Carissimi, sono nel
bel mezzo dell’impegno per la realizzazione della Visita Pastorale
alla zona occidentale della Diocesi e vi chiedo di continuare a
seguirmi con la preghiera: l’annunzio di Gesù morto per i nostri
peccati e risorto per la nostra salvezza deve continuare senza
sosta e deve continuare la proposta dei piccoli passi che rendano
concreto e, ancora prima, possibile, lo stesso annunzio.
Frattanto vi propongo le ultime battute della guida per gli esercizi
spirituali del Presbiterio dello scorso autunno.
la TERZA beatitudine della castità: I Puri di Cuore
41.
Leggiamo il testo sull’uomo ricco nella redazione di Marco:
«Mentre
usciva per mettersi in viaggio, un tale gli corse incontro e,
gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: "Maestro buono,
che cosa devo fare per avere la vita eterna?". Gesù gli disse:
"Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu
conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non
rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e
la madre". Egli allora gli disse: "Maestro, tutte queste cose le ho
osservate fin dalla mia giovinezza". Allora Gesù, fissatolo, lo amò
e gli disse: "Una cosa sola ti manca: va', vendi quello che hai e
dàllo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi". Ma
egli, rattristatosi per quelle parole, se ne andò afflitto, poiché
aveva molti beni».
Ora ci fermiamo sul versetto 21 per scoprire in esso il principio e
fondamento di quella esperienza dell’essere amati che è fonte e
origine della beatitudine dei puri di cuore ed esprime il contenuto
escatologico del terzo consiglio evangelico della castità.
42.
Quel tale non ha nome. E’ «uno» , un non-ancora-soggetto del Regno.
Non se ne dice l'origine. Viene fuori dall'ombra. Nel dirottarlo su
Dio – Lui solo è buono – Gesù rettifica ad un tempo l'immagine che
egli ha di Dio e di Gesù stesso, ma anche l’immagine che egli ha dei
beni e, quindi, di se stesso. Gesù lo aiuta con il salto dallo
stadio informativo-dottrinale a quello narrativo-personale; poi lo
provoca, lo spinge a fare il salto nell’avventura del
perdersi-per-ritrovarsi, entrando nella sua Via.
A servizio di questo salto Gesù mette in causa se stesso: nello
sguardo, nell’amore, nella parola. Sono le tre dinamiche con cui
Gesù cerca di fare emergere in quel tale il Nome Nuovo, quello
scritto nei cieli.
Gesù lo fissa più profondamente. Non si tratta di un vedere
informativo, né casuale: è lo sguardo di un’elezione amante. Lo
sguardo di Gesù non si posa su ciò che è già amabile, ma come in
modo creativo, egli amando rende l'altro «amato» e «amabile», capace
di ri-amare in Dio se stesso e gli altri. Gesù è capace di questo,
perché egli per primo vive della e dalla comunicazione intima con
Dio Padre e perciò è chiamato l’amato. Si rinnova così il momento
creazionale del «sia la luce»…
Lo sguardo dell'amore, che cada sull’uomo ricco, lo accompagnerà per
sempre e ovunque, fin giù all'inferno, se fosse il caso.
43.
«Gesù fissatolo lo amò e gli disse»... Un soggetto: Gesù, colui che
ha vissuto una relazione assolutamente unica e irrepetibile con Dio,
vivendo sotto il suo sguardo e in ascolto totale della parola di
Dio. Gesù quindi non compie una operazione qualsiasi, ma svela la
sua stessa identità. Tre azioni: lo fissò, lo amò, gli disse.
Prima azione,
lo fissò: fissare determina l’orientamento di Gesù in
una totale singolarizzazione; egli si rivolge nella sua pienezza a
un tu. E lo coglie attraverso quella impareggiabile espressione di
sé che è “lo sguardo”, teso da volto a volto. Quanto il salmo ci
recita in relazione a Dio: “Di te ha detto il mio cuore: "Cercate
il suo volto"; il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il
tuo volto, non respingere con ira il tuo servo (27/26, 8-9), Gesù lo
attua in relazione a questo uomo.
