LA CATECHESI DEL VESCOVO

 



Continuate a seguirmi nella preghiera

Lettera ai Presbiteri dell'11 Aprile 2008

Carissimi, sono nel bel mezzo dell’impegno per la realizzazione della Visita Pastorale alla zona occidentale della Diocesi e vi chiedo di continuare a seguirmi con la preghiera: l’annunzio di Gesù morto per i nostri peccati e risorto per la nostra salvezza  deve continuare senza sosta e deve continuare la proposta dei piccoli passi che rendano concreto e, ancora prima, possibile, lo stesso annunzio.
Frattanto vi propongo le ultime battute della guida per gli esercizi spirituali del Presbiterio dello scorso autunno.


la TERZA beatitudine della castità: I Puri di Cuore

41.
Leggiamo il testo sull’uomo ricco nella redazione di Marco: «Mentre usciva per mettersi in viaggio, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: "Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?". Gesù gli disse: "Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre". Egli allora gli disse: "Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza". Allora Gesù, fissatolo, lo amò e gli disse: "Una cosa sola ti manca: va', vendi quello che hai e dàllo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi". Ma egli, rattristatosi per quelle parole, se ne andò afflitto, poiché aveva molti beni».
Ora ci fermiamo sul versetto 21 per scoprire in esso il principio e fondamento di quella esperienza dell’essere amati che è fonte e origine della beatitudine dei puri di cuore ed esprime il contenuto escatologico del  terzo consiglio evangelico della castità.

42.
Quel tale non ha nome. E’ «uno» , un non-ancora-soggetto del Regno. Non se ne dice l'origine. Viene fuori dall'ombra. Nel dirottarlo su Dio – Lui solo è buono – Gesù rettifica ad un tempo l'immagine che egli ha di Dio e di Gesù stesso, ma anche l’immagine che egli ha dei beni e, quindi, di se stesso. Gesù lo aiuta con il salto dallo stadio informativo-dottrinale a quello narrativo-personale; poi lo provoca, lo spinge a fare il salto nell’avventura del perdersi-per-ritrovarsi, entrando nella sua Via.
A servizio di questo salto Gesù mette in causa se stesso: nello sguardo, nell’amore, nella parola. Sono le tre dinamiche con cui Gesù cerca di fare emergere in quel tale il Nome Nuovo, quello scritto nei cieli.
Gesù lo fissa più profondamente. Non si tratta di un vedere informativo, né casuale: è lo sguardo di un’elezione amante. Lo sguardo di Gesù non si posa su ciò che è già amabile, ma come in modo creativo, egli amando rende l'altro «amato» e «amabile», capace di ri-amare in Dio se stesso e gli altri. Gesù  è capace di questo, perché egli per primo vive della e dalla comunicazione intima con Dio Padre e perciò è chiamato l’amato. Si rinnova così il momento creazionale del «sia la luce»…
Lo sguardo dell'amore, che cada sull’uomo ricco, lo accompagnerà per sempre e ovunque, fin giù all'inferno, se fosse il caso.

43.
«Gesù fissatolo lo amò e gli disse»... Un soggetto: Gesù, colui che ha vissuto una relazione assolutamente unica e irrepetibile con Dio, vivendo sotto il suo sguardo e in ascolto totale della parola di Dio. Gesù quindi  non compie una operazione qualsiasi, ma svela la sua stessa identità. Tre azioni: lo fissò, lo amò, gli disse.
Prima azione,
lo fissò: fissare determina l’orientamento di Gesù in una totale singolarizzazione; egli si rivolge nella sua pienezza a un tu. E lo coglie attraverso quella impareggiabile espressione di sé  che è “lo sguardo”, teso da volto a volto. Quanto il salmo ci recita  in relazione a Dio: “Di te ha detto il mio cuore: "Cercate il suo volto"; il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto, non respingere con ira il tuo servo (27/26, 8-9), Gesù lo attua in relazione a questo uomo.
Attraverso lo sguardo di Gesù, è lo sguardo stesso di Dio che, raggiungendo questo essere umano, gli offre l’esistenza filiale, quella che nasce dal Tu di Dio che si muove verso la sua creatura per offrirgli la possibilità di decidere di “creare se stesso” nella relazione filiale.

