Mons Ignazio Zambito, Vescovo di Patti - clicca per ingrandire

LA CATECHESI DEL VESCOVO

 

   
Chiesa popolo di Dio che cresce Dio in Gesù si comunica: e noi?
Ho incontrato un uomo di pace Il cammino quaresimale
Chiesa: popolo del Dio di Abramo... Giovedì Santo 2002
Con l'occhio e il cuore della Chiesa La Ministerialità ecclesiale
A servizio di un popolo modellato su Maria Anch'io mando voi (Pentecoste)
Alla cui presenza io sto Il nostro cesto rimane vuoto
Rendiamo grazie e... duc in altum Nel nome del Signore, busso alla porta del...
Fratelli, osiamo con coraggio... Chiesa: dialogo di verità
Beati gli operatori di pace Fate questo in memoria di me
Come Maria ascoltare insieme la Parola L'Eucaristia: la comunicazione di Dio...
Duc in altum Salite sul monte
Fate festa... ma che sia festa! La Parola che interpella, plasma, orienta
E' fedele Colui che ha promesso Vita cristiana, fede in azione
La Risurrezione è l'evento... Vogliamo vedere Gesù
Lava spenta Non ho nascosto la tua grazia in fondo al cuore
In vista della Settimana della Fraternità Con gioia incontro al Signore che viene
Omelia nella messa di suffragio per Giovanni Paolo II
Ringraziamo, gioiamo, usiamo con diligenza L'Eucaristia modello e forza di vita
Parlare di Gesù Una riflessione e una breve cronaca sulla Visita Pastorale
Affrettiamoci a conoscere il Signore Veniamo anche noi con te
Il messaggio di San Felice Il silenzio e la parola
Qui, oggi il Verbo di Dio

In religioso ascolto della Parola

Il cammino quaresimale

...il Verbo si fece carne ed abitò tra noi

Lo Spirito del Signore su di me

Sitit sitiri Deus

Dopo aver cantato l'inno...

Sappiamo in Chi abbiamo posto la nostra speranza

Venne ad abitare in mezzo a noi

Dio ha posto la sua tra le nostre dimore

Ed ecco, era cosa molto buona

Il sì a Dio e al mondo

Alza gli occhi intorno e guarda

Per vedere Pietro

... ma per servire

Il Tempo Ordinario: metafora della vita umana

Rivestirò di salvezza i suoi sacerdoti...

In cammino, con Cristo, nella Chiesa

Lo seguirono

Perchè di tutti sia la gioia

Dall'ascolto alla beatitudine

Quaresima: dalla devozione alla conversione

Canterò per sempre l'amore del Signore

Continuate a seguirmi nella preghiera

Maggio e i suoi doni

Ascolto, silenzio, stupore

Dopo l'Assemblea Ecclesiale Diocesana

Il tempo è compiuto

La vita è cammino  
 

Chiesa popolo di Dio che cresce


Carissimi,
1. benedetto sia Dio Padre del nostro Signore Gesù Cristo, canta S. Paolo nella sua lettera agli Efesini, perché egli per primo ci ha benedetto. Con l’Apostolo, è utile ‘spremere’ la benedizione per liberarla dallo svilimento e dalla banalità in cui è confinata per l’abitudine molto diffusa di chiedere, dare e moltiplicare benedizioni su cose e persone senza pensarci più di tanto.
Dio ci ha benedetto, vale a dire, ci ha creato, fatto figli, redenti ed eredi, ci ha dato il Dono per eccellenza, lo Spirito Santo. Egli Padre, Amore Onnipotente e Fedele ci benedice perché alla famiglia umana, corpo di cui siamo membra, afflitta da limiti che fanno della sua storia un fiume di sangue, ha dato un capo nuovo, Cristo Gesù. Questo corpo nuovo è famiglia sua, suo corpo, anticipo, segno, strumento del suo Regno, è la sua chiesa. Niente di statico nella chiesa.
Essa è raccolta nell’annunzio della morte del suo Signore, nella proclamazione della sua risurrezione, nell’attesa della sua venuta. Frattanto è chiamata a raggiungere la pienezza in Cristo non solo come singoli che camminano, lavorano, gioiscono, soffrono, amano, muoiono ognuno per conto proprio ma come insieme riscattato dall’anonimato della massa e approdante alla condizione di popolo: popolo di Dio, popolo che cresce come ricorda il tema del mese del Piano Pastorale Diocesano.
2. In che senso cresce il popolo di Dio in un’epoca, la nostra, che, ci sembra, lo vede semmai divenire più esiguo?
Diminuisce la sensibilità alla santità del giorno del Signore, diminuisce il numero di quelli che celebrano i sacramenti, diminuiscono il numero delle vocazioni di speciale consacrazione, il senso della missione che entusiasmava i giovani d’altre generazioni, la gioiosa consapevolezza di ‘dipendere’ da Dio (in altre parole, il timore di Dio), i ‘luoghi’ adatti all’annunzio della Parola; e, senza la Parola, la Chiesa non nasce e, se già nata, muore, il battezzato non può avere slancio verso la santità, la sua preghiera scompare
(NMI 30-32), impigrisce nella ricerca del miracolo ad ogni costo, nella palude del sensazionale delle apparizioni e delle madonne piangenti e della paccottiglia magicheggiante, nel pedaggio da pagare per essere a posto con Dio, per, (udite, udite…) prendere sonno, si rifugia e accontenta del santino portato appresso o affisso, rassicurante talismano, al parabrezza della vettura con la quale si va in giro per lavorare e, Dio non voglia, per altro. Senza la Parola diventa impossibile accogliere il grido ‘Duc in altum!’ del Santo Padre, comprendere e condividere l’animo di Gesù che, ‘vista molta folla si commosse perché erano come pecore senza pastore e si mise ad insegnare loro molte cose’ (Mc 6,34). Altro che crescita, dunque.
3. Siamo chiamati a dare una prospettiva altra al nostro modo di valutare. La chiesa cresce se chi ne fa parte:
a) indipendentemente dai numeri, cresce, più che nel venire più numerosa in chiesa, nell’essere più chiesa facendo proprio il modo di pensare, parlare e agire del Vangelo;
b) si rapporta a Dio Amore Onnipotente e Fedele; si sa bisognosa di salvezza;

c) non si pensa in cammino verso la salvezza da solo ma come famiglia dei figli di Dio;
- si rapporta agli altri come a fratelli da ascoltare e da cui ricevere e ai quali parlare e dare;
- vede la cifra valutativa della vita nella missione da compiere, nel bene da realizzare coi talenti di natura e di grazia ricevuti;
- guarda la realtà, l’analizza, prende decisioni, opera cercando, valorizzando, facendo proprio, per piccolo che sia, ogni contributo;
- rispetta i tempi di crescita di tutti, dei meno provveduti in particolare;
- fa proprio lo stile del seme che cresce lentamente, del lievito che fa fermentare la massa della pasta, della luce e del sale che sono per gli altri, del giudice divino che non strappa la zizzania frettolosamente;
- medita giornalmente ed efficacemente la parola secondo la quale, il discepolo non può essere differente dal Maestro il cui valore non è determinato dalle interessanti dichiarazioni ma dal fatto che sacrifica la vita.
4. Nella lettera ai Colossesi, S. Paolo pone la chiamata alla pienezza di Cristo come sfondo dello stile che propone ai discepoli. Passando poi alla conclusione associa ai suoi i saluti dei discepoli e collaboratori senza dimenticare affettuose e personalizzate precisazioni. Fa lo stesso per i destinatari della lettera: "Salutate i fratelli di Laodicèa e Ninfa con la comunità che si raduna nella sua casa. E quando questa lettera sarà stata letta da voi, fate che venga letta anche nella Chiesa dei laodicesi e anche voi leggete quella inviata ai laodicesi. Dite ad Archippo: ‘Considera il ministero che hai ricevuto nel Signore e vedi di compierlo bene. Il saluto è di mia propria mano, di me, Paolo. Ricordatevi delle mie catene. La grazia sia con voi"(Col 4,15-18). ‘Considera il ministero che hai ricevuto’, ‘Vedi di compierlo bene’ insiste che si dica ad Archippo. Quale fosse la persona dietro questo, per le nostre abitudini, strano nome, non sappiamo. Era un discepolo che aveva avuto confidato un ministero: in forza del battesimo? perché vescovo, presbitero o diacono?
Non è decisiva la puntuale risposta alla domanda mentre è decisivo considerare che, in ogni caso, aveva fatto delle promesse che erano state solennemente accolte dalla chiesa: Rinunzi a satana? Credi in Dio Padre? Credi in un solo Signore Gesù Cristo? Credi nello Spirito Santo, nella Chiesa? …la vita eterna? Prometti filiale rispetto e obbedienza a me e ai miei successori? Ricevi l’anello, segno di fedeltà, e custodisci nell’integrità della fede e nella purezza della vita la sposa di Dio, la santa chiesa. Ricevi il Vangelo e annunzia la parola di Dio con grandezza d’animo e dottrina. Quando per l’amministrazione della Cresima nelle nostre parrocchie il rito perviene alle promesse battesimali, quando nella meditazione quotidiana mi viene fatto di pensare il giorno in cui sono stato ordinato sacerdote e vescovo, mi vedo fedifrago:
- ho promesso tutto e do tanto poco;
- nelle promesse episcopali, sacerdotali e battesimali c’è la radicalità del Vangelo e nella mia vita c’è tanto poco;
- nella vita del Buon Pastore c’è la concretezza della vita spesa fino alle ultime gocce di sangue, nella mia vita, nella vita di me chiamato, per pura grazia, ad essere icona del Buon Pastore, c’è la timidezza, la sciatteria, il compromesso, l’imborghesimento.
5. La Chiesa è il popolo di Dio in crescita. In crescita anche oggi, per la grazia di Dio accolta da tanti fratelli e sorelle, come Maria nella disponibilità e nell’udienza di Nazaret e nella povertà di Betlemme. Noi, ne sono certo, vogliamo essere attori di questa crescita e per questo non possiamo ignorare l’interrogativo: che fare?
Fratelli, non vedo risposta alternativa a questa: seguire il Piano Pastorale Diocesano con le sue mete, le sue tappe, il suo metodo, i suoi sussidi.
È risposta che vi ripropongo certo che tutti siamo animati dalla convinzione che l’amore di Dio ci spinge, che non siamo insensibili dinanzi al nostro popolo fatto di piccoli che cercano il pane e non trovano chi lo spezzi per loro, che vogliamo ubbidire al comando: "annunziatelo con voce di gioia, diffondetelo, fatelo giungere fino all'estremità della terra’(Is 48,20), ditelo che: "eravamo per natura meritevoli d'ira, come gli altri. Ma Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia infatti siete stati salvati" (Ef 2, 3-5).
Dio è all’opera per operare la crescita come garantisce la Parola profetica : "mi feci ricercare da chi non mi interrogava, mi feci trovare da chi non mi cercava. Dissi: ‘Eccomi, eccomi’ a gente che non invocava il mio nome. Ho teso la mano ogni giorno a un popolo ribelle" (Is 65,1-2); noi siamo felici e grati di essere chiamati a seminare e irrigare. Come Apollo, come Paolo

 

Dio in Gesù si comunica: e noi?