Attraverso lo sguardo di Gesù, è lo sguardo stesso di Dio che,
raggiungendo questo essere umano, gli offre l’esistenza filiale,
quella che nasce dal Tu di Dio che si muove verso la sua creatura
per offrirgli la possibilità di decidere di “creare se stesso” nella
relazione filiale.
Seconda azione,
lo amò: ciò che
lo sguardo fa avvenire non è la semplice connotazione e
constatazione del dato dell’altro come oggetto di investigazione. E’
invece il movimento dell’agape che è Dio stesso.
Quanto oggi lo sguardo umano, che si instaura e si universalizza
attraverso l’occhio dei media tra gli io e i tu, si esaurisce in una
desolante instaurazione della “relazione oggettuale”, cosificando
allo stesso tempo “l’io” che guarda e “il tu” che è guardato; e
l’uno e l’altro diventano un “che cosa”, perché l’uno e l’altro
perdono il carattere di soggetto in relazione: dell’ “io” che nasce
tale solo se si lascia raggiungere da un altro soggetto umano che
diventa ai suoi occhi il “tu”, che determina, con la sua presenza e
con il suo appello, l’insorgenza dello stesso “io” in noi stessi.
44.
Terza azione, gli disse: lo sguardo d’amore si fa parola,
invito, pro-vocazione. Nulla di predeterminato. La divina potenza è
un peso leggero ed è un giogo soave. Tutto dipende dall’amore divino
e tutto dipende dalla libera risposta umana. Nessuna invasione,
nessuna intrusione. Nel suo amore, Gesù accetta la possibilità del
fallimento e dello stesso tradimento. E, attende, paziente, che
l’autodeterminazione umana fiorisca in sovradeterminazione divina.
Gesù raggiunge la soglia umana senza varcarla.
La kenosis del Figlio è riflesso della kenosis del Padre: egli
stesso accetta la possibilità di entrare nella notte e di essere
tradito dall’uomo. Questo agire divino commuove perché viene
presentata in una narrazione di sconfitta di Dio prima che dell’uomo
ricco. Anche Dio esce sconfitto da questa relazione incompiuta e
anche lui, in qualche modo, vive come il Figlio la passione e la
morte. Forse per poter risorgere in noi, oggi.
45.
La beatitudine dei puri di cuore è frutto di queste tre dinamiche:
sentirsi sotto lo sguardo di Dio, ricevere il suo amore, misurarsi
con il suo appello a lasciare tutto per rendere possibile ad altri
la stessa esperienza divina diventandone testimoni e propagatori.
E qui si inserisce la coscienza della evoluzione umana verso lo
stadio spirituale. Noi nasciamo centrati su noi stessi (fase
narcisistica), poi ci riferiamo alle cose e agli altri come assoluti
(fase idolatrica). Sappiamo anzi che se un essere umano non incontra
all’inizio della sua evoluzione forme di amore che tutelino la sua
insufficienza ed esposizione alla morte, subisce un blocco evolutivo
molto difficile da superare e rielaborare nelle tappe successive
della vita.
La società poi enfatizza la domanda di “gratificazione” ad ogni
costo, con una grossolana ignoranza delle dinamiche simboliche e
delle iniziazioni per vivere in modo spirituale adulto. Il
pansessualismo aggrava i ritardi nell’evoluzione verso l’oblatività.
Per affiancare l’umanità e soprattutto le nuove generazioni la
Chiesa è chiamata a creare nuove figure affettive. Il salto
culturale rende meno inservibili i modelli delle generazioni che
hanno vissuto la sessualità e l’educazione all’amore all’insegna
del silenzio o del fai da te. Non per niente il primo dei cinque
ambiti della pastorale battezzata a Verona è dedicata alla Vita
affettiva.
46.
La nostra condizione celibataria ed ecclesiastisca non è di per sé,
in modo automatico, luogo e strumento dell’esperienza escatologica
del sentirsi amati. Si tratta di un nucleo, è questione centrale e
delicata. Siamo poi esposti alle ambiguità del ruolo di preti, della
nostra immagine sociale davanti al vescovo e ai confratelli, della
figura di capi di una comunità: ambiguità perché sappiamo che
l’identità raggiunta per via di potere e di prestigio è molto più
forte della identità raggiunta per via di oblatività e di gratuità.