Seconda azione,
lo amò: ciò che lo sguardo fa avvenire non è la semplice connotazione e constatazione del dato dell’altro come oggetto di investigazione. E’ invece il movimento dell’agape che è Dio stesso.
Quanto oggi lo sguardo umano, che si instaura e si universalizza attraverso l’occhio dei media tra gli io e i tu, si esaurisce in una desolante instaurazione della “relazione oggettuale”, cosificando allo stesso tempo “l’io” che guarda e “il tu” che è guardato; e l’uno e l’altro diventano un “che cosa”, perché l’uno e l’altro perdono il carattere di soggetto in relazione: dell’ “io” che nasce tale solo se si lascia raggiungere da un altro soggetto umano che diventa ai suoi occhi il “tu”, che determina, con la sua presenza e con il suo appello, l’insorgenza dello stesso “io” in noi stessi.

44.
Terza azione, gli disse: lo sguardo d’amore si fa parola, invito, pro-vocazione. Nulla di predeterminato. La divina potenza è un peso leggero ed è un giogo soave. Tutto dipende dall’amore divino e tutto dipende dalla libera risposta umana. Nessuna invasione, nessuna intrusione. Nel suo amore, Gesù accetta la possibilità del  fallimento e dello stesso tradimento. E, attende, paziente, che l’autodeterminazione umana fiorisca in sovradeterminazione divina. Gesù raggiunge la soglia umana senza varcarla.
La kenosis del Figlio è riflesso della kenosis del Padre: egli stesso accetta la possibilità di entrare nella notte e di essere  tradito dall’uomo. Questo agire divino commuove perché viene presentata in una narrazione di sconfitta di Dio prima che dell’uomo ricco. Anche Dio esce sconfitto da questa relazione incompiuta e anche lui, in qualche modo, vive come il Figlio la passione  e la morte. Forse per poter risorgere in noi, oggi.

45.
La beatitudine dei puri di cuore è frutto di queste tre dinamiche: sentirsi sotto lo sguardo di Dio, ricevere il suo amore, misurarsi con il suo appello a lasciare tutto per rendere possibile ad altri la stessa esperienza divina diventandone testimoni e propagatori.
E qui si inserisce la coscienza della evoluzione umana verso lo stadio spirituale. Noi nasciamo centrati su noi stessi (fase narcisistica), poi ci riferiamo alle cose e agli altri come assoluti (fase idolatrica). Sappiamo anzi che se un essere umano non incontra all’inizio della sua evoluzione forme di amore che tutelino la sua insufficienza ed esposizione alla morte, subisce un blocco evolutivo molto difficile da superare e rielaborare nelle tappe successive della vita.
La società poi enfatizza la domanda di “gratificazione” ad ogni costo, con una grossolana ignoranza delle dinamiche simboliche e delle iniziazioni per vivere in modo spirituale adulto. Il pansessualismo aggrava i ritardi nell’evoluzione verso l’oblatività.
Per affiancare l’umanità e soprattutto le nuove generazioni la Chiesa è chiamata a creare nuove figure affettive. Il salto culturale rende meno inservibili i modelli delle generazioni che hanno vissuto la sessualità e l’edu­cazione all’amore all’insegna del silenzio o del fai da te. Non per niente il primo dei cinque ambiti della pastorale battezzata a Verona è dedicata alla Vita affettiva.

