LA CATECHESI DEL VESCOVO

 



Il Tempo Ordinario: metafora della vita umana

Lettera ai Presbiteri dell'8 Giugno 2007

 1.  Carissimi, il ritiro spirituale del mese di giugno e, dunque, la pubblicazione del Notiziario Pastorale, coincide con l’inizio del 2° periodo del Tempo Ordinario.
Tanto è facile definire i tempi d’Avvento, Natale, Quaresima, Pasqua, quanto difficile riesce indicare che cosa significhi Tempo Ordinari; se non ci si accontenti di dire che esso è il tempo non contrassegnato da celebrazioni particolari. Definire però una realtà per quello che non è, è sempre fuorviante o, almeno, insufficiente, impreciso. Senza dire poi, che per noi, proprio durante il tempo ordinario, si accumula il maggiore numero di feste.
Tempo ordinario come tempo della speranza? Tempo della semina silenziosa, coraggiosa e anonima? Tempo della fedeltà?
C
ercando una definizione semplice, attendibile e breve; ruminando alcune righe di un documento diffuso nel 1979 dall’Episcopato del Nord Africa, mi persuado che il Tempo Ordinario è la metafora della vita umana ed è il tempo della testimonianza pura e semplice.
2.
  Sperando di fare cosa gradita e utile, riporto, qui di seguito:
a)
  dal documento: «Il Regno di Dio non si raggiunge solo col Battesimo, esso esiste dovunque uomini e donne cercano il pieno conseguimento della loro vocazione, dovunque si manifesta l’amore, dovunque nascono delle comunità in cui l’amore è insegnato ed inculcato, dove i poveri sono trattati come persone, dove la giustizia è promossa, la pace è incoraggiata, dove alla verità e alla bontà sia concesso di favorire la crescita umana».
b)
  la testimonianza: È certamente tra i mistici del nostro temo Annalena Tonelli. Figura forse sconosciuta a molti prima che fosse barbaramente uccisa, tra i suoi fratelli ammalati, in Somalia il 5 ottobre 2003, e forse da molti, purtroppo, già dimenticata.

[ Una fede rocciosa "per grazia di Dio". Annalena lascia l’Italia nel 1969 e si pone al servizio dei Somali, prima nel Nord Est del Kenya (1984) e poi in Somalia, per oltre 30 anni, fino alla morte. Annalena, per scelta, era donna di poche parole. In uno dei pochi interventi in pubblico, nella sua Forlì, il 30 giugno 2003, pochi mesi prima di essere uccisa, a chi le chiedeva di far conoscere le sue attività, rispondeva: «Io spero proprio di non dover mai più parlare in pubblico, davanti ad una folla, perché ognuno ha la sua chiamata nella vita, ognuno ha la sua strada e la mia è sicuramente non questa del parlare, del mettermi davanti agli altri a parlare». La sua vita è parola eloquente.
Per cercare di capire Annalena occorre collocarla nella sua situazione, vicino a noi cronologicamente, ma ugualmente molto lontano. Ella ha le sue radici in quegli anni ‘60 che videro la fine della colonizzazione; la nascita di un certo terzomondismo, la mondializzazione dell’informazione; nella Chiesa è la grande stagione del Concilio, speranza di tutti...
Annalena partecipa di quell’atmosfera nell’ambiente cattolico... A Forlì, è l’anello forte di una catena di varie realtà in fermento... Instancabile trait d'union di contesti ecclesiali diversi, rivela fin dal principio, una natura indipendente, pronta al dialogo fuori della logica delle etichettature e irresistibilmente “non allineata” su letture schematiche della realtà. L'ossatura che la sostiene è la fede. Come lei stessa confessa: «Sono una cristiana con una fede rocciosa, che non conosce crisi dai tempi della giovinezza. E questo per grazia di Dio. Non ho mai fatto nulla per conquistarla, nessuno sforzo o fatica, mi è stata donata». Arroccata in Dio in cui crede e dal quale si è lasciata prendere il cuore: «ero molto giovane quando mi sono innamorata di Dio», lascia risplendere nella sua apparente fragilità di donna esile la fedeltà e la tenerezza di Dio.

[
Scelsi di essere “per gli altri".
Questa tenerezza si manifesta come totale dedizione agli altri senza alcun limite di razza, di religione e di cultura.
Nella conferenza tenuta in Vaticano il 1° dicembre 2001, Annalena confessa: «Scelsi di essere per gli altri: i poveri, i sofferenti, gli abbandonati, i non amati che ero una bambina e così sono stata e confido di continuare ad essere fino alla fine della mia vita. Volevo seguire solo Gesù Cristo. Null’altro m’interessava così fortemente: Lui e i poveri in Lui. Per Lui feci una scelta di povertà radicale, anche se povera, come un vero povero, come i poveri di cui è piena ogni mia giornata, io non potrò essere mai».
Animata dallo Spirito di Gesù la sua esperienza ha una forte impronta mistica che le dà un’ossatura che le consente di vivere, sebbene in grande solitudine, in profonda libertà interiore, avendo come unico riferimento Gesù.
«Vivo a servizio senza un nome, confida ancora nello stesso incontro, senza la sicurezza di un ordine religioso, senza appartenere a nessuna organizzazione, senza uno stipendio, senza versamento di contributi volontari per quando sarò vecchia. Sono non sposata perché così scelsi nella gioia quando ero giovane. Volevo essere tutta per Dio. Era un’esigenza dell’essere quella di non avere una famiglia mia. E così è stato per grazia di Dio»


[
"Partii decisa a gridare il Vangelo con la vita".
Nel mondo mussulmano, che rispetta e da cui si sente educata, sceglie di essere profondamente cristiana, di non nascondere la sua fede, il suo stile di vita povero e casto, ma senza lo scopo di convertire. Non per superficiale relativismo, ma per scelta.
Sulla scia del beato Charles de Foucauld, che è una sua icona di riferimento, Annalena preferisce che sia la sua vita a “gridare il Vangelo”.
«Partii decisa a gridare il Vangelo con la vita sulla scia di Charles de Foucauld, che aveva infiammato la mia esistenza.
Trentatrè anni dopo grido il Vangelo con la mia sola vita e brucio dal desiderio di continuare a gridarlo cosi fino alla fine. Questa la mia motivazione fondamentale assieme ad una passione invincibile da sempre per l’uomo ferito e diminuito senza averlo meritato al di là della razza, della cultura, e della fede».


[
"Se noi seguiremo le tue orme, andremo in Paradiso".

Questa testimonianza nell’esperienza d’Annalena è a “caro prezzo”. Più volte è brutalmente percossa e lasciata quasi priva di vita e, nel 1984, è costretta a lasciare il Kenya perché si oppose al governo di quella nazione che tentò di sterminare una tribù di nomadi del deserto. Avrebbero dovuto sterminare cinquantamila persone. Ne uccisero mille. Annalena riuscì ad impedire che il massacro fosse portato avanti e a conclusione. Per questo fu processata e un anno dopo fu deportata.
Lei stessa racconta: «Al tempo del massacro, fui arrestata e portata davanti alla corte marziale [....] Le autorità, tutti non Somali, tutti, ahimè, cristiani, mi dissero che mi avevano teso due imboscate a cui ero provvidenzialmente sfuggita, ma che non sarei sfuggita una terza volta. Poi uno di loro, un cristiano praticante!!!, mi chiese che cosa mi spingeva ad agire cosi. Gli risposi che lo facevo per Gesù e che Gesù chiede che diamo la vita per i nostri amici».
Questo impegno a difesa dei deboli massacrati, rischiando lei ogni volta la vita, fa gradualmente svanire i pregiudizi che gli islamici avevano nei riguardi d’Annalena.
C’è un graduale aprirsi degli occhi, come un risvegliarsi ad una possibilità nuova. Inizialmente a lei e alle sue amiche è detto che a loro è precluso il paradiso, più tardi le diranno che lei andrà in paradiso, perché ama; e infine qualcuno osa dire:
«se noi seguiremo le tue orme, noi andremo in Paradiso».
Lei stessa, ancora, racconta: «Per cinque anni ci avevano sbattuto in faccia che noi non saremmo mai andate in Paradiso perché non dicevamo: “Non c’è Dio all’infuori di Dio e Maometto è il suo profeta”. Poi successe un episodio grave che mise a rischio la nostra vita e allora la gente cominciò a dire che sicuramente anche noi saremmo andate in Paradiso. Poi cominciammo ad essere portate come esempio. Il primo fu un vecchio capo che ci voleva molto bene, “noi Musulmani abbiamo la fede”, disse, “voi avete l’amore”. Fu come il tempo del gran disgelo. La gente diceva sempre più frequentemente che loro avrebbero dovuto fare come facevamo noi, che loro avrebbero dovuto imparare da noi a ‘fare’ per gli altri, in particolare per quelli più malati, più abbandonati. Diciassette anni dopo, subito dopo il massacro di Wagalla, un vecchio arabo mi fermò al centro di una delle strade principali del povero villaggio, profondamente commosso perché in mezzo ai morti c’erano suoi amici, perché mi aveva visto quando mi avevano picchiato perché sorpresa a seppellire i morti, mentre lui aveva avuto paura e non aveva fatto nulla per salvare i suoi invece io avevo tutto osato e rischiato per salvare la vita dei loro che erano diventati miei e gridò perché voleva essere sentito da tutti: “nel nome di Allah, io ti dico che noi andremo in Paradiso, se seguiremo le tue orme
».

[
"Se non amo, Dio rimane senza epifania".
Questa testimonianza evidenzia ancora di più che il volto di Dio non ha bisogno di parole per essere raccontato, ma chiede solo la disponibilità della propria carne per potervi risplendere.
Lascio che sia ancora Annalena con il suo linguaggio esplicito e immediato a sottolinearlo.
«La vita ha senso solo se si ama. Nulla ha valore al di fuori dell’amore. La mia vita ha conosciuto tanti pericoli, ho rischiato la morte tante volte. Sono stata per anni in mezzo alla guerra.
«Ho esperimentato nella carne dei miei e di quelli che amavo e, dunque nella mia carne, la cattiveria, la perversità, la crudeltà, l’iniquità dell’uomo. E ne sono uscita con la convinzione incrollabile che ciò che conta è amare.
«Se pure Dio non ci fosse, solo l’amore ha un senso, solo l’amore libera l’uomo da ciò che lo rende schiavo, in particolare, solo l’amore fa respirare, crescere, fiorire, solo l’amore fa sì che non abbiamo più paura di nulla, che porgiamo la guancia ancora non ferita allo scherno e alla battitura di chi ci colpisce perché non sa quello che fa, che rischiamo la vita per gli amici; l’amore fa sì che tutto crediamo, tutto sopportiamo, tutto speriamo.
«Se non amo, Dio muore sulla terra. Che Dio sia Dio io ne sono causa; se non amo, Dio rimane senza epifania, perché siamo noi il segno visibile della Sua presenza e lo rendiamo vivo, in quest’inferno di mondo dove pare che Lui non ci sia, e lo rendiamo vivo ogni volta che ci fermiamo presso un uomo ferito. Alla fine, io sono veramente capace solo di lavare i piedi in tutti i sensi ai derelitti, a quelli che nessuno ama, a quelli che misteriosamente non hanno nulla d’attraente in nessun senso agli occhi di nessuno.
«Luigi Pintor, e diceva d’essere ateo (!), scrisse un giorno che non c’è cosa più importante da fare che chinarsi perché un altro, cingendoti il collo, possa rialzarsi.
«Così è per me. È nell’inginocchiarmi, perché stringendomi il collo loro possano rialzarsi e riprendere il cammino o addirittura camminare dove mai avevano camminato, che io trovo pace, carica, certezza che tutto è grazia.
«Vorrei aggiungere che i piccoli, i senza voce, quelli che non contano nulla agli occhi del mondo, ma valgono tanto agli occhi di Dio e sono i suoi prediletti, hanno bisogno di noi.
«Noi dobbiamo essere con loro e per loro.
«E non importa nulla se la nostra azione è come una goccia d’acqua nell’oceano.
«Gesù Cristo non ha mai parlato di risultati.
«Egli ha parlato solo di amarci, di lavarci i piedi gli uni gli altri, di perdonarci sempre.
«I poveri ci attendono. I modi del servizio sono infiniti e lasciati all’immaginazione di ciascuno di noi.
«Non aspettiamo di essere istruiti sul tempo e sui modi del servizio. Inventiamo... e vivremo nuovi cieli e nuova terra ogni giorno della nostra vita.
»


Rivestirò di salvezza i suoi sacerdoti, esulteranno di gioia i suoi fedeli

Omelia nel Santuario di Tindari, 22 settembre 2007
Ordinazioni presbiterale e diaconali


1. Fratelli siete venuti a Tindari da diverse contrade della nostra diocesi: benvenuti.
Voi, ordinandi, in particolare, porterete nel cuore che il dono del sacerdozio fiorisce per voi qui, nella casa della Nigra sed formosa. Rivolgiamoci a lei.

Maria, a Nazaret hai abitato con Gesù; l’hai ascoltato; Egli parlandoti per l’abbondanza del suo cuore, ti ha rivelato quello che il Padre è, vuole, fa; parlaci di Gesù, di modo che la freschezza della fede brilli nei nostri occhi e scaldi il cuore di chi c'incontra, com’è stato per te quando, svelta, sei andata in soccorso d’Elisabetta; quando, umile e attenta, serbavi in cuore tutto quello che avveniva attorno a Gesù; quando stavi al culmine del Calvario; quando nel cenacolo, contagiavi della tua speranza il primo nucleo di discepoli prima del battesimo dello Spirito Santo; tu, nostra sorella nella peregrinazione della fede.