Il presbiterio stesso è un’idea teologica recente. E serve una
esperimentazione lunga per darle forma storica e configurarsi come
la casa comune del vescovo e dei suoi preti.
Solo con una reinvenzione ministeriale del modo di stabilire
relazioni e di prendere decisioni come corpo organico possiamo
trovare uno spazio sacramentale del sentirci amati e del tradurre
tale amore ablativo in fonte di leaderanza presbiterale. È quella
che serve per accompagnare e guidare con autorevolezza l’attuale
emigrazione della nostra gente; che non è solo etica, politica ed
economica, ma soprattutto antropologica e spirituale verso una
dilatazione della capacità di amare oltre lo spazio, spesso chiuso e
segregato, della coppia e della famiglia.
47.
Esercizi per la
meditazione-orazione-contemplazione
a) Passa in rassegna le persone con cui sei in relazione: quanto
avverti in esse presente/assente/precario il carattere di
creatività, gratuità, universalità?
b) Che dinamiche interiori di purificazione, elevazione e
consolazione ha suscitato in te quanto ascoltato? Che luci hai
colto? Che novità ti ha fatto scoprire e gustare lo Spirito?
verso UN Presbiterio discepolo e guida di NUOVA UMANITà
48.
Gesù è segnato dalla coscienza del Regno, capito come l’arrivo
dell’azione divina senza argini. È il suo assoluto che tutto rende
relativo. Con forme diverse lo descrive; annuncia la felicità di
appartenergli; ne indica il mistero, le esigenze e la Magna Charta;
nei piccoli ne individua i membri; richiama la vigilanza e la
fedeltà necessarie per attenderlo e accelerarne la venuta (cfr.
EN 8). Il suo nucleo è la salvezza, dono grande di Dio:
liberazione da tutto ciò che opprime l'uomo, dal peccato e dal
Maligno, nella gioia di conoscere Dio e di essere conosciuti da lui,
di vederlo e di abbandonarsi a lui. Tutto ciò comincia durante la
sua vita, si compie nella sua morte e risurrezione e con l’invio
dello Spirito, presente e da attendere pazientemente nel corso della
storia, per realizzarsi nel giorno della venuta definitiva (cfr
EN 9). Il Regno si conquista con la forza, la fatica, la
sofferenza, la croce, lo spirito delle beatitudini. E, prima di
tutto, mediante la «metánoia», una conversione radicale, un
cambiamento profondo della mente e del cuore. Ne fiorisce un nuovo
soggetto storico: obbediente, povero e casto.
49.
Ogni volta che l’umanità incontra delle svolte culturali, le forme
di vita precedenti – anzi la stessa figura di uomo – si rivelano
inadeguate e occorre tornare al nucleo messianico o escatologico del
Regno perché avvenga un’epifania della “creazione nuova”, un “nuova
immagine di uomo”.
Ecco i cieli nuovi e la terra nuova! Ecco il volto in-audito e
in-edito della potenza creatrice della parola di Dio. Oggi siamo
proprio alle prese con un “cambiamento di epoca” e occorre
riscoprire la forza escatologica del Vangelo. Il cristianesimo
ereditato sopravvive, ma ha perso il posto che occupava e,
soprattutto, sembra aver perso l'iniziativa. Il movimento
dell'umanità si verifica altrove, mentre il cristianesimo resiste o
si accoda.
Siamo chiamati a pagare il prezzo perché il Vangelo possa riapparire
in questo mondo come l’annuncio della sconvolgente novità che salva
l'uomo. Aggiungiamo che nella situazione iniziale ebrei e pagani
appartenevano quasi tutti a un comune insieme politico-culturale:
l'impero romano; mentre il cristianesimo attuale si confronta con
un mondo estraneo e lontanissimo, specialmente Asia, India e Cina,
che tuttavia è diventato vicino, a causa della globalizzazione.