46.
La nostra condizione celibataria ed ecclesiastisca non è di per sé, in modo automatico, luogo e strumento dell’esperienza escatologica del sentirsi amati. Si tratta di un nucleo, è questione centrale e delicata. Siamo poi esposti alle ambiguità del ruolo di preti, della nostra immagine sociale davanti al vescovo e ai confratelli, della figura di capi di una comunità: ambiguità perché sappiamo che l’identità raggiunta per via di potere e di prestigio è molto più forte della identità raggiunta per via di oblatività e di gratuità. Il presbiterio stesso è un’idea teologica recente. E serve una esperimentazione lunga per darle forma storica e configurarsi come la casa comune del vescovo e dei suoi preti.
Solo con una reinvenzione ministeriale del modo di stabilire relazioni  e di prendere decisioni come corpo organico possiamo trovare uno spazio sacramentale  del sentirci amati e del tradurre tale amore ablativo in fonte di leaderanza presbiterale. È quella che serve per accompagnare e guidare con autorevolezza l’attuale emigrazione della nostra gente; che non è solo etica, politica ed economica, ma soprattutto antropologica e spirituale verso una dilatazione della capacità di amare oltre lo spazio, spesso chiuso e segregato, della coppia e della famiglia.

47.
Esercizi per la meditazione-orazione-contemplazione
a) Passa in rassegna le persone con cui sei in relazione: quanto avverti in esse presente/assente/precario il carattere di creatività, gratuità, universalità?
b) Che dinamiche interiori di purificazione, elevazione e consolazione ha suscitato in te quanto ascoltato?  Che luci hai colto? Che novità ti ha fatto scoprire e gustare lo Spirito? 


verso UN Presbiterio discepolo e guida di NUOVA UMANITà

48.
Gesù è segnato dalla coscienza del Regno, capito come l’arrivo dell’azione divina senza argini. È il suo assoluto che tutto rende relativo. Con forme diverse lo descrive; annuncia la felicità di appartenergli; ne indica il mistero, le esigenze e la Magna Charta; nei piccoli ne individua i membri; richiama la vigilanza e la fedeltà necessarie per attenderlo e accelerarne  la venuta (cfr. EN 8). Il suo nucleo è la salvezza, dono grande di Dio: liberazione da tutto ciò che opprime l'uomo, dal peccato e dal Maligno, nella gioia di conoscere Dio e di essere conosciuti da lui, di vederlo e di abbandonarsi a lui. Tutto ciò comincia durante la sua vita, si compie nella sua morte e risurrezione e con l’invio dello Spirito, presente e da attendere pazientemente nel corso della storia, per realizzarsi nel giorno della venuta definitiva (cfr EN 9). Il Regno si conquista con la forza, la fatica, la sofferenza, la croce, lo spirito delle beatitudini. E, prima di tutto, mediante la «metánoia», una conversione radicale, un cambiamento profondo della mente e del cuore. Ne fiorisce un nuovo soggetto storico: obbediente, povero e casto.
49.
Ogni volta che l’umanità incontra delle svolte culturali, le forme di vita precedenti – anzi la stessa figura di uomo – si rivelano inadeguate e occorre tornare al nucleo messianico o escatologico del Regno perché avvenga un’epifania della “creazione nuova”, un “nuova immagine di uomo”.
Ecco i cieli nuovi e la terra nuova! Ecco il volto in-audito e in-edito della potenza creatrice della parola di Dio. Oggi siamo proprio alle prese con un “cambiamento di epoca” e occorre riscoprire la forza escatologica del Vangelo. Il cristianesimo ereditato sopravvive, ma ha perso il posto che occupava e, soprattutto, sembra aver perso l'iniziativa. Il movimento dell'umanità si verifica altrove, mentre il cristianesimo resiste o si accoda.
Siamo chiamati a pagare il prezzo perché il Vangelo possa riapparire in questo mondo come l’annuncio della sconvolgente novità che salva l'uomo. Aggiungiamo che nella situazione iniziale ebrei e pagani appartenevano quasi tutti a un comune insieme politico-culturale: l'impero romano; men­tre il cristianesimo attuale si confronta con un mondo estraneo e lontanissimo, specialmente Asia, India e Cina, che tuttavia è diventato vicino, a causa della globalizzazione.
È inevitabile che un certo cristianesimo si tramuti in cristianismo; e noi stessi - ad essere sinceri - possiamo vivere senza vigilanza questa emergenza storica e ridurci a funzionari delle consuetudini religiose nelle quali non c’è traccia del fuoco che Gesù è venuto a portare. In realtà, a ben vedere, la Provvidenza ci guida verso la situazione degli inizi del cristianesimo, con l’equivoco però che molti presumono di conoscere già il vangelo e molti altri ne hanno - anche a causa nostra - una tale pre-comprensione da non sentire alcuna attrazione.