Carissimi,
1. dicembre, legato com’è al Natale, mi riporta alla mente e al cuore:
a) l’invocazione piena di dolorante pietà che Charles Péguy rivolge ad Eva l’antica madre dell’umanità: "O Madre sepolta fuori dal primo giardino, / tu non hai conosciuto il clima della grazia…/ Io ti amo tanto, madre di nostra madre, / tu hai versato tante lacrime dai tuoi occhi. Tu hai levato alto verso i cieli più poveri / uno sguardo creato per un’altra luce…/ Ti amo tanto, ava degradata, / tu hai tanto curvato sotto lo sdegno dei cieli / la tua nuca e i tuoi reni rabbrividenti di miseria…/ Ti saluto, o prima donna, / la più infelice e deludente, / ava dai lunghi capelli, madre di nostra Signora" (C. Péguy, "Eva" 1900-41).
b) Il canto appassionato e dall’andamento biblico che Ungaretti eleva a Cristo: "Cristo, pensoso palpito, / Astro incarnato nell’umane tenebre, / Fratello che t’immoli / Perennemente per riedificare / Umanamente l’uomo, / Santo, Santo che soffri, / Maestro e fratello e Dio che ci sai deboli. / Santo, Santo che soffri / Per liberare dalla morte i morti / E sorreggere noi infelici vivi, / D’un pianto solo mio non piango più, / Ecco, Ti chiamo, Santo, / Santo, Santo che soffri" (G. Ungaretti).
c) Al Principio, a Dio vale a dire, che, nella logica del suo amore incondizionato, onnipotente e fedele, dopo avere creato l’uomo, lo ammette alla sua intimità offrendogli la sua stessa vita, comunicando con lui in Gesù.
2. Gesù è dono gratuito dello Spirito Santo all’umanità. Tale dono giunge con l’accettazione, di Maria e di Giuseppe, della creatura insomma, obbediente, consapevole, generosa e incondizionata, a Nazaret, umile e povera a Betlemme. Gesù muove i primi passi, portatore di luce e di liberazione a quei mezzo pagani che abitavano ‘la terra di Zabulon e la terra di Neftali, oltre il Giordano e la curva di Goim’ (Is 9,1). Annunziato ai poveri, marginali ed esclusi, anche in senso religioso, del suo tempo, viene da loro accolto mentre passa inosservato o risulta ingombrante per gli Augusto, i Quirinio e i loro piccoli luogotenenti e periferici accoliti avidi di ricchezza e di potere. Additato da Giovanni, è identificato con il Messia di cui avevano parlato i profeti. Inizia la sua attività in Galilea, prima di passare oltre, alla Giudea e a Gerusalemme, dove ‘sale’ per portare a compimento la missione presentandosi via verità e vita, amico degli sconfitti, non giudice ma medico alla ricerca degli ammalati del corpo e dell’anima, vincitore della morte, inviato da Dio nella umiltà del servo, disprezzato, escluso, processato, crocifisso, morto e risorto.
Conoscerlo sempre meglio Gesù, cedere e farsi prendere dal suo amore puro, gratuito, assoluto. Come Zaccheo, come Levi, come la donna della casa di Simone; invaghirsi di lui, farne propri i pensieri, le azioni, le aspirazioni, i progetti, le ansie, le parole, i gesti. Come i milioni di testimoni del passato e dell’attualità.
Conoscerlo non in un vago e romantico richiamo al suo tempo, alla grotta di Betlemme alle stelle, alle nenie, alla stagnola e alle zampogne ma vivendo al caldo della sua presenza qui e oggi (Mt 28,20), nelle odierne sette miglia delle attuali vie che vanno alle attuali Emmaus (Cfr Lc 24,13-14).
Conoscerlo riconoscendolo negli altri nei riguardi dei quali, ci insegna il Magistero, mai ci si può porre algidi giudici, aristocraticamente indifferenti, egoisticamente disimpegnati.
Infatti "le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore. La loro comunità, infatti, è composta d’uomini, i quali, riuniti insieme nel Cristo, sono guidati dallo Spirito Santo nel loro pellegrinaggio verso il Regno del Padre, ed hanno ricevuto un messaggio da proporre a tutti. Perciò essa si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia" (La Chiesa nel mondo contemporaneo, 1).
Dio brilla dinanzi alla Chiesa, popolo in cammino, come Colui che offre la comunione con sé alla umanità.
Il Natale indica la strada di questa comunione: Gesù è la via: "Sappia dunque con certezza tutta la casa d’Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso! All’udire tutto questo si sentirono trafiggere il cuore e dissero a Pietro e agli altri apostoli: ‘Che cosa dobbiamo fare, fratelli?’ E Pietro disse: ‘Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito Santo. Per voi infatti è la promessa e per i vostri figli e per tutti quelli che sono lontani, quanti ne chiamerà il Signore Dio nostro’. Con molte altre parole li scongiurava e li esortava: ‘Salvatevi da questa generazione perversa’. Allora coloro che accolsero la sua parola furono battezzati e quel giorno si unirono a loro circa tremila persone" (At 2, 36-41).
Il Santo Padre conferma la Chiesa nella stessa linea quando fa’ risuonare la parola di Gesù "Duc in altum!" (Lc 5,4) e proclama che "non una formula ci salverà ma una Persona, e la certezza che essa ci infonde: Io sono con voi! Sicché non si tratta di inventare un nuovo programma, perché il programma c’è già: è quello di sempre, raccolto dal Vangelo e dalla viva Tradizione. Esso si incentra, in ultima analisi, in Cristo stesso, da conoscere, amare, imitare, per vivere in lui la vita trinitaria, e trasformare con lui la storia(…) E’ un programma che non cambia con il variare dei tempi e delle culture, anche se del tempo e della cultura tiene conto per un dialogo vero e una comunicazione efficace. Questo programma di sempre è il nostro per il terzo millennio" (Novo Millennio Ineunte, 29).
Sembra di sentire Isaia: "Mia forza e mio canto è il Signore; egli è stato la mia salvezza. Attingerete acqua con gioia alle sorgenti della salvezza. Direte: ‘Lodate il Signore, invocate il suo nome; manifestate tra i popoli le sue meraviglie, proclamate che il suo nome è sublime’. Cantate al Signore" (12,1-5).
3. La conoscenza di Gesù Cristo però, per ben due motivi, non si può dare per scontata.
a) "L’umanità vive oggi un periodo nuovo della sua storia, caratterizzato da mutamenti profondi e rapidi che progressivamente si estendono all’intero universo. (…) Possiamo così parlare di una vera trasformazione sociale e culturale che ha i suoi influssi anche nella vita religiosa. E come accade in ogni crisi di coscienza, questa trasformazione reca in sé non lievi difficoltà" (La Chiesa nel mondo contemporaneo, 4).
Metodi d’approccio esperimentati per secoli, efficacissimi in altri contesti, risultano oggi improponibili e, in ogni caso, inefficaci (a titolo d’esempio i quaresimali, le novene e i tridui in occasione di feste della Vergine e dei santi, l’associazionismo capillare cattolico, il ruolo educatore della famiglia patriarcale e della società che non conosceva forma alcuna di pluralismo, per certi versi, il controllo sociale…) e intanto già una generazione, pur continuando a celebrare i sacramenti della fede in modo apprezzabilmente generalizzato, è cresciuta senza la formazione supposta dalla fede stessa e dai sacramenti che della fede, sono strumento e segni.
Forse, può risultare utile mettersi davanti a queste domande:
* Quali modalità, mediamente, assume la catechesi agli adulti nelle nostre comunità?
* Quanti i battezzati che chiedono un accompagnamento spirituale o che celebrano con regolarità la Penitenza o chiedono i sacramenti della fede quando volge al termine la giornata terrena? intendono la vita come missione e cammino?
* Quanti quelli che fanno Pasqua e che partecipano assiduamente alla Messa domenicale? (Sarà utile tenere presente che in un suo libro recentemente dato alla stampa il Prefetto della Congregazione della Fede parla della Chiesa affetta da ‘apostasia pratica’).
Forse, talvolta anche sulle nostre labbra affiora la constatazione di Geremia: "I miei occhi grondano lacrime notte e giorno, senza cessare, perché da grande calamità è stata colpita la figlia del mio popolo, da una ferita mortale. Se esco in aperta campagna, ecco i trafitti di spada; se percorro la città, ecco gli orrori della fame. Anche il profeta e il sacerdote si aggirano per il paese e non sanno che cosa fare" (14,17-18).
