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LA CATECHESI DEL VESCOVO
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Il Tempo
Ordinario: metafora della vita umana |
Lettera ai Presbiteri dell'8 Giugno 2007 |
1.
Carissimi, il ritiro spirituale del mese di giugno e, dunque, la pubblicazione
del Notiziario Pastorale, coincide con l’inizio del 2° periodo del
Tempo Ordinario.
Tanto è facile definire i tempi d’Avvento, Natale, Quaresima,
Pasqua, quanto difficile riesce indicare che cosa significhi
Tempo Ordinari; se non ci si accontenti di dire che esso è il
tempo non contrassegnato da celebrazioni particolari.
Definire però una realtà per quello che non è, è
sempre fuorviante o, almeno, insufficiente, impreciso. Senza dire
poi, che per noi, proprio durante il tempo ordinario, si accumula il
maggiore numero di feste.
Tempo ordinario come tempo della speranza? Tempo della semina
silenziosa, coraggiosa e anonima? Tempo della fedeltà?
Cercando
una definizione semplice, attendibile e breve; ruminando alcune
righe di un documento diffuso nel 1979 dall’Episcopato del Nord
Africa, mi persuado che il Tempo Ordinario è la metafora della vita
umana ed è il tempo della testimonianza pura e semplice.
2. Sperando
di fare cosa gradita e utile, riporto, qui di seguito:
a) dal
documento: «Il Regno di Dio non si raggiunge solo col Battesimo, esso esiste
dovunque uomini e donne cercano il pieno conseguimento della loro
vocazione, dovunque si manifesta l’amore, dovunque nascono delle
comunità in cui l’amore è insegnato ed inculcato, dove i poveri sono
trattati come persone, dove la giustizia è promossa, la pace è
incoraggiata, dove alla verità e alla bontà sia concesso di favorire
la crescita umana».
b) la
testimonianza: È certamente tra i mistici del nostro temo
Annalena Tonelli. Figura forse sconosciuta a molti prima che
fosse barbaramente uccisa, tra i suoi fratelli ammalati, in Somalia
il 5 ottobre 2003, e forse da molti, purtroppo, già dimenticata.
[
Una fede rocciosa "per grazia di Dio".
Annalena lascia l’Italia nel 1969 e si pone al
servizio dei Somali, prima nel Nord Est del Kenya (1984) e poi in
Somalia, per oltre 30 anni, fino alla morte. Annalena, per scelta,
era donna di poche parole. In uno dei pochi interventi in pubblico,
nella sua Forlì, il 30 giugno 2003, pochi mesi prima di essere
uccisa, a chi le chiedeva di far conoscere le sue attività,
rispondeva: «Io spero proprio di non dover mai più parlare in
pubblico, davanti ad una folla, perché ognuno ha la sua chiamata
nella vita, ognuno ha la sua strada e la mia è sicuramente non
questa del parlare, del mettermi davanti agli altri a parlare». La
sua vita è parola eloquente.
Per cercare di capire Annalena occorre collocarla nella sua
situazione, vicino a noi cronologicamente, ma ugualmente molto
lontano. Ella ha le sue radici in quegli anni ‘60 che videro la fine
della colonizzazione; la nascita di un certo terzomondismo, la
mondializzazione dell’informazione; nella Chiesa è la grande
stagione del Concilio, speranza di tutti...
Annalena partecipa di quell’atmosfera nell’ambiente cattolico... A
Forlì, è l’anello forte di una catena di varie realtà in fermento...
Instancabile trait d'union di contesti ecclesiali diversi,
rivela fin dal principio, una natura indipendente, pronta al dialogo
fuori della logica delle etichettature e irresistibilmente “non
allineata” su letture schematiche della realtà. L'ossatura che la
sostiene è la fede. Come lei stessa confessa: «Sono una cristiana
con una fede rocciosa, che non conosce crisi dai tempi della
giovinezza. E questo per grazia di Dio. Non ho mai fatto nulla per
conquistarla, nessuno sforzo o fatica, mi è stata donata». Arroccata
in Dio in cui crede e dal quale si è lasciata prendere il cuore:
«ero molto giovane quando mi sono innamorata di Dio», lascia
risplendere nella sua apparente fragilità di donna esile la fedeltà
e la tenerezza di Dio.
[ Scelsi
di essere “per gli altri".
Questa tenerezza si manifesta come totale dedizione agli
altri senza alcun limite di razza, di religione e di cultura.
Nella conferenza tenuta in Vaticano il 1° dicembre 2001, Annalena
confessa: «Scelsi di essere per gli altri: i poveri, i sofferenti,
gli abbandonati, i non amati che ero una bambina e così sono stata e
confido di continuare ad essere fino alla fine della mia vita.
Volevo seguire solo Gesù Cristo. Null’altro m’interessava così
fortemente: Lui e i poveri in Lui. Per Lui feci una scelta di
povertà radicale, anche se povera, come un vero povero, come i
poveri di cui è piena ogni mia giornata, io non potrò essere mai».
Animata dallo Spirito di Gesù la sua esperienza ha una forte
impronta mistica che le dà un’ossatura che le consente di vivere,
sebbene in grande solitudine, in profonda libertà interiore, avendo
come unico riferimento Gesù.
«Vivo a servizio senza un nome, confida ancora nello stesso
incontro, senza la sicurezza di un ordine religioso, senza
appartenere a nessuna organizzazione, senza uno stipendio, senza
versamento di contributi volontari per quando sarò vecchia. Sono non
sposata perché così scelsi nella gioia quando ero giovane. Volevo
essere tutta per Dio. Era un’esigenza dell’essere quella di non
avere una famiglia mia. E così è stato per grazia di Dio»
[ "Partii decisa
a gridare il Vangelo con la vita".
Nel mondo
mussulmano, che rispetta e da cui si sente educata, sceglie di
essere profondamente cristiana, di non nascondere la sua fede, il
suo stile di vita povero e casto, ma senza lo scopo di convertire.
Non per superficiale relativismo, ma per scelta.
Sulla scia del beato Charles de Foucauld, che è una sua icona di
riferimento, Annalena preferisce che sia la sua vita a “gridare il
Vangelo”.
«Partii decisa a gridare il Vangelo con la vita sulla scia di
Charles de Foucauld, che aveva infiammato la mia esistenza.
Trentatrè anni dopo grido il Vangelo con la mia sola vita e brucio
dal desiderio di continuare a gridarlo cosi fino alla fine. Questa
la mia motivazione fondamentale assieme ad una passione invincibile
da sempre per l’uomo ferito e diminuito senza averlo meritato al di
là della razza, della cultura, e della fede».
[ "Se noi
seguiremo le tue orme, andremo in Paradiso".
Questa testimonianza nell’esperienza d’Annalena è a “caro prezzo”.
Più volte è brutalmente percossa e lasciata quasi priva di vita e,
nel 1984, è costretta a lasciare il Kenya perché si oppose al
governo di quella nazione che tentò di sterminare una tribù di
nomadi del deserto. Avrebbero dovuto sterminare cinquantamila
persone. Ne uccisero mille. Annalena riuscì ad impedire che il
massacro fosse portato avanti e a conclusione. Per questo fu
processata e un anno dopo fu deportata.
Lei stessa racconta: «Al tempo del massacro, fui arrestata e portata
davanti alla corte marziale [....] Le autorità, tutti non Somali,
tutti, ahimè, cristiani, mi dissero che mi avevano teso due
imboscate a cui ero provvidenzialmente sfuggita, ma che non sarei
sfuggita una terza volta. Poi uno di loro, un cristiano
praticante!!!, mi chiese che cosa mi spingeva ad agire cosi. Gli
risposi che lo facevo per Gesù e che Gesù chiede che diamo la vita
per i nostri amici».
Questo impegno a difesa dei deboli massacrati, rischiando lei ogni
volta la vita, fa gradualmente svanire i pregiudizi che gli islamici
avevano nei riguardi d’Annalena.
C’è un graduale aprirsi degli occhi, come un risvegliarsi ad una
possibilità nuova. Inizialmente a lei e alle sue amiche è detto che
a loro è precluso il paradiso, più tardi le diranno che lei andrà in
paradiso, perché ama; e infine qualcuno osa dire:
«se noi seguiremo le tue orme, noi andremo in Paradiso».
Lei stessa, ancora, racconta: «Per cinque anni ci avevano sbattuto
in faccia che noi non saremmo mai andate in Paradiso perché non
dicevamo: “Non c’è Dio all’infuori di Dio e Maometto è il suo
profeta”. Poi successe un episodio grave che mise a rischio la
nostra vita e allora la gente cominciò a dire che sicuramente anche
noi saremmo andate in Paradiso. Poi cominciammo ad essere portate
come esempio. Il primo fu un vecchio capo che ci voleva molto bene,
“noi Musulmani abbiamo la fede”, disse, “voi avete l’amore”. Fu come
il tempo del gran disgelo. La gente diceva sempre più frequentemente
che loro avrebbero dovuto fare come facevamo noi, che loro avrebbero
dovuto imparare da noi a ‘fare’ per gli altri, in particolare
per quelli più malati, più abbandonati. Diciassette anni dopo,
subito dopo il massacro di Wagalla, un vecchio arabo mi fermò al
centro di una delle strade principali del povero villaggio,
profondamente commosso perché in mezzo ai morti c’erano suoi amici,
perché mi aveva visto quando mi avevano picchiato perché sorpresa a
seppellire i morti, mentre lui aveva avuto paura e non aveva fatto
nulla per salvare i suoi invece io avevo tutto osato e rischiato per
salvare la vita dei loro che erano diventati miei e gridò perché
voleva essere sentito da tutti: “nel nome di Allah, io ti dico che
noi andremo in Paradiso, se seguiremo le tue orme».
[ "Se non amo,
Dio rimane senza epifania".
Questa testimonianza evidenzia ancora di più che il
volto di Dio non ha bisogno di parole per essere raccontato, ma
chiede solo la disponibilità della propria carne per potervi
risplendere.
Lascio che sia ancora Annalena con il suo linguaggio esplicito e
immediato a sottolinearlo.
«La vita ha senso solo se si ama. Nulla ha valore al di fuori
dell’amore. La mia vita ha conosciuto tanti pericoli, ho rischiato
la morte tante volte. Sono stata per anni in mezzo alla guerra.
«Ho esperimentato nella carne dei miei e di quelli che amavo e,
dunque nella mia carne, la cattiveria, la perversità, la crudeltà,
l’iniquità dell’uomo. E ne sono uscita con la convinzione
incrollabile che ciò che conta è amare.
«Se pure Dio non ci fosse, solo l’amore ha un senso, solo l’amore
libera l’uomo da ciò che lo rende schiavo, in particolare, solo
l’amore fa respirare, crescere, fiorire, solo l’amore fa sì che non
abbiamo più paura di nulla, che porgiamo la guancia ancora non
ferita allo scherno e alla battitura di chi ci colpisce perché non
sa quello che fa, che rischiamo la vita per gli amici; l’amore fa sì
che tutto crediamo, tutto sopportiamo, tutto speriamo.
«Se non amo, Dio muore sulla terra. Che Dio sia Dio io ne sono
causa; se non amo, Dio rimane senza epifania, perché siamo noi il
segno visibile della Sua presenza e lo rendiamo vivo, in quest’inferno
di mondo dove pare che Lui non ci sia, e lo rendiamo vivo ogni volta
che ci fermiamo presso un uomo ferito. Alla fine, io sono veramente
capace solo di lavare i piedi in tutti i sensi ai derelitti, a
quelli che nessuno ama, a quelli che misteriosamente non hanno nulla
d’attraente in nessun senso agli occhi di nessuno.
«Luigi Pintor, e diceva d’essere ateo (!), scrisse un giorno che non
c’è cosa più importante da fare che chinarsi perché un altro,
cingendoti il collo, possa rialzarsi.
«Così è per me. È nell’inginocchiarmi, perché stringendomi il collo
loro possano rialzarsi e riprendere il cammino o addirittura
camminare dove mai avevano camminato, che io trovo pace, carica,
certezza che tutto è grazia.
«Vorrei aggiungere che i piccoli, i senza voce, quelli che non
contano nulla agli occhi del mondo, ma valgono tanto agli occhi di
Dio e sono i suoi prediletti, hanno bisogno di noi.
«Noi dobbiamo essere con loro e per loro.
«E non importa nulla se la nostra azione è come una goccia d’acqua
nell’oceano.
«Gesù Cristo non ha mai parlato di risultati.
«Egli ha parlato solo di amarci, di lavarci i piedi gli uni gli
altri, di perdonarci sempre.
«I poveri ci attendono. I modi del servizio sono infiniti e lasciati
all’immaginazione di ciascuno di noi.
«Non aspettiamo di essere istruiti sul tempo e sui modi del
servizio. Inventiamo... e vivremo nuovi cieli e nuova terra ogni
giorno della nostra vita.» |
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Rivestirò di salvezza i suoi sacerdoti, esulteranno di gioia i suoi
fedeli |
Omelia
nel Santuario di Tindari, 22 settembre 2007
Ordinazioni presbiterale e diaconali |
1. Fratelli siete venuti a Tindari da diverse contrade della
nostra diocesi: benvenuti.
Voi, ordinandi, in particolare, porterete nel cuore che il dono del
sacerdozio fiorisce per voi qui, nella casa della Nigra sed formosa.
Rivolgiamoci a lei.
Maria, a Nazaret hai abitato con Gesù; l’hai ascoltato; Egli
parlandoti per l’abbondanza del suo cuore, ti ha rivelato quello che
il Padre è, vuole, fa; parlaci di Gesù, di modo che la freschezza
della fede brilli nei nostri occhi e scaldi il cuore di chi
c'incontra, com’è stato per te quando, svelta, sei andata in
soccorso d’Elisabetta; quando, umile e attenta, serbavi in cuore
tutto quello che avveniva attorno a Gesù; quando stavi al culmine
del Calvario; quando nel cenacolo, contagiavi della tua speranza il
primo nucleo di discepoli prima del battesimo dello Spirito Santo;
tu, nostra sorella nella peregrinazione della fede.
2. Il sacerdote amico di Gesù.
Siamo qui per accogliere il dono del sacramento dell’ordine nei due
gradi del diaconato e del presbiterato.
a) Il nucleo essenziale del sacerdozio è essere amici di Gesù. Per
quest’amicizia si è resi partecipi del suo sacerdozio.