2. Il sacerdote amico di Gesù.

Siamo qui per accogliere il dono del sacramento dell’ordine nei due gradi del diaconato e del presbiterato.
a) Il nucleo essenziale del sacerdozio è essere amici di Gesù. Per quest’amicizia si è resi partecipi del suo sacerdozio.
Riascoltiamo, grati la parola proclamata: ‘questa è una cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità (cfr 1Tm 2,3-7).
b) Amici perché innamorati di Gesù Cristo, attratti da lui e impegnati a ricercare il suo volto. Amici di Gesù perché abbiamo ascoltato ed accettato la sua indicazione: ‘nessuno può servire a due padroni’ e noi, scelti, abbiamo scelto di amare, lui, Gesù, l’amico fedele. Essere amico di Gesù per il sacerdote è tutto. Da amici, vinciamo l’ignoranza, la paura, il gelo dei servi, e impariamo a vivere, a soffrire e ad agire con e per lui. Per chi, nell’amicizia, vince la paura risuona la parola
 ‘vi siete invece accostati  alla città del Dio vivente, al Mediatore della Nuova Alleanza’ (cfr Eb 12,22-24 ).
Gesù, accoglici nella tua amicizia; mantienici e facci crescere saldi, concreti e fattivi in essa. Gesù, i tuoi amici sono ammessi a vedere il tuo volto: facci vedere il tuo volto, faccene comprendere e amare e gustare e imitare le sfumature. Salvatore, Alberto, Carmelo che oggi iscrivi tra gli amici ai quali tutto riveli, gustino sempre meglio la tua intimità.


3. Non esiste se non Gesù intero, capo e membra.

Possiamo essere amici di Gesù soltanto nella comunione con Gesù intero. Con Gesù, cioè, capo e corpo. Con Gesù nella vita della Chiesa animata dal suo Signore.
L’amicizia con Gesù è, sempre, amicizia con i suoi. Chi vi strizza l’occhio dicendo: Gesù sì, Chiesa no, è quello stesso che, ieri, ha detto: Dio sì, Gesù no e non farà trascorrere molto per chiudere il cerchio dicendovi che Dio è superfluo, ipotesi vacuamente consolatoria per spiriti deboli.
Fratelli, ordinandi diaconi, a voi, per dirla con S. Ignazio, è affidato il ministero di Gesù Cristo: la chiesa è contenta per voi, per voi trepida e prega; su di voi conta. Amatela a vostra volta.
Chiesa che è nata dalla croce ed è costretta a portare la croce del peso dei miei peccati. Chiesa che annuncia il Vangelo e che è appesantita dal nostro attardarci sulla pigra conservazione del già esistente. Chiesa fondata sull’amore di Cristo e che è snaturata dalla nostra sensualità, dall’attaccamento all’immagine di noi stessi, dalla nostra sete di potere. Chiesa inviata a tutto il mondo per l’annunzio e che, la nostra pigrizia, arrotola pigramente su se stessa.
Chiesa vivificata dal Crocifisso risorto ma che geme della nostra povertà di speranza.
Fratelli, staccati dalla chiesa, senza di essa siamo niente.
La chiesa s’intende questa chiesa, la chiesa di Cristo che fa riferimento a questi battezzati, a papa Benedetto, a questi presbiteri e vescovo. La chiesa che mi educa alla concretezza insegnandomi che, se mi limitassi a pregare scivolerei in una religiosità di marchio non cristiano, e che, in definitiva, non pregherei. La chiesa, insomma, che rinnova il comando di Gesù: ‘andate in città’ (Mt 26,18).
La chiesa che mi ricorda ‘guai a me se non evangelizzo’ e che mi ammonisce che, in un mondo cambiato, l’evangelizzazione esige metodi nuovi. La chiesa pattese che mi offre progetto, piano e programma pastorali per il presente.

Spirito Santo, inviato dal Padre, tu hai fatto della piccola Maria di Nazaret, la madre, la madre divina; presente in Gesù, dal Battesimo in poi, ne hai divinizzato l’umanità talché la potenza della parola e dei segni usciva da lui a vantaggio dei poveri e dei diseredati d’ogni genere; emesso dallo stesso Gesù, sul Golgota, con sangue e acqua, hai dato origine e forza ai sacramenti della Chiesa e hai  fatto della sua umanità la fonte della grazia, irrora le nostre povertà. Senza di te niente c’è in noi di vero, buono, bello e forte.

Siamo sempre dei da poco dinanzi a Dio. Da poco ma amati, e chiamati, e consacrati, e inviati. Voi, Salvatore, Carmelo e Alberto, amati, e chiamati, e consacrati, e inviati come e con i fratelli presbiteri che vi accolgono fratelli tra fratelli.
Porrete al centro Cristo vivendo di lui, come lui al servizio dei fratelli, nella fraternità eucaristica caratterizzata dal fatto di essere convocata dal Padre, dalla capacità di dire grazie e da un modello di vita degna di essere imitata; sarà vostro binario la Parola, favorita dal silenzio, dalla disponibilità al lavoro e dalla povertà grembo della preghiera.
Tu, Salvatore, in particolare lo terrai ben presente che non predichiamo noi stessi ma Cristo Gesù e che siamo servitori per amore di Gesù e vasi di creta (2Cor 4, 5-18).
E terremo davanti i nostri santi. Quelli che invocheremo nella litania mentre, in atto d’offerta totale e definitiva, vi prostrerete sul pavimento, quelli di cui portiamo il nome, i santi legati alla nostra chiesa pattese, i santi presbiteri, vite donate, che niente hanno anteposto a Cristo.
Santi e sante di Dio,intercedete per noi.

4. Il sacerdote rivestito di salvezza e di gioia.

Rivestirò di salvezza i suoi sacerdoti, esulteranno di gioia i suoi fedeli (Sal 132, 16). Questa parola ci è stata data dalla Liturgia nella preghiera di questi giorni.

Chi parla?
Per mezzo del salmista, parla il Signore! Parola, quella del Signore, levigata dall’abitudine, talvolta, fino allo svilimento. Parla il Signore! Se la Parola cade nel vuoto, veniamo meno per inedia. Niente, infatti, è che non abbia detto la sua Parola. Egli, disse e luce, cielo, terra sono. E l’uomo vive d’ogni parola che esce dalla bocca di Dio. Di chi parla? Parla di Sion. Sion di ieri e Sion d’oggi, della chiesa, che egli ha scelto e della quale assicura: "Questo è il mio riposo per sempre; qui abiterò, perché l'ho desiderato (ivi 13-14). Cosa dice? Promette sacerdoti rivestiti di salvezza, che è come dire rivestiti di Gesù; per questo rivestimento gioiranno i fedeli tutti.
Parla di noi, fratelli sacerdoti, e parla di voi carissimi, Alberto, Carmelo e Salvatore, che da oggi, con l’imposizione delle mani mie del Presbiterio, parteciperete del sacerdozio ministeriale di Cristo Signore nel grado del diaconato e del presbiterato.

Padre, tu nostra speranza, tu nostra salvezza, tu nostra gloria!
Chi può stare dinanzi al fuoco vivo della tua gloriosa maestà? Non Mosé, certo, o Elia o altro profeta.  Noi stiamo dinanzi a te perché obbedienti al comando di Gesù e resi audaci dalla forza del tuo Santo Spirito. Stiamo dinanzi a te prostrati ma fiduciosi e gioiosi Nel battesimo ci hai cambiato e modellato su Gesù, Parola che, sola, tutto dice di te.Cambia e modella, ancora su Gesù, Salvatore, Carmelo e Alberto perché, come Gesù, camminino per cercare, predichino per consolare, incontrino per risanare.


In cammino, con Cristo, nella Chiesa

Lettera ai Presbiteri del 12 Ottobre 2007

1. Carissimi, l’anno pastorale è per noi iniziato con l’incontro-pellegrinaggio a Tindari dello scorso agosto.
In quell’occasione abbiamo voluto farci pellegrini con i fedeli delle nostre comunità che con tale modalità onorano la Santa Vergine del Signore organizzando e partecipando, appunto, ai pellegrinaggi.
Giorno 22 settembre, a Tindari abbiamo accolto nel presbiterio diocesano, fratello tra fratelli, con il gesto sacramentale dell’imposizione delle mani, don Salvatore Lipari da S. Stefano di Camastra e don Carmelo Lipari da S. Teodoro e don Alberto Visalli da S. Agata come diaconi.
Poi, nei giorni 24-26 settembre, a S. Agata Militello, e, giorno 29, a Ficarra, siamo stati impegnati nella realizzazione dell’Assemblea Ecclesiale Diocesana.
Ora siamo pronti per accogliere la grazia con la quale il Padre non cesserà di vivificare le nostre comunità, per mezzo del Signore Gesù, nel Santo Spirito.


2.
Il pellegrinaggio è forma universale di religiosità popolare da non disprezzare e che, opportunamente orientata e, se del caso, purificata, può agevolmente finalizzarsi all’evangelizzazione.
Diaconi e presbitero novelli ci danno modo di ringraziare il Signore per il dono delle vocazioni di speciale consacrazione e c’impegnano a pregare ed agire perché esse, intendo le vocazioni, siano adatte per quantità e qualità al servizio che la chiesa deve offrire al mondo oggi.
L’Assemblea Ecclesiale Diocesana per il vescovo di  questa  Chiesa evidenzia l’obbligo di ringraziare per la partecipazione e la cresciuta sensibilità ecclesiale, evidenziate anche da linguaggio e stile.
Sempre a proposito dell’Assemblea è fonte d’umile letizia ripensare alla testimonianza che hanno reso i giovani delle nostre parrocchie che, nei primi gironi di settembre, a Loreto, presente il Santo Padre Benedetto XVI, hanno partecipato all’Agorà dei giovani.
La stessa cosa  sento di dovere dire della docilità generosa con cui mi avete seguito a Ficarra per concludere l’Assemblea ai piedi della Santissima Annunziata e invocarne la guida per il nuovo anno.


3.
Ora, volgendo, appunto al nuovo anno, i nostri santi desideri, penso di fare cosa utile proponendovi due riflessioni.
Come conclusione dell’Assemblea ecclesiale diocesana, la prima, sulla Liturgia la seconda.


I.  La nostra Assemblea:

a)
fa sua l’atmosfera suggerita dalla Parola:
*   Alzai gli occhi ed ecco un uomo con una fune in mano per misurare. Gli domandai: «Dove vai?».  Ed egli: «Vado a misurare Gerusalemme per vedere qual è la sua larghezza e qual è la sua lunghezza». L'angelo che parlava con me uscì e incontrò un altro angelo che gli disse: «Corri, va’ a parlare a quel giovane e digli: Gerusalemme sarà priva di mura, per la moltitudine d’uomini e d’animali che dovrà accogliere. Io stesso – parola del Signore – le farò da muro di fuoco all'intorno e sarò una gloria in mezzo ad essa» (Zc 2,5-9).
*   Un ammonimento. Guai agli spensierati di Sion e a quelli che si considerano sicuri sulla montagna di Samaria! Questi notabili della prima tra le nazioni, ai quali si recano gli Israeliti! (Am 6,1).
*   Un’esortazione. Al cospetto di Dio che dà vita a tutte le cose e di Gesù Cristo che ha dato la sua bella testimonianza davanti a Ponzio Pilato, ti scongiuro di conservare senza macchia e irreprensibile il comandamento, fino alla manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo (1Tm 6,13-14).


b)
sa d’essere assemblea attorno all’altare per la celebrazione dell’Eucaristia che è:

1.
Memoria-Contesto del banchetto pasquale ebraico.
Gli ebrei ricordavano un avvenimento; i cristiani ricordiamo una persona: Fate questo in memoria di me. Non vuota commemorazione ma reale presenza a noi degli eventi. Non semplice riflessione sulla salvezza ma sua vera riattualizzazione.
Fate questo in memoria di me.
Gesù partì dunque con loro e tornò a Nazaret e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini (Lc 2, 51-52).

A lei, nostra sorella che conserva nel cuore quanto avviene attorno al Figlio divino, la nostra fiduciosa invocazione: Madre del Buon Consiglio. Casa d’oro. Regina dei patriarchi e della pace. Vergine del silenzio.


2. Col gesto dell’uccisione
e consumazione dell’Agnello, con lo spezzare il pane e bere il vino Gesù qualifica la sua morte in Croce come sacrificio dell’alleanza, come atto che esprime e costituisce il patto eterno che lega per sempre Dio e il suo popolo, il nuovo Israele.
A lei, tipo e modello della Chiesa, la nostra fiduciosa invocazione: Arca dell’Alleanza. Rifugio dei peccatori. Causa della nostra letizia. Tempio dello Spirito Santo. Regina delle vittoria. Madonna dei peccatori. Madonna della catena. Madre della luce.


3. Il banchetto pasquale
ebraico aveva una tensione verso il Messia futuro e il Regno che doveva venire da lui inaugurato.
Questa dimensione è presente nella prima comunità cristiana:

*
  per S. Paolo i cristiani annunziano la morte del Signore fino a che egli venga;
*
  Maràn atà (Il Signore viene);
*
  Maràna tha (Signore nostro vieni).
Questa dimensione è presente nella comunità d’oggi:

*
   Il Signore onnipotente e misericordioso ci conduca alla vita eterna.
*
  Credo in Gesù … di nuovo verrà nella gloria.
*
   Aspetto la risurrezione dei morti e la vita che verrà.
*
   Annunziamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta.
*
    Nell’attesa della tua venuta ti offriamo, Padre, in rendimento di grazie.
*
   Perché possiamo ottenere il regno promesso.
*
   Concedi anche a noi di ritrovarci insieme a godere della tua gloria.
*
   Nell’attesa che si compia la beata speranza.
*
   Il corpo e il sangue di Cristo siano per noi cibo di vita eterna.
A lei, madre forte nella sua incrollabile speranza ai piedi della croce, la nostra fiduciosa invocazione: Porta del cielo. Regina assunta in cielo. Regina degli angeli.


4. La Chiesa
:

-
     popolo – memoria, popolo che ricorda (ricordare ha da fare col cuore);
     A lei la nostra impegnata invocazione:Vergine fedele.

-
    nasce dall’alleanza sancita dal sacrificio di Cristo sul Calvario e quotidianamente ripresentato;
     A lei, alla Santa Madre del Signore, la nostra contemplante invocazione: Rosa mistica.