b) Il conoscere poi, anche a memoria, il Vangelo non comporta, per sé, necessariamente la ‘conoscenza’ saporosa, vitale di Gesù Cristo. E tale conoscenza è l’unica capace di animare la cultura, motivare e innervare analisi, scelte e decisioni, in definitiva di dare senso alla vita. Penso, sempre a titolo d’es., a Giovanni Crisostomo che insegnava: "Finché saremo agnelli vinceremo e, se saremo circondati da numerosi lupi, riusciremo a superarli. Ma se diventeremo lupi, saremo sconfitti, perché saremo privi dell’aiuto del pastore. Egli non pasce lupi ma agnelli. Per questo se ne andrà e ti lascerà solo, perché gli impedisci di manifestare la sua potenza" (Omelie sul Vangelo di Matteo) e penso immediatamente, per contrasto, per il quale ‘chi pecora si fa’ il lupo se la mangia’, e mi chiedo – è domanda retorica – quale dei due insegnamenti sia più presente nel modo di pensare medio.
4. E’ stato scritto che in principio Dio creò… il punto di domanda e lo pose nel cuore dell’uomo e, qui, la domanda è: ‘che fare?’ e sarebbe sciagura non sentirne il pungolo, mentre è grazia avvertire l’urgenza di cercare modi per non metterla a tacere, non dimenticarla e individuare le risposte.
Che fare, allora? Cedere al disfattismo divertito e un po’ saccente alla Belli? (Ricordate? "Ner guardà queli scheletri io me so accorto / d’una gran cosa, e sta cosa è questa: / che l’omo vivo come l’omo morto / ha una testa de morto in de la testa. / E ho scoperto accusì che o belli o brutti, / o prèncipi, o vassalli, o monsignori, / sta testa che dich’io ce l’hanno tutti" (Gioacchino Belli, Er cimiterio de la morte).
Ma il Vangelo spinge non al disfattismo ed indugia a descrivere la seminagione che vedrà crescere il seme di giorno e di notte, come tu non sai, e porterà dove il trenta, dove il sessanta, dove il cento.
Chiudere gli occhi, come se niente fosse cambiato, pone fuori della realtà e, di più, Gesù esorta alla vigilanza e a leggere quello che ci accade attorno, come quando dal rosso vespertino o dalle prime gemme sui rami si decide se preparasi a fare fronte alla pioggia o a gioire della bella stagione.
Pensare di salvarsi da soli è frutto e matrice d’illusione.
Piangere sulla malizia dell’epoca presente in confronto col passato? Non porta da nessuna parte; l’onorevole narcotico delle prefiche della nequitia temporum è tanto diffuso quanto vacuo e, poi… "trenta frati con il loro abate non possono fare ragliare un asino contro la sua volontà" (Cervantes).
Pregare, dare il buon esempio, fare la propria parte, nel concreto di nostra competenza? E’ importante ma non basta per noi che sappiamo che "è stato Dio a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione. Noi fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio" (2Cor 5,19-21).  E allora?
Il Santo Padre, l’ho appena scritto, ci insegna e testimonia che "non una formula ci salverà né un programma nuovo ma una Persona e la certezza che essa ci infonde: Io sono con voi!". Egli stesso, subito dopo, aggiunge e poi quasi ad ogni pagina ripete: "È necessario tuttavia che questo programma di sempre si traduca in orientamenti pastorali adatti alle condizioni di ciascuna comunità" (Novo Millennio Ineunte, 29).
Fratelli carissimi, qui è la risposta alla domanda ‘come fare perché Cristo sia oggetto di conoscenza e di un autentico invaghimento del cuore?’. Non possiamo agire da soli, se piace, quando va a genio, come estemporaneamente decidiamo, improvvisando, autorefenziali.
Il Piano Pastorale che la nostra comunità ha scelto è la nostra concreta disponibilità alla volontà di Dio. Questo il ‘si’ al suo annunzio recapitato a ognuno con il linguaggio iscritto nel deficit di Vangelo riscontrabile in larghe fasce del popolo, pur cristiano, attorno a noi.
Il Piano Pastorale è il corrispettivo nostro del pronto ‘fiat’ di Maria al Divino Messaggero e della povertà di lei che al suo Bambino non può offrire altro che una mangiatoia incavata in una stanza sulla quale pure altri della casa e della famiglia di Davide, in occasione del censimento, vanta, diritto.
Il Piano Pastorale presuppone la disponibilità e la povertà dei santi, sempre sulla scia di Gesù che non ha dove posare il capo, "è sempre nel Padre e il Padre in lui" (Gv, 14,11), "dice al mondo solo quello che ha udito da colui che l’ha mandato" (Gv 8,26), "non può fare nulla da sé ma solo ciò che vede fare al Padre" (Gv 5,19) , nelle piccole cose di ogni giorno matura la capacità a servizio del Regno (Cfr 25,20).
Il Piano Pastorale, se pazienti, tenaci, disposti al nuovo, convinti di non essere né il mondo né il centro del mondo, ci porrà nelle mani i piccoli gruppi, prezioso strumento, ‘luogo’ di cui oggi non disponiamo, che ci consentirà di annunziare Gesù morto e risorto, con continuità, regolarità, organicità, a tutti quelli che vorranno.
5. Il Piano Pastorale, ci mancherebbe solo questa, non è domma di fede ma strumento.
Epperò a nessuno viene in mente di buttare tra i ferri vecchi o nell’immondezzaio l’Anno Liturgico e la basilica di S. Pietro, l’Imitazione di Cristo, la Secunda Secundae di San Tommaso e le Università Pontificie, la Rerum Novarum e la Mater et Magistra, il parrocato e la CEI, il valore dei Codices Unciales A, B e C della prima metà del primo millennio cristiano, i Codices minusculi O 31 ed O 28 di Parigi e di Mosca, gli altri religiosamente custoditi nei monasteri del monte Athos e i papiri di Qumram perché non sono dommi ma strumenti, perché Athos, Roma e Qumram sono nomi di località un po’ remote rispetto al Valdemone e non contigue al Timeto, al Furiano e all’Inganno, all’Agatirso, a Gioiosa Guardia, alla Sella Contrasto, alla Rocca di Alcara, al Monte Soro e al Monte dei Tre Santi. Di più, non perché cultori di autarchica presunzione ma per coerenza con la semplicità evangelica, evitiamo capi griffati, braccialetti, Rolex e Limousine confezionati, come tutti sanno, al di là di Scilla e Cariddi e, talvolta, oltre Gibilterra e sull’altro versante del Cervino.
6. La Provvidenza, ha disposto che fosse, con la sua grazia, la nostra generazione a gestire il passaggio epocale nel quale siamo immersi. Certi che il Padre non poteva essere distratto, convinti che non ha trovato soggetti più ‘inadatti’, vorremo essere generosamente disponibili, coerenti con la consegna che di noi abbiamo fatto ‘in manus suas’.
Come Abramo, nostro padre nella fede, che accetta di emigrare verso una terra ignota e tutto punta su un figlio ‘impossibile’ .
Come Mosè, condottiero efficace oltre il Mare Rosso, pur se dalla lingua impacciata.
Come Davide privo di armatura, provvisto di misera fionda ma forte in nomine Domini e, dunque, vincitore contro Golia, forza scatenata della natura e consumato conoscitore di tutte le tecniche militari.
Come Giovanni Battista, voce che, appena ha gridato: ‘nel deserto preparate la via al Signore’, scompare per distogliere gli sguardi da sé.
Come Benedetto da Norcia, Cirillo e Metodio, timonieri nel mare tempestoso dei due polmoni dell’Europa.
Come Francesco d’Assisi, che ricco solo di madonna Povertà, coniugando da genio irripetibile estrema libertà e assoluta obbedienza, ripara la Chiesa.
Come Ignazio di Loyola che, nessuna cosa al mondo avrebbe reso malinconico e distolto dalla sua tensione A.M.D.G.
Come Teresa d’Avila che convinta e da par suo canta: Nada te turbe / Nada te espante, (ti spaventi) / Todo se pasa / Dios non se muda, / La paciencia / Todo lo alcanza; / Quien a Dios tiene (a chi Dio possiede). / Nada le falta / Solo Dios basta!
Come Paolo VI che, novello Abramo, ha additato alla Chiesa la strada nuova, antica e sempre verde della Evangelizzazione.
7. Alla grazia divina, alla protezione della Tuttasanta e dei nostri santi non mancherà, ne sono certo e speranzoso alla luce del passato e del presente di grazia e comunione ecclesiale della Chiesa Pattese, la nostra impegnativa, aperta e umile, fattiva e audace collaborazione..