È inevitabile che un certo cristianesimo si tramuti in cristianismo;
e noi stessi - ad essere sinceri - possiamo vivere senza vigilanza
questa emergenza storica e ridurci a funzionari delle consuetudini
religiose nelle quali non c’è traccia del fuoco che Gesù è venuto a
portare. In realtà, a ben vedere, la Provvidenza ci guida verso la
situazione degli inizi del cristianesimo, con l’equivoco però che
molti presumono di conoscere già il vangelo e molti altri ne hanno -
anche a causa nostra - una tale pre-comprensione da non sentire
alcuna attrazione.
50.
Questa situazione cristiana si inscrive poi nella crisi del "senso"
e nel crollo delle grandi istanze d'autorità (religiose, politiche,
ideologiche, tradizionali). Si crede ciò che si vuole e si vive
come si vuole: niente sanzioni. La coercizione può essere feroce, ma
altrove: da parte dell'economia, dei gruppi di pressione, perfino
delle mode. Al tempo stesso, questo mondo è sottoposto a un
rimescolamento e a un'esplosione continua: niente è fisso, tutto si
muove. Quale giudizio, dare di questo insieme? Lo si può esaltare,
se ne possono ammirare i successi, ci si può rallegrare della
scomparsa progressiva delle guerre, ecc. Se ne può anche vedere il
lato oscuro e restarne spaventati. Molti non ci pensano neppure:
vivono la loro vita prendendo quel che c'è di buono, cercando di
evitare quanto c'è di cattivo, con una magnifica indifferenza alle
sorti oggettive, chiusi nel loro piccolo mondo. Altri hanno la
percezione che s'impongono con urgenza crescente delle revisioni
laceranti: è dalla parte di costoro, intendiamoci, che è possibile
un futuro.
Interrogarsi sull' avvenire del cristianesimo, a questo livello, è
partecipare a questa attesa e a questa ricerca. I nostri ES con
l’intenzionale smarcamento dall’approccio devozionale ascetico - ed
anche etico - e la scelta esplicita e insistita dell’ottica
escatologica, volevano essere a servizio di una decisione spirituale
all’altezza delle sfide… Il vangelo se vissuto in modo pieno può
dare alla luce un nuovo “soggetto umano”!
51.
In una situazione del genere è d'obbligo la creatività spirituale,
ben più che una teoria, un'analisi, uno studio approfondito… Se
guardiamo alle crisi del cristianesimo nelle epoche passate, ci
accorgiamo che è stata la nascita di un tipo d'uomo nuovo a
sbloccare la storia e creare futuro.
Così, verso la fine dell'impero romano e l'inizio del medioevo, il
monaco; nel duecento Francesco il mendicante e Domenico il
predicatore; nel cinquecento il gesuita e, più in generale, l'uomo
degli esercizi ignaziani.
Più o meno nello stesso periodo Francesco di Sales propone la "vita
devota" alle persone di mondo. L’interrogativo diventa allora: oggi,
quale tipo d'uomo? Esso può nascere da un ri-ascolto del vangelo,
nella chiave delle beatitudini: non come fatto ascetico o
devozionale, ma come evento creazionale. Solo così può nascere un
nuovo soggetto antropologico.
Ne abbiamo indicato i nuclei genetici nei tre “codici generatori” di
obbedienza, povertà e castità. Siamo però ben lungi dall’aver
attuato la gestazione e festeggiato la nascita. Non so neanche se
siamo giunti a scoprire che proprio questa è la Grande Decisione che
Dio si attende dalla Chiesa e da noi suoi ministri.
52.
