Valutazione
Pastorale: La pellicola inizia evocando un passo emblematico di Isaia:
"Molti si stupirono di lui tanto era sfigurato per essere d'uomo il
suo aspetto… Eppure si é caricato delle nostre sofferenze, si è
addossato i nostri dolori… Era come un agnello condotto al macello"
(cfr. Is 54). Citazione che in qualche modo indica la specifica
prospettiva del regista, che così si inserisce di fatto nella lunga
frequentazione che la settima arte intrattiene con la vicenda di Gesù. Il
desiderio di rappresentare il sacro, di dare forma al mistero di Dio
rivelato in Gesù non solo è un'aspirazione legittima, ma risponde anche
ad un'esigenza della fede cattolica che riconosce nell'incarnazione del
Figlio di Dio la rivelazione piena e definitiva del Padre. Da qui
scaturirono, nelle varie espressioni artistiche, modi differenti per
rappresentare la vita di Gesù che corrispondono ad altrettante personali
interpretazioni di tale vicenda. La molteplicità delle stesse
rappresentazioni cinematografiche compongono ormai una sorta di antologia
visiva che, mentre contribuisce ad accedere a parte almeno del mistero di
Gesù, nel contempo attesta la relatività e la precarietà di qualsiasi
interpretazione rispetto alla verità di Gesù. Alla Chiesa stessa non è
bastato un vangelo -ne ha infatti ben quattro- e questo, certo, non per
debolezza o imprecisione narrativa quanto piuttosto per una necessaria
polifonia nel consegnarci la pienezza della verità sulla figura di Gesù.
È necessario dunque, per accostarsi a "The Passion", assumere
la consapevolezza che il cinema non si incarica primariamente di uno
sguardo documentaristico sulla realtà. Anche quando si ispira ad una
vicenda storica, il cinema col suo gioco di sguardi e di finzione mette in
campo una peculiare forza trasfiguratrice di quella vicenda, a partire
dall'immaginazione e, non indifferente, dal modo personale di rileggere
quanto sarà rappresentato e dunque dal contesto culturale nel quale
l'autore vive. In questo caso Mel Gibson, basandosi sui quattro vangeli,
su qualche fonte apocrifa e sugli scritti della mistica tedesca Caterina
Emmerick, mette in scena il dramma delle ultime 12 ore della vita di Gesù,
nelle quali la tensione drammatica di quella intera vita trova il proprio
compimento. La prospettiva dunque di Gibson non si colloca nell'alveo
della classica iconografia di stampo romantico e opta decisamente per
un'interpretazione del volto sfigurato di Gesù evocante le
rappresentazioni iconografiche del cinquecento e del seicento.
La narrazione procede secondo le scansioni classiche della via crucis,
dall'incontro con la Veronica alle cadute di Gesù sotto il peso della
croce. Dosando inoltre con una certa sapienza l'uso del 'flash back'
sull'infanzia di Gesù e più spesso ancora centrando con efficacia
sull'ultima cena, il film suggerisce una lettura unitaria della vicenda
storica di Gesù, in particolare un'unicità di sguardo sullo stesso
mistero di salvezza. Infatti si inscena con raffinata delicatezza il
rapporto di Gesù con Maria, che trova il suo culmine nell'abbraccio di
pietà della deposizione. Efficace é anche il profilo con cui si evocano
i vari personaggi; seppur va segnalato che l'inevitabile processo di
schematizzazione dei ruoli non deve condurre a fraintendimenti: ad
esempio, la responsabilità della condanna inflitta a Gesù non è di un
popolo, ma dell'intera umanità peccatrice. Accanto alle particolari
"soggettive" su Gesù, si ricorda l'inquadratura dall'alto
situata qualche istante prima della morte sul Calvario, che ad un tratto
si trasforma in goccia d'acqua: cadendo vertiginosamente sulla terra
accanto alla croce di Gesù, segna l'inizio del terremoto e la rovina del
tempio. Una inquadratura che può evocare il pianto di Dio sul figlio Gesù
che sta morendo. Allo stesso regista capiterà di affermare: "Il vero
messaggio del mio film é il perdono. La lacrima di Dio che piove dal
cielo nel momento in cui Gesù muore significa questo". Uno degli
aspetti che richiede una qualche precisazione é costituito dalla
rappresentazione che si fa della violenza su Gesù. "Quello che mi ha
sempre colpito della Passione -ammette Mel Gibson- é stata la capacità
di Gesù Cristo, diventato uomo, di sottoporsi a una sofferenza indicibile
per amore dell'umanità. Non potevo non mostrarla in tutta la sua forza e
fin nei particolari. Forse sono le immagini più scioccanti che abbia mai
visto in un film, ma dovevo farle vedere". Dinanzi però a sì tanta
violenza, enfatizzata non solo da immagini continuamente reiterate ma
anche dall'utilizzo del 'rallenty', è il caso di rammentare che la morte
di Gesù in croce ci salva non per la quantità del dolore subito -per
quanto incalcolabile- ma per il fatto che Gesù ha vissuto l'infamante
patibolo e l'immenso supplizio in assoluta fedeltà al Padre e in piena
apertura d'amore all'umanità. La prospettiva della risurrezione, che nei
Vangeli é la chiave di tutto, non può circoscriversi all'inquadratura
conclusiva, in quanto costituisce il codice interpretativo interno
dell'intera passione. |