Riascoltiamo, grati la parola proclamata: ‘questa è una cosa bella e
gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, il quale vuole che
tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della
verità (cfr 1Tm 2,3-7).
b) Amici perché innamorati di Gesù Cristo, attratti da lui e
impegnati a ricercare il suo volto. Amici di Gesù perché abbiamo
ascoltato ed accettato la sua indicazione: ‘nessuno può servire a
due padroni’ e noi, scelti, abbiamo scelto di amare, lui, Gesù,
l’amico fedele. Essere amico di Gesù per il sacerdote è tutto. Da
amici, vinciamo l’ignoranza, la paura, il gelo dei servi, e
impariamo a vivere, a soffrire e ad agire con e per lui. Per chi,
nell’amicizia, vince la paura risuona la parola
‘vi siete invece accostati alla città
del Dio vivente, al Mediatore della Nuova Alleanza’ (cfr Eb 12,22-24
).
Gesù, accoglici nella tua amicizia; mantienici e facci crescere
saldi, concreti e fattivi in essa. Gesù, i tuoi amici sono ammessi a
vedere il tuo volto: facci vedere il tuo volto, faccene comprendere
e amare e gustare e imitare le sfumature. Salvatore, Alberto,
Carmelo che oggi iscrivi tra gli amici ai quali tutto riveli,
gustino sempre meglio la tua intimità.
3. Non esiste se non Gesù intero, capo e membra.
Possiamo essere amici di Gesù soltanto nella comunione con Gesù
intero. Con Gesù, cioè, capo e corpo. Con Gesù nella vita della
Chiesa animata dal suo Signore.
L’amicizia con Gesù è, sempre, amicizia con i suoi. Chi vi strizza
l’occhio dicendo: Gesù sì, Chiesa no, è quello stesso che, ieri, ha
detto: Dio sì, Gesù no e non farà trascorrere molto per chiudere il
cerchio dicendovi che Dio è superfluo, ipotesi vacuamente
consolatoria per spiriti deboli.
Fratelli, ordinandi diaconi, a voi, per dirla con S. Ignazio, è
affidato il ministero di Gesù Cristo: la chiesa è contenta per voi,
per voi trepida e prega; su di voi conta. Amatela a vostra volta.
Chiesa che è nata dalla croce ed è costretta a portare la croce del
peso dei miei peccati. Chiesa che annuncia il Vangelo e che è
appesantita dal nostro attardarci sulla pigra conservazione del già
esistente. Chiesa fondata sull’amore di Cristo e che è snaturata
dalla nostra sensualità, dall’attaccamento all’immagine di noi
stessi, dalla nostra sete di potere. Chiesa inviata a tutto il mondo
per l’annunzio e che, la nostra pigrizia, arrotola pigramente su se
stessa.
Chiesa vivificata dal Crocifisso risorto ma che geme della nostra
povertà di speranza.
Fratelli, staccati dalla chiesa, senza di essa siamo niente.
La chiesa s’intende questa chiesa, la chiesa di Cristo che fa
riferimento a questi battezzati, a papa Benedetto, a questi
presbiteri e vescovo. La chiesa che mi educa alla concretezza
insegnandomi che, se mi limitassi a pregare scivolerei in una
religiosità di marchio non cristiano, e che, in definitiva, non
pregherei. La chiesa, insomma, che rinnova il comando di Gesù:
‘andate in città’ (Mt 26,18).
La chiesa che mi ricorda ‘guai a me se non evangelizzo’ e che mi
ammonisce che, in un mondo cambiato, l’evangelizzazione esige metodi
nuovi. La chiesa pattese che mi offre progetto, piano e programma
pastorali per il presente.
Spirito Santo, inviato dal Padre, tu hai fatto della piccola Maria
di Nazaret, la madre, la madre divina; presente in Gesù, dal
Battesimo in poi, ne hai divinizzato l’umanità talché la potenza
della parola e dei segni usciva da lui a vantaggio dei poveri e dei
diseredati d’ogni genere; emesso dallo stesso Gesù, sul Golgota, con
sangue e acqua, hai dato origine e forza ai sacramenti della Chiesa
e hai fatto della sua umanità la fonte della grazia, irrora le
nostre povertà. Senza di te niente c’è in noi di vero, buono, bello
e forte.
Siamo sempre dei da poco dinanzi a Dio. Da poco ma amati, e
chiamati, e consacrati, e inviati. Voi, Salvatore, Carmelo e
Alberto, amati, e chiamati, e consacrati, e inviati come e con i
fratelli presbiteri che vi accolgono fratelli tra fratelli.
Porrete al centro Cristo vivendo di lui, come lui al servizio dei
fratelli, nella fraternità eucaristica caratterizzata dal fatto di
essere convocata dal Padre, dalla capacità di dire grazie e da un
modello di vita degna di essere imitata; sarà vostro binario la
Parola, favorita dal silenzio, dalla disponibilità al lavoro e dalla
povertà grembo della preghiera.
Tu, Salvatore, in particolare lo terrai ben presente che non
predichiamo noi stessi ma Cristo Gesù e che siamo servitori per
amore di Gesù e vasi di creta (2Cor 4, 5-18).
E terremo davanti i nostri santi. Quelli che invocheremo nella
litania mentre, in atto d’offerta totale e definitiva, vi
prostrerete sul pavimento, quelli di cui portiamo il nome, i santi
legati alla nostra chiesa pattese, i santi presbiteri, vite donate,
che niente hanno anteposto a Cristo.
Santi e sante di Dio,intercedete per noi.
4. Il sacerdote rivestito di salvezza e di gioia.
Rivestirò di salvezza i suoi sacerdoti, esulteranno di gioia i suoi
fedeli (Sal 132, 16). Questa parola ci è stata data dalla Liturgia
nella preghiera di questi giorni.
Chi parla? Per mezzo del
salmista, parla il Signore! Parola, quella del Signore, levigata
dall’abitudine, talvolta, fino allo svilimento. Parla il Signore! Se
la Parola cade nel vuoto, veniamo meno per inedia.
Niente, infatti, è che non abbia detto la sua Parola. Egli, disse e
luce, cielo, terra sono. E l’uomo vive d’ogni parola che esce dalla
bocca di Dio. Di chi parla? Parla di Sion. Sion di ieri e
Sion d’oggi, della chiesa, che egli ha scelto e della quale
assicura: "Questo è il mio riposo per sempre; qui abiterò, perché
l'ho desiderato (ivi 13-14). Cosa dice? Promette sacerdoti
rivestiti di salvezza, che è come dire rivestiti di Gesù; per questo
rivestimento gioiranno i fedeli tutti.
Parla di noi, fratelli sacerdoti, e parla di voi carissimi, Alberto,
Carmelo e Salvatore, che da oggi, con l’imposizione delle mani mie
del Presbiterio, parteciperete del sacerdozio ministeriale di Cristo
Signore nel grado del diaconato e del presbiterato.
Padre, tu nostra speranza, tu nostra salvezza, tu nostra gloria!
Chi può stare dinanzi al fuoco vivo della tua gloriosa maestà? Non
Mosé, certo, o Elia o altro profeta. Noi stiamo dinanzi a te perché
obbedienti al comando di Gesù e resi audaci dalla forza del tuo
Santo Spirito. Stiamo dinanzi a te prostrati ma fiduciosi e gioiosi
Nel battesimo ci hai cambiato e modellato su Gesù, Parola che, sola,
tutto dice di te.Cambia e modella, ancora su Gesù, Salvatore,
Carmelo e Alberto perché, come Gesù, camminino per cercare,
predichino per consolare, incontrino per risanare. |
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In cammino, con
Cristo, nella Chiesa |
Lettera ai
Presbiteri del 12 Ottobre 2007
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1.
Carissimi, l’anno pastorale
è per noi iniziato con l’incontro-pellegrinaggio a Tindari dello
scorso agosto.
In quell’occasione abbiamo voluto farci pellegrini con i fedeli
delle nostre comunità che con tale modalità onorano la Santa Vergine
del Signore organizzando e partecipando, appunto, ai pellegrinaggi.
Giorno 22 settembre, a Tindari abbiamo accolto nel presbiterio
diocesano, fratello tra fratelli, con il gesto sacramentale
dell’imposizione delle mani, don Salvatore Lipari da S. Stefano di
Camastra e don Carmelo Lipari da S. Teodoro e don Alberto Visalli da
S. Agata come diaconi.
Poi, nei giorni 24-26 settembre, a S. Agata Militello, e, giorno 29,
a Ficarra, siamo stati impegnati nella realizzazione dell’Assemblea
Ecclesiale Diocesana.
Ora siamo pronti per accogliere la grazia con la quale il Padre non
cesserà di vivificare le nostre comunità, per mezzo del Signore
Gesù, nel Santo Spirito.
2. Il pellegrinaggio è
forma universale di religiosità popolare da non disprezzare e che,
opportunamente orientata e, se del caso, purificata, può agevolmente
finalizzarsi all’evangelizzazione.
Diaconi e presbitero novelli ci danno modo di ringraziare il Signore
per il dono delle vocazioni di speciale consacrazione e c’impegnano
a pregare ed agire perché esse, intendo le vocazioni, siano adatte
per quantità e qualità al servizio che la chiesa deve offrire al
mondo oggi.
L’Assemblea Ecclesiale Diocesana per il vescovo di questa Chiesa
evidenzia l’obbligo di ringraziare per la partecipazione e la
cresciuta sensibilità ecclesiale, evidenziate anche da linguaggio e
stile.
Sempre a proposito dell’Assemblea è fonte d’umile letizia ripensare
alla testimonianza che hanno reso i giovani delle nostre parrocchie
che, nei primi gironi di settembre, a Loreto, presente il Santo
Padre Benedetto XVI, hanno partecipato all’Agorà dei giovani.
La stessa cosa sento di dovere dire della docilità generosa con cui
mi avete seguito a Ficarra per concludere l’Assemblea ai piedi della
Santissima Annunziata e invocarne la guida per il nuovo anno.
3. Ora, volgendo,
appunto al nuovo anno, i nostri santi desideri, penso di fare cosa
utile proponendovi due riflessioni.
Come conclusione dell’Assemblea ecclesiale diocesana, la prima,
sulla Liturgia la seconda.
I. La nostra Assemblea:
a) fa sua
l’atmosfera suggerita dalla Parola:
* Alzai gli occhi ed ecco un uomo con una fune in mano per
misurare. Gli domandai: «Dove vai?». Ed egli: «Vado a
misurare Gerusalemme per vedere qual è la sua larghezza e qual è la
sua lunghezza». L'angelo che parlava con me uscì e incontrò
un altro angelo che gli disse: «Corri, va’ a parlare a quel giovane
e digli: Gerusalemme sarà priva di mura, per la moltitudine d’uomini
e d’animali che dovrà accogliere. Io stesso – parola del Signore –
le farò da muro di fuoco all'intorno e sarò una gloria in mezzo ad
essa» (Zc 2,5-9).
* Un ammonimento. Guai agli spensierati di Sion e a quelli
che si considerano sicuri sulla montagna di Samaria! Questi notabili
della prima tra le nazioni, ai quali si recano gli Israeliti! (Am
6,1).
* Un’esortazione. Al cospetto di Dio che dà vita a tutte le
cose e di Gesù Cristo che ha dato la sua bella testimonianza davanti
a Ponzio Pilato, ti scongiuro di conservare senza macchia e
irreprensibile il comandamento, fino alla manifestazione del Signore
nostro Gesù Cristo (1Tm 6,13-14).
b) sa d’essere assemblea
attorno all’altare per la celebrazione dell’Eucaristia che è:
1. Memoria-Contesto del
banchetto pasquale ebraico.
Gli ebrei ricordavano un avvenimento; i cristiani ricordiamo una
persona: Fate questo in memoria di me. Non vuota commemorazione ma
reale presenza a noi degli eventi. Non semplice riflessione sulla
salvezza ma sua vera riattualizzazione.
Fate questo in memoria di me.
Gesù partì dunque con loro e tornò a Nazaret e stava loro
sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore.
E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli
uomini (Lc 2, 51-52).
A lei, nostra sorella che conserva nel cuore quanto avviene attorno
al Figlio divino, la nostra fiduciosa invocazione: Madre del Buon
Consiglio. Casa d’oro. Regina dei patriarchi e della pace. Vergine
del silenzio.
2. Col gesto dell’uccisione
e consumazione dell’Agnello, con lo spezzare il pane e bere
il vino Gesù qualifica la sua morte in Croce come sacrificio
dell’alleanza, come atto che esprime e costituisce il patto eterno
che lega per sempre Dio e il suo popolo, il nuovo Israele.
A lei, tipo e modello della Chiesa, la nostra fiduciosa invocazione:
Arca dell’Alleanza. Rifugio dei peccatori. Causa della nostra
letizia. Tempio dello Spirito Santo. Regina delle vittoria. Madonna
dei peccatori. Madonna della catena. Madre della luce.
3. Il banchetto pasquale
ebraico aveva una tensione verso il Messia futuro e il Regno che
doveva venire da lui inaugurato.
Questa dimensione è presente nella prima comunità cristiana:
* per
S. Paolo i cristiani annunziano la morte del Signore fino a che egli
venga;
* Maràn
atà (Il Signore viene);
* Maràna
tha (Signore nostro vieni).
Questa dimensione è presente nella comunità d’oggi:
* Il Signore onnipotente e misericordioso ci conduca alla
vita eterna.
* Credo
in Gesù … di nuovo verrà nella gloria.
* Aspetto
la risurrezione dei morti e la vita che verrà.
* Annunziamo
la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa
della tua venuta.
* Nell’attesa della tua venuta ti offriamo, Padre, in
rendimento di grazie.
* Perché
possiamo ottenere il regno promesso.
* Concedi anche a noi di ritrovarci insieme a godere della
tua gloria.
* Nell’attesa
che si compia la beata speranza.
* Il
corpo e il sangue di Cristo siano per noi cibo di vita eterna.
A lei, madre forte nella sua incrollabile speranza ai piedi della
croce, la nostra fiduciosa invocazione: Porta del cielo. Regina
assunta in cielo. Regina degli angeli.
4. La Chiesa:
- popolo – memoria, popolo che ricorda (ricordare ha da fare
col cuore);
A lei la nostra impegnata invocazione:Vergine fedele.
- nasce
dall’alleanza sancita dal sacrificio di Cristo sul Calvario e
quotidianamente ripresentato;
A lei, alla Santa Madre del Signore, la nostra contemplante
invocazione: Rosa mistica.
- attesa
delle cose future,
- campo
di quei che sperano,
- ponte
lanciato tra le due venute del Signore.
A lei, nostra compagna nella peregrinazione della fede, la nostra
fiduciosa invocazione: Regina dei martiri.
5. Che fare.
Sul piano operativo sono affidate a noi, perché modellino le nostre
persone e il nostro impegno, Memoria, Alleanza e Speranza.
II. La Liturgia.
1. La comunità nasce, sempre da capo, dalla Liturgia.
Si lamenta che alla parrocchia si va per soddisfare un vago bisogno
religioso attraverso la richiesta di sacramenti e prestazioni
religiose che non esprimono la fede, e non incidono nella vita.