Indico adesso tre percorsi come gestazione collettiva di questo
“nuovo tipo di uomo”. L’essere presbiterio ci consentirebbe di
essere alla guida di un processo che potrebbe avere per soggetto e
autore l’intera diocesi. Potremmo diventare padri e madri della
chiesa, cooperando alla nascita di un tipo umano adatto alla nostra
epoca globale e post-moderna, oltre che post-cristiana. Ecco i tre
percorsi, uno in relazione ad ognuna delle tre dinamiche:
a) con riguardo all’obbedienza, deciderci per l’ascolto
religioso e sistematico degli altri – di tutti gli altri – per
arrivare ad discernere la voce di Dio che ci parla nella storia e ci
indica le vie di futuro per le nuove generazioni; questa decisione
passa attraverso quattro progressioni di attenzione:
1) ascolto dell’altro in ciò che dice; 2) ascolto dell’altro in ciò
che ci vuol dire; 3) ascolto di ciò che attraverso l’altro Dio ci
dice; 4) ascolto di ciò che Dio chiede a noi di dire all’altro.
Questa capacità di auscultazione esige una certa conoscenza del
“contesto”, dell’orizzonte globale del nostro momento storico. Per
fare questo è indispensabile il passaggio dal regime della lettura
breve e frettolosa di alcuni pochi articoli, al regime dello studio
di almeno 1-2 libri all’anno; l’ascolto ha bisogno di questo clima
culturale interdisciplinare, in cui si possa percepire verso dove va
la cultura della nostra gente oggi...
b) con riguardo alla povertà, deciderci per la tensione
permanente al non-ancora per arrivare a far emergere nuove forme di
vita e di interiorità, di parola e di silenzio, di relazioni e di
eventi; questa decisione passa attraverso quattro abilitazioni: 1)
relativizzare ogni acquisizione, a tutti i livelli; 2) alimentare la
sensibilità prospettica che vede il presente a partire dal futuro e
non dal passato; 3) discernere il da farsi sempre sulla base di
alternative elaborate insieme e non sulla base di automatismi
ripetitivi; 4) scegliersi 2-3 interlocutori con cui discorrere
abitualmente del futuro della vita, della famiglia, della società,
della chiesa….
c) con riguardo alla castità, deciderci per alcune forme di
carità politica per arrivare ad innalzare la qualità di vita
relazionale e decisionale di persone, coppie, famiglie, gruppi;
questa decisione passa attraverso quattro conversioni: 1) passare
dalla psicologia dell’”io” a quella del “noi”; 2) fare dell’amore
gratuito e oblativo l’asse delle relazioni fra di noi, con e tra
famiglie e gruppi, con la comunità intera; 3) fare e far fare a gara
nello stimarsi a priori; 4) praticare l’esercizio comunitario della
promozione fraterna, per scoprire i talenti e favorire il loro
sviluppo.
Accompagno la speranza di essere stato utile con l’offerta dei testi
che sono serviti come punto di inizio per la meditazione nel corso
degli Esercizi Spirituali del presbiterio di autunno con la mia
preghiera e con la mia benedizione. |
Carissimi, quest’anno il mese di maggio ci porta due doni. Il primo
consiste nella grazia del Giubileo straordinario per i cinquecento
anni dal breve col quale Giulio II regolava il culto pubblico al
santo eremita Nicolò Politi che, nato ad Adrano, nella seconda parte
della sua vita si trasferì nella campagna di Alcara Li Fusi
santificando con la vita di orante, penitente, devoto cultore della
Parola Santa, della Chiesa, dell’Eucaristia e della Santa Vergine,
le nostre contrade.
È questa la ragione per la quale la sede del nostro ritiro mensile,
per una volta, non è Tindari sua sede ordinaria.
Come sempre, poi, maggio è il mese che la pietà popolare dedica alla
Madonna, la Vergine dell’ascolto favorito dal silenzio; la donna del
‘sì’ alimentato nel dialogo umile e autenticato nella disponibilità
assoluta; la purissima per l’offerta, senza se e senza ma, della
vita con tutte le pieghe liete e dolorose, luminose e buie, la
santissima Genitrice del Signore.
Il popolo fedele intuisce che la Santissima Madre è la realizzazione
di quanto nel tempo pasquale è stato oggetto della predicazione e
della celebrazione della Chiesa: Cristo Gesù è Dio fatto uomo come
noi fino a morire per dare all’uomo di vincere la morte.
