sull’universo ed è iniziata l’ultima fase del mondo.
Quando il credente pensa la realtà, il mondo, la società, la gente,
la pensa solo per Cristo, con Cristo e in Cristo.
Quella del credente è, quindi, una cristologia che genera “visioni”,
letture, decifrazioni, chiavi di comprensione che sono metaculturali.
Cristo è, per la visione del credente, il senso della storia. Egli è
la nostra grammatica per capire la società. Non solo, però, Cristo
venuto, ma anche quello veniente e venturo; quello
venuto è già noto, posseduto e quasi controllato e controllabile
ecclesiasticamente; quello veniente e venturo non dispone
solo della Chiesa, ma del mondo e della storia per emergere
inatteso, inedito, sotto mentite spoglie, nei mille segni di Giona
della nostra epoca, per arricchire da ogni lato la sua Chiesa.
Alla realtà di Chiesa costituita, in quanto fatta di parole, eventi
e compiti tutti canonicamente e teologalmente “definiti e
garantiti”, va affiancata la diversa realtà di tutto ciò che è
seminale, germinale, incipiente, imperfetto, in se stesso ambiguo e
ambivalente, dove grano e zizzania sono intrecciati e non
separabili.
Siamo alla relazione tra Chiesa e mondo; e le due forme ben diverse
di presenza del Regno si devono integrare nella loro grande
differenza di forme ed espressioni.
Quello che è sotto gli occhi - la Chiesa costituita - non
deve impedire la visione panoramica e d’insieme, il colpo d’occhio
che aiuta a dare profondità e come una terza dimensione alle cose e
agli eventi, alle persone e alle loro parole e azioni.
3. Come fare la lettura cristologica.
I.
L’analisi della situazione nei suoi tre passi.
È il primo passo della lettura profetica: rendersi conto del mondo
in cui siamo. È la visione del mondo che è, o può essere, compito
d’ogni persona, indipendentemente dalla cultura e dalla religione,
in quanto parte dell’umanità. Non si tratta di fare un’analisi
scientifica del mondo. Questa, peraltro, è impossibile, come
impossibile è dare una visione adeguata del mondo. Si tratta di
tendere ad una visione globale, sia pure limitata. Si tratta, cioè,
di avere un quadro di riferimento mondiale che aiuti a conoscere la
trama del mondo in cui si vive, con tutta l’umanità, per fare le
nostre opzioni, comprese quelle riguardanti la fede. L’obiettivo è
conoscere, comprendere e assumere la situazione storica quale essa è
e non come vorremmo che fosse. Occorrono:
a) La descrizione più completa possibile dei dati e dei
fatti per arrivare ad un quadro descrittivo con l’individuazione del
suo nucleo. Tale descrizione consiste nell’ascolto della situazione
e si nutre d’informazioni e d’attenzione analitica alle mille
sfaccettature d’ogni situazione.
b) L’individuazione degli avvenimenti intesi come tendenze
significative, correnti di coscienza che si rivelano nei fatti e che
dicono cosa vivono le persone, i gruppi e la società coinvolti.
Si tratta di individuare le aspirazioni e le sofferenze, evidenti o
latenti che siano, che meglio rivelano la psicologia collettiva.
c) La rilevazione delle sfide che si pongono davanti alla
responsabilità di chi analizza la situazione.
Sono i nodi critici in cui si condensa la problematicità in gioco,
le questioni di vita o di morte che mettono in gioco chi fa analisi;
così chi decifra le situazioni non è analista neutro o spettatore
ipercritico, bensì soggetto che si sottomette alla via crucis del
pensiero per accedere alla conoscenza critica e creativa.
II.
La contemplazione del piano di Dio in tre prospettive.
È il secondo passo della lettura profetica. Si tratta di aprire
mente e cuore all’unità e all’universalità della salvezza,
realizzata da Cristo Signore. Si tratta di riconoscersi parte
integrante d’un dinamismo divino, universale e unitario, al quale si
può liberamente accedere per Cristo nello Spirito o, anche, opporsi.