-
    attesa delle cose future,
-
    campo di quei che sperano,
-
    ponte lanciato tra le due venute del Signore.
A lei, nostra compagna nella peregrinazione della fede, la nostra fiduciosa invocazione: Regina dei martiri.


5. Che fare.

Sul piano operativo sono affidate a noi, perché modellino le nostre persone e il nostro impegno, Memoria, Alleanza e Speranza.


II. La Liturgia.

1. La comunità nasce, sempre da capo, dalla Liturgia.

Si lamenta che alla parrocchia si va per soddisfare un vago bisogno religioso attraverso la richiesta di sacramenti e prestazioni religiose che non esprimono la fede, e non incidono nella vita.
Molteplici e complesse sono le cause di quest’andazzo.  Fra  tutte emerge che la parrocchia non è luogo dell’esperienza vitale della preghiera liturgica che plasma e anima la comunità cristiana. La partecipazione piena, consapevole e attiva voluta dal Concilio è sempre da realizzare nonostante i riti e i testi aggiornati.

2. La Liturgia è celebrazione di un dialogo.
Dalla situazione, scaturisce la necessità di rivedere i principi teologici che costituiscono il fondamento della liturgia della chiesa. La liturgia è celebrazione dell'incontro tra due: Dio e la comunità dei credenti.
L'iniziativa viene da Dio che, sempre presente e operante nella storia, realizza e rinnova una proposta e un dono d’alleanza col suo popolo. «Dio volle santificare e salvare gli uomini - insegna la Lumen Gentium - non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo che lo riconoscesse nella verità e fedelmente lo servisse» (LG 9).
Tale santificazione e salvezza ci raggiungono attraverso il sacramento globale della liturgia nella quale Dio si manifesta come colui che convoca il popolo, parla al suo cuore, gli svela il suo volto e il suo progetto di comunione. La celebrazione liturgica ci educa, appunto, a crescere nella dimensione del “noi” comunitario, grazie ai molteplici doni dello Spirito e ai vari servizi ministeriali che le sono propri.
La liturgia è, soprattutto, luogo e momento privilegiato in cui diventiamo comunità in ascolto di Dio che ci parla. La Parola di Dio scritta torna a farsi suono, voce, spirito e vita, nella liturgia. Non è più lettura di un libro, ma ascolto di Qualcuno che parla e interpella l'intera comunità e, al suo interno, il singolo credente.
La proclamazione della Parola, infatti, innalza l'Assemblea da agglomerato, riunione d’amici, a comunità di credenti convocati per ravvivare la fede nell'alleanza nuova in Cristo Gesù.
L’Assemblea è il nuovo Popolo con il quale Dio instaura il dialogo di salvezza: Dio prende l’iniziativa, parla al popolo, e il popolo risponde ascoltando, cantando e pregando.
La Parola di Dio narra i grandi eventi della storia della salvezza, soprattutto la vita di Cristo e il Mistero Pasquale. Di questi eventi della salvezza, la liturgia, soprattutto nella celebrazione dei sacramenti, rende contemporanei, perché anche noi ne accogliamo e viviamo, ora e qui, la dirompente forza salvifica.
Nella Liturgia, dunque, si fa l'esperienza di Dio vicino che in Cristo Gesù si fa dono e compagno. Ma l'accoglienza di questa presenza esige la risposta personale e comunitaria, con l’assunzione di stili di pensiero, parola, azione, cioè di vita, nuovi perché conformi al dono ricevuto e sperimentato.


3. La Liturgia nell'Anno Liturgico

Perché questi principi e valori della celebrazione diventino esperienza esistenziale, la Chiesa offre un itinerario che aiuti i singoli e la comunità cristiana all'incontro con il Risorto che trasforma la vita e la storia umane per mezzo degli eventi di grazia di cui la liturgia è memoria viva.
Un itinerario efficace e adatto a tutti che consiste nell’Anno Liturgico del quale è sempre utile approfondire tappe e caratteri.
È il cammino di fede orante per tutta la Chiesa. È celebrazione dei misteri di Cristo nella loro globalità. È celebrazione ciclica che ha come fine aprire all'incontro con Cristo Gesù Salvatore unico.


a) L'Avvento

Prima tappa dell'Anno Liturgico, l’Avvento, propone la prospettiva del ricominciare e, per questo, è sempre carico di novità. In esso la chiesa, che attende il ritorno glorioso di Cristo, alla fine dei tempi, fa memoria dell'Incarnazione del suo Signore che sposa l'umanità e solidarizza con la sua storia.
L'Avvento è il tempo nel quale Dio e l'uomo si accolgono: A Dio che, con la sua parola, offre all’uomo di accoglierlo nell’intimità della vita trinitaria, l'uomo offre l’accoglienza nella fede, nella preghiera e nella carità operosa.
Di questo tempo liturgico non ci vuole molto per recepire il carattere mariano e la Chiesa invita a contemplare e a condividere gli atteggiamenti di Maria di Nazareth nostra compagna nella peregrinazione della fede:
-  la sua apertura all'evento del Figlio di Dio che in lei si fa uomo, per essere compagno d’ogni uomo;
-  la sua accoglienza della Parola che illumina e dà senso agli eventi della sua vita;
-  la sua disponibilità ad aprire mente e cuore alla logica dell'incarnazione in cui Dio la coinvolge nel realizzare il suo progetto di redenzione del mondo.


b) La Quaresima

La Quaresima è il tempo favorevole per riscoprire la vocazione battesimale e impegnarsi in una seria conversione di vita.
Non basta aprire, una volta per tutte, l’esistenza a Cristo. Occorre - anno dopo anno, Quaresima dopo Quaresima - lasciarsi liberare dagli idoli, richiamando le esigenze dell'Alleanza. Questa esigenza è richiamata con accenti molto efficaci dai testi liturgici. A modo d’esempio leggiamo il 5° dei prefazi proposti nel Messale:
«Tu, Padre, riapri alla Chiesa la strada dell'esodo attraverso il deserto quaresimale, perché ai piedi della santa montagna, con il cuore contrito e umiliato, prenda coscienza della sua vocazione di popolo dell'alleanza, convocato per la tua lode, nell'ascolto della tua parola, e nell'esperienza gioiosa dei tuoi prodigi»
Obiettivi da perseguire, pesi e limiti personali e comunitari che ostacolano vanno tenuti con eguale realismo. Ci viene incontro la stessa liturgia: «Dio, nostro Padre, concedi a noi tuoi fedeli di crescere nella conoscenza del mistero di Cristo...» (1^ Domenica di Quaresima, colletta).


c) La Pasqua

La celebrazione della Pasqua del Signore è evento centrale della nostra fede e sorgente della vita nuova in Cristo. Frutto primario e decisivo di questo mistero è l'effusione dello Spirito del Risorto sulla chiesa. Egli trasforma i credenti in creature nuove e li abilita a vivere la comunione con i fratelli, come suggeriscono le parole ben note: «Dona a noi la pienezza dello Spirito Santo, perché diventiamo in Cristo un solo corpo e un solo Spirito.», che continuano evidenziando l'esigenza di crescita fraterna: «E a tutti coloro che mangeranno di quest'unico pane e berranno di quest'unico vino, concedi che, riuniti in un solo corpo dallo Spirito Santo, diventino offerta viva in Cristo.»


d) Il Tempo Ordinario

Nel Tempo Ordinario, attraverso la celebrazione del mistero cristiano nel suo insieme, si celebra la fedeltà di Dio, nello scorrere del tempo, in attesa del ritorno glorioso del Signore.
Tale fedeltà di Dio si esperimenta nella Parola, nei sacramenti e negli avvenimenti ordinari della vita.
La nostra risposta alla fedeltà di Dio è la vita coerente con l'Alleanza come magistralmente richiama un'altra preghiera: «Tu hai mandato il tuo Figlio per fare di tutte le nazioni un solo popolo nuovo che ha come fine il tuo Regno, come condizione la libertà dei figli, come statuto il precetto dell'amore» (Prefazio VII del T. O.)


e) A modo di conclusione

Abbiamo iniziato con la constatazione che, talvolta, le nostre comunità manifestano qualche carenza di vitalità spirituale. La qualità della preghiera liturgica può essere una delle radici di tale carenza.
La riflessione proposta e le altre che ognuno può fare all’inizio del nuovo anno pastorale ci possono spingere a prendere consapevolezza della ricchezza che l’esperienza della chiesa mette a disposizione della comunità credente.


Lo seguirono

Lettera ai Presbiteri del 9 Novembre 2007

1.  Carissimi, in obbedienza alla costante indicazione del Magistero della Chiesa prestiamo attenzione docile e, speriamo, concreta alla nostra formazione.
Formazione che deve essere permanente, non fosse altro, perché nessuno può presumere di essere ‘formato’ mentre tutti, quali che siano l’età, la personale storia e i compiti, dobbiamo vederci sempre discepoli dell’unico Maestro.
Maestro che, come parola completa e indicibile del Padre, nessuna epoca può presumere di impacchettare nelle sue coordinate culturali e nelle sue parole.


2.
  Formazione permanente ha da fare con la spiritualità e cioè con il modo di sentire di sé e con la gestione dei rapporti con le cose e con gli altri.
Rapporti con sé e con gli altri: da qui dipende tutto.
Il credente, consapevole che non sono mancati i cattivi maestri per i quali ‘gli altri sono l’inferno’, si riconosce discepolo del Maestro dalle parole di vita eterna,
Gesù Signore, per il quale Dio si fa incontrare, oltre che nel silenzio, proprio negli altri.
C’è dunque un modo di vedere, una spiritualità cristiana che si oppone al modo di vedere mondano, può sembrare strano, ad una spiritualità non cristiana.
Il modo di vedere è autentico metro valutativo, è sfondo su cui si saggia ciò che vale dinanzi a Dio, è crogiuolo che distingue i surrogati dall’oro, è criterio che isola le croste dai capolavori e ciò che la ruggine ossida, i tarli consumano e i ladri involano dal tesoro che non teme lo srotolare del tempo e il suo sfociare nell’eternità.
Giova ascoltare l’insegnamento dell’Apostolo, fedelmente espresso nella sua corrispondenza con la primitiva comunità corinzia.

«
Poiché, infatti, nel disegno sapiente di Dio il mondo, con tutta la sua sapienza, non ha conosciuto Dio, è piaciuto a Dio di salvare i credenti con la stoltezza della predicazione.
«
E mentre i Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio.
«
Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini.
«
Considerate infatti la vostra chiamata, fratelli: non ci sono tra voi molti sapienti secondo la carne, non molti potenti, non molti nobili.
«
Ma Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti.
«
Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio.
«
Ed è per lui che voi siete in Cristo Gesù, il quale per opera di Dio è diventato per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione, perché, come sta scritto: «Chi si vanta si vanti nel Signore» (1Cor 1,21-31).

3.
  Il modo di vedere e valutare però non basta se non perviene all’agire, ché spiritualità è quella dell’uomo che, fatta sua la sua visione delle cose del Vangelo, la traduce in concrete azioni di vita con essa coerenti.

4.
  Il libro dei Salmi, libro della preghiera dei credenti della Prima e della Seconda Alleanza, brulica d’invocazioni appassionate e di riferimenti alla vita e alla morte, al Faraone, alle belve del canneto, a Nabucodonosor, Amàn, Antioco Epifane.
Costoro non agitano parole vane, ma vogliono la concreta, feroce, sanguinaria sradicazione del popolo eletto dal novero dei popoli e dalla faccia della terra.
E i credenti sono chiamati a spendere la loro fede, la loro visione della vita, la loro spiritualità nel concreto scontro, con il terrore che provavano al confronto con i carri metallici degli egiziani, con le cavallette assire, con lo strapotere politico delle grandi potenze.
Quando Gedeone oppone la sua costernazione all’angelo che gli propone di farsi capitano di un’impresa disperata, parla di cose vere.
Il sarcasmo di Giobbe prima che bruciare la carne dei fasulli mosconi che lo tediano con il loro perbenismo
«è vero, sì, che voi siete la voce del popolo e la sapienza morirà con voi!» (Gb 12, 2), ha ridotto ad orticheto la sua carne inchiodata sul letamaio.
Così Debora, Ester, i Maccabei… così Gesù che predica la giustizia e continua decisamente per la via, già fornita di croce, che conduce a Gerusalemme.
Dietro a Gesù sono numerosi i figli di Adamo, il vecchio, che si rinnovano, divenendo discepoli del nuovo Adamo, assumendone la spiritualità che è sempre sguardo verso di Lui, di Dio, mai dimentico di loro, i fratelli.
In tutti tempi. In tutti i luoghi. Francesco d’Assisi, Carlo Borromeo, Vincenzo de’ Paoli, Francesco di Sales, Giorgio La Pira, Alcide De Gasperi, Gianna Beretta Molla, Lazzati, Giovanni XXIII, Paolo VI, Oscar Romero…
Zaccheo
che vuole vedere Gesù e corre davanti, sale sul sicomoro e in fretta scese e lo accolse pieno di gioia e disse: «Ecco, Signore, do la metà dei miei beni ai poveri; e restituisco quattro volte tanto» (cfr Lc 19,6-9).
I primi discepoli
la cui storia è narrata da Matteo nel 4° capitolo del suo vangelo.
E, dice Matteo, subito lo seguirono. La sequela non è intellettuale, fascinoso, elegante e pigro godimento.
Odora di vita e della vita ha le spine. Come la vita necessita di scelte con l’inevitabile contorno di rinunzie, rischi, ansie, costi.
Dopo la scelta per Cristo niente è come prima. Non ha senso pensare la scelta per Cristo, la fede, da una parte, la vita, la famiglia, il commercio, l’attività didattica, il divertimento ecc. da un’altra parte, ognuna per conto proprio.
Dopo accettato di seguire Gesù, o il baratro di Giuda o l’altezza dei dodici seggi per giudicare le dodici tribù; o la tristezza di quel tale che, trattenuto dai molti averi andò via, o la letizia ardente di Giovanni, della Maddalena e di Pietro del primo giorno dopo il sabato.
I discepoli, accettando di farsi plasmare dalla parola di Gesù (sennò che discepoli sono mai?), davvero, nella vita, si fanno condurre da ben precise coordinate.
Al centro Gesù. Sua è l'iniziativa (vide, disse loro, li chiamò): non è l'uomo che si autogenera discepolo, ma è Gesù che trasforma l'uomo in un discepolo.
E ancora: il discepolo non è chiamato ad impossessarsi di una dottrina, neppure anzitutto a vivere un progetto d’esistenza, ma a solidarizzare con una persona.
Al primo posto l'attaccamento alla persona di Gesù. Tanto è vero che il discepolo evangelico non intraprende un tirocinio per divenire a sua volta un maestro: egli rimane sempre un discepolo perché uno solo è il Maestro, Cristo.
Seguire Gesù esige un profondo distacco. La chiamata di Pietro e Andrea e la chiamata di Giacomo e Giovanni sono costruite secondo la medesima struttura e sostanzialmente secondo lo stesso vocabolario.
C'è però una differenza non trascurabile: nel primo racconto si dice che lasciarono «le reti», nel secondo che lasciarono «la barca e il padre». C'è dunque come un crescendo: dal mestiere alla famiglia. Il mestiere rappresenta la sicurezza e l'identità sociale, il padre rappresenta le proprie radici.