50.
Questa situazione cristiana si inscrive poi nella crisi del "senso" e nel crollo delle grandi istanze d'autorità (religiose, politiche, ideologiche, tradi­zionali). Si crede ciò che si vuole e si vive come si vuole: niente sanzioni. La coercizione può essere feroce, ma altrove: da parte dell'economia, dei gruppi di pressione, perfino delle mode. Al tempo stesso, questo mondo è sottoposto a un rimescolamento e a un'esplosione continua: niente è fisso, tutto si muove. Quale giudizio, dare di questo insieme? Lo si può esaltare, se ne possono ammirare i successi, ci si può rallegrare della scomparsa progressiva delle guerre, ecc. Se ne può anche vedere il lato oscuro e restarne spaventati. Molti non ci pensano neppure: vivono la loro vita prendendo quel che c'è di buono, cercando di evitare quanto c'è di cattivo, con una magnifica indifferenza alle sorti oggettive, chiusi nel loro piccolo mondo. Altri hanno la percezione che s'impongono con urgenza crescente delle revisioni laceranti: è dalla parte di costoro, intendiamoci, che è possibile un futuro.
Interrogarsi sull' avvenire del cristianesimo, a questo livello, è partecipare a questa attesa e a questa ricerca. I nostri ES con l’intenzionale smarcamento dall’approccio devozionale ascetico - ed anche etico - e la scelta esplicita e insistita dell’ottica escatologica, volevano essere a servizio di una decisione spirituale all’altezza delle sfide… Il vangelo se vissuto in modo pieno può dare alla luce un nuovo “soggetto umano”!

51.
In una situazione del genere è d'obbligo la creatività spirituale, ben più che una teoria, un'analisi, uno studio approfondito… Se guardiamo alle cri­si del cristianesimo nelle epoche passate, ci accorgiamo che è stata la nascita di un tipo d'uomo nuovo a sbloccare la storia e creare futuro.
Così, verso la fine dell'impero romano e l'inizio del medioevo, il monaco; nel duecento Francesco il mendicante e Domenico il predicatore; nel cin­quecento il gesuita e, più in generale, l'uomo degli esercizi ignaziani.
Più o meno nello stesso periodo Francesco di Sales propone la "vita devota" alle persone di mondo. L’interrogativo diventa allora: oggi, quale tipo d'uomo? Esso può nascere da un ri-ascolto del vangelo, nella chiave delle beatitudini: non come fatto ascetico o devozionale, ma come evento creazionale. Solo così può nascere un nuovo soggetto antropologico.
Ne abbiamo indicato i nuclei genetici nei tre “codici generatori” di obbedienza, povertà e castità. Siamo però ben lungi dall’aver attuato la gestazione e festeggiato la nascita. Non so neanche se siamo giunti a scoprire che proprio questa è la Grande Decisione che Dio si attende dalla Chiesa e da noi suoi ministri.