Si tratta di lasciarsi attrarre dall’amore di Dio, fino a
identificarsi pienamente con la sua volontà, di sperimentare e
sentire che la salvezza sta nella comunione con Dio, che è anche
comunione fraterna in Dio e che solo camminando tutti insieme è
possibile la piena realizzazione della persona, dell’umanità, del
mondo e della stessa creazione e di sentirsi, con un anelito
sviscerato e permanente, nella condizione finale dell’umanità: la
comunione eterna con Dio e in Dio di tutta la realtà creata.
III.
Il discernimento evangelico nei suoi tre passi.
È il terzo passo della lettura profetica dei segni dei tempi.
Determinati i due poli di confronto - analisi della situazione
storica e piano di Dio - si procede al discernimento della
situazione, specialmente in ciò che riguarda gli avvenimenti. Si
entra nel processo di conversione, cioè nel cuore della lettura
profetica. Questa mira non ad indottrinare, ma a convertire. In
quanto evangelico, il discernimento non è giudizio
cattedratico o moralistico e dall’alto come se i credenti fossero
fuori della storia. E non è il giudizio dei “buoni”, che sarebbero
la Chiesa, sui “cattivi” (che sarebbe il mondo).
È il discernimento evangelico sulla situazione alla luce del piano
di Dio.
Discernere, distinguere, nella situazione storica, ciò che è
conforme al piano di Dio e ciò che non lo è, ciò che c’è di grazia e
ciò che c’è di peccato, riconoscendo il nostro peccato come mondo,
Chiesa, comunità, persona, convertendoci al dinamismo salvifico di
Dio operante nella storia. Se reale, il discernimento ha tre
momenti: 1. Discernimento sugli avvenimenti, nel loro dinamismo di
peccato e di grazia; 2. Confessione di peccato; 3. Conversione
d’atteggiamenti.
IV.
L’impegno solidale.
È la conclusione della lettura profetica della realtà. Dopo aver
visto come il male e il suo spirito sono presenti e come occorre che
c’impegniamo per un movimento di rinnovamento collettivo che abbia
un influsso serio in vista del rinnovamento del mondo.
È il momento di rinnovare ed esprimere il proprio impegno personale
e comunitario. Si tratta di schierarsi per un balzo in avanti. Non
sono ora in gioco i particolari, ma le grandi linee dell’impegno. Si
dovrebbe arrivare ad offrire carta bianca, perché Gesù v’iscriva,
egli v’iscriva secondo le ‘sue’ esigenze.
Ognuno, come membro del popolo di Dio e come risposta al suo
progetto di salvezza universale, assume e celebra il proprio
impegno. Le opzioni concrete da assumere sono per la libertà, per la
croce, per la speranza, per la comunione e la solidarietà.
4. Che fare.
Esercitare la memoria:
pensando ai profeti della Bibbia e a personaggi
interpreti significativi del passaggio di Dio nelle storie in
cambiamento.
Meditare:
- immaginando di essere con Gesù nella sinagoga di Nazareth, (cfr
Lc 4);
- fermandosi sulle frasi più significative, nuove, ricche,
illuminanti;
- pregando in forma libera a partire da ciò che illumina la
mente;
- spingendosi alle decisioni che mi sento sollecitato a fare per
aderire alla volontà di Dio individuata nella meditazione e nella
preghiera.
- in silenzio per ascoltare le voci e le consolazioni dello
Spirito.
5.
Buon lavoro, fratelli, con desiderio vivo e operativo di aderire
alla novità dello Spirito che sempre ci precede.
Ci accompagna la Vergine Madre che a Gerusalemme, a Cana, è accanto
a Gesù che predica. Ella, animata dalla fede, registra che non
comprende tutto. Vergine e umile, apre l’anima allo stupore e alla
speranza, magnifica il Signore
Salvatore Onnipotente e Santo. L’unico che fa cose grandi spiegando
la sua potenza, disperdendo i superbi, innalzando gli umili,
ricolmando di beni gli affamati (cfr Lc 1). Vivificata
dall’amore si lascia coinvolgere dal piano di Dio accettando di dare
e soffrire. |
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Per vedere Pietro |
Lettera ai Presbiteri del 5 Aprile 2007 |
Carissimi, questo
Notiziario
è distribuito il Giovedì Santo, giorno che ci riporta al Cenacolo
con i doni dell’Eucaristia fonte e culmine del bene che è nella
Chiesa, al Sacerdozio pensato da Gesù a servizio, all’unità che i
discepoli sanno di ricevere e di dovere costruire, sempre da capo,
come segno distintivo dei discepoli di Gesù.