Seguire Gesù è cammino.
A partire dall'appello di Gesù, il cammino si esprime con due movimenti, lasciare e seguire, che indicano uno spostamento del centro della vita. L'appello di Gesù non colloca in uno stato, ma in un cammino.
Seguire Gesù è missione.
Il discepolato coniuga la comunione con Cristo (seguitemi) e la corsa verso il mondo (vi farò pescatori d’uomini). L’andare al mondo nasce dalla comunione con Cristo. Gesù non colloca i suoi discepoli in uno spazio separato, ma li incammina sulle strade degli uomini.

5.  La fede è la perla preziosa. Di fede ne basta quanto un granellino di senapa per spostare le montagne e per fare cose maggiori di quelle operate dallo stesso Maestro.
Della fede Gesù si chiede se ne troverà al suo ritorno e niente fa pensare che si tratti di una domanda retorica. La fede è apertura a Dio, dirgli di sì che prelude ad uguale apertura al mondo e al prossimo.
La mia fede che, se autentica, è abitata dalle vicende di Adamo, Abramo, Mosè, Jefte, David, Salamone, Isaia, Zaccaria, Pietro, Giacomo ecc., deve essere abitata, sempre che sia autentica, da globalizzazione e scalone sindacale, guerra e pace, Darfur e Congo, Irak e Iran, Cina e India e Usa e Francia e Italia e Sicilia e Patti e quartiere e condominio, dove c’è, e Messina e Patti e Acquedolci, Ucria… Berlusconi e Prodi, ASL e Aziende Scolastiche, sindacato e patronato.
Avvenimenti e persone sono lì per tutti ed aspettano lettura, reazione e azione. L’uomo di fede legge, reagisce e agisce non a prescindere ma a partire dalla sua fede. Queste (lettura, reazione e azione) sono la sua spiritualità.


Perchè di tutti sia la gioia

Lettera ai Presbiteri del 14 Dicembre 2007


Carissimi, nell’ultima decade dello scorso novembre ho avuto la gioia di partecipare, con 25 confratelli al corso di esercizi spirituali organizzato dalla diocesi. Altri tre confratelli, hanno dovuto abbandonare o non venire perché colpiti da malesseri stagionali. L’orionino don Gino Moro ha guidato la nostra riflessione sulla povertà, castità e obbedienza vissute e consigliate dal nostro Signore a coloro che lo vogliono seguire in una via di più spiccata donazione ai fratelli chiamati, per il Battesimo, a seguirlo con altre modalità d’impegno e testimonianza.
Abbiamo potuto fruire di un’atmosfera buona per serenità fraterna e per la cordiale ospitalità delle sorelle del Divino Zelo.
Trovo interessanti le tracce delle meditazioni e, per questo, ho pensato di offrirvele. Qua e là ho modificato leggermente qualche dettaglio per evitare qualche asperità che il testo scritto inevitabilmente conserva rispetto a quello proposto a viva voce.
Di dette tracce, qui di seguito, vi offro una prima parte che penso di completare nei Notiziari dei prossimi mesi.
Con la speranza di fare cosa utile, il mio augurio anche per le festività natalizie ormai prossime che, sono sicuro, vorrete partecipare ai fratelli che servite nelle varie comunità parrocchiali. Con la mia benedizione.


1
. PRIMA INTRODUZIONE: GLI ESERCIZI SPIRITUALI

È d'Esercizi Spirituali (ES) che si tratta. Non di qualsiasi forma di dinamica spirituale: anche se ogni atto cristiano – il solo dire Gesù! – può avvenire solo nello “Spirito Santo”, per ragioni molteplici, tante espressioni religiose – ascolto, riflessione, meditazione, preghiera, silenzio – non raggiungono uno statuto spirituale forte. Restiamo – usiamo questa immagine – a livello devozionale. Facciamo operazioni come un soggetto credente già costituto prima e a partire da questa pre-costituzione. Mettiamo a frutto un’identità pre-esistente e pre-costituita: i nostri gesti - atti, e parole interiori - non sarebbero “spazio teologico ultimo”, per l’avvento del Regno qui e ora, in noi e, attraverso di noi, nella e per la Chiesa locale/universale, nella e per la società glocale (è un neologismo inventato per mettere insieme l’istanza locale e l’attenzione al tutto; fa un po’ il verso a globale): locale/universale. Non basta avere più tempo cronologico per farne un’occasione salvifica.
Come insegna la preghiera dopo il Veni Creator, due sono le soglie da varcare: a) la prima, nel salto meditativo dal capire al gustare: b) la seconda, nel salto contemplativo dal gustare al godere la consolazione dello Spirito che ci trasforma: il silenzio spirituale e mistico è il luogo mariano di questa metamorfosi (cfr Rom 12,1-2).
2. Dobbiamo essere coscienti della necessità di far fronte alla tentazione propria di questa circostanza, unica nel quadro delle nostre attività annuali. Questa tentazione non risparmia nessuno, soprattutto coloro che sulla scia di un meccanismo sacrale presumessimo di essere già giusti e di non aver bisogno di penitenza, come ipnotizzati dallo status ecclesiastico, immuni dalla necessità di ri-deciderci, qui e ora, per il Signore e la sua signoria sul mondo - in noi e in tutti - con una dinamica che va quindi alla radice di noi stessi, delle nostre azioni e operazioni, della nostra identità umana ed ecclesiale, ministeriale e pastorale.
Chi volesse essere aiutato a vincere questa tentazione può rileggere Luca 11,24-28, utile anche perché fa seguire al loghion sui “sette spiriti maligni”  quello sui veri beati: coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica. È questo ascolto che genera quanto ascoltato il dono che chiediamo in dono gli uni per gli altri in questi ES: Quando lo spirito immondo esce dall'uomo, si aggira per luoghi aridi in cerca di riposo e, non trovandone, dice: Ritornerò nella mia casa da cui sono uscito. Venuto, la trova spazzata e adorna. Allora va, prende con sé altri sette spiriti peggiori di lui ed essi entrano e vi alloggiano e la condizione finale di quell'uomo diventa peggiore della prima". Mentre diceva questo, una donna alzò la voce di mezzo alla folla e disse: "Beato il ventre che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte!". Ma egli disse: "Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!"

3.
E’ sempre bene mettere a fuoco che gli ES, secondo il libretto di sant’Ignazio, un’autorità in questo campo, sono”per vincere se stessi e per mettere ordine nella propria vita senza prendere decisione in base ad alcuna propensione che sia disordinata” (regola 21). Il senso di questo “mettere ordine”, dobbiamo intenderlo al livello proprio dell’azione non solo creatrice, ma escatologica del Signore. L’ordine dunque non è solo essere ciò che siamo (ad immagine di Dio, creati per la sua gloria ecc. ma siamo per essere la creatura nuova, redenta, che deve raggiungere la pienezza secondo la dimensione di Cristo). Non scordiamo che viviamo negli “ultimi tempi”.
Un tale “mettere ordine” possiamo riesprimerlo
con i sei verbi che il Signore affida alla parola profetica di Geremia 1,10:”Ecco, oggi ti costituisco sopra i popoli e sopra i regni per sradicare e demolire, per distruggere e abbattere, per edificare e piantare”. La logica molto individuale di sant’Ignazio va non solo affiancata, ma reinventata alla luce della svolta comunitaria in atto tanto nella società, quanto nella Chiesa del Vaticano II.

4.
I consigli evangelici sono lo sfondo dei nostri ES. Noi li tratteremo non tanto come categoria un po’ astratta di povertà, castità e obbedienza, quanto come emergenze messianiche di un nuovo soggetto umano reso -nelle sue relazioni ed azioni - povero, casto e obbediente dall’imminenza del Regno. Vedremo povertà, castità e obbedienza come dono-tesoro offerto e trovato. Contempleremo l’azione di Dio in atto che (qui e ora) ci rende soggetti umani messianici: l’aspetto etico ed ascetico sono presenti in seconda battuta, derivata e secondaria, come specchio e riflesso della condizione ultima che Gesù inaugura in sé e in noi, accogliendo la sovranità del Padre. Se in Gesù irrompe nella storia il Regno, si dà inizio alla ri-creazione dei soggetti creati in soggetti messianici, icona della figura ultima dell’umano. Quindi povertà-castità-obbedienza come volto della creazione nuova che sorge come fiore e frutto della potenza escatologica, ultima e ultimativa del Dio Trinitario. Questa azione, a partire dalla pienezza dei tempi inaugurata da Gesù, introduce l’umanità nel suo ultimo stadio. All’annunzio del Regno corrisponde l’annuncio della beatitudine che corrisponde a coloro che lo accolgono, diventando figli del Regno, la specie umana dell’Ultima Ora. Così gli ES sono esperienza teologale sotto l’azione divina. Nelle meditazioni cercheremo un equilibrio tra l’aspetto misterico che espliciteremo nella prima proposta del mattino e l’aspetto ministeriale che proporremmo nella seconda proposta del pomeriggio. Un ministero teso a rendere obbediente, povero e casto il nostro popolo, la nostra diocesi, con in capo, quale testimone autorevole, il presbiterio di cui siamo membra e che qui rappresentiamo e portiamo nella nostra carne. Inizieremo con la beatitudine dell’ascolto-obbedienza, perché è quella che configura le successive beatitudini.
5.
Una decisione molto difficile da prendere e da osservare, ma necessaria per l’esperienza degli ES riguarda il controllo dei rumori per accedere al silenzio. Il controllo dei rumori: mi riferisco alla tirannia del cellulare e della radiolina che ci accompagnano, c’è da temere, anche in questo luogo e in questo tempo privilegiato di preghiera. Andrebbero messi a tacere l’uno e l’altra. Per le chiamate di vera emergenza durante il giorno, non manca a voi come fare in modo che siate cercati solo in casi estremi.
Però… c’è un però.
Evitato con coraggio il rumore esterno, abbiamo fatto solo un primo passo. Poi si tratta di tacitare i ben più assordanti e aggressivi rumori interni. Solo così possiamo lasciarci condurre dallo Spirito verso i gradi e i livelli del silenzio interiore, là dove avviene l’a tu per tu con il Signore. Lo sappiamo, ma non è inutile ribadirlo: senza ascensioni verso il silenzio non vivremo quella esperienza religiosa qualificata di cui abbiamo una necessità vitale. Siamo infatti avvolti da una legione di distrazioni che ci rende non autori e attori della vita e della pastorale, ma gregari e ripetitori.

6.
Ci dovrebbero far utile compagnia almeno due itinerari biblici: il centrale discorso della Montagna di Mt 5-7, letto con il testo parallelo Lc 6,17-49. Nessuno dovrebbe privarsi in questo clima, della ri-scoperta di LG 8, così pure di GS 1. Prendiamo un primo immediato contatto con alcuni testi biblici relativi alle tre dinamiche della nuova antropologia messianica:
a) Beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano! (Lc 11,28). Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli (Mt 7,21). Chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia” (Mt 7,24). Siamo tribolati da ogni parte, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi, portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo (2 Cor 4,8-10).

b) Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli (Mt 5,2). Beati voi poveri,
perché vostro è il regno di Dio (Lc 6,20). Una cosa ancora ti manca: vendi tutto quello che hai, distribuiscilo ai poveri e avrai un tesoro nei cieli; poi vieni e seguimi. Ma quegli, udite queste parole, divenne assai triste, perché era molto ricco. Quando Gesù lo vide, disse: Quanto è difficile, per coloro che possiedono ricchezze entrare nel regno di Dio. È più facile per un cammello passare per la cruna di un ago che per un ricco entrare nel regno di Dio! (Lc 18,22-25).
c) Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio (Mt 5,8). Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio.
Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore.

In questo si è manifestato l'amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui. In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, maè lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati (1 Gv 4,7-10).