E per
questo la venera con tenero trasporto aiuto, stella di riferimento,
modello altissimo ed umile.
Quest’anno il mese di maggio ci porta il dono particolare della
Conferenza Episcopale Siciliana che, per mezzo della Commissione
Presbiterale Regionale, ha scelto di convogliare a Tindari,
l’imminente 13, l’annuale Giornata Sacerdotale Mariana.
Alla Conferenza Episcopale e alla Commissione Presbiterale il nostro
grazie. Ai confratelli sacerdoti il più cordiale e fraterno
benvenuto.
A tutti l’augurio che, intercedendo la Nera ma Bella, ci confermiamo
e cresciamo nel cantare con la vita, oltre che con le parole, a
colui, che è il più bello dei figli dell’uomo, l’unico in grado di
frangere i sigilli del rotolo della vita e di dare, così,
significato alla nascita, alla gioia, alla sofferenza, al lavoro,
all’amore, al morire; agnello immolato e in piedi, colui che avanza
per la verità, la mitezza e la giustizia.
Fratelli sacerdoti, la nostra presenza ad Alcara ci aiuti a cogliere
la particolare grazia legata, nella prassi secolare della Chiesa
Madre, al Giubileo.
La presenza a Tindari il 13 maggio, prima e più delle parole dirà ai
confratelli presbiteri siciliani la gioia di averli eccezionalmente
qui e la consapevolezza gioiosa dell’appartenenza all’unica famiglia
sacerdotale.
Benvenuto e consapevolezza anticipo ora per mezzo di questa lettera
accompagnandola con la mia benedizione. |
Carissimi,
1.
il Notiziario Pastorale segue il nostro cammino ecclesiale. Alla
ricerca della risposta all’esigenza di una pastorale a servizio
della Nuova Evangelizzazione, in obbedienza alle indicazioni del
Magistero, che ci spiega che non basta conservare l’esistente,
abbiamo riflettuto, deciso ed operato interrogandoci su quale tipo
di presbiterio si richiede ad ognuno di noi di incarnare per essere,
con la Chiesa, a servizio del mondo oggi. Le nostre riflessioni e
scelte pastorali si possono, perciò, sintetizzare immaginandole come
risposte a questi interrogativi:
Quale mondo? Quale Chiesa? Quali relazioni tra mondo e Chiesa? Quale
Presbiterio? Quale Presbitero?
Lavoro non facile il nostro. Lavoro nient’affatto scontato, concluso
o che possa fruire di molti diffusi modelli a cui rifarsi.
A conclusione dell’anno pastorale 2007 - 2008, avverto il dovere di
ringraziarvi, carissimi confratelli, perché avete accettato di
camminare con me con speranza tenace, con disponibilità docile, con
impegno fattivo.
Insieme abbiamo camminato verso una mèta non visibile ma da
indovinare oltre l’orizzonte visibile.
Abbiamo affrontato difficoltà che sapevamo e sappiamo immancabili.
Abbiamo gioito umili e grati.
Abbiamo sofferto tenaci e umilmente emuli di Abramo, di Mosè, posti
a guida di una massa da condurre allo stato di popolo in marcia
verso la terra di Canaan.
Abbiamo sognato intravedendo le nostre comunità non in fuga dal
mondo, ma testimoni della differenza culturale e della vita, dono
operato dallo Spirito e accettato liberamente e gioiosamente.
Abbiamo rinnovato il dono che di noi stessi abbiamo fatto nel giorno
della sacra ordinazione, intendendolo come dono di fede ai fratelli
tutti, nella Chiesa, con il Presbiterio.
Mai abbiamo perso di vista che seguiamo il più bello tra i figli
dell'uomo, il prode che avanza, per la verità, la mitezza e la
giustizia, le cui vesti sono tutte mirra, aloe e cassia (dal Salmo
44).