1.
Questa coincidenza mi offre l’opportunità di presentarvi gli auguri
pasquali. Ci siamo preparati alla Pasqua facendo nostro il cammino
quaresimale e, dunque, siamo nella condizione migliore per
comprendere che Cristo, morto per i nostri peccati, è risorto per la
nostra salvezza. Né si tratta solo di capire. Capire si può anche
senza la fede. Come si comprende e si riflette e ci si emoziona
partendo dai vari miti che sono pure fonte di saggezza da spendere
utilmente secondo le circostanze.
È, qui, questione di vita. Perché egli, Gesù è il vero Agnello che
ha preso su di sé i peccati del mondo; egli morendo ha distrutto la
morte e risorgendo ha ridato a noi la vita.
‘Ha tolto’, ‘ha distrutto’, ’ha ridato’ sono azioni vere e concrete
di Gesù che sono messe a mia disposizione nella celebrazione dei
sacramenti.
Per noi credenti gli auguri pasquali non possono essere un esercizio
verbale che, per quanto gentile, nulla dà e nulla toglie.
Presentare gli auguri significa desidero per te, sono disposto a
fare qualsiasi cosa perché tu guardi a Colui che hanno trafitto, ne
resti raggiante, diventi suo, accetti che Egli instauri con te il
rapporto che intercorre tra la vite e i suoi tralci, tra le varie
membra e il capo del corpo.
Auguri, dunque, carissimi fratelli e figli della Chiesa pattese.
Auguri che accompagno con la mia benedizione, sono lieto di sapere
che mi ricambiate, affido a voi perché raggiungano i molti che non
avrò la gioia di raggiungere personalmente.
Vi consegno il Notiziario a ridosso di due avvenimenti di
particolare valenza ecclesiale.
2.
Il primo.
Nella settimana finale di marzo mi sono recato a Roma per compiere,
con i vescovi delle altre 17 diocesi di Sicilia, la
Visita ad Limina Apostolorum.
Sapete già che cosa essa sia e, anzi, ringrazio tutti quelli che mi
hanno seguito con l’affetto e la preghiera durante i gironi della
trasferta romana. Reputo utile riferirvi, sia pure per sommi capi,
come la Visita si è svolta ed inizio riportando, per comodità, i
canoni del Codice del Diritto Canonico, la legge cioè che la
riguardano.
Can. 399 - §1. Il Vescovo diocesano è tenuto a presentare ogni
cinque anni una relazione al Sommo Pontefice sullo stato della
diocesi affidatagli, secondo la forma e il tempo stabiliti dalla
Sede Apostolica.
§2. Se l’anno determinato per la presentazione della relazione
coincide in tutto o in parte con il primo biennio dall'inizio del
governo della diocesi, il Vescovo, per quella volta, può astenersi
dal compilare e presentare la relazione.
Can. 400 - §1. Il Vescovo diocesano nell'anno in cui è tenuto a
presentare la relazione al Sommo Pontefice, se non è stato stabilito
diversamente dalla Sede Apostolica, si rechi a Roma per venerare le
tombe dei Beati Apostoli Pietro e Paolo e si presenti al Romano
Pontefice.
§2. Il Vescovo adempia personalmente tale obbligo, se non ne è
legittimamente impedito; in tal caso vi soddisfi tramite il
coadiutore, se lo ha, o l’ausiliare, oppure tramite un sacerdote
idoneo del suo presbiterio, che risieda nella sua diocesi.
La
Visita ad Limina
risponde ad un’antichissima consuetudine. Sappiamo, per es., che a
S. Policarpo discepolo di S. Giovanni, l’Apostolo, venuto a Roma per
problemi relativi alla celebrazione della Pasqua, il Papa diede
grandi attestati di venerazione di stima e affetto e, cosa notevole,
gli cedette la presidenza nella celebrazione dell’Eucaristia.
3.