Schema sintetico

1.  DE-CONDIZIONARSI
-   uscire, lasciare, staccare, prendere distanza;
-   vincere la presunzione di essere giusti restando nella meccanica un po’ automatica delle pratiche di pietà;
-   vigilare sulla nostra de-formazione più centrata sul capire (intelletto) e meno sul decidere (volontà) e ancor meno sui sentimenti in senso biblico come “sentire in Cristo” come attitudine trasformante;
-   entrare nella sfida del silenzio (staccare la spina, i cellulari…) …
2.  SINTONIZZARSI CON L’AZIONE DIVINA
-   in Gesù Dio ha detto e dato già una totalità tipica – una anticipazione capace di fare agire in noi la radice ultima – che qui e ora - può  agire in noi;
-   lasciare emergere l’atto finale della Trinità, che è tutta intera l’azione che inaugura la fine dei tempi: passione-morte-risurrezione-pentecoste.
3.  DECIDERSI

-    liberarsi dalla pre-
comprensione che l’opzione fondamentale già espressa abbia  finito di agire: la perfezione si raggiunge alla fine e non all’inizio del processo che resta sempre aperto;
-   vivere questi giorni alla luce di “in quel tempo” (escaton);

-    anticipare
psicologicamente la morte, spingendo al massimo livello la propria decisione: decisione da “ultimi tempi”: l’escatologia come massima opportunità, qui e ora: da essa tutto dipende;
-   gli ES come “lavoro da settimo giorno”, serie di attività interiori da organizzare in sequenza: lectio, meditatio, oratio, contemplatio, deliberatio, actio.
4.  CIRCOSCRIVERE LO SPAZIO DI DIO
-   ottica escatologica e non etico-ascetica: l’irruzione in me dell’Ultimo  Stadio;
-   duplice registro: mistico e ministeriale.
5.  SOLIDARIZZARE:
-   mai senza Lui, mai dimentichi di loro e, da qui, l’esigenza di solidarizzare con:
   - l’umanità di oggi: famiglia, parentela, amici, malati, antenati…
   - la chiesa di oggi: parrocchia, gente, laici, diocesi, chiesa universale…
   - il presbiterio: confratelli, vescovo, preti in difficoltà, seminaristi…
      Pure da qui l’esigenza di riconciliarsi (chi vuole potrebbe anche fare una prima confessione).
6.  ORGANIZZARE IL TEMPO DELLE PROPRIE ATTIVITà SPIRITUALI
-   quanto tempo alla meditazione e all’orazione
-   quanto alla contemplazione e al silenzio di offerta
7. SALPARE CON MARIA TENENDO FISSO LO SGUARDO SU GES
ù


Esercizi iniziali per assumere nella fede il nostro momento attuale

a) Come sto fisicamente, psicologicamente, pastoralmente in questo momento? Che stati d’animo e  preoccupazioni ho? Quali fatiche mi pesano maggiormente? Fa preghiere di accettazione e di assunzione e integrazione della tua situazione…
b) Che aneliti e aspirazioni mi abitano in questo ultimo periodo? Quale grazia, qui e ora, mi serve per assecondare l’azione dello Spirito in  me, nelle mie relazioni con la gente e con il presbiterio? Fa preghiere di invocazione e di intercessione…
c) Come programmo la mia giornata per dedicarmi ordinatamente ai diversi e concatenati tempi di: ascolto-riflessione, meditazione-orazione, silenzio-contemplazione? Quale tempo dedico alla lettura delle pagine bibliche e conciliari suggerite? Fa il piano del tempo a tua disposizione …


GLI ESERCIZI SPIRITUALI
OGGI
8.
“Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l'annunzierà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà del mio e ve l'annunzierà” (Gv 16,12-15). Lo Spirito guida oggi i credenti e le chiese a una nuova maturità spirituale: quella precedente è inadeguata alla ricchezza, alla complessità e alle sfide del momento attuale della storia della salvezza. Il magistero, dal Concilio in poi, lo ripete a refrain. Questa maturità spirituale è la sola a poterci orientare. Può la chiesa locale essere - a fianco del soggetto individuale – il soggetto comunitario della spiritualità?
9.
Siamo coinvolti in un “cambiamento di epoca”. La  GS si esprime così: “Le condizioni di vita dell'uomo moderno, sotto l'aspetto sociale e culturale, sono profondamente cambiate, così che è lecito parlare di una nuova epoca della storia umana” (54). Ciò che più colpisce sono i disordini, le confusioni: il caos. La scoperta delle potenzialità può “avvenire se sorgono uomini nuovi, artefici di una umanità nuova, con il necessario aiuto della grazia divina” (cfr GS 30). Occorrono cioè soggetti e comunità con una spiritualità adeguata al nuovo contesto. «Dobbiamo renderci conto che per dominare la vita è necessario uno slancio sempre nuovo, che corre sul filo della nostra buona volontà per la quale temiamo, della cui perseveranza noi stessi siamo preoccupati». Gli ES spirituali dobbiamo collocarli in questa croce della nostra epoca, come laboratorio di questa spiritualità più matura. Dobbiamo sentire il valore degli ES ignaziani come dono provvidenziale all'inizio della mo­dernità in rapporto a un nuovo dono necessario ora, con la nascita del soggetto-in-relazione, per rendere possibile in termini teologali l'«autorealizzazione della Chiesa». Sotto l’azione dello Spirito, può sorgere oggi qualcosa di «realmente nuovo», che tocca l’autorealizzazione della Chiesa stessa.
10.
  Tutto ciò è in gestazione e diventa percettibile molto lentamente, non senza sofferenze e incertezze. Lungi dall'essere astratta, questa percezione ha immediate ripercussioni pratiche. Gli Esercizi, nati all'inizio della modernità, vanno ripensati per essere collocati all'interno della nostra condizione culturale e della necessità di far sorgere una spiritualità contemporanea. Mentre l'uomo medievale viveva e pensava la sua esistenza davanti a Dio in base a un insieme di norme, con l'arrivo dell'età moderna inizia un processo in cui l’uomo si pone se stesso al centro. Oggi si consuma il crollo di questo  sforzo prometeico di autocostruzione. Viviamo, anche negli strati popolari, una nuova relazione con il nulla. Può il nichilismo diventare roveto ardente per una nuova immagine di chiesa e di servizio all’umanità nell’attuale stato di cose?
11.   
Negli Esercizi ignaziani la Chiesa non compare come soggetto agente. Essa è certamente presente, ma come oggetto. Dice Rahner: «Gli Esercizi sono un evento solitario del soggetto individuale in quanto tale e in essi la Chiesa non interviene come soggetto agente». E continua: «Potremmo chiederci oggi: la Chiesa in qualità di comunità concreta non potrebbe essere lei pure soggetto di un'elezione religioso-esistenziale, del discernimento degli spiriti e dell'esperienza della consolazione, in senso ignaziano?» La domanda è pertinente nel momento in cui si apre una nuova epoca, l’epoca inaugurata dalla LG, l’epoca della Chiesa come soggetto. 
12.  
L’umanità cerca forme superiori di socializzazione  che concilino dignità e libertà del singolo con la sorte di tutti. Ciò significa che la Chiesa deve non solo cercare nuove forme di socialità ma «sviluppare in maniera esemplare nel proprio ambito forme nuove di socialità che la società profana sta ancora cercando, cosicché nella storia futura essa potrebbe non essere costretta ad adattarsi in maniera inevitabile e successiva ai rapporti sociali sviluppatisi nel campo profano».
13.  
La domanda centrale è: a partire dalla nuova situazione della Chiesa alla fine della modernità, possiamo aspettarci che sorgano nuove forme di ES, nelle quali la Chiesa si realizzi senza essere solo oggetto sul quale conta colui che pratica gli Esercizi, ma anche soggetto che agisce e si realizza in una comunità concreta di fedeli? E’ stato detto (Rahner) già nel 1966: «La persona pia di domani o sarà un "mistico", uno cioè che esperimenta qualche cosa, o cesserà di essere pio». Ma occorre spingersi oltre l’esito individuale per postulare un'analoga necessità anche per la Chiesa in quanto soggetto storico, diventato mondiale e ovunque in situazione di diaspora. La traversata delle grandi soglie della modernità ha rivelato all’uomo (sottolinea Rahner) la sua radicale storicità. Non è mai possibile dedurre intellettualmente dalla sua essenza escatologica la «figura» che assumerà domani, perché la storia la pone continuamente di fronte a ciò che è unico e imprevedibile. L'appello alla diagnosi storica e al discernimento degli spiriti che interviene a questo proposito, a livello collettivo, affonda le radici nella costituzione spirituale o «carismatica» della Chiesa: la sua auto-realizzazione è discernimento storico.
14.
Non solo gli ordini e le congregazioni religiose, ma anche altri gruppi di Chiesa, come il presbiterio di una diocesi o un consiglio parrocchiale e persino tutta una comunità ecclesiale, possono e devono cercare la volontà di Dio quando si apprestano a prendere decisioni riguardo al loro avvenire. Qui il teologo insorge contro la possibilità che siano prese in base a meccanismi o ragionamenti profani o anche nel quadro di una «struttura sociale paternalistica» nella quale uno solo decide al posto degli altri. La sfida è la scoperta della Chiesa come soggetto alle prese con forme superiori di socializzazione». Rahner non sviluppa queste nuove forme «collettive» di Esercizi, necessarie all'autoattuazione della Chiesa, ma incoraggia coloro che dirigono dei corsi di Esercizi a prendere coscienza di ciò che già sentono senza dubbio istintivamente e a cercare con impegno «la nuova forma in cui la Chiesa possa oggi attuarsi in modo concreto e nuovo».
15.
Per situarci in questi ES nella dinamica comunitaria:
a) Come posso caratterizzare il momento attuale delle mie relazioni con il Vescovo, i confratelli, gli operatori pastorali e con la mia gente? Ho delle forme di esistenza o, peggio, di rifiuto con qualcuno? Che posso fare per riconciliarmi prima di entrare negli ES?
b) Che aneliti e aspirazioni ho in relazione alla sanazione delle mie relazioni? Scrivi i nomi delle persone con cui avverti nostalgia di comunione e sosta in preghiera prima che per loro, con loro e da loro…

c)  Se lo avverti celebra, come atto iniziale e di apertura, il sacramento della riconciliazione ricordando le parole di Gesù: Se dunque presenti la tua offerta sull'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all'altare e va' prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono” (Mt 5,23-24).


Dall'ascolto alla beatitudine

Lettera ai Presbiteri dell'11 Gennaio 2008

Carissimi, questo numero del Notiziario ci raggiunge con il nuovo anno. Anno del Signore 2008. Anno 2008 dal Parto della Vergine. Anno 2008 reparatae salutis.
Tutte espressioni dal cristallino contenuto cristiano e tutte valide a presentare nelle nostre vite le ragioni della gratitudine, ad alimentare l’impegno della fede, l’operosità della carità, la costanza della speranza nella vita eterna perché
«quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l'adozione a figli. E che noi siamo figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre!» (Gal 4,4-6).
Espressioni, inoltre, che messe accanto ad una bella lettura del notissimo brano evangelico della visita della Santa Vergine ad Elisabetta fatta dal Santo Padre:
«Quando piena di santa gioia attraversasti in fretta i monti della Giudea per raggiungere la tua parente Elisabetta, diventasti l'immagine della futura Chiesa che, nel suo seno, porta la speranza del mondo attraverso i monti della storia» (SS 50), ci danno l’opportunità di formularci vicendevolmente gli auguri per il 2008.
Auguri che io di cuore vi presento con la preghiera di estenderli alle comunità che noi, presbiterio pattese,  serviamo in comunione di intenti, affetti e progetti.
Continuando il Notiziario del mese di dicembre 2007, vi offro il testo delle tracce di meditazione degli esercizi spirituali dello scorso novembre.


BEATI voi CHE ASCOLTAte e mettete in pratica LA PAROLA


16.
Le dinamiche vitali si conformano a partire dall’orizzonte di riferimento: luogo generatore simbolico della nostra della nostra identità e della nostra missione. Gesù scopre e assume come proprio orizzonte simbolico la convocazione del nuovo Israele. Non supera quella frontiera. Proprio questo conferisce a un testo di Matteo una grande importanza: «Partito di là, Gesù si diresse verso le parti di Tiro e Sidone. Ed ecco una donna Cananèa, che veniva da quelle regioni, si mise a gridare: "Pietà di me, Signore, figlio di Davide. Mia figlia è crudelmente tormentata da un demonio". Ma egli non le rivolse neppure una parola. Allora i discepoli gli si accostarono implorando: "Esaudiscila, vedi come ci grida dietro". Ma egli rispose: Non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa di Israele» (Mt 15,21-24). 

17.
L’ascolto della parola che Dio gli rivolgeva si muoveva in quell’orizzonte di senso e in esso definiva la sua obbedienza al disegno divino. L’ascolto della parola di Dio è sempre “situato” in precise  coordinate storiche. Se il Gesù pre-pasquale si muove in relazione alla convocazione di Israele, il Gesù-pasquale offre subito ai suoi discepoli un orizzonte universale: «E Gesù, avvicinatosi, disse loro: Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».
L’ascolto che rende beati è quello che non sfugge il compito della attualizzazione-decifrazione di ciò che la parola di Dio dice ad ogni generazione.


18.
L’ascolto è il “principio e fondamento” della relazione biblica con Dio: ‘shema Israel’. Lo è prima del contenuto che varia nel tempo. Siamo “uditori” di un Dio che parla e parla sempre. Alla parola ultima dettaci e dataci in Cristo noi aderiamo nello statuto della storicità. Non possiamo accogliere tutta la parola di Dio e totalmente in  un solo momento. Ci accostiamo ad essa per approssimazioni progressive. Fa bene riascoltare quando la DV dice al numero 8: «La Tradizione di origine apostolica progredisce nella Chiesa con l'assistenza dello Spirito Santo: cresce infatti la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse, sia con la contemplazione e lo studio dei credenti che le meditano in cuor loro (cfr. Lc 2,19 e 51), sia con la intelligenza data da una più profonda esperienza delle cose spirituali, sia per la predicazione di coloro i quali con la successione episcopale hanno ricevuto un carisma sicuro di verità. Così la Chiesa nel corso dei secoli tende incessantemente alla pienezza della verità divina, finché in essa vengano a compimento le parole di Dio».

19.
La “parola di Dio” è poi “Dio stesso che ci parla”, si autocomunica, si intrattiene con noi: nella creazione, in noi umani, nella storia e in quella storia-tipo che è la storia da Abramo a Cristo e al primo ingresso della “comunità degli ultimi tempi” con fatti e detti raccolti nella Bibbia. Questo ascolto di Dio che ci parla è il principio regolalatore e informatore  di tutta la religiosità e la spiritualità cristiana. Detto altrimenti, solo se “profetica”, una chiesa può diventare prima “sacerdotale” (interiorizzazione della parola ascoltata) e poi “regale” (universalizzazione della parola ascoltata e celebrata). C’è un prius logico e genetico dell’ascolto. L’in-audito e l’in-edito sono il pane dell’ascolto che crea l’Obbediente, condizione della verità ed efficacia della Chiesa.
Verità
: perché “a Dio che rivela è dovuta «l'obbedienza della fede», con la quale l'uomo gli si abbandona tutt'intero e liberamente prestandogli «il pieno ossequio dell'intelletto e della volontà» e assentendo volontariamente alla Rivelazione che egli fa” (DV 5).
Efficacia
perché è autentico solo quell’ascolto che dà alla luce - come Maria, in questo modello della fede neotestamentaria - la parola ascoltata: «Giunsero sua madre e i suoi fratelli e, stando fuori, lo mandarono a chiamare. Tutto attorno era seduta la folla e gli dissero: "Ecco tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle sono fuori e ti cercano". Ma egli rispose loro: "Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?". Girando lo sguardo su quelli che gli stavano seduti attorno, disse: Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre» (Mc 4,32-35).