Sempre siamo stati animati dalla parola dello stesso Signore che,
amabile, c’illumina:
"Ho da mangiare un cibo che voi non conoscete". E i discepoli si
domandavano l'un l'altro: "Qualcuno forse gli ha portato da
mangiare?". Gesù disse loro: "Mio cibo è fare la volontà di colui
che mi ha mandato e compiere la sua opera. Non dite voi: Ci sono
ancora quattro mesi e poi viene la mietitura? Ecco, io vi dico:
Levate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la
mietitura. E chi miete riceve salario e raccoglie frutto per la vita
eterna, perché ne goda insieme chi semina e chi miete. Qui, infatti,
si realizza il detto: uno semina e uno miete. Io vi ho mandato a
mietere ciò che voi non avete lavorato; altri hanno lavorato e voi
siete subentrati nel loro lavoro" (Gv 4,33-38).
2.
Convinto di fare cosa utile vi offro la meditazione orante di chi
segue, apprezza e coadiuva generosamente e fedelmente il nostro
impegno e le nostre fatiche pastorali.
a) Chiesa
Tanti fiori di un unico giardino,
crescenti sotto il Sole del Tuo Amore,
sparsi qua e là e vicini nel Tuo Cuore.
Fiori diversi, di forma e di colore,
ma rischiarati dalla stessa Luce,
curati sempre dalla stessa Mano
e potati per essere più belli.
Fiori sfiorati dalla stessa Brezza,
tremuli sorridono sui fragili steli
e profumando irradiano Armonia.
b) Sacerdoti
Cuori spalancati
in cui deporre
il peso del peccato.
Fontane di grazia
in cui dissolvere
i grumi di egoismo.
Ruscelli d’Amore
in cui spegnere
l’arsura dell’anima.
Vite donate
per ricondurci
a Te, o Buon Pastore.
c) Preghiera
Ascolto,
Silenzio,
Stupore.
Dolce melodia.
Canto del cuore,
Pianto dell’anima,
Slancio d’amore.
Richiesta trepida
intimo colloquio
con Te Signore,
che solo mi conosci
e solo intendi
il mio sentire
ed essere.
3. I
mesi di luglio ed agosto, carissimi sacerdoti, pur con le fatiche
pastorali legate alla religiosità popolare, mi auguro che vi portino
la legittima e doverosa pausa rinfrancante.
Il mio voto è che ci accompagnino la fede, i buoni desideri, la
comprensione di figli e figlie di questa Chiesa che ci pensano e
desiderano cuori spalancati, fontane di grazia, ruscelli d’Amore,
vite donate per essere pastori col Pastore Bello.
4.
Gli auguri fanno sempre piacere. È però il desiderio che,
lievitando, apre l’anima alla preghiera e all’accoglienza del dono
di Dio. E
nulla nutre desideri, preghiera e apertura alla grazia meglio della
Parola alla quale esorto me e voi a dare tempo, ascolto, apertura
del cuore.
Vi propongo, sperando di fare cosa utile, due pericopi bibliche.
a) La prima pericope è invito e motivazione della gioia.
Perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere un po’
afflitti da varie prove, perché il valore della vostra fede, molto
più preziosa dell'oro, che, pur destinato a perire, tuttavia si
prova col fuoco, torni a vostra lode, gloria e onore nella
manifestazione di Gesù Cristo: voi lo amate, pur senza averlo visto;
e ora senza vederlo credete in lui. Perciò esultate di gioia
indicibile e gloriosa, mentre conseguite la mèta della vostra fede,
cioè la salvezza delle anime (1Pt 1,6-9).
b) La seconda è audacia di unirsi al canto nuovo dei redenti che
lodano l’Agnello, l’Unico in grado di svelare il senso del libro
sigillato, incomprensibile e astruso della vita.
Cantavano un canto nuovo: "Tu sei degno di prendere il libro e di
aprirne i sigilli, perché sei stato immolato e hai riscattato per
Dio, con il tuo sangue, uomini d’ogni tribù, lingua, popolo e
nazione e li hai costituiti per il nostro Dio un regno di sacerdoti
e regneranno sopra la terra" (Ap 5,9-10).
Ai sentimenti dei figli della Chiesa che comprendono e apprezzano il
nostro carisma sacerdotale accompagno la mia benedizione. |