Come si è svolta la Visita
Essa è stata preceduta dalla consegna di una relazione sulla vita
della diocesi negli ultimi cinque anni. Tale relazione è predisposta
seguendo una traccia che la Santa Sede invia ad ogni vescovo con un
anno d’anticipo, tiene presente la vita della Chiesa sotto l’aspetto
della predicazione, della santificazione e della pastorale, è
inviata in tante copie quante sono gli ambiti della Curia Romana in
cui si esplica la collaborazione con il Santo Padre.
Giunto a Roma la sera di domenica 25 marzo, la mattina di giorno 26
ho iniziato la serie d’incontri con le Congregazioni ed i Pontifici
Consigli. Quando il programma della Visita prevedeva due incontri in
contemporanea, i vescovi ci dividevamo assicurando però che il
Vescovo delegato dalla Conferenza Episcopale Siciliana per un
settore fosse presente nella visita alla Congregazione o al
Pontificio Consiglio corrispondenti. Così a me è toccato presentare
la relazione al Pontificio Consiglio per i laici, per i quali sono
Delegato della CESi per il quinquennio in corso.
Gli incontri dei singoli vescovi col Santo Padre si sono svolti dal
lunedì, 26 marzo, a sabato, 31 marzo. Io sono stato ammesso in
udienza venerdì, 30 marzo.
Il Santo Padre è stato accogliente, mite, interessato, in ascolto.
Accettando la mia indicazione sull’atlante già predisposto sulla sua
scrivania, si è reso conto della collocazione geografica della
nostra diocesi. Mi ha chiesto delle famiglie, dei sacerdoti e del
seminario, del lavoro. Mi ha amabilmente detto che nel seminario
della diocesi in cui fu vescovo lavorava come cuoco un siciliano
‘forse di Palermo’, ha aggiunto, che si riprometteva di tornare in
Sicilia appena raggiunta l’età della pensione, per avviare
un’attività di ristoratore con cucina bavarese. Gli ho detto che la
Diocesi di Patti mi ha insegnato a volere bene al Papa. A conforto
di questa affermazione gli ho riferito che in molte famiglie è
tenuta, bene in evidenza, la foto recante la benedizione ricevuta lo
scorso anno per la nostra Bibbia e gli ho detto che proprio mentre
ero lì, in udienza, in alcune parrocchie dei battezzati ci seguivano
raccolti in adorazione. E gli ho detto che la Diocesi mi insegna,
altresì, a volere bene a lei stessa, alla Diocesi. A conforto di
questa seconda affermazione gli ho riferito quanto è consolante
l’incontro con le diverse categorie di persone durante la Visita
Pastorale attualmente in svolgimento. Gli ho pure detto di un
incontro, nel contesto della Visita Pastorale, nel quale una
persona, dalla quale mai me lo sarei aspettato, ha detto che era
molto contenta di accogliermi, perché mentre “il parroco lo vediamo
sempre, il Vescovo … materializza la Chiesa”.
Il Santo Padre non ha mancato di esprimere la sua compiacenza per
questa “vera definizione del vescovo”.
Al Santo Padre non potevo non parlare del Piano Pastorale che pone
in cammino catecumenale unitario e organico la nostra Diocesi ed
egli, dopo avere attentamente ascoltato, ha avuto parole di
apprezzamento, incoraggiamento e benedizione per quanti, in un modo
o nell’altro, collaborano e partecipano a tutte le attività
pastorali.
Sapevo bene che la
Visita ad Limina Apostolorum,
mentre suppone la comunione col Papa, la favorisce e produce. Lo
sapevo e lo avevo esperimentato già nelle due precedenti visite da
me compiute durante il pontificato di Giovanni Paolo II.
L’ho esperimento ancora adesso e sono lieto di comunicare la mia
esperienza perché, davvero, dove è Pietro lì è la Chiesa.
4.
Il secondo.
Il 22 febbraio 2007, festa della Cattedra di S. Pietro, il Santo
Padre ha consegnato alla Chiesa l’Esortazione Apostolica
post-sinodale
Sacramentum Caritatis.