20.
Quindi verità esistenziale ed efficacia pastorale – nostra e della nostra Chiesa - sono legate a doppio filo all’orizzonte simbolico che assumiamo. Lo costituisce la coscienza che abbiamo del “contesto storico”. È come la parola generatrice di senso delle parole che Dio ci dice oggi. E’ ad un tempo vittoria sulla sordità e sulla ab-surdità. Ripeto: l’in-audito e l’in-edito sono l’anima dell’ascolto. Oggi c’è un esodo-emigrazione della parola di Dio. Essa si de-centra rispetto alle nostre analisi precedenti. Ci spiazza. Attende che l’Uditore Obbediente in noi si de-centri, si superi, assecondi il movimento di obbedienza alla Parola. Se ad intra della Trinità, il Padre diventa se stesso in quanto ascoltato dal Verbo che genera, ad extra della Trinità il Padre diventa se stesso in quanto ascoltato dal corpo storico del Cristo.
Pensavo: non solo nel Figlio, ma anche in noi il Padre conosce la sua “kenosis” e la sua passione. E se in Gesù egli trova il Servo Obbediente fino alla morte di croce, in noi è esposto al non-ascolto. La parola di Dio sino alla fine dei tempi è in noi crocifissa in un permanente Venerdì Santo (sordità a assurdità). Ma è allo stesso tempo in un permanente mattino di Pasqua nella risurrezione dell’ascolto dei suoi Beati Uditori - incarnazione del Figlio - che crescono di fede in fede.


21.
Indichiamo ora tre nuclei di parola di Dio. Formano un orizzonte simbolico che genera una data percezione della storia in cui siamo immersi. Diventano una “chiave epocale” che ci apre alla decifrazione della storia e alla intelligenza delle Scritture. Riceviamo verità ed efficacia se ci apriamo alla beatitudine dell’ascolto di questa parola. 
Il 1° nucleo
: “Unico diventa il destino della umana società o senza diversificarsi più in tante storie separate. Il movimento stesso della storia diventa così rapido, da poter difficilmente esser seguito dai singoli uomini” (GS 5). Termina quindi l’orizzonte locale. Ciò rende inadeguata ogni spiritualità e ogni pastorale che non assuma il dato della interdipendenza dell’umanità come “parola di Dio” e quindi come “orizzonte simbolico”; il locale affoga nel localismo e l’universale evapora in una vaga astrazione; serve il senso biblico della creazione e della famiglia umana come un tutt’uno, indissolubile. 
Il 2° nucleo
: Il genere umano passa da una concezione piuttosto statica dell'ordine delle cose, a una concezione più dinamica ed evolutiva. Ciò favorisce il sorgere di un formidabile complesso di nuovi problemi, che stimola ad analisi e a sintesi nuove (cfr GS 5). Termina quindi l’orizzonte statico, ciclico, ripetitivo, abitudinario. Ciò rende inadeguata ogni spiritualità e ogni pastorale che non assuma il dato della lettura permanente della storia e il discernimento sinodale come “parola di Dio” e quindi come “orizzonte simbolico”; serve la creatività della speranza per l’in-audito e l’in-edito.
Il 3° nucleo
: «Credenti e non credenti sono generalmente d'accordo nel ritenere che tutto quanto esiste sulla terra deve essere riferito all'uomo - all’uomo nella sua singolarità - come a suo centro e a suo vertice» (GS 12). Termina quindi l’orizzonte delle elites e degli  “stati di perfezione”, sia nella società come nella Chiesa. Ciò rende inadeguata ogni spiritualità e pastorale basate sulla relazione di soggezione subalterna dei più ai pochi o anche solo di dipendenza. Va assunta come “parola di Dio” l’istanza che ogni soggetto ecclesiale abbia “accesso personale alle fonti”. Occorre superare il regno del devozionale e favorire una spiritualità biblica, teologale, sinodale.
Questa “parola di Dio” si fa “orizzonte simbolico” del nostro vissuto e del nostro ministero.

22. Esercizi per la meditazione-orazione-contemplazione
a) Bibbia e giornale: sono il  simbolo del fatto che oggi senza lo sviluppo di una dimensione intellettuale non possiamo neanche ascoltare la parola di Dio nella Bibbia: come sto al riguardo? Agilità, itineranza, apertura: come va? In-audito e in-edito: come va? Approccio alle Scritture: come va? Spirito “biblico”: come va? Obbediente: lo sono?
b) Che dinamiche interiori di purificazione, elevazione e consolazione ha suscitato in me quanto ascoltato? Che luci ho colto? Che novità mi ha fatto scoprire lo Spirito?
c) Trasforma in preghiera di silenzio e di offerta la chiamata alla beatitudine dell’ascolto della parola di Dio in tutti le sue forme di presenza e di interpellanza...


COME PRESBITERIO A SERVIZIO DI UN POPOLO DI UDITORI


23.
Il ministero dell’ordine è il sacramento con cui la potenza dello Spirito ci pone tutti insieme, come corpo o organismo indivisibile – presbiteri presieduti dal vescovo - a servizio della autorealizzazione dei fini della Chiesa in questo preciso momento storico. È nell’esercizio dell’ascolto e dell’obbedienza che la Chiesa discerne quale figura di credente e di comunità esprima il Sì e l’Amen di Cristo. È l’obbedienza ecclesiale che rende cristiforme la nostra vita e ci mette ex parte Dei in sintonia con l’umanità della nostra epoca. La cifra globale di questa figura di Chiesa è data dalla traduzione storica della “comunione”. Grazie a questa traduzione la Chiesa si presenta come «il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano. (…) Le presenti condizioni del mondo rendono più urgente questo dovere della Chiesa, affinché tutti gli uomini, oggi più strettamente congiunti dai vari vincoli sociali, tecnici e culturali, possano anche conseguire la piena unità in Cristo» (LG 1). 

24.
Nella forma di cristianesimo-Chiesa che abbiamo  ereditato c’erano solo due figure di pienezza: il prete e il religioso. Loro cercavano in prima persona la volontà di Dio. Il laico era un bambino: non era soggetto di ascolto-obbedienza, ma solo di esecuzione. Una delle ricchezze del Concilio è l’arrivo del battezzato laico come terza figura di pienezza. E così anche lui si trasforma in uditore della parola, soggetto obbediente di ascolto, di discernimento della volontà di Dio. Una comunità di fedeli, un popolo soggetto è la figura di Chiesa che siamo chiamati a edificare. I laici non sono più bambini infantili che cioè non sanno parlare. Essi hanno accesso alle fonti che prima erano in qualche modo - senza malizia -  sequestrate e  riservate solo ai preti prima e, dopo, ai religiosi. I laici accedono alle fonti: della parola di Dio come profeti; dei sacramenti, soprattutto dell’Eucaristia, come sacerdoti; della missione come testimoni e servitori qualificati dell’immersione/emersione del Regno nel mondo. E possono rivolgere a Dio, direttamente e nel converto del dialogo ecclesiale, cercare da laici la realizzazione del regno nella società.

25.
Così la scoperta e la realizzazione della vocazione alla santità che prima  riguardava ministri e religiosi, oggi riguarda tutto il popolo di Dio.   L’essere nel mondo è uno statuto vero e proprio di santità, di esperienza del Vangelo, un ambito specifico dove dare gloria a Dio, riprodurre l’esistenza di Cristo. Si vengono così finalmente a trovare insieme, fianco a fianco, in un gemellaggio di santità a due facce, la forma minoritaria dei religiosi che accentuano l’essere-oltre-il-mondo  e la forma maggioritaria dei laici che accentuano l’essere-nel-mondo. Sono due grandi modalità per vivere la beatitudine dell’ascolto, due modalità per disegnare insieme cammini di un’obbedienza condivisa!

26.
Questo regime complementare dell’ascolto e dell’obbedienza è oggi molto urgente. L’umanità vive per la prima volta la novità dell’interdi­pendenza e di fatto si sta costruendo non secondo il codice della dignità  di ogni persona e popolo, tanto meno secondo il codice del dono, ma secondo la logica del mercato. La forma attuale della globalizzazione subordina tutto all’economia e al profitto, generando in metastasi che si espande in tutto l’organismo mondiale il tumore dell’avidità e del progresso materialistico e quantitativo senza freni e senza correttivi.
Il mondo quindi fa problema. In ordine a questo compito, il disegno conciliare di chiesa vede in azione la missione dei laici. La gerarchia ha un suo ruolo di illuminazione e di stimolo, ma
«per vocazione è proprio dei laici cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio» (LG 31). Hanno in relazione al mondo una competenza teologale di “incarnazione”. È loro propria in questa materia. E hanno al loro fianco i religiosi, che assumono anch’essi il mondo e la sua trasfigurazione come centro della loro esperienza religiosa e della loro profezia, con la competenza teologale complementare del suo “trascendimento”.

27.
Il nostro ministero è a servizio della raccolta del popolo di Dio sotto la croce della parola. Croce della parola con le sue due braccia: il braccio orizzontale di una parola che parla ai fedeli nelle molteplici situazioni della vita nella compagnia con tutti gli altri esseri umani, una parola disseminata, pulviscolare; il braccio verticale di una parola che attende di essere decifrata e decodificata nel silenzio e nel discernimento ecclesiale, per trovare una sua provvisoria forma unitaria e sintetica. Il nostro ministero è chiamato qui a svolgere il suo servizio a un popolo profetico: questo può avvenire attraverso due momenti specifici.
1)  Il primo che è quello di moltiplicare i luoghi, le occasioni e le forme del “prendere parola” da parte della gente, scoprendo la dignità e la bellezza per far parlare, del suscitare fiducia, dell’orientare ai linguaggi popolari adeguati alla quotidianità.
2)  Il secondo è quello della sensibilità e delle competenze per “parlare alla
fine”, per fare sintesi e proporre chiavi di unità e di ricapitolazioni pur provvisorie, nuclei di sintesi e di convergenza.

28.
La nostra beatitudine ministeriale: condurre un popolo, attraverso le stazioni della parola e dell’ascolto reciproco alla beatitudine dell’ascolto, alla risurrezione del silenzio mistico; cammino che abitui tutti alla parola e all’ascolto; cammino che veda noi preti testimoni e facilitatori di parola-e-ascolto alla scuola di Gesù, Parola fatta carne, trasfigurato tra la parola profetica di Elia e la parola legislativa di Mosè; cammino che faccia giungere alla contemplazione della bellezza della Parola, al desiderio di fare tre tende per stare presso e sotto la croce da cui sgorga sangue ed acqua che salvano.
Tutto questo non può darsi se il Presbiterio non percorre egli stesso per se stesso e in relazione all’analogo percorso del loro popolo.
La beatitudine dell’ascolto e dell’obbedienza del popolo  e del suo presbiterio si condizionano e si alimentano l’un l’altro, concausa reciproca. Indissolubilmente.  


Nella speranza di fare, con la presentazione di queste schede, cosa utile, vi rinnovo gli auguri e vi benedico.


Quaresima: dalla devozione alla conversione

Lettera ai Presbiteri dell'8 Febbraio 2008

1.  Carissimi, la particolarmente ‘bassa’ Pasqua 2008 fa sì che, quasi inaspettato, si apra davanti a noi il cammino della Quaresima. Cammino particolare caratterizzato da leggi, tappe e traguardo. Cammino che comporta per tutti i credenti impegno grande; ed è tempo prezioso, primavera dello spirito, grande scuola della fede. Tenendo presenti queste caratteristiche, suggerite dalla liturgia, a tutti auguro buon cammino quaresimale, per potere poi sensatamente augurare Buona Pasqua di Risurrezione.
Accompagno l’augurio con la benedizione e la preghiera che intendo specificamente finalizzate.
Prego perché la Chiesa di Patti in ognuno dei suoi figli si apra all’ascolto della Parola, accolga l’amore e lo sguardo di Gesù per sapere distinguere operativamente devozione da conversione.
Con la devozione – non faccio l’etimologia della parola – tendiamo ad accaparrarci la benevolenza di Dio in ordine alle nostre esigenze.
Con la conversione, invece, verifichiamo se e quanto ci siamo allontanati da Dio e dalla via da lui tracciata, per la nostra pienezza di vita, nella parola e nell’esempio di Gesù, per riprenderla con la sua grazia, con la intercessione dei Santi del cielo e della terra, con la vita ecclesialmente significativa.
La verifica, va da sé, non è finalizzata ad altro che alla correzione della rotta, alla conversione, appunto.
Alla fine della Quaresima, a Pasqua, ognuno di noi possa dire dell’altro:
«Ringraziamo sempre Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere, continuamente memori davanti a Dio e Padre nostro del vostro impegno nella fede, della vostra operosità nella carità e della vostra costante speranza nel Signore nostro Gesù Cristo» (1Tess 1,1-2).

2.
  Oso chiedervi un dono.
A cominciare dai primi giorni di marzo compirò la Visita Pastorale nelle parrocchie di Capizzi, Caronia, Castel di Lucio, Mistretta, Motta d’Affermo, Pettineo, Reitano, S. Stefano di Camastra, Torremuzza e Tusa. Seguitemi, ecco il dono che chiedo.
Seguitemi con la preghiera. Chiedete al nostro Signore Gesù Cristo, Pastore Grande delle nostre anime, che illumini visitati e visitatore e ne sostenga perché parole e gesti, anche i più semplici, siano di qualità tale che possano essere riferite a lui.