52.
Indico adesso tre percorsi come gestazione collettiva di questo “nuovo tipo di uomo”. L’essere presbiterio ci consentirebbe di essere alla guida di un processo che potrebbe avere per soggetto e autore l’intera diocesi. Potremmo diventare padri e madri della chiesa, cooperando alla nascita di un tipo umano adatto alla nostra epoca globale e post-moderna, oltre che post-cristiana. Ecco i tre percorsi, uno in relazione ad ognuna delle tre dinamiche:
a) con riguardo all’obbedienza, deciderci per l’ascolto religioso e sistematico degli altri – di tutti gli altri – per arrivare ad discernere la voce di Dio che ci parla nella storia e ci indica le vie di futuro per le nuove generazioni; questa decisione passa attraverso quattro progressioni di attenzione:
1) ascolto dell’altro in ciò che dice; 2) ascolto dell’altro in ciò che ci vuol dire; 3) ascolto di ciò che attraverso l’altro Dio ci dice; 4) ascolto di ciò che Dio chiede a noi di dire all’altro. Questa capacità di auscultazione esige una certa conoscenza del “contesto”, dell’orizzonte globale del nostro momento storico. Per fare questo è indispensabile il passaggio dal regime della lettura breve e frettolosa di alcuni pochi articoli, al regime dello studio di almeno 1-2 libri all’anno; l’ascolto ha bisogno di questo clima culturale interdisciplinare, in cui si possa percepire verso dove va la cultura della nostra gente oggi...
b) con riguardo alla povertà, deciderci per la tensione permanente al non-ancora per arrivare a far emergere nuove forme di vita e di interiorità, di parola e di silenzio, di relazioni e di eventi; questa decisione passa attraverso quattro abilitazioni: 1) relativizzare ogni acquisizione, a tutti i livelli; 2) alimentare la sensibilità prospettica che vede il presente a partire dal futuro e non dal passato; 3) discernere il da farsi sempre sulla base di alternative elaborate insieme e non sulla base di automatismi ripetitivi; 4) scegliersi 2-3 interlocutori con cui discorrere abitualmente del futuro della vita, della famiglia, della società, della chiesa….
c) con riguardo alla castità, deciderci per alcune forme di carità politica per arrivare ad innalzare la qualità di vita relazionale e decisionale di persone, coppie, famiglie, gruppi; questa decisione passa attraverso quattro conversioni: 1) passare dalla psicologia dell’”io” a quella del “noi”; 2) fare dell’amore gratuito e oblativo l’asse delle relazioni fra di noi, con e tra famiglie e gruppi, con la comunità intera; 3) fare e far fare a gara nello stimarsi a priori; 4) praticare l’esercizio comunitario della promozione fraterna, per scoprire i talenti e favorire il loro sviluppo.


Accompagno la speranza di essere stato utile con l’offerta dei testi che sono serviti come punto di inizio per la meditazione nel corso degli Esercizi Spirituali del presbiterio di autunno con la mia preghiera e con la mia benedizione.