Del documento, che Benedetto XVI stesso lega all’Anno Giubilare del
2000 e al Sinodo dei Vescovi sull’Eucaristia, svoltosi a Roma
nell’autunno del 2005 e che si compone di tre parti precedute e
seguite da brevi introduzione e conclusione,
ho il piacere di farvi dono
e ora, qui, di proporvene una veloce sintesi.
Come ogni sintesi, questa trascura molti elementi, prende valore
sullo sfondo dell’intero documento e va subito al pratico.
a)
L’Eucaristia al centro.
Il Papa insiste sul fatto che tutta la famiglia
cristiana deve partecipare all’itinerario dell’iniziazione
cristiana.
b)
Un limite alle assoluzioni generali.
Il Papa chiede a tutti i sacerdoti di dedicarsi con
generosità, impegno e competenza alle confessioni e che nelle chiese
i confessionali siano ben visibili.
Di più, chiede ai vescovi di vigilare sulla celebrazione del
sacramento, limitando la prassi dell’assoluzione generale ai casi
previsti.I
sacerdoti devono mettere in primo piano non «loro stessi e le loro
opinioni, ma Gesù Cristo». Il sacerdote è «servo» dell’altare. Il
Papa raccomanda anche ai sacerdoti la «celebrazione quotidiana»
della Messa, anche se non ci fosse partecipazione dei fedeli.
c)
La "Messa bella".
La bellezza non è
fattore decorativo dell’azione liturgica, e le norme liturgiche
vanno applicate nella loro completezza. Il Papa è contrario alla
creatività liturgica perché la semplicità dei gesti e la sobrietà
dei segni, posti nell’ordine e nei tempi previsti, comunicano e
coinvolgono più che l’artificiosità di aggiunte inopportune.
d)
Proclamazione della Parola.
Occorrono lettori
ben preparati. Il Papa raccomanda vivamente grande attenzione alla
proclamazione della Parola di Dio e chiede di promuovere tra i
fedeli la preghiera della Liturgia delle Ore da lasciare distinte
dalla Messa.
e)
La predica.
Accuratamente
preparata e basata sulla Sacra Scrittura da mettere in relazione con
la vita della comunità, non deve essere generica o astratta. È
opportuno che i sacerdoti parlino anche dei grandi temi della fede
cristiana.
f)
Fedeli, non muti spettatori.
Il Concilio impegna
i fedeli a partecipare alla Messa e non a stare davanti all’altare
come spettatori estranei e muti. È bene raggiungere la chiesa prima
della Messa per un momento di silenzio e di preghiera.
g)
Scambio della pace.
È bene limitarlo ai
vicini perché a volte può assumere espressioni eccessive. La
sobrietà nulla toglie al valore del gesto.
h)
Dopo la Comunione.
È utile rimanere
raccolti per un prezioso tempo di silenzio. Accostarsi alla
Comunione non deve però essere un «automatismo», quasi che «per il
solo fatto di trovarsi in chiesa durante la liturgia si abbia il
diritto o forse anche il dovere» di fare la Comunione. Per i
disabili, bisogna favorire la partecipazione alla Messa, rimuovendo
gli ostacoli architettonici nelle chiese. Va assicurata anche la
comunione ai disabili mentali.
i)
Lingua latina e canto gregoriano.
In sintonia col
Concilio Vaticano II, la lingua latina va usata, solo per il canone,
nelle celebrazioni di carattere internazionale. In tali liturgie è
bene anche proporre il più universale canto gregoriano. La messa
trasmessa per televisione va bene per anziani e malati ma, in
condizioni normali, non dispensa dall’andare in chiesa. I piccoli
gruppi devono servire a «unificare
la comunità, non a frammentarla».
l)
Adorazione eucaristica.
Va favorita sia dal
punto di vista personale che comunitario. La lampada perenne
faciliti l’individuazione del tabernacolo dove è conservata
l’Eucaristia.
m)
La Domenica.
Il giorno del
Signore è anche il giorno del riposo. Benedetto XVI si augura che
ciò sia riconosciuto anche nella società civile e rileva che il
lavoro è per l’uomo e non l’uomo per il lavoro. Accanto alla Messa
si promuovano incontri, catechesi e attività caritative.
n)
I divorziati risposati.