3.
  Qui di seguito pongo ora la continuazione delle schede proposte come guida per gli esercizi spirituali del Presbiterio dello scorso novembre.

beati VOI POVERI PERCHè VOSTRO è IL REGNO


29.
  Per accedere alla beatitudine escatologica propria del povero che viene riempito dalla ricchezza del Regno, partiamo dal salmo 49 (48). «Ma l'uomo nella prosperità non comprende, è come gli animali che periscono. Questa è la sorte di chi confida in se stesso, l'avvenire di chi si compiace nelle sue parole. Come pecore sono avviati agli inferi, sarà loro pastore la morte; scenderanno a precipizio nel sepolcro, svanirà ogni loro parvenza: gli inferi saranno la loro dimora». Parole terribili. Ancor più terribili se le leggiamo collegate alla proclamazione: Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio (Lc 6,20).
L’essere umano è crocifisso tra il perire come bestia e l’ingresso nel Regno, da creature che diventano - finalmente e ultimativamente - figli di Dio. Un Dio non geloso, ma prodigo, perché in Cristo immette gratuitamente e gioiosamente la sua creatura nello status filiale dell’essere umano in pienezza.

Indaghiamo meglio: c’è una prosperità che impedisce la pienezza, se, come capita alla bestia, non si arriva alla coscienza del limite. Non il limite negli averi - anche la bestia avverte il limite della fame - ma il limite nell’essere se stessi.

L’uomo: questo essere costituto dalla sproporzione.
La bestia non avverte scarto alcuno tra ciò che è e ciò che ha. La vita relativa a sé come “chi” perde qualsiasi di più, ogni oltre se stessa, ogni alterità da se stessa. È senza quella inquietudine e quella interrogazione propria dell’uomo quando egli scopre l’imminenza della fine di se stesso come essere umano.
Non c’è vita umana fuori della coscienza del limite costitutivo, fuori dell’elaborazione di tale coscienza. La vita diventa umana solo nell’elaborazione simbolica della coscienza del proprio essere-per-la-morte.


30.
  Questo svelamento della fallacia del possesso incontra oggi una difficoltà inedita. Per la prima volta attraverso il dominio occidentale assistiamo all’impazzimento della dimensione economica. Per la prima volta essa subordina la dimensione politica e culturale. È una metastasi che agisce sul corpo globale dell’umanità e pervade gli strati popolari. Gli antichi laboratori sapienziali dei poveri sono alterati.
L’utilizzazione del mondo come immenso mercato provoca l’universalizzazione di questa patologia su cui siamo così disattenti e deboli, se non privi di coscienza critica e profetica e tanto meno di terapie adeguate. Giovanni  Paolo II diceva: “La globalizzazione è la consacrazione di una sorta di trionfo del mercato e della sua logica, che a sua volta provoca rapidi cambiamenti nelle culture e nei sistemi sociali. Una delle preoccupazioni della Chiesa è che essa è divenuta rapidamente un fenomeno culturale. Il mercato come meccanismo di scambio è divenuto lo strumento di una nuova cultura, impone il suo modo di pensare e di agire e imprime sul comportamento la sua scala di valori. Le persone che ne sono soggette spesso considerano la globalizzazione come un'inondazione distruttiva che minaccia le norme sociali che le hanno tutelate e i punti di riferimento culturali che hanno dato loro un orientamento di vita” (27.4.2001).
Nessuna demonizzazione dell’economia in sé, sì però del suo carattere devastante. E si fa tale perché davanti al carattere mondiale dell’economia, la politica o il politico con le sue norme, sedi e istituzioni di controllo e di regolazione è ancora fermo allo stadio della Nazione. Inadeguatezza letale. Ma ad essere inadeguata - in verità - è l’antropologia, è la spiritualità umana ed ecclesiale. In una parola, l’inadeguatezza sta nel legame della “povertà” con il regno delle cose, degli averi, senza il salto al legame tra povertà e il bene antropologico e simbolico della vita umana.

31.  Ora leggiamo san Luca: «Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato tolto dal mondo, si diresse decisamente verso Gerusalemme» (9,51). «Un notabile lo interrogò: "Maestro buono, che devo fare per ottenere la vita eterna?". Gesù gli rispose: "Perché mi dici buono? Nessuno è buono, se non uno solo, Dio. Tu conosci i comandamenti: Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non testimoniare il falso, onora tuo padre e tua madre". Costui disse: "Tutto questo l'ho osservato fin dalla mia giovinezza". Udito ciò, Gesù gli disse: "Una cosa ancora ti manca: vendi tutto quello che hai, distribuiscilo ai poveri e avrai un tesoro nei cieli; poi vieni e seguimi". Ma quegli, udite queste parole, divenne assai triste, perché era molto ricco. Quando Gesù lo vide disse: "Quant'è difficile, per coloro che possiedono ricchezze entrare nel regno di Dio. È più facile per un cammello passare per la cruna di un ago che per un ricco entrare nel regno di Dio!". Quelli che ascoltavano dissero: "Allora chi potrà essere salvato?". Rispose: "Ciò che è impossibile agli uomini, è possibile a Dio" » (Lc 18, 18-27).

32.
Cerchiamo il messaggio. E mettiamo anzitutto in evidenza che qui si incrociano e si intersecano due movimenti diversi. Gesù ha deciso lucidamente il suo essere-per-la-morte inteso come atto supremo di affidamento alla potenza di Dio che si rivelerà nella sua morte. Il notabile (solo Matteo lo definisce un giovane) cerca sì Gesù, ma è attratto dal desiderio di conoscere la legge. Per questo lo cerca in qualità di “maestro”. Questo limite apparirà drammaticamente nello sviluppo del suo incontro fino a registrarne il fallimento.

33.
  Riflettiamo sul rifiuto netto e preciso di Gesù non tanto della qualifica di “maestro”, quanto a quella di “buono”. Assoluto il suo teocentrismo: buono è solo Dio. Solo Lui è verità, giustizia, misericordia, santità, bellezza, amore. Solo Lui. Noi siamo niente! Un niente chiamato - ecco la beatitudine della povertà - a tendere verso il possesso di Dio. Siamo qui all’antitesi dell’identità nello status del possesso di beni creati, per un’identità nel possesso di un bene altro e ulteriore, che è Dio stesso.
Uno status annunciato dal salmo 110: Lo scettro del tuo potere stende il Signore da Sion: "Domina in mezzo ai tuoi nemici. A te il principato nel giorno della tua potenza tra santi splendori; dal seno dell'aurora, come rugiada, io ti ho generato”. Il soggetto del Regno accede a se stesso nel codice del dono: non  dell’atto - singolo e delimitato - del dono, ma in una situazione in cui si raggiunge l’io di se stessi a partire dal Tu di Dio che chiama ad ek-sistere, nella perpetuazione della relazione generativa nell’Amore.

Questo fa di Dio la fons et origo, cosicché l’arrivo del Regno è l’estensione della beatitudine divina delle relazioni intratrinitarie alle relazioni che si instaurano per Cristo nello Spirito tra Dio Padre e i suoi poveri!


34.
  La comunità umana che nasce tra persone che accedono a sé grazie al Tu dell’Altro e attraverso l’accoglienza del movimento salvifico di questo Tu, danno origine alla “comunità degli ultimi tempi”.
È l’umanità finale, escatologica, perché nasce come raccolto messianico da parte della Trinità. I figli di Dio  che erano dispersi nelle loro relazioni dominative e possessive, fino ad attingere la loro stessa identità ridotta a “cosa posseduta”, sono raccolti, salvati, sanati, restituiti alla loro ultima verità, quella di “figli nel Figlio”, secondo le parole del prologo del vangelo di Giovanni:
«A quanti però l'hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati» (1,12-13).
In Luca i primi destinatari del Regno sono i poveri sociologicamente intesi: coloro  che non hanno nulla da perdere. Ad essi per primi viene annunciato il dono del “regnare di Dio”. In Matteo, il nostro tema è visto in chiave antropologica. I poveri non sono presupposti, ma resi tali per grazia.

Sono costituiti poveri per via teologale
, perché sono condotti al vertice della creazione, allo status della nascita generativa permanente. Grazie a questa forma di “nichilismo divino”, proprio perché resi “poveri in spirito” si realizza il movimento indicato nelle parole di Paolo: «Nessuno ponga la sua gloria negli uomini, perché tutto è vostro: Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio» (1 Cor 4,21-23).

35. 
Esercizi per la meditazione-orazione-contemplazione
a) Passa in rassegna i tuoi beni: quanto nella relazione con essi avverti luci e ombre, a partire dall’ottica con cui hai ascoltato e meditato il tema? Pensa alla relazione con le persone, i confratelli, il vescovo, la gente: sono relazioni in cui è presente la beatitudine dei poveri in spirito?
b) Che dinamiche interiori di purificazione, elevazione e consolazione ha suscitato in te quanto ascoltato? Che luci hai colto? Che novità ti ha fatto scoprire e gustare lo Spirito?
c) Trasforma in preghiera di silenzio e di consolazione la decisione di vivere la beatitudine dei poveri in spirito...


COME PRESBITERIO A SERVIZIO DI UN POPOLO DI POVERI IN SPIRITO


36.
  Come abbiamo visto, è l’arrivo del Regno che “crea il povero”, colui che non possiede se stesso a partire dal possesso dei beni, delle relazioni o, ancor peggio, a partire dal possesso di se stesso, ma attraverso lo spossessamento.
La beatitudine dei poveri in spirito nasce dall’avvento del Regno, passando dalla tensione verso i “beni” a quella verso il “bene” offerto da Dio. Si tratta di portare noi stessi e la comunità a stigmatizzare il generatore simbolico della nostra epoca che è diventato il denaro per elaborarne altri e alternativi. Ne indico tre presenti nel substrato culturale popolare:

la festa,
in cui si allenta la presa della condizione servile per fare uno squarcio nella direzione della libertà insieme;
la relazione sociale inclusiva
, con quell’enfasi - forse un po’ infantile, ma carica di potenzialità - data all’esigenza di  “essere notati”, evocando il legame sociale come costitutivo di se stessi;
la religiosità creativa e immaginifica, spesso parallela se non alternativa alle forme rituali ecclesiastiche. La nostra gente meridionale, al riguardo più ricca delle popolazioni settentrionali, sta perdendo questa simbolica esistenziale e sociale, perché è disarmata davanti alla violenza omologatrice dell’economicismo, che sbandiera promesse che non mantiene,  e desertifica l’immaginario collettivo.


37.
La svolta della pastorale dal regime di sacramentalizzazione a quello evangelizzatore consentirebbe alla gente di non assommare alla prima povertà di beni di uso, la seconda tragica povertà di beni di senso o simbolici.
L’esercizio sistematico della “presa della parola” è indispensabile per non cadere nella trappola dell’economicismo, subendo quella tragica situazione che abbiamo meditato per noi stessi stamane nel salmo 48 (49):
«L'uomo nella prosperità non comprende, è come gli animali che periscono. Questa è la sorte di chi confida in se stesso, l'avvenire di chi si compiace nelle sue parole. Come pecore sono avviati agli inferi, sarà loro pastore la morte; scenderanno a precipizio nel sepolcro, svanirà ogni loro parvenza: gli inferi saranno la loro dimora».
Una religiosità centrata sulle devozioni e sulla stessa pratica dei sacramenti isolata da seri percorsi comunicativi e dialogali, rende la gente ingenua davanti al miraggio dei beni primari e incapace del salto antropologico, secondo le parole di Gesù:
«Non accumulatevi tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano; accumulatevi invece tesori nel cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove ladri non scassinano e non rubano. Perché là dov'è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore». (Mt 5,19-21).
Se la gente non giunge alle devozioni e ai sacramenti per via biblico-comunicativa cede alla logica di trasformare “i sassi in pane”; coloro che ancora lo fanno, si accostano ai sacramenti come “cose sacre” che non alimentano più la coscienza credente nell’attuale contesto culturale.
Il primato dell’evangelizzazione implica ed esige una figura di Chiesa e un modello pastorale in cui l’accesso alla parola e alla comunicazione sia strutturale e non un elemento marginale. Non basta per creare autocoscienza evangelica.


38.
  Se solo Dio è buono, nessuna cosa creata è “il bene”: niente e nessuno, non le pratiche, neanche i sacramenti, non i personaggi, non i potenti. Deve essere essa in azione una carica di de-idolatrizzazione. Parte da qui la purificazione delle nostre immagini religiose su Dio e su noi stessi e sulla funzione della pastorale.
Che povertà teologica dire che Dio fa nulla che l’uomo non faccia. “Nulla Lui fa al tuo posto. Mai”. Solo noi stessi possiamo far emerger altre e ulteriori manifestazioni di Dio che oggi non abbiamo-sappiamo-conosciamo: dobbiamo entrare nel vuoto di noi stessi come spazio di Dio, per nuove sue epifanie.
Che povertà ecclesiale dire che la Chiesa non è luogo per prendere/ottenere, ma solo per ricevere ciò che dobbiamo trasmettere e distribuire a tutti, per primi a coloro che non vengono.
Che povertà ministeriale dire che Vescovo e Preti – l’istituzione – non sono figure di potere e di rassicurazione, ma educatori di espropriazione e di dedizione per il bene comune universale. Le raccomandazioni non sono per chi viene a chiedere favori, ma per chi ha cessato di chiedere dignità e riconoscimento.
Che povertà sacramentale riconoscere che la Chiesa (locale) non ha per fine se stessa e coloro che la frequentano, ma il paese, la città, l’umanità di oggi per aprirla all’ipotesi -  almeno - che l’uomo è fatto per la Vita, per una vita altra, per un’altra vita…. E noi - i poveri di Javhé - esistiamo per offrirci come spazio da cui emergano nuove forme di umanità che accendano interrogativi, suscitino aneliti di vita alternativa al reciproco consumarsi e allo shopping. Siamo chiamati a farlo insieme, in un’epoca globale, con eventi non solo individuali, ma ecclesiali: la forza di irradiazione dei singoli è inadeguata. Lo statuto dell’epifania di Dio resta per sempre quello dell’incarnazione. Dio non fa nulla che non faccia l’uomo, ma fa sì che l’uomo agisca. Questo personalmente e, soprattutto, ecclesialmente.