Molteplici e complesse sono le cause di quest’andazzo. Fra tutte
emerge che la parrocchia non è luogo dell’esperienza vitale della
preghiera liturgica che plasma e anima la comunità cristiana. La
partecipazione piena, consapevole e attiva voluta dal Concilio è
sempre da realizzare nonostante i riti e i testi aggiornati.
2. La Liturgia è
celebrazione di un dialogo.
Dalla situazione, scaturisce la necessità di rivedere i principi
teologici che costituiscono il fondamento della liturgia della
chiesa. La liturgia è celebrazione dell'incontro tra due: Dio
e la comunità dei credenti.
L'iniziativa viene da Dio che, sempre presente e operante nella
storia, realizza e rinnova una proposta e un dono d’alleanza col suo
popolo. «Dio volle santificare e salvare gli uomini - insegna la
Lumen Gentium - non individualmente e senza alcun legame tra
loro, ma volle costituire di loro un popolo che lo riconoscesse
nella verità e fedelmente lo servisse» (LG 9).
Tale santificazione e salvezza ci raggiungono attraverso il
sacramento globale della liturgia nella quale Dio si manifesta come
colui che convoca il popolo, parla al suo cuore, gli svela il suo
volto e il suo progetto di comunione. La celebrazione liturgica ci
educa, appunto, a crescere nella dimensione del “noi” comunitario,
grazie ai molteplici doni dello Spirito e ai vari servizi
ministeriali che le sono propri.
La liturgia è, soprattutto, luogo e momento privilegiato in cui
diventiamo comunità in ascolto di Dio che ci parla. La Parola di Dio
scritta torna a farsi suono, voce, spirito e vita, nella liturgia.
Non è più lettura di un libro, ma ascolto di Qualcuno che parla e
interpella l'intera comunità e, al suo interno, il singolo credente.
La proclamazione della Parola, infatti, innalza l'Assemblea
da agglomerato, riunione d’amici, a comunità di credenti convocati
per ravvivare la fede nell'alleanza nuova in Cristo Gesù.
L’Assemblea è il nuovo Popolo con il quale Dio instaura il
dialogo di salvezza: Dio prende l’iniziativa, parla al popolo, e il
popolo risponde ascoltando, cantando e pregando.
La Parola di Dio narra i grandi eventi della storia della
salvezza, soprattutto la vita di Cristo e il Mistero Pasquale. Di
questi eventi della salvezza, la liturgia, soprattutto nella
celebrazione dei sacramenti, rende contemporanei, perché anche noi
ne accogliamo e viviamo, ora e qui, la dirompente forza salvifica.
Nella Liturgia, dunque, si fa l'esperienza di Dio vicino che in
Cristo Gesù si fa dono e compagno. Ma l'accoglienza di questa
presenza esige la risposta personale e comunitaria, con l’assunzione
di stili di pensiero, parola, azione, cioè di vita, nuovi perché
conformi al dono ricevuto e sperimentato.
3. La Liturgia nell'Anno Liturgico
Perché questi principi e valori della celebrazione diventino
esperienza esistenziale, la Chiesa offre un itinerario che aiuti i
singoli e la comunità cristiana all'incontro con il Risorto che
trasforma la vita e la storia umane per mezzo degli eventi di grazia
di cui la liturgia è memoria viva.
Un itinerario efficace e adatto a tutti che consiste nell’Anno
Liturgico del quale è sempre utile approfondire tappe e caratteri.
È il cammino di fede orante per tutta la Chiesa. È celebrazione dei
misteri di Cristo nella loro globalità. È celebrazione ciclica che
ha come fine aprire all'incontro con Cristo Gesù Salvatore unico.
a) L'Avvento
Prima tappa dell'Anno Liturgico, l’Avvento, propone la prospettiva
del ricominciare e, per questo, è sempre carico di novità. In esso
la chiesa, che attende il ritorno glorioso di Cristo, alla fine dei
tempi, fa memoria dell'Incarnazione del suo Signore che sposa
l'umanità e solidarizza con la sua storia.
L'Avvento è il tempo nel quale Dio e l'uomo si accolgono: A Dio che,
con la sua parola, offre all’uomo di accoglierlo nell’intimità della
vita trinitaria, l'uomo offre l’accoglienza nella fede, nella
preghiera e nella carità operosa.
Di questo tempo liturgico non ci vuole molto per recepire il
carattere mariano e la Chiesa invita a contemplare e a condividere
gli atteggiamenti di Maria di Nazareth nostra compagna nella
peregrinazione della fede:
- la sua apertura all'evento del Figlio di Dio che in lei si fa
uomo, per essere compagno d’ogni uomo;
- la sua accoglienza della Parola che illumina e dà senso agli
eventi della sua vita;
- la sua disponibilità ad aprire mente e cuore alla logica
dell'incarnazione in cui Dio la coinvolge nel realizzare il suo
progetto di redenzione del mondo.
b) La Quaresima
La Quaresima è il tempo favorevole per riscoprire la vocazione
battesimale e impegnarsi in una seria conversione di vita.
Non basta aprire, una volta per tutte, l’esistenza a Cristo. Occorre
- anno dopo anno, Quaresima dopo Quaresima - lasciarsi liberare
dagli idoli, richiamando le esigenze dell'Alleanza. Questa esigenza
è richiamata con accenti molto efficaci dai testi liturgici. A modo
d’esempio leggiamo il 5° dei prefazi proposti nel Messale:
«Tu, Padre, riapri alla Chiesa la strada dell'esodo attraverso il
deserto quaresimale, perché ai piedi della santa montagna, con il
cuore contrito e umiliato, prenda coscienza della sua vocazione di
popolo dell'alleanza, convocato per la tua lode, nell'ascolto della
tua parola, e nell'esperienza gioiosa dei tuoi prodigi»
Obiettivi da perseguire, pesi e limiti personali e comunitari che
ostacolano vanno tenuti con eguale realismo. Ci viene incontro la
stessa liturgia: «Dio, nostro Padre, concedi a noi tuoi fedeli di
crescere nella conoscenza del mistero di Cristo...» (1^ Domenica di
Quaresima, colletta).
c) La Pasqua
La celebrazione della Pasqua del Signore è evento centrale della
nostra fede e sorgente della vita nuova in Cristo. Frutto primario e
decisivo di questo mistero è l'effusione dello Spirito del Risorto
sulla chiesa. Egli trasforma i credenti in creature nuove e li
abilita a vivere la comunione con i fratelli, come suggeriscono le
parole ben note: «Dona a noi la pienezza dello Spirito Santo, perché
diventiamo in Cristo un solo corpo e un solo Spirito.», che
continuano evidenziando l'esigenza di crescita fraterna: «E a tutti
coloro che mangeranno di quest'unico pane e berranno di quest'unico
vino, concedi che, riuniti in un solo corpo dallo Spirito Santo,
diventino offerta viva in Cristo.»
d) Il Tempo Ordinario
Nel Tempo Ordinario, attraverso la celebrazione del mistero
cristiano nel suo insieme, si celebra la fedeltà di Dio, nello
scorrere del tempo, in attesa del ritorno glorioso del Signore.
Tale fedeltà di Dio si esperimenta nella Parola, nei sacramenti e
negli avvenimenti ordinari della vita.
La nostra risposta alla fedeltà di Dio è la vita coerente con
l'Alleanza come magistralmente richiama un'altra preghiera: «Tu hai
mandato il tuo Figlio per fare di tutte le nazioni un solo popolo
nuovo che ha come fine il tuo Regno, come condizione la libertà dei
figli, come statuto il precetto dell'amore» (Prefazio VII del T.
O.)
e) A modo di conclusione
Abbiamo iniziato con la constatazione che, talvolta, le nostre
comunità manifestano qualche carenza di vitalità spirituale. La
qualità della preghiera liturgica può essere una delle radici di
tale carenza.
La riflessione proposta e le altre che ognuno può fare all’inizio
del nuovo anno pastorale ci possono spingere a prendere
consapevolezza della ricchezza che l’esperienza della chiesa mette a
disposizione della comunità credente. |
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Lo seguirono |
Lettera ai
Presbiteri del 9 Novembre 2007
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1.
Carissimi, in obbedienza alla costante indicazione del Magistero
della Chiesa prestiamo attenzione docile e, speriamo, concreta alla
nostra formazione.
Formazione che deve essere permanente, non fosse altro, perché
nessuno può presumere di essere ‘formato’ mentre tutti, quali che
siano l’età, la personale storia e i compiti, dobbiamo vederci
sempre discepoli dell’unico Maestro.
Maestro che, come parola completa e indicibile del Padre, nessuna
epoca può presumere di impacchettare nelle sue coordinate culturali
e nelle sue parole.
2.
Formazione permanente ha da fare con la spiritualità e cioè con il
modo di sentire di sé e con la gestione dei rapporti con le cose e
con gli altri.
Rapporti con sé e con gli altri: da qui dipende tutto.
Il credente, consapevole che non sono mancati i cattivi maestri per
i quali ‘gli altri sono l’inferno’, si riconosce discepolo del
Maestro dalle parole di vita eterna,
Gesù Signore, per
il quale Dio si fa incontrare, oltre che nel silenzio, proprio negli
altri.
C’è dunque un modo di vedere, una spiritualità cristiana che si
oppone al modo di vedere mondano, può sembrare strano, ad una
spiritualità non cristiana.
Il modo di vedere è autentico metro valutativo, è sfondo su cui si
saggia ciò che vale dinanzi a Dio, è crogiuolo che distingue i
surrogati dall’oro, è criterio che isola le croste dai capolavori e
ciò che la ruggine ossida, i tarli consumano e i ladri involano dal
tesoro che non teme lo srotolare del tempo e il suo sfociare
nell’eternità.
Giova ascoltare l’insegnamento dell’Apostolo, fedelmente espresso
nella sua corrispondenza con la primitiva comunità corinzia.
«Poiché,
infatti, nel disegno sapiente di Dio il mondo, con tutta la sua
sapienza, non ha conosciuto Dio, è piaciuto a Dio di salvare i
credenti con la stoltezza della predicazione.
«E mentre i
Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi
predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per
i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci,
predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio.
«Perché ciò
che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è
debolezza di Dio è più forte degli uomini.
«Considerate
infatti la vostra chiamata, fratelli: non ci sono tra voi molti
sapienti secondo la carne, non molti potenti, non molti nobili.
«Ma Dio ha
scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha
scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti.
«Dio ha
scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla
per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa
gloriarsi davanti a Dio.
«Ed è per lui
che voi siete in Cristo Gesù, il quale per opera di Dio è diventato
per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione, perché,
come sta scritto: «Chi
si vanta si vanti nel Signore»
(1Cor 1,21-31).
3.
Il
modo di vedere e valutare però non basta se non perviene all’agire,
ché spiritualità è quella dell’uomo che, fatta sua la sua visione
delle cose del Vangelo, la traduce in concrete azioni di vita con
essa coerenti.
4.
Il
libro dei Salmi, libro della preghiera dei credenti della Prima e
della Seconda Alleanza, brulica d’invocazioni appassionate e di
riferimenti alla vita e alla morte, al Faraone, alle belve del
canneto, a Nabucodonosor, Amàn, Antioco Epifane.
Costoro non agitano parole vane, ma vogliono la concreta, feroce,
sanguinaria sradicazione del popolo eletto dal novero dei popoli e
dalla faccia della terra.
E i credenti sono chiamati a spendere la loro fede, la loro visione
della vita, la loro spiritualità nel concreto scontro, con il
terrore che provavano al confronto con i carri metallici degli
egiziani, con le cavallette assire, con lo strapotere politico delle
grandi potenze.
Quando Gedeone oppone la sua costernazione all’angelo che gli
propone di farsi capitano di un’impresa disperata, parla di cose
vere.
Il sarcasmo di Giobbe prima che bruciare la carne dei fasulli
mosconi che lo tediano con il loro perbenismo
«è
vero, sì, che voi siete la voce del popolo e la sapienza morirà con
voi!»
(Gb 12, 2), ha ridotto ad orticheto la sua carne inchiodata
sul letamaio.
Così Debora, Ester, i Maccabei… così Gesù che predica la giustizia e
continua decisamente per la via, già fornita di croce, che conduce a
Gerusalemme.
Dietro a Gesù sono numerosi i figli di Adamo, il vecchio, che si
rinnovano, divenendo discepoli del nuovo Adamo, assumendone la
spiritualità che è sempre sguardo verso di Lui, di Dio, mai
dimentico di loro, i fratelli.
In tutti tempi. In tutti i luoghi. Francesco d’Assisi, Carlo
Borromeo, Vincenzo de’ Paoli, Francesco di Sales, Giorgio La Pira,
Alcide De Gasperi, Gianna Beretta Molla, Lazzati, Giovanni XXIII,
Paolo VI, Oscar Romero…
Zaccheo
che vuole vedere Gesù e corre davanti, sale sul sicomoro e in fretta
scese e lo accolse pieno di gioia e disse:
«Ecco,
Signore, do la metà dei miei beni ai poveri; e restituisco quattro
volte tanto»
(cfr Lc 19,6-9).
I primi discepoli
la cui storia è narrata da Matteo nel 4° capitolo del suo
vangelo.
E, dice Matteo, subito lo seguirono. La sequela non è intellettuale,
fascinoso, elegante e pigro godimento.
Odora di vita e della vita ha le spine. Come la vita necessita di
scelte con l’inevitabile contorno di rinunzie, rischi, ansie, costi.
Dopo la scelta per Cristo niente è come prima. Non ha senso pensare
la scelta per Cristo, la fede, da una parte, la vita, la famiglia,
il commercio, l’attività didattica, il divertimento ecc. da un’altra
parte, ognuna per conto proprio.
Dopo accettato di seguire Gesù, o il baratro di Giuda o l’altezza
dei dodici seggi per giudicare le dodici tribù; o la tristezza di
quel tale che, trattenuto dai molti averi andò via, o la letizia
ardente di Giovanni, della Maddalena e di Pietro del primo giorno
dopo il sabato.
I discepoli, accettando di farsi plasmare dalla parola di Gesù
(sennò che discepoli sono mai?), davvero, nella vita, si fanno
condurre da ben precise coordinate.
Al
centro
Gesù. Sua è l'iniziativa (vide, disse loro, li chiamò): non è
l'uomo che si autogenera discepolo, ma è Gesù che trasforma l'uomo
in un discepolo.
E ancora: il discepolo non è chiamato ad impossessarsi di una
dottrina, neppure anzitutto a vivere un progetto d’esistenza,
ma a solidarizzare con una persona.