Il Papa ricorda che
i divorziati risposati appartengono alla Chiesa che li segue con
speciale attenzione, col desiderio che coltivino, per quanto
possibile, uno stile cristiano, anche con la partecipazione alla
Messa senza Comunione.
o)
Il matrimonio.
Matrimonio e
famiglia sono istituzioni che devono essere promosse e difese da
ogni possibile equivoco sulla loro verità, perché ogni danno
arrecato a loro è, di fatto, una ferita arrecata alla convivenza
umana.
p)
Celibato dei sacerdoti.
Non ha solo una motivazione funzionale. Rappresenta lo stile di vita
di Cristo «che
ha vissuto la sua missione fino al sacrificio della croce nello
stato di verginità».
q)
Coerenza per chi fa la comunione.
Il culto non è mai
atto privato, avendo sempre conseguenze sociali.
Esso richiede la pubblica testimonianza di alcuni valori, tra cui la
difesa della vita, della famiglia e del bene comune delle persone,
che sono «valori non negoziabili». Soprattutto i politici cattolici
devono sentirsi «particolarmente interpellati dalla loro coscienza
rettamente formata a presentare e a sostenere leggi ispirate ai
valori fondati nella natura umana.
r)
Impegno per la giustizia.
Il
Papa sottolinea la relazione che vige tra mistero eucaristico e
impegno sociale: la Chiesa non può e non deve restare ai margini
della lotta per la giustizia. Il Papa pone davanti ai cristiani le
loro responsabilità: Non possiamo rimanere inattivi di fronte a
certi processi di globalizzazione che non di rado fanno crescere lo
scarto tra ricchi e poveri. Dobbiamo denunciare chi dilapida le
ricchezze della Terra, provocando diseguaglianze che gridano verso
il cielo. L’Eucaristia «spinge»
ad impegno coraggioso nel mondo. Il Padre nostro «obbliga» a «fare
tutto il possibile, in collaborazione con le istituzioni
internazionali, statali, private perché cessi o, al meno diminuisca,
lo scandalo della fame».
s)
La dottrina sociale.
Si caratterizza per
realismo ed equilibrio. Va bene studiata come educazione alla carità
e alla giustizia.Essa è impregnata di elementi che orientano il
comportamento dei credenti nelle questioni più scottanti e serve per
evitare compromessi e utopie.
Con la speranza di essere stato utile, rinnovando l’augurio
pasquale, tutti saluto e benedico. |
|
... ma per
servire |
Lettera ai Presbiteri del 18 Maggio 2007 |
Carissimi, ben
sapete che, qualche giorno addietro (il 12 maggio), una folta
rappresentanza dei battezzati, che nelle nostre parrocchie svolgono
il compito di ministri della Comunione, hanno celebrato con me il
Giubileo che il Santo Padre ha concesso alla nostra diocesi nella
ricorrenza cinque volte centenaria della presenza a Ficarra della
bell’opera di Gagini raffigurante l’Annunziata.
Ritengo di una qualche utilità farvi conoscere la riflessione che,
in quell’occasione, ho messo a disposizione dei presenti per
orientarne preghiera ed impegni.
1. Connotazioni
della nostra assemblea
a) Gratitudine. Mi fu rivolta questa parola del
Signore: ‘Che cosa vedi, Geremia?’. Risposi: ‘Vedo un ramo di
mandorlo’. Il Signore soggiunse: ‘Hai visto bene, poiché io vigilo
sulla mia parola per realizzarla’ (Ger 1,11-12). A parte il gioco di
parole (tra vigilo e mandorlo in ebraico c’è assonanza), il
mandorlo, primo albero a fiorire, rompe la stagione invernale e,
contro ogni apparenza, anticipa la primavera.
Il mandorlo è segno di Dio che avvolge grettezza e peccato nostri
con il fiore dell’amore gratuito - questa la parola sulla quale
vigila -; egli, mentre tutto sembra dire che non c’è nulla da fare
ché tanto tutto è rigore e morte, ci ripropone l’alleanza sponsale.