 

Ho incontrato un uomo di pace!

1. La pace è:
a) bene grande (capiamo da noi e dall’insistenza della Chiesa con le sue ripetute iniziative), in pericolo e, in troppi luoghi, ferito o morto (basta ‘leggere’ con attenzione la realtà). E che ferite!
Conosciamo per via dei mezzi di comunicazione di massa le città devastate dalle incursioni aeree, della convivenza impossibile, i mucchi di bambini mutilati, la paura dipinta negli occhi dalla fame, dalle mine antiuomo e dalla impossibilità di una qualche programmazione del futuro.
Quando Pio XII, dopo un bombardamento, andò a confortare i feriti e i sopravvissuti nel quartiere attorno a San Lorenzo al Verano, un uomo gli gridò: "Santo Padre, ci liberi dalla guerra! Meglio la schiavitù che la guerra!".
A distanza di sicurezza, è facile notare l’assurdità della affermazione contenuta nell’invocazione, resta però quanto questa la dica lunga.
b) dono eccellente promesso da Dio: "un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il segno della sovranità ed è chiamato: Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace; grande sarà il suo dominio e la pace non avrà fine sul trono di Davide e sul regno, che egli viene a consolidare e rafforzare con il diritto e la giustizia, ora e sempre; questo farà lo zelo del Signore degli eserciti (Is 9, 5- 6);
c) da chiedere col digiuno e l’elemosina nella preghiera; a proposito dei quali è utile ascoltare la voce dei maestri: "Tre le cose, per cui sta salda la fede, perdura la devozione, resta la virtù: preghiera, digiuno, misericordia. Ciò per cui la preghiera bussa, lo ottiene il digiuno, lo riceve la misericordia. Queste tre cose sono una cosa sola, e ricevono vita l`una dall`altra. Il digiuno è l`anima della preghiera e la misericordia, la vita del digiuno. Nessuno le divida, perché non stanno separate. Chi ne ha solo una e non tutte e tre insieme, ha niente. Perciò chi prega, digiuni. Chi digiuna abbia misericordia. Chi domandando desidera essere esaudito, esaudisca chi gli rivolge domanda. Chi vuol trovare aperto verso di sé il cuore di Dio non chiuda il suo a chi lo supplica. Chi digiuna comprenda bene cosa significhi per gli altri non aver da mangiare. Ascolti chi ha fame, se vuole che Dio gradisca il suo digiuno. Abbia compassione, chi spera compassione. Chi domanda pietà, la eserciti. Chi vuole che gli sia concesso un dono, apra la sua mano agli altri. Richiede male chi nega agli altri quanto domanda per sé.
Sii per te regola di misericordia. Come vuoi che si usi misericordia a te, usala tu agli altri. La larghezza di misericordia che vuoi per te, abbila per gli altri. Da’ agli altri la pronta misericordia, che desideri per te.
Perciò preghiera, digiuno, misericordia siano per noi un`unica forza mediatrice presso Dio, siano per noi un`unica offesa, un`unica preghiera sotto tre aspetti.
Conquistiamo con il digiuno quanto perso col disprezzo. Immoliamo le nostre anime col digiuno perché nulla di più gradito possiamo offrire a Dio, come insegna il profeta: ‘Uno spirito contrito è sacrificio a Dio, un cuore affranto e umiliato, tu, o Dio, non disprezzi’ (Sal 50, 19).
Offri a Dio la tua anima ed offri l`oblazione del digiuno, perché sia pura l`ostia, santo il sacrificio, vivente la vittima, che a te rimanga e a Dio sia data. Chi non da' questo a Dio non sarà scusato, perché non può avere se stesso da offrire. Ma perché tutto ciò sia accetto, sia accompagnato dalla misericordia. Il digiuno non germoglia se non è innaffiato dalla misericordia. Il digiuno inaridisce, se inaridisce la misericordia. Ciò che è la pioggia per la terra, è la misericordia per il digiuno. Quantunque ingentilisca il cuore, purifichi la carne, sradichi i vizi, semini le virtù, il digiunatore non coglie frutti se non farà scorrere fiumi di misericordia.
Tu che digiuni, sappi che il tuo campo resterà digiuno se resterà digiuna la misericordia. Quello invece che tu avrai donato nella misericordia, ritornerà abbondantemente nel tuo granaio. Pertanto, perché tu non abbia a perdere col voler tenere per te, elargisci agli altri e allora raccoglierai. Da’ a te stesso, donando al povero, perché ciò che avrai lasciato in eredità ad un altro, tu non lo avrai" (S. Pietro Crisologo, Discorsi).
d) soggetta ad ambiguità come testimoniano espressioni quali: ‘la pace romana, americana’, Signore Gesù Cristo, che hai detto ai tuoi apostoli: ‘Vi lascio la pace, vi do la mia pace’, non guardare ai nostri peccati, ma alla fede della tua Chiesa, e donale unità e pace secondo la tua volontà.
2. Ci sono delle obiezioni contrastanti; si dice:
a) ‘La pace viene da sé’. Sì e no: l’uomo è portato al conflitto e nell’arte d’uccidere progredisce;
b) ‘Tocca ai politici interessarsi della pace!’ Si e no: tocca pure a noi popolo, alla opinione pubblica, agli educatori: genitori, maestri, giornalisti, scrittori, operatori;
c) ‘E’ dovere combattere per la giustizia!’ Si e no: combattere senza uccidere;
d) ‘La pace? Impossibile!’ Sì, per via di democrazia: chi guida oggi le sorti dei popoli? Sì, per via d’educazione e di mentalità.
3. Perché e in che cosa si concreta il nostro pellegrinaggio per la pace? Siamo qui, per pregare e per una riflessione dalle sfumature varie che riguardano politica, storia e hanno riflessi pratici. Una riflessione rivolta all’uomo nella sua interezza. Ascoltiamo, intanto, un maestro.
"Tu ama. La carità unita alla fede ti condurrà alla pace. Quale pace? Pace vera. Pace piena. Pace sicura. Quella che non ha nemici e non conosce guai. Quella che è sintesi e condizione dell’umana convivenza" (S.Agostino, Discorso 168).
4. Sulla base della parola di Gesù che ha detto: "beati i promotori della pace, perché saranno chiamati figli di Dio" (Mt 5, 9) tocca a ciascuno di noi:
a) la formazione di una coscienza umana che: evidenzi le tendenze da moderare e correggere; elimini la facile scappatoia della distinzione ‘noi‘ e gli ‘altri’; distingua la giustizia dalle pseudo-giustizie e dalle sue travi portanti che sono vendetta, rappresaglia, regolamento di conti, gelosie, odi, fanatismi, pregiudizi.
Esige: che si coltivi il fascino della pace: ama la pace, abbi pace, (S. Agostino) e fatti possedere da essa; la riflessione costante sulla pace; "poche cose corrompono tanto un popolo quanto l’abitudine all’odio"(A. Manzoni, Osservazioni sulla morale cattolica).
L’ideale della pace è andato incontro alla degradazione, ci rassegna alla grande industria degli armamenti, alla rinascita degli equilibri di potenza, alla fiducia nella violenza, al risorgere degli esclusivismi razzisti, agli squilibri economici tra i popoli e le classi, alla lotta come sistema con quanto essa comporta d’irrazionalità e d’odio. "Mentre una casa materiale non può contenere molti inquilini, la casa della pace è più sicura se sono molti quelli che vi abitano" (S.Agostino, De laude pacis, Discorso 357).
Realizzare una pace che non sia solo armistizio è più difficile che vincere una guerra.
b) la formazione di una coscienza cristiana che:
* vada oltre la coscienza e la consapevolezza umane e tenga presente che "la pace è frutto proprio della carità e, al pari della carità, si estende a Dio e al prossimo" (S.Agostino);
* veda e faccia propria la serietà profonda e grave dell’insegnamento di un padre della Chiesa, S. Agostino, che in un commento al salmo 19, prima legge: "Il timore del Signore è puro, dura sempre; i giudizi del Signore sono tutti fedeli e giusti, più preziosi dell'oro, di molto oro fino, più dolci del miele e di un favo stillante. Anche il tuo servo in essi è istruito, per chi li osserva è grande il profitto. Le inavvertenze chi le discerne? Assolvimi dalle colpe che non vedo. Anche dall'orgoglio salva il tuo servo perché su di me non abbia potere; allora sarò irreprensibile, sarò puro dal grande peccato" (Sal 19,10-14). (Prima legge dicevo) e poi si chiede quale sia il peccato grande di cui parla il salmista e risponde: "Delictum magnum arbitror esse superbiam!".
E che cosa è la superbia? La superfetazione dell’io, dicono i moderni psicologi. L’uomo che si organizza senza o contro Dio, il peccato, dicono i santi e tutta la tradizione ascetica cristiana.
È il nostro peccato, è l’origine di tutti i mali, dobbiamo convenire noi, perché, se mi pongo contro o semplicemente senza Dio, mi pongo contro la verità, non sono libero, sono schiavo di tutte le miserie, sono disposto, per saziare me, a tutto.
Fuori della verità, sono ribelle a Dio, contro gli altri e, alla fine, pure la natura mi diviene nemica.
Mi sembra di sentire fortemente urgente la invocazione del salmista: "Non travolgermi con gli empi, con quelli che operano il male". È pesantemente vera la sua constatazione: "Parlano di pace al loro prossimo, ma hanno la malizia nel cuore" (Sal 28,3).
5. So che per noi qui radunati è oziosa la domanda ‘perché la pace?’. Non è però oziosa per tutti, e noi sappiamo che persegue guerra e che non manca chi crede che essa sia un bene.
Mi auguro che torniamo alle nostre case, dopo essere stati qui nella casa della Regina della Pace, la nostra Madonna Nera di Tindari, con una risposta concreta all’altra domanda ‘Come la pace?’ Concreta questa domanda come se suonasse ‘cosa devo fare’ per la pace?. Ed è concreto ciò che non si può riassumere, ciò che è come suona, senza giri di parole, senza diplomazia.
È concreto l’impegno a prestare attenzione all’altro - determinato: genitore, coniuge, figlio, collega - da ascoltare e ricevere, cui dare, cui parlare.
È concreto l’impegno all’umiltà che fa’ considerare l’altro fratello con cui collaborare, i talenti come strumenti per servire.
È concreto l’impegno - cercando o accettando proposte - nella preghiera umile e costante.
È concreto l’impegno - assegnandomi dei tempi - nella vita interiore che è come dire l’impegno che illuminato e sostenuto dalla grazia proietta nel compiere quello e come farebbe Gesù, nostro fratello e salvatore, se visibilmente dovesse agire al nostro posto.
E concreto è il mio agire - individuando bene le persone con cui ho rapporti conflittuali - quando a chi m’incontra do di dire: ho incontrato un uomo del Vangelo, un uomo affabile (affabile è colui che volentieri, magari senza sapere perché, si torna ad incontrare perché, parlando con lui e ascoltandolo, magari senza rendersene conto subito, si è nutriti di Vangelo), un uomo di pace.