Al primo posto l'attaccamento alla persona di Gesù. Tanto è vero che
il discepolo evangelico non intraprende un tirocinio per
divenire a sua volta un maestro: egli rimane sempre un
discepolo perché uno solo è il Maestro, Cristo.
Seguire Gesù esige un profondo distacco. La chiamata
di Pietro e Andrea e la chiamata di Giacomo e Giovanni sono
costruite secondo la medesima struttura e sostanzialmente secondo lo
stesso vocabolario.
C'è però una differenza non trascurabile: nel primo racconto si dice
che lasciarono «le reti», nel secondo che lasciarono «la barca e il
padre». C'è dunque come un crescendo: dal mestiere alla famiglia. Il
mestiere rappresenta la sicurezza e l'identità sociale, il padre
rappresenta le proprie radici.
Seguire Gesù è cammino.
A partire
dall'appello di Gesù, il cammino si esprime con due movimenti,
lasciare e seguire, che indicano uno spostamento del centro della
vita. L'appello di Gesù non colloca in uno stato, ma in un cammino.
Seguire Gesù è missione.
Il discepolato
coniuga la comunione con Cristo (seguitemi) e la corsa verso il
mondo (vi farò pescatori d’uomini). L’andare al mondo nasce dalla
comunione con Cristo. Gesù non colloca i suoi discepoli in uno
spazio separato, ma li incammina sulle strade degli uomini.
5.
La
fede è la perla preziosa. Di fede ne basta quanto un granellino di
senapa per spostare le montagne e per fare cose maggiori di quelle
operate dallo stesso Maestro.
Della fede Gesù si chiede se ne troverà al suo ritorno e niente fa
pensare che si tratti di una domanda retorica. La fede è apertura a
Dio, dirgli di sì che prelude ad uguale apertura al mondo e al
prossimo.
La mia fede che, se autentica, è abitata dalle vicende di Adamo,
Abramo, Mosè, Jefte, David, Salamone, Isaia, Zaccaria, Pietro,
Giacomo ecc., deve essere abitata, sempre che sia autentica, da
globalizzazione e scalone sindacale, guerra e pace, Darfur e Congo,
Irak e Iran, Cina e India e Usa e Francia e Italia e Sicilia e Patti
e quartiere e condominio, dove c’è, e Messina e Patti e Acquedolci,
Ucria… Berlusconi e Prodi, ASL e Aziende Scolastiche, sindacato e
patronato.
Avvenimenti e persone sono lì per tutti ed aspettano lettura,
reazione e azione. L’uomo di fede legge, reagisce e agisce non a
prescindere ma a partire dalla sua fede. Queste (lettura, reazione e
azione) sono la sua spiritualità. |
|
Perchè
di tutti sia la gioia |
Lettera ai
Presbiteri del 14 Dicembre 2007
|
Carissimi, nell’ultima decade dello scorso novembre ho avuto la
gioia di partecipare, con 25 confratelli al corso di esercizi
spirituali organizzato dalla diocesi. Altri tre confratelli, hanno
dovuto abbandonare o non venire perché colpiti da malesseri
stagionali. L’orionino don Gino Moro ha guidato la nostra
riflessione sulla povertà, castità e obbedienza vissute e
consigliate dal nostro Signore a coloro che lo vogliono seguire in
una via di più spiccata donazione ai fratelli chiamati, per il
Battesimo, a seguirlo con altre modalità d’impegno e testimonianza.
Abbiamo potuto fruire di un’atmosfera buona per serenità fraterna e
per la cordiale ospitalità delle sorelle del Divino Zelo.
Trovo interessanti le tracce delle meditazioni e, per questo, ho
pensato di offrirvele. Qua e là ho modificato leggermente qualche
dettaglio per evitare qualche asperità che il testo scritto
inevitabilmente conserva rispetto a quello proposto a viva voce.
Di dette tracce, qui di seguito, vi offro una prima parte che penso
di completare nei Notiziari dei prossimi mesi.
Con la speranza di fare cosa utile, il mio augurio anche per le
festività natalizie ormai prossime che, sono sicuro, vorrete
partecipare ai fratelli che servite nelle varie comunità
parrocchiali. Con la mia benedizione.
1.
PRIMA INTRODUZIONE: GLI ESERCIZI SPIRITUALI
È d'Esercizi
Spirituali (ES) che si tratta. Non di qualsiasi forma di dinamica
spirituale: anche se ogni atto cristiano – il solo dire Gesù!
– può avvenire solo nello “Spirito Santo”, per ragioni molteplici,
tante espressioni religiose – ascolto, riflessione, meditazione,
preghiera, silenzio – non raggiungono uno statuto spirituale forte.
Restiamo – usiamo questa immagine – a livello devozionale.
Facciamo operazioni come un soggetto credente già costituto prima e
a partire da questa pre-costituzione. Mettiamo a frutto un’identità
pre-esistente e pre-costituita: i nostri gesti - atti, e parole
interiori - non sarebbero “spazio teologico ultimo”, per l’avvento
del Regno qui e ora, in noi e, attraverso di noi, nella e per la
Chiesa locale/universale, nella e per la società glocale (è un
neologismo inventato per mettere insieme l’istanza locale e
l’attenzione al tutto; fa un po’ il verso a globale):
locale/universale. Non basta avere più tempo cronologico per
farne un’occasione salvifica.
Come insegna la preghiera dopo il Veni Creator, due sono le
soglie da varcare: a) la prima, nel salto meditativo dal
capire al gustare: b) la seconda, nel
salto contemplativo dal
gustare al godere la consolazione dello Spirito che ci
trasforma: il silenzio spirituale e mistico è il luogo mariano
di questa metamorfosi (cfr Rom 12,1-2).
2.
Dobbiamo essere coscienti della necessità di far fronte alla
tentazione propria di questa circostanza, unica nel quadro delle
nostre attività annuali. Questa tentazione non risparmia nessuno,
soprattutto coloro che sulla scia di un meccanismo sacrale
presumessimo di essere già giusti e di non aver bisogno di
penitenza, come ipnotizzati dallo status ecclesiastico,
immuni dalla necessità di ri-deciderci, qui e ora, per il
Signore e la sua signoria sul mondo - in noi e in tutti - con una
dinamica che va quindi alla radice di noi stessi, delle nostre
azioni e operazioni, della nostra identità umana ed ecclesiale,
ministeriale e pastorale.
Chi volesse essere aiutato a vincere questa tentazione può rileggere
Luca 11,24-28, utile anche perché fa seguire al loghion sui
“sette spiriti maligni” quello sui veri beati: coloro che ascoltano
la parola di Dio e la mettono in pratica. È questo
ascolto che genera quanto
ascoltato il dono che chiediamo in dono gli uni per gli altri in
questi ES: Quando lo spirito immondo esce dall'uomo, si
aggira per luoghi aridi in cerca di riposo e, non trovandone, dice:
Ritornerò nella mia casa da cui sono uscito. Venuto, la trova
spazzata e adorna. Allora va, prende con sé altri sette spiriti
peggiori di lui ed essi entrano e vi alloggiano e la condizione
finale di quell'uomo diventa peggiore della prima". Mentre diceva
questo, una donna alzò la voce di mezzo alla folla e disse: "Beato
il ventre che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte!".
Ma egli disse: "Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di
Dio e la osservano!"
3.
E’ sempre bene mettere a fuoco che gli ES, secondo il libretto di
sant’Ignazio, un’autorità in questo campo, sono”per vincere se
stessi e per mettere ordine nella propria vita senza prendere
decisione in base ad alcuna propensione che sia disordinata”
(regola 21). Il senso di questo “mettere ordine”, dobbiamo
intenderlo al livello proprio dell’azione non solo creatrice, ma
escatologica del Signore. L’ordine dunque non è solo essere ciò che
siamo (ad immagine di Dio, creati per la sua gloria ecc. ma siamo
per essere la creatura nuova, redenta, che deve raggiungere la
pienezza secondo la dimensione di Cristo). Non scordiamo che viviamo
negli “ultimi tempi”.
Un tale “mettere ordine” possiamo riesprimerlo
con i sei verbi che il Signore affida alla parola profetica di
Geremia 1,10:”Ecco, oggi ti costituisco sopra i popoli e
sopra i regni per sradicare e demolire, per distruggere e abbattere,
per edificare e piantare”. La logica molto individuale di
sant’Ignazio va non solo affiancata, ma reinventata alla luce della
svolta comunitaria in atto tanto nella società, quanto nella
Chiesa del Vaticano II.
4.
I consigli evangelici sono lo sfondo dei nostri ES. Noi li
tratteremo non tanto come categoria un po’ astratta di povertà,
castità e obbedienza, quanto come emergenze messianiche di un
nuovo soggetto umano reso -nelle sue relazioni ed azioni -
povero, casto e obbediente dall’imminenza del Regno. Vedremo
povertà, castità e obbedienza come dono-tesoro offerto e trovato.
Contempleremo l’azione di Dio in atto che (qui e ora) ci rende
soggetti umani messianici: l’aspetto etico ed ascetico sono
presenti in seconda battuta, derivata e secondaria, come specchio e
riflesso della condizione ultima che Gesù inaugura in sé e in noi,
accogliendo la sovranità del Padre. Se in Gesù irrompe nella storia
il Regno, si dà inizio alla ri-creazione dei soggetti creati in
soggetti messianici, icona della figura ultima dell’umano.
Quindi povertà-castità-obbedienza come volto della
creazione nuova che sorge come fiore e frutto della potenza
escatologica, ultima e ultimativa del Dio Trinitario. Questa azione,
a partire dalla pienezza dei tempi inaugurata da Gesù, introduce
l’umanità nel suo ultimo stadio.
All’annunzio del Regno corrisponde l’annuncio della
beatitudine che corrisponde a coloro che lo accolgono, diventando
figli del Regno, la specie umana dell’Ultima Ora. Così gli ES
sono esperienza teologale sotto l’azione divina. Nelle meditazioni
cercheremo un equilibrio tra l’aspetto misterico che
espliciteremo nella prima proposta del mattino e l’aspetto
ministeriale che proporremmo nella seconda proposta del
pomeriggio. Un ministero teso a rendere obbediente, povero e
casto il nostro popolo, la nostra diocesi, con in capo, quale
testimone autorevole, il presbiterio di cui siamo membra e che qui
rappresentiamo e portiamo nella nostra carne. Inizieremo con la
beatitudine dell’ascolto-obbedienza, perché è quella che configura
le successive beatitudini.
5. Una decisione molto difficile da prendere e da
osservare, ma necessaria per l’esperienza degli ES riguarda il
controllo dei rumori per accedere al silenzio. Il controllo
dei rumori: mi riferisco alla tirannia del cellulare e della
radiolina che ci accompagnano, c’è da temere, anche in questo luogo
e in questo tempo privilegiato di preghiera. Andrebbero messi a
tacere l’uno e l’altra. Per le chiamate di vera emergenza durante il
giorno, non manca a voi come fare in modo che siate cercati solo in
casi estremi.
Però… c’è un però.
Evitato con coraggio il rumore esterno, abbiamo fatto
solo un primo passo. Poi si tratta di tacitare i ben più
assordanti e aggressivi rumori interni. Solo così possiamo
lasciarci condurre dallo Spirito verso i gradi e i livelli del
silenzio interiore, là dove avviene l’a tu per tu con il
Signore. Lo sappiamo, ma non è inutile ribadirlo: senza
ascensioni verso il silenzio non vivremo quella esperienza
religiosa qualificata di cui abbiamo una necessità vitale. Siamo
infatti avvolti da una legione di distrazioni che ci rende non
autori e attori della vita e della pastorale, ma gregari e
ripetitori.
6. Ci dovrebbero far utile compagnia almeno due itinerari
biblici: il centrale discorso della Montagna di Mt 5-7, letto con il
testo parallelo Lc 6,17-49. Nessuno dovrebbe privarsi in questo
clima, della ri-scoperta di LG 8, così pure di GS 1. Prendiamo un
primo immediato contatto con alcuni testi biblici relativi alle tre
dinamiche della nuova antropologia messianica:
a) Beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!
(Lc 11,28). Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel
regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei
cieli (Mt 7,21). Chiunque ascolta queste mie parole e le mette in
pratica, è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa
sulla roccia” (Mt 7,24). Siamo tribolati da ogni parte, ma non
schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non
abbandonati; colpiti, ma non uccisi, portando sempre e dovunque nel
nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si
manifesti nel nostro corpo (2 Cor 4,8-10).
b) Beati i poveri in spirito, perché di essi è il
regno dei cieli (Mt 5,2). Beati voi poveri,
perché vostro è
il regno di Dio
(Lc 6,20). Una cosa ancora ti manca: vendi tutto quello che hai,
distribuiscilo ai poveri e avrai un tesoro nei cieli; poi vieni e
seguimi. Ma quegli, udite queste parole, divenne assai triste,
perché era molto ricco. Quando Gesù lo vide, disse: Quanto è
difficile, per coloro che possiedono ricchezze entrare nel regno di
Dio. È più facile per un cammello passare per la cruna di un ago che
per un ricco entrare nel regno di Dio! (Lc 18,22-25).
c) Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio (Mt 5,8).
Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è da Dio:
chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio.
Chi non ama non ha
conosciuto Dio, perché Dio è amore.
In questo si è manifestato l'amore di Dio per noi: Dio ha mandato il
suo unigenito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui.
In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, maè lui che
ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione
per i nostri peccati (1 Gv 4,7-10).
Schema sintetico
1. DE-CONDIZIONARSI
- uscire, lasciare, staccare, prendere distanza;
- vincere la presunzione di essere giusti restando nella meccanica
un po’ automatica delle pratiche di pietà;
- vigilare sulla nostra de-formazione più centrata sul capire
(intelletto) e meno sul decidere (volontà) e ancor meno sui
sentimenti in senso biblico come “sentire in Cristo” come
attitudine trasformante;
- entrare nella sfida del silenzio (staccare la spina, i
cellulari…) …
2. SINTONIZZARSI CON L’AZIONE DIVINA
- in Gesù Dio ha detto e dato già una totalità tipica – una
anticipazione capace di fare agire in noi la radice ultima – che qui
e ora - può agire in noi;
- lasciare emergere l’atto finale della Trinità, che è tutta
intera l’azione che inaugura la fine dei tempi:
passione-morte-risurrezione-pentecoste.
3. DECIDERSI
- liberarsi dalla pre-comprensione
che l’opzione fondamentale già espressa abbia finito di agire: la
perfezione si raggiunge alla fine e non all’inizio del processo che
resta sempre aperto;
- vivere questi giorni alla luce di “in quel tempo” (escaton);
- anticipare
psicologicamente la morte, spingendo al massimo
livello la propria decisione: decisione da “ultimi tempi”:
l’escatologia come massima opportunità, qui e ora: da essa tutto
dipende;
- gli ES come “lavoro da settimo giorno”, serie di attività
interiori da organizzare in sequenza: lectio, meditatio, oratio,
contemplatio, deliberatio, actio.