Il mandorlo è allusione bella alla speranza con cui il battezzato,
sulla parola del Maestro, non si lascia bloccare dai profeti della
rassegnazione; getta le reti daccapo, anticipa la primavera; avendo
raccolto dove altri ha seminato, semina, a sua volta, dove altri
raccoglierà; non si lascia irretire nel freddo circostante perché
più forte della morte è l’amore; poiché Cristo è risorto, in forza e
in vista della risurrezione, tutto osa, tutto spera, tutto vince,
mai si stanca.
b) Il Giubileo della SS. Madre del Signore, dono del Santo
Padre alla comunità di Ficarra, per tutta la diocesi. Celebrando il
Giubileo, portiamo alla Gran Signura Maria la situazione della
nostra Chiesa, il suo cammino pastorale e, in esso, il nostro
impegno.
c) I ministeri. Sono doni coi quali il Padre, per mezzo di
Gesù, nello Spirito Santo, arricchisce tanti fratelli e sorelle, per
l’utilità della nostra chiesa. È bene ricordare che nessuno è privo
di doni, che ogni dono viene dall’Alto, che Dio dà i doni sempre per
l’utilità comune.
2. Preghiamo
Padre, fa’ che viviamo con rinnovato impegno questi giorni di
letizia in onore del Cristo risorto, per testimoniare nelle opere il
memoriale della Pasqua che celebriamo nella fede.
3. In ascolto, in comunione con tutta la Chiesa, della
Parola della domenica (Dom. VI di Pasqua).
a) La Chiesa che prende coscienza del dono della libertà
che scaturisce da Cristo morto per i nostri peccati e risorto per la
nostra salvezza e sceglie, non senza difficoltà, di accettarla,
questa libertà, proclamarla, difenderla (cfr At 15,1-20).
I rischi impliciti nella libertà sono da accettare consapevolmente,
grati ed impegnati; il tutto è detto mirabilmente da S. Paolo: “Voi,
fratelli, siete stati chiamati a libertà. Purché questa libertà non
divenga un pretesto per vivere secondo la carne ma, mediante la
carità, siate a servizio gli uni degli altri” (Gal 5,13)._
Il dono della libertà vivificata dall’amore che porta a servire è,
mentre siamo sulla terra, finché, in Paradiso, Cristo sarà tutto in
tutti, anticipo di quello che sarà la vita con Dio, dopo la
risurrezione, nel mondo che verrà, secondo la professione di fede
che facciamo oggi, come ogni domenica.
b) È a proposito del servizio che il Signore dà il suo esempio e
le sue indicazioni.
[ Gesù dichiara di essere venuto per servire e non per essere servito.
Il suo servizio è norma per ogni discepolo. Gesù: vede, vede col
cuore; prova compassione si compromette, rischia, si fa vicino,
prossimo; fascia le ferite; porta alla locanda, non fa da sé;
moltiplica i pani; insegna, insegna come nessun altro, con
autorevolezza; sa di essere venuto per radunare i figli di Dio che
sono dispersi che è come dire sa che, per quante belle opere faccia,
se genera figli a Dio non è come vuole il Padre.
[ Senza la contemplazione, lo zelo volge al litigio, al
prestigio, alla pretesa d’essere serviti. Egli dichiara, perciò,
‘senza di me niente potete fare’. Il servizio prima che missione è
comunione e, prima d’essere azione, è contemplazione.
4. La nostra risposta, la nostra riflessione e la nostra
preghiera.
a) Chiediamo perdono, ringraziamo, sviluppiamo santi
desideri; io chiedo perdono.
" Dio abbia pietà di noi e ci benedica, su di noi faccia
splendere il suo volto; perché si conosca sulla terra la tua via,
fra tutte le genti, la tua salvezza. Esultino le genti e si
rallegrino, perché governi le nazioni sulla terra. Tutti i popoli
lodino Dio. Ci benedica Dio, e lo temano tutti i confini della terra
(Cfr Sal 66).
b) Se il Signore affida un servizio, lo dona per la comunità e
non lascia soli.
" È insegnamento di Gesù che dice: «Se uno mi ama, osserverà
la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e
prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama non osserva le mie
parole. (…) Il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà
nel mio nome, egli v'insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò
che io vi ho detto. Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come
la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e
non abbia timore (Cfr Gv 14,23-29).