Maggio e i suoi doni

Lettera ai Presbiteri dell'11 Maggio 2008

Carissimi, quest’anno il mese di maggio ci porta due doni. Il primo consiste nella grazia del Giubileo straordinario per i cinquecento anni dal breve col quale Giulio II regolava il culto pubblico al santo eremita Nicolò Politi che, nato ad Adrano, nella seconda parte della sua vita si trasferì nella campagna di Alcara Li Fusi santificando con la vita di orante, penitente, devoto cultore della Parola Santa, della Chiesa, dell’Eucaristia e della Santa Vergine, le nostre contrade.
È questa la ragione per la quale la sede del nostro ritiro mensile, per una volta, non è Tindari sua sede ordinaria. 
Come sempre, poi, maggio è il mese che la pietà popolare dedica alla Madonna, la Vergine dell’ascolto favorito dal silenzio; la donna del ‘sì’ alimentato nel dialogo umile e autenticato nella disponibilità assoluta; la purissima per l’offerta, senza se e senza ma, della vita con tutte le pieghe liete e dolorose, luminose e buie, la santissima Genitrice del Signore.
Il popolo fedele intuisce che la Santissima Madre è la realizzazione di quanto nel tempo pasquale è stato oggetto della predicazione e della celebrazione della Chiesa: Cristo Gesù è Dio fatto uomo come noi fino a morire per dare all’uomo di vincere la morte.
E per
questo la venera con tenero trasporto aiuto, stella di riferimento, modello altissimo ed umile.
Quest’anno il mese di maggio ci porta il dono particolare della Conferenza Episcopale Siciliana che, per mezzo della Commissione Presbiterale Regionale, ha scelto di convogliare a Tindari, l’imminente 13, l’annuale Giornata Sacerdotale Mariana.
Alla Conferenza Episcopale e alla Commissione Presbiterale il nostro grazie. Ai confratelli sacerdoti il più cordiale e fraterno benvenuto.
A tutti l’augurio che, intercedendo la Nera ma Bella, ci confermiamo e cresciamo nel cantare con la vita, oltre che con le parole, a colui, che è il più bello dei figli dell’uomo, l’unico in grado di frangere i sigilli del rotolo della vita e di dare, così, significato alla nascita, alla gioia, alla sofferenza, al lavoro, all’amore, al morire; agnello immolato e in piedi, colui che avanza per la verità, la mitezza e la giustizia.
Fratelli sacerdoti, la nostra presenza ad Alcara ci aiuti a cogliere la particolare grazia legata, nella prassi secolare della Chiesa Madre, al Giubileo.
La presenza a Tindari il 13 maggio, prima e più delle parole dirà ai confratelli presbiteri siciliani la gioia di averli eccezionalmente qui e la consapevolezza gioiosa dell’appartenenza all’unica famiglia sacerdotale.
Benvenuto e consapevolezza anticipo ora per mezzo di questa lettera accompagnandola con la mia benedizione.


Ascolto, silenzio, stupore

Lettera ai Presbiteri del 13 Giugno 2008

Carissimi,
1.
           il Notiziario Pastorale segue il nostro cammino ecclesiale. Alla ricerca della risposta all’esigenza di una pastorale a servizio della Nuova Evangelizzazione, in obbedienza alle indicazioni del Magistero, che ci spiega che non basta conservare l’esistente, abbiamo riflettuto, deciso ed operato interrogandoci su quale tipo di presbiterio si richiede ad ognuno di noi di incarnare per essere, con la Chiesa, a servizio del mondo oggi. Le nostre riflessioni e scelte pastorali si possono, perciò, sintetizzare immaginandole come risposte a questi interrogativi:
Quale mondo? Quale Chiesa? Quali relazioni tra mondo e Chiesa? Quale Presbiterio? Quale Presbitero?
Lavoro non facile il nostro. Lavoro nient’affatto scontato, concluso o che possa fruire di molti diffusi modelli a cui rifarsi.
A conclusione dell’anno pastorale 2007 - 2008, avverto il dovere di ringraziarvi, carissimi confratelli, perché avete accettato di camminare con me con speranza tenace, con disponibilità docile, con impegno fattivo.
Insieme abbiamo camminato verso una mèta non visibile ma da indovinare oltre l’orizzonte visibile.
Abbiamo affrontato difficoltà che sapevamo e sappiamo immancabili.
Abbiamo gioito umili e grati.
Abbiamo sofferto tenaci e umilmente emuli di Abramo, di Mosè, posti a guida di una massa da condurre allo stato di popolo in marcia verso la terra di Canaan.
Abbiamo sognato intravedendo le nostre comunità non in fuga dal mondo, ma testimoni della differenza culturale e della vita, dono operato dallo Spirito e accettato liberamente e gioiosamente.
Abbiamo rinnovato il dono che di noi stessi abbiamo fatto nel giorno della sacra ordinazione, intendendolo come dono di fede ai fratelli tutti, nella Chiesa, con il Presbiterio.
Mai abbiamo perso di vista che seguiamo il più bello tra i figli dell'uomo, il prode che avanza, per la verità, la mitezza e la giustizia, le cui vesti sono tutte mirra, aloe e cassia (dal Salmo 44).
Sempre siamo stati animati dalla parola dello stesso Signore che, amabile, c’illumina:
"Ho da mangiare un cibo che voi non conoscete". E i discepoli si domandavano l'un l'altro: "Qualcuno forse gli ha portato da mangiare?". Gesù disse loro: "Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. Non dite voi: Ci sono ancora quattro mesi e poi viene la mietitura? Ecco, io vi dico: Levate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. E chi miete riceve salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché ne goda insieme chi semina e chi miete. Qui, infatti, si realizza il detto: uno semina e uno miete. Io vi ho mandato a mietere ciò che voi non avete lavorato; altri hanno lavorato e voi siete subentrati nel loro lavoro" (Gv 4,33-38).