 

Chiesa: popolo del Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe

Carissimi,
1. "Chiesa: popolo del Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe" è il tema ecclesiale che il Piano Pastorale Diocesano assegna a febbraio, il mese segnato dall’inizio e da un terzo del cammino quaresimale di quest’anno.
Il tema "nostro" si coniuga provvidenzialmente con il messaggio "alla Chiesa" del Santo Padre per la Quaresima 2002.
Messaggio autorevole perché viene dal S. Padre e perché ruota attorno alla parola di Gesù "GRATUITAMENTE AVETE RICEVUTO, GRATUITAMENTE DATE" (Mt 10, 8). Messaggio che, propone il Papa, deve animare di sé predicazione, preghiera e azione dei battezzati dato che esso è stato recapitato fin dal 4 ottobre 2001.
2. La gratuità deve improntare il dare del credente ben sapendo egli di essere nel suo sorgere, nel suo esistere e nel suo attendere la salvezza così un concentrato di doni della Divina Gratuità da sentire vivissimo l’ammonimento dell’Apostolo "cosa possiedi mai, che tu non abbia ricevuto?" (1 Cor 4,7).
Il Dio di Abramo è, infatti, Dio che gratuitamente, per puro amore, sceglie per sé un popolo, si allea con esso, sceglie e opera con questo popolo in vista della salvezza di tutti gli uomini, per fare di loro un solo popolo, il suo popolo. "Popolo suo" è come dire popolo che:
- non riconosce altro capo che Cristo,
- accetta, cerca e crea condizioni di dignità e libertà per tutti i figli di Dio,
- riconosce la legge dell’amore sulla scia di Cristo che ha tanto amato da porre la sua vita in riscatto per tutti,
- si sa pellegrino verso il Regno.
3. Anima della Quaresima la conversione la quale, prima che miglioramento nell’agire, è accettazione e contemplazione dell’Amore Gratuito. Dall’accettazione di un Dio ‘così’, l’agire gioiosamente conforme al Vangelo.
"Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui" (Gv 3,16-17).  Chi può meritare tale dono?
"Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, in virtù della redenzione realizzata da Cristo Gesù. Dio lo ha prestabilito a servire come strumento di espiazione per mezzo della fede, nel suo sangue, al fine di manifestare la sua giustizia, dopo la tolleranza usata verso i peccati passati"(Rm 3,23-25).
Non possiamo cessare di farci illuminare da tale amore per esserne stupiti ed esperimentare, sempre da capo, che la vita, tutta e per sempre, è:
* segnata da tale benevola gratuità,
* da accogliere e amare in ogni condizione e stadio,
* mai possesso.
4. Gratuitamente abbiamo ricevuto, gratuitamente dobbiamo dare. Dare che cosa?
Vita santa, risponde il Santo Padre, e testimone dell’Amore Gratuito.
E insiste: l’esistenza improntata alla gratuità è la vocazione del cristiano.
Gratuitamente avete ricevuto, date gratuitamente: parola semplice che giudica, sconvolge e rovescia lo schema, punto cristiano del do ut des (do per ricevere o perché ho ricevuto, o perché spero di ricevere, o temo di perdere), ma largamente imperante attorno e dentro di noi.
5. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. Con tre specificazioni.
a) Ricevere e dare non tollerano di essere svuotati nell’astrazione: si riceve se si riceve e si dà se si dà. Non è possibile dire di avere ricevuto e di avere dato se non si è in grado di indicare cosa si è dato o ricevuto.
b) "Avete ricevuto", da Dio s’intende, e indica la nostra origine, "date", al prossimo, si comprende, è il nostro programma, "gratuitamente" qualifica il nostro stile.
c) Guai a sbagliare stile, o programma: non arriveremmo alla mèta e Gesù direbbe: "non vi conosco" e "Che giova infatti all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima? E che cosa potrebbe mai dare un uomo in cambio della propria anima? "(Mc 8,36-37).
6. Cosa fare.
a) A livello locale, diocesano, nazionale e mondiale non mancano certo palestre per l’esercizio della nostra disponibilità a dare. E non ha, peraltro, detto Gesù che i poveri li avremo sempre con noi? Voi poi ben conoscete situazioni di bisogno per cui basta avere occhi e, principalmente, cuore.
b) Avere cuore.
Avere cuore, dare non possono intendersi solo come risposta a bisogni immediati e materiali.
* Attorno a noi è una massa di "centoventimila persone, che non sanno distinguere fra la mano destra e la sinistra" mentre noi continuiamo forse a "darci pena per una pianta di ricino?" (Gn 4,9.11). Fuori di metafora, accanto a noi è una grande massa che stenta a divenire popolo, il popolo di Dio, che è vittima di imbonitori assatanati per i soldi, che, dalle croci (leggi: malattie, depressioni, imprudenze ecc.), è spinta verso la paccottiglia falso sacrale e la scorciatoia a buon mercato di benedizioni, elargite - buona fede a parte - da santoni facili a preghiere di liberazione recepite come esorcismi: muoviti a pietà!
* Dio Amore, purtroppo, non è Dio con cui si parla perché è ridotto a Dio di cui si parla: non hai cuore?
* C’è nella fascia di popolazione non più giovane, un persistente linguaggio religioso (segni di croce, preghiere biascicate, messe di suffragio, primecomunioni, riti matrimoniali): ti contenti? Non vedi? Non hai cuore? Il Battesimo, amministrato da noi così allegramente, è fabbrica di (solo?) indifferenti!
* Nella fascia più giovane della stessa popolazione, poi, manca anche il linguaggio religioso minimo: non sanno distinguere, in campo religioso, fra la mano destra e la sinistra. Non condividi l’animo di Gesù che "Udito ciò, partì di là su una barca e si ritirò in disparte in un luogo deserto. La folla saputolo lo seguì a piedi dalle città ed Egli sceso dalla barca e vista una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i loro malati. (Mt 14,13-14)?
* La nostra Chiesa Pattese si è dotata di un cammino unitario come esige il Magistero della Chiesa, come è nella natura comunionale della Chiesa: hai cuore? Intensifica il tuo impegno, abbi cuore, mettiti a disposizione.
* Fra qualche tempo, le parrocchie che avranno compiuto il cammino proposto dal Piano Pastorale, avranno dei gruppi in cui si parlerà di Gesù, si testimonierà l’amore di Lui e per Lui, la fede in Lui, la ferma certezza che con Lui, solo con Lui "Siamo certi di contemplare la bontà del Signore nella terra dei viventi. Solo sulla sua parola ha senso l’esortazione: spera nel Signore, sii forte, si rinfranchi il tuo cuore e spera nel Signore" (Sal 27, 13-214): non hai cuore? vuoi restare tu e lasciare la tua comunità fuori di questa gioia?
7.  E come faresti a pregare dicendo: "Ti amo, Signore, mia forza, Signore, mia roccia, mia fortezza, mio liberatore; mio Dio, mia rupe, in cui trovo riparo; mio scudo e baluardo, mia potente salvezza. Nel mio affanno invocai il Signore, nell'angoscia gridai al mio Dio: dal suo tempio ascoltò la mia voce, al suo orecchio pervenne il mio grido" (Sal 18, 2-3.7).
Piuttosto di’:
"Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio. Ho detto a Dio: ‘Sei tu il mio Signore, senza di te non ho alcun bene’.  Si affrettino altri a costruire idoli: io non spanderò le loro libazioni di sangue né pronunzierò con le mie labbra i loro nomi. Il Signore è mia parte di eredità e mio calice: nelle tue mani è la mia vita. Per me la sorte è caduta su luoghi deliziosi, è magnifica la mia eredità. Io pongo sempre innanzi a me il Signore, sta alla mia destra, non posso vacillare. Di questo gioisce il mio cuore, esulta la mia anima;  anche il mio corpo riposa al sicuro, perché non abbandonerai la mia vita nel sepolcro, né lascerai che il tuo santo veda la corruzione. Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena nella tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra" (Sal 16,1-2.4-6.8-11)

 