"
È principio
proclamato e vissuto dai santi: S. Bernardino da Siena lo applica a
S. Giuseppe che, dovendo assistere il Figlio di Dio divenuto uomo,
ne ha, argomenta il Santo, la forza dall’Alto. La S. Vergine
ricevuta l’annunzio grande e unico, va a servire la cugina
Elisabetta.
"
La Chiesa
nostra pattese ha bisogno di tutti; nessuno è così povero… e nessuno
così ricco… La Chiesa di Patti ha bisogno di tutti noi battezzati.
Signore, nei genitori, negli educatori, in chi a qualsiasi
titolo s’impegna nella politica e nell’amministrazione e in
qualsiasi professione, spargi abbondante la gioia per quanto ha già
fatto e fa; dona entusiasmo per fare sempre meglio e la consolazione
che viene dalla tua grazia, la gioia che viene più dal dare che dal
ricevere.
5. Alcuni punti di domanda
a) Chi sono i destinatari del servizio, oggi?
Abbiamo ascoltato ciò che, sulla libertà, il Signore c’insegna
per mezzo dell’Apostolo. Questi partiva da una questione pratica:
quelli che si convertivano a Gesù, provenendo dal paganesimo,
dovevano, prima di ricevere il Battesimo, sottoporsi ai riti
previsti dall’Ebraismo? La risposta dell’Apostolo è ‘no!’ netto e
senza diplomazia.
Gesù con la sua morte e risurrezione ci ha reso liberi. È lui il
Salvatore; in lui non c’è né giudeo né greco; egli ha abbattuto i
muri divisori tra gli uomini e Dio e quelli che gli uomini erigiamo
tra noi.
Il problema era nato perché tra ‘quelli che erano stati dispersi
dopo la persecuzione scoppiata al tempo di Stefano, alcuni, di Cipro
e di Cirène, cominciarono a parlare anche ai Greci, predicando la
buona novella del Signore Gesù. E la mano del Signore era con loro e
così un gran numero credette e si convertì al Signore’ (cfr At
11,19-21).
La persecuzione costringe i primi discepoli ad andare ‘fuori’,
‘lontano’ dal previsto, dal consueto: dal male – la persecuzione –
viene un bene – la predicazione del Vangelo a tutti i popoli.
Mi chiedo: chi sono i greci che oggi rischiano di rimanere senza la
parola che salva? Chi sono i greci ai quali oggi è doveroso portare
il Vangelo? Chi i lontani, amiamo definirli, che oggi l’abitudine ci
porta a non vedere?
b) La prima risposta è: gli ammalati ai quali portare la santa
Eucaristia; i bambini che si preparano per sacramenti. E poi è
doveroso dare una mano per il decoro dei sacri edifici e perché la
liturgia sia degna, attenta e devota.
Risposte degne e belle. E sa il Signore quanto io senta forte la
gratitudine per voi, sorelle e fratelli, che in queste attività vi
impegnate da anni. Ed è questa gratitudine che mi spinge a tenervi
presenti nella mia quotidiana preghiera, a benedirvi, ad augurarvi
gioia e consolazioni grandi e numerose.
c) Siamo, però, chiamati ad andare oltre, ad aprire il cuore, ad
osare. Se nessuno è fuori del cuore di Dio, nessuno può da noi
essere dimenticato. In concreto:
[ La nostra diocesi è fatta di 53.000 famiglie; noi ne raggiungiamo, in
qualche modo (ad es. con la lettera mensile), 35.000. E le altre?
[ Gli uomini: diciamo tutti che nelle piccole comunità mancano; che
facciamo? Non sono essi i nostri genitori, figli, sposi, fratelli?
[
I giovani:
vedi sopra. E di più. Diamo per buono che la popolazione pattese,
dai 18 ai 30 anni, ammonti a 30.000 unità. Noi ne raggiungiamo…
8.000.
[
I bambini, celebrata la messa di Prima Comunione, scompaiono e noi?
[
Gli operai.
Dire che ormai non ci sono, ad esempio, artigiani tanto è tanto
consolatorio quanto falso.
[
Il Santo
Padre nella esortazione apostolica ‘Sacramentum Charitatis’ divide
la sua trattazione in tre punti: l’Eucaristia da credere, da
celebrare, da vivere….
[
Niente di nuovo, per carità; e noi ? |
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