2.
    Convinto di fare cosa utile vi offro la meditazione orante di chi segue, apprezza e coadiuva generosamente e fedelmente il nostro impegno e le nostre fatiche pastorali.
a)     Chiesa

Tanti fiori di un unico giardino,
crescenti sotto il Sole del Tuo Amore,
sparsi qua e là e vicini nel Tuo Cuore.
Fiori diversi, di forma e di colore,
ma rischiarati dalla stessa Luce,
curati sempre dalla stessa Mano
e potati per essere più belli.
Fiori sfiorati dalla stessa Brezza,
tremuli sorridono sui fragili steli
e profumando irradiano Armonia.


b)     Sacerdoti

Cuori spalancati
in cui deporre
il peso del peccato.
Fontane di grazia
in cui dissolvere
i grumi di egoismo.
Ruscelli d’Amore
in cui spegnere
l’arsura dell’anima.
Vite donate
per ricondurci
a Te, o Buon Pastore.


c)     Preghiera

Ascolto,
Silenzio,
Stupore.
Dolce melodia.
Canto del cuore,
Pianto dell’anima,
Slancio d’amore.
Richiesta trepida
intimo colloquio
con Te Signore,
che solo mi conosci
e solo intendi
il mio sentire
ed essere.


3.
   I mesi di luglio ed agosto, carissimi sacerdoti, pur con le fatiche pastorali legate alla religiosità popolare, mi auguro che vi portino la legittima e doverosa pausa rinfrancante.
Il mio voto è che ci accompagnino la fede, i buoni desideri, la comprensione di figli e figlie di questa Chiesa che ci pensano e desiderano cuori spalancati, fontane di grazia, ruscelli d’Amore, vite donate per essere pastori col Pastore Bello.


4.     
Gli auguri fanno sempre piacere. È però il desiderio che, lievitando, apre l’anima alla preghiera e all’accoglienza del dono di Dio. E nulla nutre desideri, preghiera e apertura alla grazia meglio della Parola alla quale esorto me e voi a dare tempo, ascolto, apertura del cuore.
Vi propongo, sperando di fare cosa utile, due pericopi bibliche.
a) La prima pericope è invito e motivazione della gioia.
Perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere un po’ afflitti da varie prove, perché il valore della vostra fede, molto più preziosa dell'oro, che, pur destinato a perire, tuttavia si prova col fuoco, torni a vostra lode, gloria e onore nella manifestazione di Gesù Cristo: voi lo amate, pur senza averlo visto; e ora senza vederlo credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre conseguite la mèta della vostra fede, cioè la salvezza delle anime (1Pt 1,6-9).
b)  La seconda è audacia di unirsi al canto nuovo dei redenti che lodano l’Agnello, l’Unico in grado di svelare il senso del libro sigillato, incomprensibile e astruso della vita.
Cantavano un canto nuovo: "Tu sei degno di prendere il libro e di aprirne i sigilli, perché sei stato immolato e hai riscattato per Dio, con il tuo sangue, uomini d’ogni tribù, lingua, popolo e nazione e li hai costituiti per il nostro Dio un regno di sacerdoti e regneranno sopra la terra" (Ap 5,9-10).

Ai sentimenti dei figli della Chiesa che comprendono e apprezzano il nostro carisma sacerdotale accompagno la mia benedizione.

 

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