4. CIRCOSCRIVERE LO SPAZIO DI DIO
- ottica escatologica e non etico-ascetica: l’irruzione in me
dell’Ultimo Stadio;
- duplice registro: mistico e ministeriale.
5. SOLIDARIZZARE:
- mai senza Lui, mai dimentichi di loro e, da qui, l’esigenza di
solidarizzare con:
- l’umanità di oggi: famiglia, parentela, amici, malati,
antenati…
- la chiesa di oggi: parrocchia, gente, laici, diocesi, chiesa
universale…
- il presbiterio: confratelli, vescovo, preti in difficoltà,
seminaristi…
Pure da qui l’esigenza di riconciliarsi (chi vuole potrebbe
anche fare una prima confessione).
6. ORGANIZZARE IL TEMPO DELLE PROPRIE ATTIVITà
SPIRITUALI
- quanto tempo alla meditazione e all’orazione
- quanto alla contemplazione e al silenzio di offerta
7. SALPARE CON MARIA TENENDO FISSO LO SGUARDO SU GESù
Esercizi iniziali per assumere nella fede il nostro momento attuale
a) Come sto fisicamente, psicologicamente, pastoralmente in questo
momento? Che stati d’animo e preoccupazioni ho? Quali fatiche mi
pesano maggiormente? Fa preghiere di accettazione e di assunzione e
integrazione della tua situazione…
b) Che aneliti e aspirazioni mi abitano in questo ultimo periodo?
Quale grazia, qui e ora, mi serve per assecondare l’azione dello
Spirito in me, nelle mie relazioni con la gente e con il
presbiterio? Fa preghiere di invocazione e di intercessione…
c) Come programmo la mia giornata per dedicarmi ordinatamente ai
diversi e concatenati tempi di: ascolto-riflessione,
meditazione-orazione, silenzio-contemplazione? Quale tempo dedico
alla lettura delle pagine bibliche e conciliari suggerite? Fa il
piano del tempo a tua disposizione …
GLI ESERCIZI SPIRITUALI OGGI
8.
“Molte cose ho ancora da dirvi, ma
per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando però
verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta
intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e
vi annunzierà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà
del mio e ve l'annunzierà. Tutto quello che il Padre possiede è mio;
per questo ho detto che prenderà del mio e ve l'annunzierà”
(Gv 16,12-15). Lo Spirito guida oggi i credenti e le chiese a una
nuova maturità spirituale: quella precedente è inadeguata alla
ricchezza, alla complessità e alle sfide del momento attuale della
storia della salvezza. Il magistero, dal Concilio in poi, lo ripete
a refrain. Questa maturità spirituale è la sola a poterci orientare.
Può la chiesa locale essere - a fianco del soggetto individuale – il
soggetto comunitario della spiritualità?
9.
Siamo coinvolti in un “cambiamento di epoca”. La GS
si esprime così: “Le condizioni di vita dell'uomo moderno, sotto
l'aspetto sociale e culturale, sono profondamente cambiate, così che
è lecito parlare di una nuova epoca della storia umana” (54).
Ciò che più colpisce sono i disordini, le confusioni: il caos. La
scoperta delle potenzialità può “avvenire se sorgono uomini
nuovi, artefici di una umanità nuova, con il necessario aiuto della
grazia divina” (cfr GS 30). Occorrono cioè soggetti e comunità
con una spiritualità adeguata al nuovo contesto. «Dobbiamo renderci
conto che per dominare la vita è necessario uno slancio sempre
nuovo, che corre sul filo della nostra buona volontà per la quale
temiamo, della cui perseveranza noi stessi siamo preoccupati». Gli
ES spirituali dobbiamo collocarli in questa croce della nostra
epoca, come laboratorio di questa spiritualità più matura.
Dobbiamo sentire il valore degli ES ignaziani come dono
provvidenziale all'inizio della modernità in rapporto a un
nuovo dono necessario ora, con la nascita del
soggetto-in-relazione, per rendere possibile in termini teologali
l'«autorealizzazione della Chiesa». Sotto l’azione dello
Spirito, può sorgere oggi qualcosa di «realmente nuovo», che tocca
l’autorealizzazione della Chiesa stessa.
10.
Tutto ciò è in gestazione e diventa percettibile molto lentamente,
non senza sofferenze e incertezze. Lungi dall'essere astratta,
questa percezione ha immediate ripercussioni pratiche. Gli
Esercizi, nati all'inizio della modernità, vanno ripensati
per essere collocati all'interno della nostra condizione culturale e
della necessità di far sorgere una spiritualità contemporanea.
Mentre l'uomo medievale viveva e pensava la sua esistenza davanti a
Dio in base a un insieme di norme, con l'arrivo dell'età moderna
inizia un processo in cui l’uomo si pone se stesso al centro. Oggi
si consuma il crollo di questo sforzo prometeico di autocostruzione.
Viviamo, anche negli strati popolari, una nuova relazione con il
nulla. Può il nichilismo diventare roveto ardente per una nuova
immagine di chiesa e di servizio all’umanità nell’attuale stato di
cose?
11.
Negli Esercizi ignaziani la Chiesa non compare
come soggetto agente. Essa è certamente presente, ma come
oggetto. Dice Rahner: «Gli Esercizi sono un evento
solitario del soggetto individuale in quanto tale e in essi la
Chiesa non interviene come soggetto agente». E continua: «Potremmo
chiederci oggi: la Chiesa in qualità di comunità concreta non
potrebbe essere lei pure soggetto di un'elezione
religioso-esistenziale, del discernimento degli spiriti e
dell'esperienza della consolazione, in senso ignaziano?» La domanda
è pertinente nel momento in cui si apre una nuova epoca, l’epoca
inaugurata dalla LG, l’epoca della Chiesa come soggetto.
12.
L’umanità cerca forme superiori di socializzazione
che concilino dignità e libertà del singolo con la sorte di tutti.
Ciò significa che la Chiesa deve non solo cercare nuove forme di
socialità ma «sviluppare in maniera esemplare nel proprio ambito
forme nuove di socialità che la società profana sta ancora cercando,
cosicché nella storia futura essa potrebbe non essere costretta ad
adattarsi in maniera inevitabile e successiva ai rapporti sociali
sviluppatisi nel campo profano».
13.
La domanda centrale è: a partire dalla
nuova situazione della Chiesa alla fine della modernità, possiamo
aspettarci che sorgano nuove forme di ES, nelle quali la
Chiesa si realizzi senza essere solo oggetto sul quale conta
colui che pratica gli Esercizi, ma anche soggetto che
agisce e si realizza in una comunità concreta di fedeli? E’ stato
detto (Rahner) già nel 1966: «La persona pia di domani o sarà un
"mistico", uno cioè che esperimenta qualche cosa, o cesserà di
essere pio». Ma occorre spingersi oltre l’esito individuale per
postulare un'analoga necessità anche per la Chiesa in quanto
soggetto storico, diventato mondiale e ovunque in situazione di
diaspora. La traversata delle grandi soglie della modernità ha
rivelato all’uomo (sottolinea Rahner) la sua radicale storicità. Non
è mai possibile dedurre intellettualmente dalla sua essenza
escatologica la «figura» che assumerà domani, perché la storia la
pone continuamente di fronte a ciò che è unico e imprevedibile.
L'appello alla diagnosi storica e al discernimento degli spiriti che
interviene a questo proposito, a livello collettivo, affonda le
radici nella costituzione spirituale o «carismatica» della Chiesa:
la sua auto-realizzazione è discernimento storico.
14.
Non solo gli ordini e le congregazioni religiose, ma
anche altri gruppi di Chiesa, come il presbiterio di una diocesi o
un consiglio parrocchiale e persino tutta una comunità ecclesiale,
possono e devono cercare la volontà di Dio quando si apprestano a
prendere decisioni riguardo al loro avvenire. Qui il teologo insorge
contro la possibilità che siano prese in base a meccanismi o
ragionamenti profani o anche nel quadro di una «struttura sociale
paternalistica» nella quale uno solo decide al posto degli altri. La
sfida è la scoperta della Chiesa come soggetto alle prese con
forme superiori di socializzazione». Rahner non sviluppa queste
nuove forme «collettive» di Esercizi, necessarie all'autoattuazione
della Chiesa, ma incoraggia coloro che dirigono dei corsi di
Esercizi a prendere coscienza di ciò che già sentono senza
dubbio istintivamente e a cercare con impegno «la nuova forma in cui
la Chiesa possa oggi attuarsi in modo
concreto e nuovo».
15.
Per situarci in questi ES nella dinamica
comunitaria:
a) Come posso caratterizzare il momento attuale delle mie relazioni
con il Vescovo, i confratelli, gli operatori pastorali e con la mia
gente? Ho delle forme di esistenza o, peggio, di rifiuto con
qualcuno? Che posso fare per riconciliarmi prima di entrare negli
ES?
b) Che aneliti e aspirazioni ho in relazione alla sanazione delle
mie relazioni? Scrivi i nomi delle persone con cui avverti nostalgia
di comunione e sosta in preghiera prima che per loro, con loro e da
loro…
c) Se lo avverti celebra, come atto iniziale e di apertura, il
sacramento della riconciliazione ricordando le parole di Gesù:
“Se dunque presenti la tua
offerta sull'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa
contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all'altare e va' prima a
riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo
dono” (Mt 5,23-24). |
|
Dall'ascolto alla beatitudine |
Lettera ai
Presbiteri dell'11 Gennaio 2008 |
Carissimi, questo
numero del Notiziario ci raggiunge con il nuovo anno. Anno del
Signore 2008. Anno 2008 dal Parto della Vergine. Anno 2008 reparatae
salutis.
Tutte espressioni dal cristallino contenuto cristiano e tutte valide
a presentare nelle nostre vite le ragioni della gratitudine, ad
alimentare l’impegno della fede, l’operosità della carità, la
costanza della speranza nella vita eterna perché
«quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da
donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la
legge, perché ricevessimo l'adozione a figli. E che noi siamo
figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo
Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre!» (Gal 4,4-6).
Espressioni, inoltre, che messe accanto ad una bella lettura del
notissimo brano evangelico della visita della Santa Vergine ad
Elisabetta fatta dal Santo Padre:
«Quando piena di santa gioia attraversasti in fretta i monti della Giudea
per raggiungere la tua parente Elisabetta, diventasti l'immagine
della futura Chiesa che, nel suo seno, porta la speranza del mondo
attraverso i monti della storia»
(SS 50), ci danno l’opportunità di formularci vicendevolmente gli
auguri per il 2008.
Auguri che io di cuore vi presento con la preghiera di estenderli
alle comunità che noi, presbiterio pattese, serviamo in comunione
di intenti, affetti e progetti.
Continuando il Notiziario del mese di dicembre 2007, vi offro il
testo delle tracce di meditazione degli esercizi spirituali dello
scorso novembre.
BEATI voi CHE ASCOLTAte e mettete in pratica LA PAROLA
16. Le dinamiche vitali si conformano a partire dall’orizzonte
di riferimento: luogo generatore simbolico della nostra della nostra
identità e della nostra missione. Gesù scopre e assume come proprio
orizzonte simbolico la convocazione del nuovo Israele. Non supera
quella frontiera. Proprio questo conferisce a un testo di Matteo una
grande importanza: «Partito di là, Gesù si diresse verso le parti di Tiro e Sidone. Ed
ecco una donna Cananèa, che veniva da quelle regioni, si mise a
gridare: "Pietà di me, Signore, figlio di Davide. Mia figlia è
crudelmente tormentata da un demonio". Ma egli non le rivolse
neppure una parola. Allora i discepoli gli si accostarono
implorando: "Esaudiscila, vedi come ci grida dietro". Ma egli
rispose: Non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa
di Israele» (Mt 15,21-24).
17. L’ascolto della parola che Dio gli rivolgeva si muoveva in
quell’orizzonte di senso e in esso definiva la sua obbedienza al
disegno divino. L’ascolto della parola di Dio è sempre “situato” in
precise coordinate storiche. Se il Gesù pre-pasquale si muove in
relazione alla convocazione di Israele, il Gesù-pasquale offre
subito ai suoi discepoli un orizzonte universale:
«E
Gesù, avvicinatosi, disse loro: Mi è stato dato ogni potere in cielo
e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni,
battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo,
insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io
sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».
L’ascolto che rende beati è quello che non sfugge il compito della
attualizzazione-decifrazione di ciò che la parola di Dio dice ad
ogni generazione.
18.
L’ascolto è il “principio e fondamento” della relazione biblica con
Dio: ‘shema Israel’. Lo è prima del contenuto che varia nel tempo.
Siamo “uditori” di un Dio che parla e parla sempre. Alla parola
ultima dettaci e dataci in Cristo noi aderiamo nello statuto
della storicità. Non possiamo accogliere tutta la
parola di Dio e totalmente in un solo momento. Ci accostiamo
ad essa per approssimazioni progressive. Fa bene riascoltare quando
la DV dice al numero 8: «La Tradizione di origine apostolica progredisce nella Chiesa
con l'assistenza dello Spirito Santo: cresce infatti la
comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse, sia
con la contemplazione e lo studio
dei credenti che le meditano in cuor loro (cfr. Lc 2,19 e 51), sia
con la intelligenza data da una più profonda esperienza delle cose
spirituali, sia per la predicazione di coloro i quali con la
successione episcopale hanno ricevuto un carisma sicuro di verità.
Così la Chiesa nel corso dei secoli tende incessantemente alla
pienezza della verità divina, finché in essa vengano a compimento le
parole di Dio».
19.
La “parola di Dio” è poi “Dio stesso che ci parla”, si autocomunica,
si intrattiene con noi: nella creazione, in noi umani, nella storia
e in quella storia-tipo che è la storia da Abramo a Cristo e al
primo ingresso della “comunità degli ultimi tempi” con fatti e detti
raccolti nella Bibbia. Questo ascolto di Dio che ci parla è
il principio regolalatore e informatore di tutta la
religiosità e la spiritualità cristiana. Detto altrimenti, solo se
“profetica”, una chiesa può diventare prima “sacerdotale”
(interiorizzazione della parola ascoltata) e poi “regale” (universalizzazione
della parola ascoltata e celebrata). C’è un prius logico e
genetico dell’ascolto. L’in-audito e l’in-edito sono il pane
dell’ascolto che crea l’Obbediente, condizione della verità ed
efficacia della Chiesa.