Il cammino quaresimale

"In quel tempo" è l’incipit della pericope evangelica da noi ascoltata nella Liturgia del Mercoledì delle Ceneri. (Mt 6,1-6. 16-18).
1. Quale tempo.
a) quello nel quale ci viene ripetuto per mezzo di Gioele: Ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti (Gl 2,12-18) e per mezzo dei sacri ministri: noi fungiamo da ambasciatori per Cristo come se Cristo esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare (2Cor 5,20);
b) ogni tempo e, dunque, questo nostro tempo tremendo, meraviglioso e unico per noi;
c) il sacro tempo della Quaresima con cui da qui al 27 marzo ci prepariamo a celebrare, rinnovati nello spirito, il sacro Triduo della passione, morte e risurrezione di Gesù.
2. "In quel tempo" sveglia nella mia mente l’osservazione con la quale Marco connota l’inizio della vita pubblica di Gesù che vi propongo perché la teniate presente pregando qui, ora, insieme. Eccola. "Dopo alcuni giorni, entrò di nuovo a Cafarnao. Si seppe che Gesù era in casa e si radunarono tante persone, da non esserci più posto neanche davanti alla porta, ed egli annunziava loro la parola" (Mc 2,1-2). Propongo 3 sottolineature.
a) La prima connotazione Gesù entrò ‘di nuovo’ a Cafarnao. Essa ci conferma che Dio non si stanca mai e ci insegue amorosamente. Del resto conosciamo a mente quel che la Parola ci dice e la chiesa fa ripetere ogni giorno si suoi sacerdoti: "per quarant'anni mi disgustai di quella generazione e dissi: Sono un popolo dal cuore traviato, non conoscono le mie vie" (Sal 95, 10); semmai, per noi, va aggiornato il numero degli anni dell’attesa del Padre buono che è Dio.
b) Carica di appello alla responsabilità l’altra indicazione ‘si seppe che Gesù era in casa’ che suscita più di una domanda: da che cosa le persone capirono che c’era Gesù?
Dalla accoglienza che riservata ai poveri ed afflitti vari? Dai miracoli che sollevavano gli ammalati? Dalla libertà ridonata alle vittime dei raggiri di satana? Sì, ma non solo.
Di una casa si comprende che Gesù vi abita dal modo di capire e parlare di Dio e dalla condotta conforme ai comandamenti del Padre. Miracoli, tradizioni, prediche, amicizie, da sole, non hanno senso.
E’ ovvio che si parla di Gesù, che per l’appunto di lui si dice che si venne a sapere che era in casa. E non elemento da poco, anzi è tutto, perché senza Gesù la casa di Cafarnao è vuota, nuda; non da’ riparo, sicurezza, speranza; chiude nell’individualismo chi vi abita.
c) Infine, la connotazione per la quale sappiamo che in quella casa in Cafarnao, dopo esservi tornato, Gesù ‘annunziava’ loro la parola. Cafarnao una ben determinata città pullulante di gente che vale e che Gesù ha privilegiato nella sua attività di predicatore e taumaturgo è, forse, la Chiesa, è ognuna delle nostre persone così cariche della predilezione divina di cui ci dobbiamo chiedere che conto facciamo. La Chiesa e le nostre persone che, per l’appunto, senza Gesù, sono vuote, saremo chiamati a rendere conto
3. Il cammino quaresimale ci mette davanti al nostro Signore Gesù Cristo. Seguendolo, arriveremo alla celebrazione della Pasqua, rinnovati nello spirito. A servizio della Parola, indico alcuni ambiti del rinnovamento dello spirito.
a) "Disse Caino al Signore: ‘Troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono? Ecco, tu mi scacci oggi da questo suolo e io mi dovrò nascondere lontano da te; io sarò ramingo e fuggiasco sulla terra e chiunque mi incontrerà mi potrà uccidere’. Ma il Signore gli disse: ‘Però chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte!" (Gn 4,13-15). "Allora Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: ‘Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?’. E Gesù gli rispose: ‘Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette’" (Mt 18,21-22). L’appello di Gesù è chiaro: nella economia antica vigeva l’invito a passare dalla bieca vendetta a una forma ragionevole di giustizia. Occorre però andare oltre, dare spazio all’amore e perdonare sette volte sette, che è come dire sempre, come Dio. A questo siamo chiamati.
Perché Dio fa’ così. Perché Dio è così. Perché il nostro Dio manifesta la sua onnipotenza soprattutto nella misericordia e nel perdono, ha viscere di misericordia, non vuole la morte del peccatore - di me peccatore si parla - ma che si converta e viva. Agli uomini offre ripetutamente la sua alleanza e, per mezzo dei profeti insegna a sperare nella salvezza.
Ama tanto il mondo da mandare a noi il suo unico Figlio che:
* si è fatto uomo per opera dello Spirito Santo ed è nato dalla Vergine Maria;
* ha condiviso in tutto, eccetto il peccato, la nostra condizione umana;
* annunziò ai poveri il vangelo di salvezza, la libertà ai prigionieri, agli afflitti la gioia;
* per attuare il suo disegno di redenzione si consegnò volontariamente alla morte, e risorgendo distrusse la morte e rinnovò la vita;
* perché non viviamo più per noi stessi ma per lui che è morto e risorto per noi, ha mandato, lo Spirito Santo, primo dono ai credenti, a perfezionare la sua opera nel mondo e compiere ogni santificazione (Cfr Preghiera Eucaristica IV).
Il rinnovamento riproposto dal cammino quaresimale riguarda il modo di agire, il passaggio di civiltà, per ripetere l’espressione già usata. Però primariamente riguarda il modo di intendere Dio, l’immagine che ci facciamo di lui. Urge lasciare l’immagine di Dio:
- grande vecchio dalla barba canuta e fluente che, nel suo paradiso, è troppo occupato nella sua gloria per interessarsi all’uomo con le sue miserie;
- meschino che non degna di uno sguardo chi non sta dalla nostra parte;
- contabile occhiuto che impone obblighi e annota cadute per trarne le dovute conseguenze;
- parafulmine da tenere ben oleato per le emergenze;
- vitamina che ci fornisce adrenalina per le difficoltà;
- distributore di grazie a seconda del numero di ceri che gli mettiamo a disposizione.
Discreto elenco di immagini di Dio da lasciare perché false per passare, per convertirci, al Dio Buono, Fedele, Pieno e Prodigo di gioia, Luce intramontabile, Padre del nostro Signore Gesù, che invita alla sequela, alla intimità, a camminargli accanto.
b) Conosciamo il ruolo del patriarca Giacobbe nella storia della salvezza: nella sua vicenda viene esaltata la gratuità del dono di Dio che lo preferisce a Esaù. I doni di Dio però non contengono la garanzia del buon uso. Satana è lì, sempre accovacciato, dinanzi alla nostra porta, a cogliere e creare occasioni per farci perdere la via. E Dio se ne lamenta: "Giacobbe ha mangiato e si è saziato, - sì, ti sei ingrassato, impinguato, rimpinzato - e ha respinto il Dio che lo aveva fatto, ha disprezzato la Roccia, sua salvezza. Lo hanno fatto ingelosire con dèi stranieri e provocato all’ira con abomini. Hanno sacrificato a demòni che non sono Dio, a divinità che non conoscevano" (Dt 32,15-17). Sarà bene ricordare che i doni di Dio, anche se dati ai singoli, sono sempre per la utilità comune.
c) Una grande afflizione affligge il popolo eletto. Una delle tante. Tutti si chiedono di chi sia la colpa. In questa situazione emerge la grande religiosità del re Davide: "Ho peccato molto per quanto ho fatto; ma ora, Signore, perdona l'iniquità del tuo servo, poiché io ho commesso una grande stoltezza. Io ho peccato; io ho agito da iniquo; ma queste pecore che hanno fatto? La tua mano venga contro di me e contro la casa di mio padre!" (2Sam 24,10.17).
Per la naturale tendenza a scaricare le responsabilità sulle colpe degli altri c’è un ambito di riflessione, preghiera, e conversione.
E ad evitare equivoci, in campo religioso ed ecclesiale non meno che in campo civile.
d) Dei SS. Basilio e Gregorio leggiamo nella Liturgia delle ore, che non cercavano ciò che potesse fare eccellere l’uno sull’altro ma ciò che potesse fare primeggiare l’altro. Bella, esemplare questa amicizia. E’ però cosa buona, nostro dovere e fonte di salvezza ricordare che già prima era stato scritto: "non cerchi ciascuno il proprio interesse ma piuttosto quello degli altri" (Fl 2,4) e che "il buon pastore offre la vita per le sue pecore" (Gv 10,11).
4. Che fare?
a) Fratelli, le belle idee non convertono; i santi desideri, sì. Sono essi il motore della vita e la possono convertire. Occorre che ci esercitiamo nel verificare quali siano i desideri che si succedono nel nostro spirito ed occorre che ci rivolgiamo alla Madre del Signore perché ci ottenga i doni del silenzio e dello stupore. Essi affondano le radici nella disponibilità umile e nella povertà. Come a Nazaret, come a Betlemme. Dove Maria e Giuseppe crescono in servizio.
Il dono del servire. Come Lei nella casa Elisabetta.
Il dono di accettare Gesù non toccasana per i nostri problemi, ma sempre nelle cose del Padre, che cresce in età sapienza e grazia.
b) "Hanno trapassato le sue mani e i suoi piedi, hanno squarciato il suo petto con la lancia; e attraverso queste ferite io posso succhiare miele dalla rupe, olio dai ciottoli della roccia, crema di mucca, latte di pecora, grasso di agnelli, fior di farina, sangue di uva". San Cipriano in questo testo ci insegna, con l’autorevolezza che gli viene dalla scienza sacra e dalla santità, che solo ‘il rettore della pace e maestro dell’unità pace’, il nostro Signore Gesù Cristo, può darci dal Padre, con la forza dello Spirito, di convertirci. Da qui la seconda risposta al nostro interrogativo: occorre guardare il ‘Volto del Figlio, dolente, risorto’ (NMI,24-28) perché ci illumini, riscaldi, e muova. E sappiamo di potere contare sulla sostanza della nostra fede per la quale "l’uomo diventa Dio così come Dio diventa uomo, perché l’uomo è innalzato per divine ascensioni, nella misura stessa in cui Dio si è umiliato per filantropia, pervenendo senza cambiamenti fino all’estremità della nostra natura" (S. Massimo Confessore). Guardare il ‘Volto’ è pregare; è via per purificare, convertire la preghiera, perché Lui, consonanti, adorino la voce e le profondità del cuore; per Lui il cuore arda di casto amore, Lui glorifichi la mente portata dalla sobria ebbrezza dello Spirito.
c) Non basta però. Alla conversione e alla preghiera occorre dare spazi. Per se stesse, infatti, non possono organizzarsi. E gli spazi sono quelli proposti dal Piano Pastorale che la nostra Chiesa si è dato in ubbidienza al Signore che parla nella realtà cambiata, nel Magistero del Concilio e in quello che ci è messo a disposizione - dono sovrabbondante del Padre alla Chiesa - in continuità col Concilio, fino ai nostri giorni.