39.
  Un grande servizio da rendere alla  povertà come statuto teologico -Dio come il bene - è favorire la coscienza della “relatività e del limite”. Ogni forma storica fin qui raggiunta di bene, verità, giustizia, amore… è parziale, insufficiente, inadeguata e quindi provvisoria. Questo rende “il povero in spirito” un pellegrino e un viandante, non solo nella classica immagine di colui che un certo giorno lascerà questo mondo, ma nell’allergia connaturata ad ogni forma di fissità, definitività, possesso, attaccamento, avarizia a tutti i livelli, soprattutto in quello delle immagini relative al mondo, alla società, all’uomo, alla pastorale, alla chiesa, a Dio. Ogni punto di arrivo si tramuta - per legge teologica - in un punto di partenza. È un modello antropologico nomade. Mai sazi. Mai soddisfatti. Mai arrivati. Sempre pronti a nuovi passi, a nuove imprese, a nuovi stadi.

40.  C’è una scuola popolare nel nostro passo biblico.
Gesù all’uomo ricco di cose, ma ignaro ancora che la sua identità - la sua ricchezza inesauribile - è nascosta in Dio, dice: "Una cosa sola ti manca: va', vendi quello che hai e dàllo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi"».
La nostra pienezza umana non dipende né dalla conoscenza e dalla pratica della Legge né, tanto meno, dai beni che si possiedono. Ecco la beatitudine messianica: riconoscere la propria povertà presso Dio e presso gli uomini, vendere tutto ciò che si ha e tutto ciò che si è per fare la stessa esperienza di gratuità che definisce l'esistenza di Gesù.
Entrando in questa dinamica di dono e spogliazione è possibile seguire Gesù. «Poi vieni e seguimi»: il verbo «seguire» vuol dire tragitto, viaggio, cammino, sentiero. Dinanzi alla richiesta di Gesù, di vendere tutto e di seguirlo, il ricco si è trovato esposto al proprio nulla. Tutte le sue sostanze, materiali e morali, sono scomparse: è rimasto lui dinanzi al nulla della propria identità.
Dal proprio nulla non ci si può salvare: si è salvati. Gesù gli ha proposto di abbandonare il nulla per entrare nel tutto. Ma l’accesso al tutto, esigeva il riconoscimento del nulla. E quell’uomo non è riuscito a compiere il salto dal vero nulla al vero tutto.
È rimasto prigioniero dell’idolatria di quanto sapeva e possedeva. Si è avverata la profezia del salmo:
«Come pecore sono avviati agli inferi, sarà loro pastore la morte; scenderanno a precipizio nel sepolcro, svanirà ogni loro parvenza: gli inferi saranno la loro dimora». Ed avendo egli posto negli inferi la sua dimora, è scesa su di lui la notte.
Egli divenne “assai triste”: non uno stato d’animo, ma la sua identità, vittima del possesso di idee sante sulla legge e di molti beni. La tragedia non potrebbe essere descritta in forma più terribile.
Con il sacramento dell’Ordine Cristo vuole fare di noi un presbiterio di pastori che al fianco e dentro alla sorte del nostro popolo scongiuri che il loro pastore sia la morte.

Ancora la mia benedizione che vorrete estendere alle comunità di cui siete al servizio.


Canterò per sempre l'amore del Signore

Giovedì Santo - Omelia alla Messa Crismale (20 marzo 2008)

0.  
Giovedì Santo o canto della visibilità gioiosa della Chiesa
attraverso: la nostra presenza qui nella Chiesa Cattedrale; la benedizione degli oli che serviranno per l’amministrazione dei sacramenti della Chiesa; il bergamotto profumato, dono della Chiesa sorella di Locri.

1. 
Ascoltiamo come rivolta a noi la parola dell’Apocalisse: «grazia a voi e pace da Colui che è, che era e che viene, dai sette spiriti che stanno davanti al suo trono e da Gesù Cristo, il testimone fedele, il primogenito dei morti e il principe dei re della terra. A Chi ci ama e ci ha liberato dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen» (Ap 1,4-6).
Gloria a te, Cristo Signore
è la corale e convinta acclamazione di noi a cui è stato affidato il compito di far conoscere che tutti sono chiamati, in Cristo Gesù, a partecipare alla stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della promessa per mezzo del vangelo, del quale sono divenuto ministro per il dono della grazia di Dio a me concessa in virtù dell'efficacia della sua potenza.

2.  Facciamo
nostro lo stupore dell’apostolo: a me, che sono l'infimo fra tutti i santi, è stata concessa questa grazia di annunziare e di far risplendere agli occhi di tutti qual è l'adempimento del mistero nascosto da secoli nella mente di Dio, creatore dell'universo e l’invito a non perderci d’animo per le tribolazioni.
Esse sono gloria nostra (cfr Ef 3,2-13 passim), il sostegno del servizio affidato a noi da Cristo Signore di collaborare con lui alla costituzione di un nuovo popolo di Dio, alla riunione dei figli di Dio dispersi, all’edificazione dell’assemblea, della Chiesa, della quale crediamo di potere dire ‘tu, Padre, l’abiti’ (cfr Sal 21,3).


3.  La nostra Chiesa

In Italia e in altre parti del mondo è sempre in atto una campagna elettorale. Durante le campagne elettorali, si sa, si sprecano le promesse. I vari capi si attardano a confidare che coltivano un sogno per un futuro migliore; il loro sogno riguarda piccoli, grandi e vecchi, dotti e ignoranti, ricchi e poveri.
È patetica la sfilata di sogni che non raramente lasciano il tempo che trovano, l’amaro in bocca, la delusione.
Noi, fratelli, possiamo guardare innanzi, fiduciosi, motivati, lieti:

a)
  sulla parola di Gesù: «alzate gli occhi e guardate i campi biondeggianti per la mietitura. E chi miete riceve salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché ne goda insieme chi semina e chi miete. Qui, infatti, si realizza il detto: uno semina e uno miete. Io vi ho mandato a mietere ciò che voi non avete lavorato; altri hanno lavorato e voi siete subentrati nel loro lavoro» (Gv 4,36-38).
Gesù non distribuisce frottole. Sulla sua parola, altro che sogni, buttiamo la rete, giochiamo noi stessi, sapendo in chi abbiamo posto la nostra speranza;

b)
sulla vitalità della nostra Chiesa universale e della nostra chiesa pattese. Con i doni di cui Dio l’ha arricchito, la sua storia di grazia e d’autentici eroismi, i suoi carismi; pure con le sue infedeltà, naturalmente. I suoi battezzati, religiosi, sacri ministri. I suoi operatori di vangelo; quelli del passato più o meno recente e quelli d’oggi; quelli noti, quelli impegnati nelle famiglie e nelle istituzioni. Tutti suscitati dallo Spirito promesso e mandato ai suoi da Gesù. Tutti a lui noti. Essa, la nostra Chiesa è convocata dal Signore; che in lei è presente; essa prefigura il cielo; è riunione fraterna nella diversità; partecipazione attiva e consapevole; popolo in festa.

4.  Sento di invitare:

a)
   alla gratitudine. Con la visita alle comunità della parte occidentale della diocesi, concluderò a breve la 2^ Visita Pastorale. Quanta grazia di Dio!
Abbiatevi la mia gratitudine e portatela a tutti e a quelli che con generosità vi coadiuvano. Ho incontrato fratelli e sorelle gioiosi di quanto fanno; persone che mi hanno partecipato la loro gioia, il loro entusiasmo. Fratelli che, pur tra difficoltà serie, rinnovano il loro impegno. Ogni mese, mi diceva una persona, distribuisco 190 (!) lettere ai diversi messaggeri che, a loro volta, le recapitano alle famiglie; nella zona dove abito, dicono altri, la presenza di Gesù si è manifestata con il superamento d’indifferenza, silenzi grevi, odi. Ringraziamo il Padre, fratelli, che, per i meriti di Gesù morto e risorto, c’inonda di grazia.
La vostra presenza nelle diverse comunità, il vostro ministero fedele, fervoroso, docile, sono mirabili, fratelli sacerdoti. Io dubito di essere in grado di dimostrare che il mio unico progetto è volervi bene. Ve lo dico alto e chiaro oggi: vi voglio bene e vi sono grato.
b)   alla preghiera: Tu, Signore, Dio di pietà, compassionevole, lento all'ira e pieno d’amore, Dio fedele, volgiti a noi e abbi misericordia.
La nostra preghiera poggia sulla fede che, in certo modo, è già «possesso di quanto non vediamo» (cfr Eb 11,1); egli il Signore ci darà la sua forza.
La nostra preghiera conta sul fatto che noi oranti siamo figli della Chiesa sua serva: salva il figlio della tua ancella la chiesa (cfr Sal 85), le cui fondamenta sono sui monti santi della divina parola ed è l'amore di predilezione del suo Signore (cfr Sal 86). La nostra preghiera chiede: dammi un segno di benevolenza; tutti vedano che tu, Signore, sei fonte di forza e di consolazione (cfr Sal 86,15-17).
La nostra preghiera trilla di meraviglioso stupore perché meravigliosa è la sua alleanza.
c)  a rinnovato impegno. Il Signore convoca l’assemblea, quest’assemblea, la Chiesa, è in lei presente, le parla e la conduce come un pastore guida il gregge che ama.
Questo però non è, lo sapete, viatico che serve alla pigrizia. Egli, il Signore, comanda: annunzia agli Israeliti: ecco, io permetto che sia profanato il mio santuario, orgoglio della vostra forza, delizia dei vostri occhi e amore delle vostre anime. I figli e le figlie che avete lasciato cadranno di spada (cfr Ez 24,21).
Penso che rettamente possiamo intendere questa parola come invito ad assumere le nostre responsabilità.
Ed è invito a preferire la forma comunitaria (S. Ignazio d’Ant. Ai cristiani di Magnesia). È bello che i fratelli insieme stiano, analizzino, scelgano, decidano, operino. E non è solo bello. È testimonianza: come si vogliono bene, dicano quelli che ci vedono. È garanzia di validità per la promessa del Santo Spirito.
Noi presbiteri e laici, persone consacrate, operatori pastorali a qualsiasi titolo, valiamo per quello che facciamo. La prima testimonianza, la predica più efficace consiste nel nostro essere e vivere e lavorare da fratelli. Il salmo canta Cristo la cui regalità avanza per la verità, la mitezza e la giustizia. (cfr Sal 44, 4-6). Per noi chiesa pattese, per noi presbiterio di questa chiesa non ci possono esserci altri tipi d’affermazione. E ce lo ricorda il Concilio: «La Chiesa, fornita dei doni del suo fondatore e osservando fedelmente i suoi precetti di carità, umiltà e abnegazione, riceve la missione di annunziare e instaurare in tutte le genti il regno di Cristo e di Dio, e di questo regno costituisce in terra il germe e l'inizio» (LG 5).
È come dire che i nostri sono successi se sono successo nella verità, nella mitezza, nella giustizia. È come ascoltare il proclama fondativo del regno instaurato da Gesù: beati gli assetati di giustizia, beati i miti.
Parola affettuosa ed esigente quella di Gesù. Giogo il suo, ma leggero. Egli può dire: «Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare. Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo, infatti, è dolce e il mio carico leggero» (Mt 11,27-30).


5.  Fratelli, l’oggi della Chiesa è il Piano Pastorale Diocesano.  Ringrazio tutti. Tutti esorto alla costanza, al coraggio, a vincere la rassegnazione. Non vogliamo bloccarci nel caldo nido del già fatto o al quieto e rassicurante richiamo delle convenienze. So bene che voi più e meglio di me non volete darvi pace se, per qualsiasi ragione, non scatta il contatto col Vangelo perché  solo il Vangelo di Gesù salva.
Vogliamo essere docili alla Chiesa che ci chiama alla nuova evangelizzazione. A noi ministri ordinati e istituiti, a noi battezzati, è stato affidato di fare risplendere agli occhi di tutti qual è l'adempimento del mistero nascosto da secoli nella mente di Dio, creatore dell'universo. È il nostro servizio. Ed è servizio splendido. È impegnativo questo servizio ed esigente. Non ammette che ci si dedichi ad esso a spizzichi e bocconi. Senza un piano la nostra generosa donazione rischia di perdersi in rivoli faticosi e sterili. Il PPD è:
a) luogo e strumento della valorizzazione concreta dei doni del Signore della Chiesa,
b) luogo dell’ascolto del Signore che per mezzo degli avvenimenti, per mezzo del Magistero straordinario e ordinario ci avverte dell’insufficienza della pastorale di conservazione, della necessità di renderci disponibili, con gli altri, perché il Vangelo, pure in forza della nostra vita raggiunta e lievitata dallo stesso Vangelo, raggiunga tutti,
c) veicolo dell’azione comunitaria sempre da preferire.

6.  Questo è il giorno fatto dal Signore, canta il salmo, ed invita: rallegriamoci ed esultiamo in esso, ed implora: dona, Signore, la tua salvezza, dona, Signore, la vittoria! Per il Signore nostro Dio, nostra luce, ordinate il corteo con rami frondosi fino ai lati dell'altare. Egli è il nostro Dio e gli rendiamo grazie, il nostro Dio e lo esaltiamo. Celebrate il Signore, perché è buono: perché eterna è la sua misericordia (cfr Sal 117, 24-29).

7.  Il giorno fatto dal Signore è questo Giovedì Santo ed è ogni giorno del nostro servizio battesimale. Solo i fratelli con le loro gioie e speranze, tristezze ed angosce possono degnamente ornare l’altare quando, conosciuta la portata salvifica del Vangelo, si aprono alla fiducia, alla libertà, all’ottimismo, a Cristo Signore via alla dolcezza del Padre.
Di questo giorno, di quest’apertura noi, Chiesa pattese, vogliamo essere ministri e fruitori, a gloria del Padre, nella forza dello Spirito, per i meriti di Gesù morto per i nostri peccati e risorto per la nostra salvezza.
 

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