Verità:
perché “a Dio che rivela è dovuta «l'obbedienza della fede», con la
quale l'uomo gli si abbandona tutt'intero e liberamente prestandogli
«il pieno ossequio dell'intelletto e della volontà» e assentendo
volontariamente alla Rivelazione che egli fa” (DV 5).
Efficacia
perché è autentico solo quell’ascolto che dà alla luce - come Maria,
in questo modello della fede neotestamentaria -
la parola
ascoltata: «Giunsero sua madre e i suoi fratelli e, stando fuori, lo mandarono a
chiamare. Tutto attorno era seduta la folla e gli dissero: "Ecco tua
madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle sono fuori e ti cercano". Ma
egli rispose loro: "Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?".
Girando lo sguardo su quelli che gli stavano seduti attorno, disse:
Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi compie la volontà di Dio,
costui è mio fratello, sorella e madre»
(Mc 4,32-35).
20.
Quindi verità esistenziale ed efficacia pastorale – nostra e della
nostra Chiesa - sono legate a doppio filo all’orizzonte simbolico
che assumiamo. Lo costituisce la coscienza che abbiamo del “contesto
storico”. È come la parola generatrice di senso delle parole che Dio
ci dice oggi. E’ ad un tempo vittoria sulla sordità e sulla
ab-surdità. Ripeto: l’in-audito e l’in-edito
sono l’anima dell’ascolto. Oggi c’è un esodo-emigrazione della
parola di Dio. Essa si de-centra rispetto alle nostre analisi
precedenti. Ci spiazza. Attende che l’Uditore Obbediente in
noi si de-centri, si superi, assecondi il movimento di obbedienza
alla Parola. Se ad intra della Trinità, il Padre diventa se stesso
in quanto ascoltato dal Verbo che genera, ad extra della Trinità il
Padre diventa se stesso in quanto ascoltato dal corpo storico del
Cristo.
Pensavo: non solo nel Figlio, ma
anche in noi il Padre conosce la sua “kenosis” e la sua passione. E
se in Gesù egli trova il Servo Obbediente fino alla morte di croce,
in noi è esposto al non-ascolto. La parola di Dio sino alla fine dei
tempi è in noi crocifissa in un permanente Venerdì Santo (sordità a
assurdità). Ma è allo
stesso tempo in un permanente mattino di Pasqua nella risurrezione
dell’ascolto dei suoi Beati Uditori - incarnazione del Figlio
- che crescono di fede in fede.
21.
Indichiamo ora tre nuclei di parola di Dio. Formano un
orizzonte simbolico che genera una data percezione della
storia in cui siamo immersi. Diventano una “chiave epocale” che ci
apre alla decifrazione della storia e alla intelligenza delle
Scritture. Riceviamo verità ed efficacia se ci apriamo alla
beatitudine dell’ascolto di questa parola.
Il 1° nucleo:
“Unico diventa il destino della umana società o senza
diversificarsi più in tante storie separate. Il movimento stesso
della storia diventa così rapido, da poter difficilmente esser
seguito dai singoli uomini” (GS 5). Termina quindi
l’orizzonte locale. Ciò rende inadeguata ogni spiritualità e ogni
pastorale che non assuma il dato della interdipendenza
dell’umanità come “parola di Dio” e quindi come “orizzonte
simbolico”; il locale affoga nel localismo e l’universale evapora in
una vaga astrazione; serve il senso biblico della creazione e della
famiglia umana come un tutt’uno, indissolubile.
Il 2° nucleo:
Il genere umano passa da una concezione piuttosto statica
dell'ordine delle cose, a una concezione più dinamica ed
evolutiva. Ciò favorisce il sorgere di un formidabile complesso
di nuovi problemi, che stimola ad analisi e a sintesi nuove (cfr GS
5). Termina quindi l’orizzonte statico, ciclico, ripetitivo,
abitudinario. Ciò rende inadeguata ogni spiritualità e ogni
pastorale che non assuma il dato della lettura permanente della
storia e il discernimento sinodale come “parola di Dio” e quindi
come “orizzonte simbolico”; serve la creatività della speranza
per l’in-audito e l’in-edito.
Il 3° nucleo:
«Credenti e non credenti sono generalmente d'accordo nel ritenere che
tutto quanto esiste sulla terra deve essere riferito all'uomo -
all’uomo nella sua singolarità - come a suo centro e a suo vertice»
(GS 12). Termina quindi
l’orizzonte delle elites e degli “stati di perfezione”, sia nella
società come nella Chiesa. Ciò rende inadeguata ogni spiritualità e
pastorale basate sulla relazione di soggezione subalterna dei più ai
pochi o anche solo di dipendenza. Va assunta come “parola di Dio”
l’istanza che ogni soggetto ecclesiale abbia “accesso personale alle
fonti”. Occorre superare il regno del devozionale e favorire una
spiritualità biblica, teologale, sinodale.
Questa “parola di Dio” si fa “orizzonte simbolico” del nostro
vissuto e del nostro ministero.
22.
Esercizi per la meditazione-orazione-contemplazione
a) Bibbia e giornale: sono il simbolo del fatto che oggi senza lo
sviluppo di una dimensione intellettuale non possiamo neanche
ascoltare la parola di Dio nella Bibbia: come sto al riguardo?
Agilità, itineranza, apertura: come va? In-audito e in-edito: come
va? Approccio alle Scritture: come va? Spirito “biblico”: come va?
Obbediente: lo sono?
b) Che dinamiche interiori di purificazione, elevazione e
consolazione ha suscitato in me quanto ascoltato? Che luci ho colto?
Che novità mi ha fatto scoprire lo Spirito?
c) Trasforma in preghiera di silenzio e di offerta la chiamata alla
beatitudine dell’ascolto della parola di Dio in tutti le sue forme
di presenza e di interpellanza...
COME PRESBITERIO A SERVIZIO DI UN POPOLO DI UDITORI
23. Il
ministero dell’ordine è il sacramento con cui la potenza dello
Spirito ci pone tutti insieme, come corpo o organismo indivisibile –
presbiteri presieduti dal vescovo - a servizio della
autorealizzazione dei fini della Chiesa in questo preciso momento
storico. È nell’esercizio dell’ascolto e dell’obbedienza che la
Chiesa discerne quale figura di credente e di comunità esprima il
Sì e l’Amen di Cristo. È l’obbedienza ecclesiale che rende
cristiforme la nostra vita e ci mette ex parte Dei in sintonia con
l’umanità della nostra epoca. La cifra globale di questa figura di
Chiesa è data dalla traduzione storica della “comunione”. Grazie a
questa traduzione la Chiesa si presenta come
«il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell'intima unione con Dio
e dell'unità di tutto il genere umano. (…) Le presenti condizioni
del mondo rendono più urgente questo dovere della Chiesa, affinché
tutti gli uomini, oggi più strettamente congiunti dai vari vincoli
sociali, tecnici e culturali, possano anche conseguire la piena
unità in Cristo» (LG 1).
24.
Nella forma di cristianesimo-Chiesa che abbiamo ereditato c’erano
solo due figure di pienezza: il prete e il religioso. Loro
cercavano in prima persona la volontà di Dio. Il laico era un
bambino: non era soggetto di ascolto-obbedienza, ma solo di
esecuzione. Una delle ricchezze del Concilio è l’arrivo del
battezzato laico come terza figura di pienezza. E così anche
lui si trasforma in uditore della parola, soggetto obbediente
di ascolto, di discernimento della volontà di Dio. Una comunità di
fedeli, un popolo soggetto è la figura di Chiesa che siamo chiamati
a edificare. I laici non sono più bambini infantili che cioè
non sanno parlare. Essi hanno accesso alle fonti che prima
erano in qualche modo - senza
malizia - sequestrate e riservate solo ai preti prima e, dopo, ai
religiosi. I laici accedono alle fonti: della parola di Dio come
profeti; dei sacramenti, soprattutto dell’Eucaristia, come
sacerdoti; della missione come testimoni e servitori
qualificati dell’immersione/emersione del Regno nel mondo. E
possono rivolgere a Dio, direttamente e nel converto del dialogo
ecclesiale, cercare da laici la realizzazione del regno nella
società.
25.
Così la scoperta e la realizzazione della vocazione alla santità che
prima riguardava ministri e religiosi, oggi riguarda tutto il
popolo di Dio. L’essere nel mondo è uno statuto vero e
proprio di santità, di esperienza del Vangelo, un ambito specifico
dove dare gloria a Dio, riprodurre l’esistenza di Cristo. Si vengono
così finalmente a trovare insieme, fianco a fianco, in un
gemellaggio di santità a due facce, la forma minoritaria
dei religiosi che accentuano l’essere-oltre-il-mondo e la
forma maggioritaria dei laici che accentuano l’essere-nel-mondo.
Sono due grandi modalità per vivere la beatitudine dell’ascolto, due
modalità per disegnare insieme cammini di un’obbedienza condivisa!
26.
Questo regime complementare dell’ascolto e dell’obbedienza è oggi
molto urgente. L’umanità vive per la prima volta la novità
dell’interdipendenza e di fatto si sta costruendo non secondo il
codice della dignità di ogni persona e popolo, tanto meno secondo
il codice del dono, ma secondo la logica del mercato. La
forma attuale della globalizzazione subordina tutto all’economia e
al profitto, generando in metastasi che si espande in tutto
l’organismo mondiale il tumore dell’avidità e del progresso
materialistico e quantitativo senza freni e senza correttivi.
Il mondo quindi fa problema. In ordine a questo compito, il disegno
conciliare di chiesa vede in azione la missione dei laici. La
gerarchia ha un suo ruolo di illuminazione e di stimolo, ma
«per
vocazione è proprio dei laici cercare il regno di Dio trattando le
cose temporali e ordinandole secondo Dio» (LG 31). Hanno in relazione al mondo una competenza teologale di
“incarnazione”. È loro propria in questa materia. E hanno al
loro fianco i religiosi, che assumono anch’essi il mondo e la sua
trasfigurazione come centro della loro esperienza religiosa e
della loro profezia, con la competenza teologale complementare del
suo “trascendimento”.
27. Il
nostro ministero è a servizio della raccolta del popolo di Dio
sotto la croce della parola. Croce della parola con le sue due
braccia: il braccio orizzontale di una parola che parla ai
fedeli nelle molteplici situazioni della vita nella compagnia con
tutti gli altri esseri umani, una
parola disseminata, pulviscolare; il braccio verticale di una
parola che attende di essere decifrata e decodificata nel silenzio e
nel discernimento ecclesiale, per trovare una sua provvisoria
forma unitaria e sintetica. Il nostro ministero è chiamato qui a
svolgere il suo servizio a un popolo profetico: questo può avvenire
attraverso due momenti specifici.
1) Il primo che è quello di moltiplicare i luoghi, le occasioni e
le forme del “prendere parola” da parte della gente, scoprendo la
dignità e la bellezza per far parlare, del suscitare fiducia,
dell’orientare ai linguaggi popolari adeguati alla quotidianità.
2) Il secondo è quello della sensibilità e delle competenze per
“parlare alla
fine”, per fare sintesi e proporre chiavi di unità e di
ricapitolazioni pur provvisorie, nuclei di sintesi e di convergenza.
28. La
nostra beatitudine ministeriale: condurre un popolo, attraverso le
stazioni della parola e dell’ascolto reciproco alla beatitudine
dell’ascolto, alla risurrezione del silenzio mistico; cammino che
abitui tutti alla parola e all’ascolto; cammino che veda noi preti
testimoni e facilitatori di parola-e-ascolto alla scuola di
Gesù, Parola fatta carne, trasfigurato tra la parola profetica di
Elia e la parola legislativa di Mosè; cammino che faccia giungere
alla contemplazione della bellezza della Parola, al desiderio di
fare tre tende per stare presso e
sotto la croce da cui sgorga sangue ed acqua che salvano.
Tutto questo non può darsi se il Presbiterio non percorre egli
stesso per se stesso e in relazione all’analogo percorso del loro
popolo.
La beatitudine dell’ascolto e dell’obbedienza del popolo e del suo
presbiterio si condizionano e si alimentano l’un l’altro, concausa
reciproca. Indissolubilmente.
Nella speranza di fare, con la presentazione di queste schede, cosa
utile, vi rinnovo gli auguri e vi benedico. |
|
Quaresima:
dalla devozione alla conversione |
Lettera ai
Presbiteri dell'8 Febbraio 2008 |
1.
Carissimi, la particolarmente ‘bassa’ Pasqua 2008 fa sì che, quasi
inaspettato, si apra davanti a noi il cammino della Quaresima.
Cammino particolare caratterizzato da leggi, tappe e traguardo.
Cammino che comporta per tutti i credenti impegno grande; ed è tempo
prezioso, primavera dello spirito, grande scuola della fede. Tenendo
presenti queste caratteristiche, suggerite dalla liturgia, a tutti
auguro buon cammino quaresimale, per potere poi sensatamente
augurare Buona Pasqua di Risurrezione.
Accompagno l’augurio con la benedizione e la preghiera che intendo
specificamente finalizzate.
Prego perché la Chiesa di Patti in ognuno dei suoi figli si apra
all’ascolto della Parola, accolga l’amore e lo sguardo di Gesù per
sapere distinguere operativamente devozione da conversione.
Con la devozione – non faccio l’etimologia della parola –
tendiamo ad accaparrarci la benevolenza di Dio in ordine alle nostre
esigenze.
Con la conversione, invece, verifichiamo se e quanto ci siamo
allontanati da Dio e dalla via da lui tracciata, per la nostra
pienezza di vita, nella parola e nell’esempio di Gesù, per
riprenderla con la sua grazia, con la intercessione dei Santi del
cielo e della terra, con la vita ecclesialmente significativa.
La verifica, va da sé, non è finalizzata ad altro che alla
correzione della rotta, alla conversione, appunto.
Alla fine della Quaresima, a Pasqua, ognuno di noi possa dire
dell’altro:
«Ringraziamo
sempre Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere,
continuamente memori davanti a Dio e Padre nostro del vostro impegno
nella fede, della vostra operosità nella carità e della vostra
costante speranza nel Signore nostro Gesù Cristo»
(1Tess 1,1-2).
2.
Oso
chiedervi un dono.
A cominciare dai primi giorni di marzo compirò la Visita Pastorale
nelle parrocchie di Capizzi, Caronia, Castel di Lucio, Mistretta,
Motta d’Affermo, Pettineo, Reitano, S. Stefano di Camastra,
Torremuzza e Tusa. Seguitemi, ecco il dono che chiedo.
Seguitemi con la preghiera. Chiedete al nostro Signore Gesù Cristo,
Pastore Grande delle nostre anime, che illumini visitati e
visitatore e ne sostenga perché parole e gesti, anche i più
semplici, siano di qualità tale che possano essere riferite a lui.
3.