 

Con l'occhio e il cuore della Chiesa

Carissimi Confratelli,
il nostro incontro mensile si colloca nel bel mezzo del cammino quaresimale: poco più di tre settimane sono alle nostre spalle dal 13 febbraio, mercoledì delle ceneri, altrettante settimane sono davanti a noi fino al 31 marzo Pasqua di Risurrezione.
Se a metà strada, non al bilancio siamo ma al rilancio. Un rilancio da tentare con l’occhio e il cuore della Chiesa nostra Madre.
1. La situazione
Essa, la Chiesa, c’invita a guardare ad alcune diffuse aspirazioni che caratterizzano l’umanità. «Cresce la persuasione che l'umanità può e deve sempre più rafforzare il suo dominio sul creato, che le compete inoltre instaurare un ordine politico, sociale ed economico che più e meglio serva l'uomo e aiuti i singoli e i gruppi ad affermare e sviluppare la propria dignità.
Donde le aspre rivendicazioni di tanti che con viva coscienza reputano di essere stati privati di quei beni per ingiustizia o per una poco equa distribuzione. Gli stati in via di sviluppo o appena giunti all'indipendenza desiderano partecipare ai benefici della città moderna sul piano politico ed economico, e liberamente compiere la loro parte nel mondo, mentre invece cresce ogni giorno la loro distanza e spesso anche la dipendenza economica dalle altre nazioni più ricche, che progrediscono più rapidamente. I popoli attanagliati dalla fame chiamano in causa i popoli più ricchi. Le donne rivendicano la parità con gli uomini di diritto e di fatto. Operai e contadini non vogliono solo guadagnare il necessario per vivere, ma sviluppare la loro personalità col lavoro e prendere la loro parte nell'organizzazione della vita economica, sociale, politica e culturale. Per la prima volta nella storia umana, tutti i popoli sono oggi persuasi che realmente i benefici della civiltà possono e debbono estendersi a tutti.
Sotto tutte queste esigenze si cela un desiderio più profondo e universale: i singoli e i gruppi organizzati anelano ad una vita interamente libera, degna dell'uomo, che metta al proprio servizio quanto il mondo oggi può offrire così abbondantemente. Anche gli stati si sforzano sempre più di raggiungere una certa comunità universale».
Stando così le cose, il mondo si presenta oggi potente e debole, capace di operare il meglio e il peggio, mentre gli si apre la strada della libertà o della schiavitù, del progresso o del regresso, della fraternità o dell'odio. Inoltre l'uomo si rende conto che dipende da lui orientate bene le forze da lui stesso suscitate e che possono schiacciarlo o servirgli. Per questo si pone degli interrogativi.
In verità gli squilibri del mondo contemporaneo si collegano con quel più profondo squilibrio radicato nel cuore dell'uomo. All'interno dell'uomo molti elementi si contrastano. Da una parte infatti, come creatura, esperimenta in mille modi i suoi limiti; dall'altra parte si accorge di essere senza confini nelle sue aspirazioni e chiamato ad una vita superiore. Sollecitato da molte attrattive, è costretto sempre a sceglierne qualcuna e a rinunziare alle altre. Inoltre, debole e peccatore, non di raro fa quello che non vorrebbe e non fa quello che vorrebbe. Per cui soffre in se stesso una divisione, dalla quale provengono anche tante e così gravi discordie nella società.
Certamente moltissimi, che vivono in un materialismo pratico, sono lungi dall'avere la chiara percezione di questo dramma, o per lo meno, se sono oppressi dalla miseria, non hanno modo di rifletterci. Molti credono di trovare pace in un’interpretazione della realtà proposta in assai differenti maniere. Alcuni poi dai soli sforzi umani attendono una vera e piena liberazione della umanità, e sono persuasi che il futuro regno dell'uomo sulla terra appagherà tutti i desideri del loro cuore.
Né manca chi, disperando di dare uno scopo alla vita, loda l'audacia di quanti, stimando vuota d’ogni senso proprio l'esistenza umana, si sforzano di darne una spiegazione completa solo col proprio ingegno. Con tutto ciò, di fronte all'evoluzione attuale del mondo, diventano sempre più numerosi quelli che si pongono o sentono con nuova acutezza gli interrogativi capitali:
Cos'è l'uomo?
Qual è il significato del dolore, del male, della morte che malgrado ogni progresso continuano a sussistere?
Cosa valgono queste conquiste a così caro prezzo raggiunte?
Che reca l'uomo alla società, e cosa può attendersi da essa?
Cosa ci sarà dopo questa vita?
Ecco, la Chiesa crede che Cristo, per tutti morto e risorto, da’ all'uomo, mediante il suo Spirito, luce e forza perché possa rispondere alla suprema sua vocazione; né è dato in terra un altro nome agli uomini in cui possano salvarsi. Crede ugualmente di trovare nel suo Signore e Maestro la chiave, il centro e il fine di tutta la storia umana. Inoltre la chiesa afferma che al di sotto di tutti i mutamenti ci sono molte cose che non cambiano; esse trovano il loro ultimo fondamento in Cristo, che è sempre lo stesso: ieri, oggi e nei secoli” (GS, 9-10).
2. Cosa fa la Chiesa.
L’attività della Chiesa, sempre ma in modo più deciso durante la Quaresima,
a) si ispira alla Parola di Dio (Sal 26,6):
* “Lavo nell’innocenza le mie mani”: non c’è Quaresima e, più ancora, non c’è vita cristiana senza la consapevolezza del bisogno di purificazione. Non basta la consapevolezza e noi siamo graziati perché leggiamo che “Venuti da Gesù e vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua” (Gv 19,33-34) e quell’acqua, simbolo dei sacramenti della Chiesa, lava ogni macchia.
* “giro attorno, al tuo altare, Signore”. La Quaresima è portatrice d’occasioni che riportano all’altare del Signore. L’altare che è al centro delle nostre chiese doverosamente predisposto, ornato, rispettato, fatto centro della preghiera liturgica e dei pii esercizi. L’altare che è qualunque luogo in cui Cristo vive, ama, lavora, s’impegna, soffre dolore, emarginazione, isolamento, ingratitudine, prepotenza, calunnia.
* “per fare risuonare voci di lode per narrare tutte le tue meraviglie”: farsi esperti nel vedere ciò che ci sta attorno, che è opera di Dio, arrivare a vedere “che è cosa buona” (Cfr Gn 1), narrarlo, lodarlo, entrare nel fiume d’acqua viva che canta: “io vivrò per lui, lo servirà la mia discendenza. Si parlerà del Signore alla generazione che viene; annunzieranno la sua giustizia; al popolo che nascerà diranno: Ecco l'opera del Signore!” (Sal 23, 30-32).
b) s’impegna e propone il passaggio dalle immagini del dio provenienti dall’istinto, dalle paure, dalla immaturità dalla fantasia (dio assente o narcisista: un bel vecchio, collocato troppo in alto e troppo preso dalla sua felicità per occuparsi di noi; dio meschino: ha tutti i difetti degli uomini: gelosia, razzismo; dio schiavista: impone obblighi e divieti coi comandamenti, sorveglia chi li osserva, terrorizza chi sbaglia; dio carabiniere: annota gli errori e attende al varco; dio parafulmini: fa comodo quando abbiamo paura o bisogno di qualcosa di più grande di noi; dio vitamina: fornisce un supplemento di forza nelle difficoltà; dio distributore automatico: dietro modico compenso - una candela, i primi venerdì… - è a disposizione) a Dio Padre del Signore nostro Gesù Cristo progressivamente annunziato:
* nella predicazione dei patriarchi e dei profeti inviati per educare l’umanità a sperare nella salvezza:
> “Hai compassione di tutti, perché tutto tu puoi, non guardi ai peccati degli uomini, in vista del pentimento. Poiché tu ami tutte le cose esistenti e nulla disprezzi di quanto hai creato; se avessi odiato qualcosa, non l'avresti neppure creata. Come potrebbe sussistere una cosa, se tu non vuoi? O conservarsi se tu non l'avessi chiamata all'esistenza? Tu risparmi tutte le cose, perché tutte sono tue, Signore, amante della vita, poiché il tuo spirito incorruttibile è in tutte le cose. Per questo tu castighi poco alla volta i colpevoli e li ammonisci ricordando loro i propri peccati, perché rinnegata la malvagità, credano in te Signore” (Sap 11, 23-12,2).
> “Chi avrebbe creduto alla nostra rivelazione? A chi sarebbe stato manifestato il braccio del Signore? È cresciuto come un virgulto davanti a lui e come una radice in terra arida. Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per provare in lui diletto. Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia, era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci da’ salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti” (Is 53,1-5).
> “Risparmi tutte le cose, perché tutte sono tue, Signore, amante della vita, poiché il tuo spirito incorruttibile è in tutte le cose. Per questo tu castighi poco alla volta i colpevoli e li ammonisci ricordando loro i propri peccati, perché rinnegata la malvagità, credano in te Signore” (Sap 11, 23-12,2).
* nella predicazione della Chiesa:
Trovai un uomo che si dibatteva nel dolore della crocifissione. Mi avvicinai e gli dissi: ‘Permetti che io ti aiuti a staccarti dalla croce”. Lui mi rispose: ‘Lasciami dove sono, i chiodi nelle mani e nei piedi, le spine intorno al capo, la lancia nel cuore. Io dalla croce non scendo. Non scendo dalla croce fino a quando sopra vi spasimano i miei fratelli. Io dalla croce non scendo fino a quando, per staccarmi, non si uniranno tutti gli uomini del mondo’. Gli dissi: ‘Gesù, cosa vuoi che faccia per te?’ ‘Vai per il mondo e di’ a coloro che incontrerai che c’è un uomo che aspetta inchiodato sulla croce’ (F.J. Sheen).
c) con nel cuore l’ansia di Gesù:
“Ed ho altre pecore che non sono di quest'ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo” (Gv 10,16-17).
L’ansia per: la moltitudine, la famiglia, i ragazzi, i giovani, i cristiani impegnati in politica, il mondo del lavoro, il settore della sanità, il tempo libero, il mondo della scuola ecc...
3.
L’itinerario quaresimale – riflessione, preghiera, azione intese come parti di una realtà assolutamente unita – è ben significato da due antiche preghiere:
a) “Nella fede in Dio per la quale viviamo nella speranza con la quale crediamo, per il dono dell’amore cantiamo la gloria di Cristo. Egli condotto alla croce per l’offerta sacrificale della passione, portando il patibolo della croce. Preghiamo debitori, redenti, perché Egli liberi dalle maglie mondane, noi che ha sciolto dalla condanna.
b) Nell’ora in cui Cristo con la sete subì la croce, doni sete di giustizia a noi che abbiamo la grazia di cantare.