Qui di
seguito pongo ora la continuazione delle schede proposte come guida
per gli esercizi spirituali del Presbiterio dello scorso novembre.
beati VOI POVERI PERCHè VOSTRO è IL REGNO
29.
Per accedere alla beatitudine escatologica propria del povero che
viene riempito dalla ricchezza del Regno, partiamo dal salmo 49
(48). «Ma l'uomo nella prosperità non comprende, è come gli animali
che periscono. Questa è la sorte di chi confida in se stesso,
l'avvenire di chi si compiace nelle sue parole. Come pecore sono
avviati agli inferi, sarà loro pastore la morte; scenderanno a
precipizio nel sepolcro, svanirà ogni loro parvenza: gli inferi
saranno la loro dimora».
Parole terribili. Ancor più terribili se le leggiamo collegate alla
proclamazione: Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio (Lc
6,20).
L’essere umano è crocifisso tra il perire come bestia e l’ingresso
nel Regno, da creature che diventano - finalmente e ultimativamente
- figli di Dio. Un Dio non geloso, ma prodigo, perché in Cristo
immette gratuitamente e gioiosamente la sua creatura nello status
filiale dell’essere umano in pienezza.
Indaghiamo meglio: c’è una prosperità che impedisce la pienezza, se,
come capita alla bestia, non si arriva alla coscienza del limite.
Non il limite negli averi - anche la bestia avverte il limite della
fame - ma il limite nell’essere se stessi.
L’uomo: questo essere costituto dalla sproporzione. La bestia non avverte scarto alcuno tra ciò che è e ciò
che ha. La vita relativa a sé come “chi” perde qualsiasi di più,
ogni oltre se stessa, ogni alterità da se stessa. È senza quella
inquietudine e quella interrogazione propria dell’uomo quando egli
scopre l’imminenza della fine di se stesso come essere umano.
Non c’è vita umana fuori della coscienza del limite costitutivo,
fuori dell’elaborazione di tale coscienza. La vita diventa umana
solo nell’elaborazione simbolica della coscienza del proprio
essere-per-la-morte.
30.
Questo svelamento della fallacia del possesso incontra oggi una
difficoltà inedita. Per la prima volta attraverso il dominio
occidentale assistiamo all’impazzimento della dimensione economica.
Per la prima volta essa subordina la dimensione politica e
culturale. È una metastasi che agisce sul corpo globale dell’umanità
e pervade gli strati popolari. Gli antichi laboratori sapienziali
dei poveri sono alterati.
L’utilizzazione del mondo come immenso mercato provoca l’universalizzazione
di questa patologia su cui siamo così disattenti e deboli, se non
privi di coscienza critica e profetica e tanto meno di terapie
adeguate. Giovanni Paolo II diceva: “La globalizzazione è la
consacrazione di una sorta di trionfo del mercato e della sua
logica, che a sua volta provoca rapidi cambiamenti nelle culture e
nei sistemi sociali. Una delle preoccupazioni della Chiesa è che
essa è divenuta rapidamente un fenomeno culturale. Il mercato come
meccanismo di scambio è divenuto lo strumento di una nuova cultura,
impone il suo modo di pensare e di agire e imprime sul comportamento
la sua scala di valori. Le persone che ne sono soggette spesso
considerano la globalizzazione come un'inondazione distruttiva che
minaccia le norme sociali che le hanno tutelate e i punti di
riferimento culturali che hanno dato loro un orientamento di vita”
(27.4.2001).
Nessuna demonizzazione dell’economia in sé, sì però del suo
carattere devastante. E si fa tale perché davanti al carattere
mondiale dell’economia, la politica o il politico con le sue norme,
sedi e istituzioni di controllo e di regolazione è ancora fermo allo
stadio della Nazione. Inadeguatezza letale. Ma ad essere inadeguata
- in verità - è l’antropologia, è la spiritualità umana ed
ecclesiale. In una parola, l’inadeguatezza sta nel legame della
“povertà” con il regno delle cose, degli averi, senza il salto al
legame tra povertà e il bene antropologico e simbolico della vita
umana.
31.
Ora leggiamo san Luca:
«Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato tolto dal
mondo, si diresse decisamente verso Gerusalemme» (9,51).
«Un notabile lo interrogò:
"Maestro buono, che devo fare per ottenere la vita eterna?".
Gesù gli rispose: "Perché mi dici buono? Nessuno è buono, se
non uno solo, Dio. Tu conosci i comandamenti: Non commettere
adulterio, non uccidere, non rubare, non testimoniare il falso,
onora tuo padre e tua madre". Costui disse: "Tutto questo l'ho
osservato fin dalla mia giovinezza". Udito ciò, Gesù gli disse: "Una
cosa ancora ti manca: vendi tutto quello che hai, distribuiscilo ai
poveri e avrai un tesoro nei cieli; poi vieni e seguimi". Ma quegli,
udite queste parole, divenne assai triste, perché era molto ricco.
Quando Gesù lo vide disse: "Quant'è difficile, per coloro che
possiedono ricchezze entrare nel regno di Dio. È più
facile per un cammello passare per la cruna di un ago che per un
ricco entrare nel regno di Dio!".
Quelli che ascoltavano dissero: "Allora chi potrà essere salvato?".
Rispose: "Ciò che è impossibile agli uomini, è possibile a Dio" »
(Lc 18, 18-27).
32. Cerchiamo il messaggio. E mettiamo
anzitutto in evidenza che qui si incrociano e si intersecano due
movimenti diversi. Gesù ha deciso lucidamente il suo
essere-per-la-morte inteso come atto supremo di affidamento alla
potenza di Dio che si rivelerà nella sua morte. Il notabile (solo
Matteo lo definisce un giovane) cerca sì Gesù, ma è attratto dal
desiderio di conoscere la legge. Per questo lo cerca in qualità di
“maestro”. Questo limite apparirà drammaticamente nello sviluppo del
suo incontro fino a registrarne il fallimento.
33.
Riflettiamo sul rifiuto netto e preciso di Gesù non tanto della
qualifica di “maestro”, quanto a quella di “buono”. Assoluto il suo
teocentrismo: buono è solo Dio. Solo Lui è verità, giustizia,
misericordia, santità, bellezza, amore. Solo Lui. Noi siamo niente!
Un niente chiamato - ecco la beatitudine della povertà - a tendere
verso il possesso di Dio. Siamo qui all’antitesi dell’identità nello
status del possesso di beni creati, per un’identità nel possesso di
un bene altro e ulteriore, che è Dio stesso.
Uno status annunciato dal salmo 110: Lo scettro del tuo potere
stende il Signore da Sion: "Domina in mezzo ai tuoi nemici. A te il
principato nel giorno della tua potenza tra santi splendori; dal
seno dell'aurora, come rugiada, io ti ho generato”. Il soggetto del
Regno accede a se stesso nel codice del dono: non dell’atto -
singolo e delimitato - del dono, ma in una situazione in cui si
raggiunge l’io di se stessi a partire dal Tu di Dio che chiama ad
ek-sistere, nella perpetuazione della relazione generativa
nell’Amore.
Questo fa di Dio la fons et origo, cosicché l’arrivo del Regno è
l’estensione della beatitudine divina delle relazioni
intratrinitarie alle relazioni che si instaurano per Cristo nello
Spirito tra Dio Padre e i suoi poveri!
34.
La comunità umana che nasce tra persone che accedono a sé grazie al
Tu dell’Altro e attraverso l’accoglienza del movimento salvifico di
questo Tu, danno origine alla “comunità degli ultimi tempi”.
È l’umanità finale, escatologica, perché nasce come raccolto
messianico da parte della Trinità. I figli di Dio che erano
dispersi nelle loro relazioni dominative e possessive, fino ad
attingere la loro stessa identità ridotta a “cosa posseduta”, sono
raccolti, salvati, sanati, restituiti alla loro ultima verità,
quella di “figli nel Figlio”, secondo le parole del prologo del
vangelo di Giovanni:
«A quanti però l'hanno accolto, ha
dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo
nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da
volere di uomo, ma da Dio sono stati generati»
(1,12-13).
In Luca i primi destinatari del Regno sono i poveri sociologicamente
intesi: coloro che non hanno nulla da perdere. Ad essi per primi
viene annunciato il dono del “regnare di Dio”. In Matteo, il nostro
tema è visto in chiave antropologica. I poveri non sono presupposti,
ma resi tali per grazia.
Sono costituiti poveri per via teologale,
perché sono condotti al vertice della creazione, allo status della
nascita generativa permanente. Grazie a questa forma di “nichilismo
divino”, proprio perché resi “poveri in spirito” si realizza il
movimento indicato nelle parole di Paolo:
«Nessuno ponga la sua gloria negli
uomini, perché tutto è vostro: Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la
vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro! Ma voi siete
di Cristo e Cristo è di Dio»
(1 Cor 4,21-23).
35. Esercizi per la meditazione-orazione-contemplazione
a) Passa in rassegna i tuoi beni: quanto nella relazione con essi
avverti luci e ombre, a partire dall’ottica con cui hai ascoltato e
meditato il tema? Pensa alla relazione con le persone, i
confratelli, il vescovo, la gente: sono relazioni in cui è presente
la beatitudine dei poveri in spirito?
b) Che dinamiche interiori di purificazione, elevazione e
consolazione ha suscitato in te quanto ascoltato? Che luci hai
colto? Che novità ti ha fatto scoprire e gustare lo Spirito?
c) Trasforma in preghiera di silenzio e di consolazione la decisione
di vivere la beatitudine dei poveri in spirito...
COME PRESBITERIO A SERVIZIO DI UN POPOLO DI POVERI IN SPIRITO
36.
Come abbiamo visto, è l’arrivo del Regno che “crea il povero”, colui
che non possiede se stesso a partire dal possesso dei beni, delle
relazioni o, ancor peggio, a partire dal possesso di se stesso, ma
attraverso lo spossessamento.
La beatitudine dei poveri in spirito nasce dall’avvento del Regno,
passando dalla tensione verso i “beni” a quella verso il “bene”
offerto da Dio. Si tratta di portare noi stessi e la comunità a
stigmatizzare il generatore simbolico della nostra epoca che è
diventato il denaro per elaborarne altri e alternativi. Ne indico
tre presenti nel substrato culturale popolare:
la festa,
in cui si allenta la presa della condizione servile per fare uno
squarcio nella direzione della libertà insieme;
la relazione sociale inclusiva,
con quell’enfasi - forse un po’ infantile, ma carica di potenzialità
- data all’esigenza di “essere notati”, evocando il legame sociale
come costitutivo di se stessi;
la religiosità creativa e immaginifica, spesso parallela se
non alternativa alle forme rituali ecclesiastiche. La nostra gente
meridionale, al riguardo più ricca delle popolazioni settentrionali,
sta perdendo questa simbolica esistenziale e sociale, perché è
disarmata davanti alla violenza omologatrice dell’economicismo, che
sbandiera promesse che non mantiene, e desertifica l’immaginario
collettivo.
37.
La svolta della pastorale dal regime di sacramentalizzazione a
quello evangelizzatore consentirebbe alla gente di non assommare
alla prima povertà di beni di uso, la seconda tragica povertà di
beni di senso o simbolici.
L’esercizio sistematico della “presa della parola” è indispensabile
per non cadere nella trappola dell’economicismo, subendo quella
tragica situazione che abbiamo meditato per noi stessi stamane nel
salmo 48 (49):
«L'uomo nella prosperità non comprende, è come gli
animali che periscono. Questa è la sorte di chi confida
in se stesso, l'avvenire di chi si compiace nelle sue parole.
Come pecore sono avviati agli inferi, sarà loro pastore la
morte; scenderanno a precipizio nel sepolcro, svanirà ogni loro
parvenza: gli inferi saranno la loro dimora».
Una religiosità centrata sulle devozioni e sulla stessa pratica dei
sacramenti isolata da seri percorsi comunicativi e dialogali, rende
la gente ingenua davanti al miraggio dei beni primari e incapace del
salto antropologico, secondo le parole di Gesù:
«Non accumulatevi
tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano e dove ladri
scassinano e rubano; accumulatevi invece tesori nel cielo, dove né
tignola né ruggine consumano, e dove ladri non scassinano e non
rubano. Perché là dov'è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore».
(Mt
5,19-21).
Se la gente non giunge alle devozioni e ai sacramenti per via
biblico-comunicativa cede alla logica di trasformare “i sassi in
pane”; coloro che ancora lo fanno, si accostano ai sacramenti come
“cose sacre” che non alimentano più la coscienza credente
nell’attuale contesto culturale.
Il primato dell’evangelizzazione implica ed esige una figura di
Chiesa e un modello pastorale in cui l’accesso alla parola e alla
comunicazione sia strutturale e non un elemento marginale. Non basta
per creare autocoscienza evangelica.
38.
Se solo Dio è buono, nessuna cosa creata è “il bene”: niente e
nessuno, non le pratiche, neanche i sacramenti, non i personaggi,
non i potenti. Deve essere essa in azione una carica di
de-idolatrizzazione. Parte da qui la purificazione delle nostre
immagini religiose su Dio e su noi stessi e sulla funzione della
pastorale.
Che povertà teologica dire che Dio fa nulla che l’uomo non faccia.
“Nulla Lui fa al tuo posto. Mai”. Solo noi stessi possiamo far
emerger altre e ulteriori manifestazioni di Dio che oggi non
abbiamo-sappiamo-conosciamo: dobbiamo entrare nel vuoto di noi
stessi come spazio di Dio, per nuove sue epifanie.
Che povertà ecclesiale dire che la Chiesa non è luogo per
prendere/ottenere, ma solo per ricevere ciò che dobbiamo trasmettere
e distribuire a tutti, per primi a coloro che non vengono.
Che povertà ministeriale dire che Vescovo e Preti – l’istituzione –
non sono figure di potere e di rassicurazione, ma educatori di
espropriazione e di dedizione per il bene comune universale. Le
raccomandazioni non sono per chi viene a chiedere favori, ma per chi
ha cessato di chiedere dignità e riconoscimento.
Che povertà sacramentale riconoscere che la Chiesa (locale) non ha
per fine se stessa e coloro che la frequentano, ma il paese, la
città, l’umanità di oggi per aprirla all’ipotesi - almeno - che
l’uomo è fatto per la Vita, per una vita altra, per un’altra vita….
E noi - i poveri di Javhé - esistiamo per offrirci come spazio da
cui emergano nuove forme di umanità che accendano interrogativi,
suscitino aneliti di vita alternativa al reciproco consumarsi e allo
shopping. Siamo chiamati a farlo insieme, in un’epoca globale, con
eventi non solo individuali, ma ecclesiali: la forza di irradiazione
dei singoli è inadeguata. Lo statuto dell’epifania di Dio resta per
sempre quello dell’incarnazione. Dio non fa nulla che non faccia
l’uomo, ma fa sì che l’uomo agisca. Questo personalmente e,
soprattutto, ecclesialmente.
39.
Un grande servizio da rendere alla povertà come statuto teologico
-Dio come il bene - è favorire la coscienza della “relatività e del
limite”. Ogni forma storica fin qui raggiunta di bene, verità,
giustizia, amore… è parziale, insufficiente, inadeguata e quindi
provvisoria. Questo rende “il povero in spirito” un pellegrino e un
viandante, non solo nella classica immagine di colui che un certo
giorno lascerà questo mondo, ma nell’allergia connaturata ad ogni
forma di fissità, definitività, possesso, attaccamento, avarizia a
tutti i livelli, soprattutto in quello delle immagini relative al
mondo, alla società, all’uomo, alla pastorale, alla chiesa, a Dio.
Ogni punto di arrivo si tramuta - per legge teologica - in un punto
di partenza. È un modello antropologico nomade. Mai sazi. Mai
soddisfatti. Mai arrivati. Sempre pronti a nuovi passi, a nuove
imprese, a nuovi stadi.
40. C’è una scuola popolare nel nostro passo biblico.
Gesù all’uomo ricco di cose, ma ignaro ancora che la sua identità -
la sua ricchezza inesauribile - è nascosta in Dio, dice: "Una cosa
sola ti manca: va', vendi quello che hai e dàllo ai poveri e avrai
un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi"».
La nostra pienezza umana non dipende né dalla conoscenza e dalla
pratica della Legge né, tanto meno, dai beni che si possiedono. Ecco
la beatitudine messianica: riconoscere la propria povertà presso Dio
e presso gli uomini, vendere tutto ciò che si ha e tutto ciò che si
è per fare la stessa esperienza di gratuità che definisce
l'esistenza di Gesù.
Entrando in questa dinamica di dono e spogliazione è possibile
seguire Gesù. «Poi vieni e seguimi»: il verbo «seguire» vuol dire
tragitto, viaggio, cammino, sentiero. Dinanzi alla richiesta di
Gesù, di vendere tutto e di seguirlo, il ricco si è trovato esposto
al proprio nulla. Tutte le sue sostanze, materiali e morali, sono
scomparse: è rimasto lui dinanzi al nulla della propria identità.
Dal proprio nulla non ci si può salvare: si è salvati. Gesù gli ha
proposto di abbandonare il nulla per entrare nel tutto. Ma l’accesso
al tutto, esigeva il riconoscimento del nulla. E quell’uomo non è
riuscito a compiere il salto dal vero nulla al vero tutto.
È rimasto prigioniero dell’idolatria di quanto sapeva e possedeva.
Si è avverata la profezia del salmo:
«Come pecore sono avviati agli
inferi, sarà loro pastore la morte; scenderanno a precipizio nel
sepolcro, svanirà ogni loro parvenza: gli inferi saranno la loro
dimora».
Ed avendo egli posto negli inferi la sua dimora, è
scesa su di lui la notte.
Egli divenne “assai triste”: non uno stato d’animo, ma la sua
identità, vittima del possesso di idee sante sulla legge e di molti
beni. La tragedia non potrebbe essere descritta in forma più
terribile.
Con il sacramento dell’Ordine Cristo vuole fare di noi un
presbiterio di pastori che al fianco e dentro alla sorte del nostro
popolo scongiuri che il loro pastore sia la morte.
Ancora la mia benedizione che vorrete estendere alle comunità di cui
siete al servizio. |
|
Canterò per sempre
l'amore del Signore |
Giovedì
Santo - Omelia alla Messa Crismale (20 marzo 2008) |
0.
Giovedì Santo o canto della visibilità gioiosa della Chiesa
attraverso: la nostra presenza qui nella Chiesa Cattedrale; la
benedizione degli oli che serviranno per l’amministrazione dei
sacramenti della Chiesa; il bergamotto profumato, dono della Chiesa
sorella di Locri.
1.
Ascoltiamo come rivolta a noi la parola
dell’Apocalisse: «grazia a voi e pace da Colui che è, che era e che
viene, dai sette spiriti che stanno davanti al suo trono e da Gesù
Cristo, il testimone fedele, il primogenito dei morti e il principe
dei re della terra. A Chi ci ama e ci ha liberato dai nostri peccati
con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il
suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli.
Amen» (Ap 1,4-6).
Gloria a te, Cristo Signore
è la corale e convinta acclamazione di noi a cui è stato affidato il
compito di far conoscere che tutti sono chiamati, in Cristo Gesù, a
partecipare alla stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad
essere partecipi della promessa per mezzo del vangelo, del quale
sono divenuto ministro per il dono della grazia di Dio a me concessa
in virtù dell'efficacia della sua potenza.
2. Facciamo
nostro lo stupore dell’apostolo: a me, che sono
l'infimo fra tutti i santi, è stata concessa questa grazia di
annunziare e di far risplendere agli occhi di tutti qual è
l'adempimento del mistero nascosto da secoli nella mente di Dio,
creatore dell'universo e l’invito a non perderci d’animo per le
tribolazioni.
Esse sono gloria nostra (cfr Ef 3,2-13 passim), il sostegno
del servizio affidato a noi da Cristo Signore di collaborare con lui
alla costituzione di un nuovo popolo di Dio, alla riunione dei figli
di Dio dispersi, all’edificazione dell’assemblea, della Chiesa,
della quale crediamo di potere dire ‘tu, Padre, l’abiti’ (cfr Sal
21,3).
3. La nostra Chiesa
In Italia e in altre parti del mondo è sempre in atto una campagna
elettorale. Durante le campagne elettorali, si sa, si sprecano le
promesse. I vari capi si attardano a confidare che coltivano un
sogno per un futuro migliore; il loro sogno riguarda piccoli, grandi
e vecchi, dotti e ignoranti, ricchi e poveri.
È patetica la sfilata di sogni che non raramente lasciano il tempo
che trovano, l’amaro in bocca, la delusione.
Noi, fratelli, possiamo guardare innanzi, fiduciosi, motivati,
lieti:
a)
sulla parola di Gesù: «alzate gli occhi e guardate i campi
biondeggianti per la mietitura. E chi miete riceve salario e
raccoglie frutto per la vita eterna, perché ne goda insieme chi
semina e chi miete. Qui, infatti, si realizza il detto: uno semina e
uno miete. Io vi ho mandato a mietere ciò che voi non avete
lavorato; altri hanno lavorato e voi siete subentrati nel loro
lavoro» (Gv 4,36-38).
Gesù non distribuisce frottole. Sulla sua parola, altro che sogni,
buttiamo la rete, giochiamo noi stessi, sapendo in chi abbiamo posto
la nostra speranza;
b)
sulla vitalità della nostra Chiesa universale e della
nostra chiesa pattese. Con i doni di cui Dio l’ha arricchito, la sua
storia di grazia e d’autentici eroismi, i suoi carismi; pure con le
sue infedeltà, naturalmente. I suoi battezzati, religiosi, sacri
ministri. I suoi operatori di vangelo; quelli del passato più o meno
recente e quelli d’oggi; quelli noti, quelli impegnati
nelle famiglie
e nelle istituzioni. Tutti suscitati dallo Spirito promesso e
mandato ai suoi da Gesù. Tutti a lui noti. Essa, la nostra Chiesa è
convocata dal Signore; che in lei è presente; essa prefigura il
cielo; è riunione fraterna nella diversità; partecipazione attiva e
consapevole; popolo in festa.
4. Sento di invitare:
a)
alla gratitudine. Con la
visita alle comunità della
parte occidentale della diocesi, concluderò a breve la 2^ Visita
Pastorale. Quanta grazia di Dio!
Abbiatevi la mia gratitudine e portatela a tutti e a quelli che con
generosità vi coadiuvano. Ho incontrato fratelli e sorelle gioiosi
di quanto fanno; persone che mi hanno partecipato la loro gioia, il
loro entusiasmo. Fratelli che, pur tra difficoltà serie, rinnovano
il loro impegno. Ogni mese, mi diceva una persona, distribuisco 190
(!) lettere ai diversi messaggeri che, a loro volta, le recapitano
alle famiglie; nella zona dove abito, dicono altri, la presenza di
Gesù si è manifestata con il superamento d’indifferenza, silenzi
grevi, odi. Ringraziamo il Padre, fratelli, che, per i meriti di
Gesù morto e risorto, c’inonda di grazia.
La vostra presenza nelle diverse comunità, il vostro ministero
fedele, fervoroso, docile, sono mirabili, fratelli sacerdoti. Io
dubito di essere in grado di dimostrare che il mio unico progetto è
volervi bene. Ve lo dico alto e chiaro oggi: vi voglio bene e vi
sono grato.
b) alla preghiera: Tu, Signore, Dio di pietà,
compassionevole, lento all'ira e pieno d’amore, Dio fedele, volgiti
a noi e abbi misericordia.
La nostra preghiera poggia sulla fede che, in certo modo, è già
«possesso di quanto non vediamo» (cfr Eb 11,1); egli il Signore ci
darà la sua forza.
La nostra preghiera conta sul fatto che noi oranti siamo figli della
Chiesa sua serva: salva il figlio della tua ancella la chiesa (cfr
Sal 85), le cui fondamenta sono sui monti santi della divina parola
ed è l'amore di predilezione del suo Signore (cfr Sal 86). La nostra
preghiera chiede: dammi un segno di benevolenza; tutti vedano che
tu, Signore, sei fonte di forza e di consolazione (cfr Sal
86,15-17).
La nostra preghiera trilla di meraviglioso stupore perché
meravigliosa è la sua alleanza.
c) a rinnovato impegno. Il Signore convoca l’assemblea,
quest’assemblea, la Chiesa, è in lei presente, le parla e la conduce
come un pastore guida il gregge che ama.
Questo però non è, lo sapete, viatico che serve alla pigrizia. Egli,
il Signore, comanda: annunzia agli Israeliti: ecco, io permetto che
sia profanato il mio santuario, orgoglio della vostra forza, delizia
dei vostri occhi e amore delle vostre anime. I figli e le figlie che
avete lasciato cadranno di spada (cfr Ez 24,21).
Penso che rettamente possiamo intendere questa parola come invito ad
assumere le nostre responsabilità.
Ed è invito a preferire la forma comunitaria (S. Ignazio d’Ant. Ai
cristiani di Magnesia). È bello che i fratelli insieme stiano,
analizzino, scelgano, decidano, operino. E non è solo bello. È
testimonianza: come si vogliono bene, dicano quelli che ci vedono. È
garanzia di validità per la promessa del Santo Spirito.
Noi presbiteri e laici, persone consacrate, operatori pastorali a
qualsiasi titolo, valiamo per quello che facciamo. La prima
testimonianza, la predica più efficace consiste nel nostro essere e
vivere e lavorare da fratelli. Il salmo canta Cristo la cui regalità
avanza per la verità, la mitezza e la giustizia. (cfr Sal 44, 4-6).
Per noi chiesa pattese, per noi presbiterio di questa chiesa non ci
possono esserci altri tipi d’affermazione. E ce lo ricorda il
Concilio: «La Chiesa, fornita dei doni del suo fondatore e
osservando fedelmente i suoi precetti di carità, umiltà e
abnegazione, riceve la missione di annunziare e instaurare in tutte
le genti il regno di Cristo e di Dio, e di questo regno costituisce
in terra il germe e l'inizio» (LG 5).
È come dire che i nostri sono successi se sono successo nella
verità, nella mitezza, nella giustizia. È come ascoltare il proclama
fondativo del regno instaurato da Gesù: beati gli assetati di
giustizia, beati i miti.
Parola affettuosa ed esigente quella di Gesù. Giogo il suo, ma
leggero. Egli può dire: «Tutto mi è stato dato dal Padre mio;
nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il
Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia
rivelare. Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e
io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da
me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le
vostre anime. Il mio giogo, infatti, è dolce e il mio carico
leggero» (Mt 11,27-30).
5.
Fratelli, l’oggi della Chiesa è il Piano Pastorale Diocesano.
Ringrazio tutti. Tutti esorto alla costanza, al coraggio, a vincere
la rassegnazione. Non vogliamo bloccarci nel caldo nido del già
fatto o al quieto e rassicurante richiamo delle convenienze. So bene
che voi più e meglio di me non volete darvi pace se, per qualsiasi
ragione, non scatta il contatto col Vangelo perché solo il Vangelo
di Gesù salva.
Vogliamo essere docili alla Chiesa che ci chiama alla nuova
evangelizzazione. A noi ministri ordinati e istituiti, a noi
battezzati, è stato affidato di fare risplendere agli occhi di tutti
qual è l'adempimento del mistero nascosto da secoli nella mente di
Dio, creatore dell'universo. È il nostro servizio. Ed è servizio
splendido. È impegnativo questo servizio ed esigente. Non ammette
che ci si dedichi ad esso a spizzichi e bocconi. Senza un piano la
nostra generosa donazione rischia di perdersi in rivoli faticosi e
sterili. Il PPD è:
a) luogo e strumento della valorizzazione concreta dei doni del
Signore della Chiesa,
b) luogo dell’ascolto del Signore che per mezzo degli avvenimenti,
per mezzo del Magistero straordinario e ordinario ci avverte
dell’insufficienza della pastorale di conservazione, della necessità
di renderci disponibili, con gli altri, perché il Vangelo, pure in
forza della nostra vita raggiunta e lievitata dallo stesso Vangelo,
raggiunga tutti,
c) veicolo dell’azione comunitaria sempre da preferire.
6. Questo è il giorno fatto dal Signore, canta il salmo, ed invita:
rallegriamoci ed esultiamo in esso, ed implora: dona, Signore, la
tua salvezza, dona, Signore, la vittoria! Per il Signore nostro Dio,
nostra luce, ordinate il corteo con rami frondosi fino ai lati
dell'altare. Egli è il nostro Dio e gli rendiamo grazie, il nostro
Dio e lo esaltiamo. Celebrate il Signore, perché è buono: perché
eterna è la sua misericordia (cfr Sal 117, 24-29).
7. Il giorno fatto dal Signore è questo Giovedì Santo ed è
ogni giorno del nostro servizio battesimale. Solo i fratelli con le
loro gioie e speranze, tristezze ed angosce possono degnamente
ornare l’altare quando, conosciuta la portata salvifica del Vangelo,
si aprono alla fiducia, alla libertà, all’ottimismo, a Cristo
Signore via alla dolcezza del Padre.
Di questo giorno, di quest’apertura noi, Chiesa pattese, vogliamo
essere ministri e fruitori, a gloria del Padre, nella forza dello
Spirito, per i meriti di Gesù morto per i nostri peccati e risorto
per la nostra salvezza.
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