Egli sia sete, egli di sé la sazi, il peccato riesca insulso e falso e sia la virtù oggetto di vivo desiderio.

La grazia del Santo Spirito oranti ci trasformi
onde si spengano le brame della carne
e si accenda il fervore dello spirito.
Buona Quaresima, carissimi.
Buona Quaresima, preludio necessario alla Pasqua. Come nell’Autore e Perfezionatore della fede così in noi suoi discepoli.
Col rinnovato impegno ascetico di ognuno di noi sostenuto dalla preghiera più fervorosa della Chiesa mentre noi, in essa, con ‘cuore’ intonato, del Padre, di Cristo nato dalla Madre sempre vergine, dell’indicibile nostro Avvocato, cantiamo la gloria.

 

Giovedì Santo 2002

1. L’Assemblea.
La nostra assemblea d’oggi è tra tutte la più bella perché attorno a Gesù significato dall’altare è presente la Chiesa nella interezza e nella varietà del popolo di Dio al cui interno siamo i battezzati, i religiosi, il diacono, il presbiterio col vescovo. L’indicazione di S. Ignazio d’Antiochia ad unionem posta alle mie spalle, sulla dorsale della cattedra rende bene il ruolo di tutti noi chiamati a dare corpo alla preghiera accorata di Gesù che tutti siano una cosa sola, a concretare, qui, l’Una Santa Cattolica ed Apostolica sposa di Cristo.
Vedete bene le tinte che ravvivano la nostra assemblea:
a) il rosso delle rose e l’olio dei catecumeni ci parlano d’attenzione, rispetto e zelo per gli altri che sono i valori che Gesù predica, dei quali vive e per i quali si immola;
b) il bianco della tovaglia dell’altare, delle rose e il sacro crisma ci parlano della grazia divina che è contenuta nella sua presenza, nella sua parola e nei suoi sacramenti; grazia che ci raggiunge cogli infiniti rivoli della generosità divina ed è il criterio e il fondamento della vita e dell’attività di Gesù;
c) il viola degl’iris e l’olio degli infermi ci parlano della umiltà che, insieme alla povertà e al servizio, costituiscono lo stile, il modo di Gesù nel compiere la sua missione; la cifra valutativa della sua attività;
d) i chicchi di grano che, marciti nell’umidità, hanno dato origine ad una nuova spiga, come del resto la primavera ormai tornata, ci parlano della morte che si intreccia con la vita.
2. Uno sguardo più in profondità.
I valori di Gesù: attenzione e rispetto alla persona, il suo criterio: la fedeltà alla grazia, alla Parola, il suo stile fatto d’umiltà, povertà e servizio devono naturalmente essere della Chiesa, nostri, dunque.
Va da sé che è così, Gesù è norma per la sua chiesa e, in essa, per ognuno di noi. Non possiamo però illuderci, occorre tenere presente che la logica e le idee non convertono.
Sono i desideri a fare lievitare la vita.
Per questo è importante che vigiliamo sui desideri che già popolano la nostra anima. È necessario che estirpiamo quelli di cui Gesù rifiuterebbe la titolarità. Nutriti dalla Parola, sostenuti dalla buona Teologia, guidati dal Magistero dobbiamo indurre in essa, nell’anima intendo, e coltivare quei desideri e solo quelli che valgono alla luce del Vangelo.
So che occorre pregare, e molto, e bene. E la preghiera, perché non sia alienante, esige, sempre, di essere accompagnata dal lavoro ascetico ben orientato, continuo, controllato, qui qualche parola ancora.
a) Attenzione alla persona, dunque, rispetto, amore per essa. Per la concretezza indico un ambito.
Una grande afflizione inchioda il popolo eletto. Tutti si chiedono di chi sia la colpa. In questa situazione emerge la grande religiosità del re Davide: “Ho peccato molto per quanto ho fatto; ma ora, Signore, perdona l'iniquità del tuo servo, poiché io ho commesso una grande stoltezza. Io ho peccato; io ho agito da iniquo; ma queste pecore che hanno fatto? La tua mano venga contro di me e contro la casa di mio padre!” (2Sam 24, 10.17).
Attesa la naturale tendenza, in campo ecclesiale non meno che in campo civico, a scaricare le responsabilità sugli altri c’è, per noi, un ambito di riflessione, preghiera, e conversione.
b) Senza riferimento alla Parola si corre il rischio della illusione, si fa strada la tendenza a regolarsi da sé, si finisce nella sterilità dell’autocompiacimento.
L’esperienza di Gesù è di altro segno. Di lui ci dice il Vangelo che fu condotto dallo Spirito nel deserto per essere tentato. Sensualità, apparenza, potere sono i tre campi di battaglia. E Gesù è “il giovane che, custodendo le tue parole, conserva pura la sua via” (Sal 119, 9). Egli esce vittorioso, forte della Parola. E vale per Tutti i discepoli del Signore.
In positivo, da Maria che conserva tutte queste cose meditandole nel suo cuore (Lc 2, 19) a tutti i battezzati seri, i santi di tutti i tempi.
In negativo, da Pietro che dovette amaramente prendere atto della fragilità delle sue profferte di fedeltà “con te sono pronto ad andare in prigione e all morte”(Lc 22,33), a noi che, tutti i giorni, facciamo i conti con i nostri compromessi.
Ecco, attrezzarsi per il vitale e abituale confronto con la Parola, è un altro ambito di impegno.
c) Gesù è l’atteso, “il figlio che è nato per noi, che ci è stato dato. Sulle sue spalle è il segno della sovranità; il suo nome è:
Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace; il suo dominio sarà grande, nel suo regno la pace non avrà fine, consolidato come sarà e rafforzato con il diritto e la giustizia. (Is 9,5-6).
Egli è Figlio ma assume lo stile della umiltà e del servizio. Egli, infatti, servo di Javeh, venuto per servire e non per essere servito, si inginocchia a lavare i piedi degli apostoli, finisce in croce come un volgare schiavo. Di lui da’ i connotati più fedeli Paolo quando esorta noi credenti a imitarne i sentimenti: “Egli, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e (…) umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (Fl 2, 6-8).
d) I chicchi di grano marciti hanno dato origine a nuove spighe, a vita nuova e sono simbolo fortemente allusivo a Gesù che crediamo sceso agli inferi, marcito cioè nel nero della morte, nel vuoto asfissiante dell’abbandono del Padre, nel niente. Gesù aveva detto: se il chicco di grano non marcisce resta solo, non porta frutto; chi perde la propria vita la trova; che giova all’uomo guadagnare tutto se dovesse perdere la sua vita? Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza; “Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore. Il mercenario invece, che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo le rapisce e le disperde; egli è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre; e offro la vita per le pecore. E ho altre pecore che non sono di quest'ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo comando ho ricevuto dal Padre mio” (Gv 10, 11-18). Parla di sé, Gesù, e addita sé a noi come modello.
A noi battezzati e a noi sacerdoti chiamati ad essere immagine viva di lui pastore assumendone consapevolezza, cuore e stile. Ed hanno compreso bene i padri:
“Ignorate che a tutta la Chiesa di Dio fu dato un sacerdozio?…Se io amo i miei fratelli fino a donare la mia vita per essi, se combatto fino alla morte per la giustizia e per la verità, se mortifico il mio corpo astenendomi da ogni concupiscenza carnale, se il mondo è a me crocifisso e io al mondo, io ho offerto un olocausto all’altare di Dio e sono così sacerdote del mio sacrificio” (Origene, in Leviticum, Hom. 9).

3. Uno sguardo contemplativo.
È il rapporto con Gesù a dare senso alla nostra assemblea. È dal guardare a Gesù che la nostra assemblea prende i suoi colori; dal guardare cose e persone come lui, comprende quel che essa deve essere, valuta i passi fatti, riprende il cammino.
a) Gesù nell’unità della sua realtà umana e divina.
“Niente è più dolce che fissare gli occhi del nostro spirito, per contemplare e rappresentarci la sua inesprimibile e divina bellezza. Niente è più dolce che essere illuminati e resi belli da questa partecipazione e da questa comunione con la luce, che averne il cuore addolcito ed esser riempiti da una divina allegria, in tutti i giorni della vita presente” (S.Gregorio d’Ag.)
“Tutte le cose hanno visto il loro re: nella carne del nostro Signore ha fatto irruzione la luce del Padre; (…) l’uomo ha avuto accesso all’immortalità”(S. Ireneo).
Gesù, Braciere incandescente della divinità, Verbo eterno “per mezzo del quale tutto è stato fatto e senza del quale niente è stato fatto di ciò che esiste”(Gv 1,2), di te il cosmo divampa. Come mai le tue vesti non restano bruciate e il tuo corpo non è carbonizzato? E, di più, come mai non ne è calcificata la terra e non sono accecati i nostri occhi?
b) Gesù nella sua mediazione tra il Padre e il mondo. Egli nostro sacerdote, prega per noi; nostro capo, prega in noi; nostro Dio, è pregato da noi.
c) Gesù nel suo sguardo sulle cose e sugli uomini. Ho compassione di questa folla. Io non giudico. Non perderò nulla di quanto egli mi ha dato. Anche queste io devo condurre e sarà un solo ovile e un solo pastore.
d) Gesù nel suo progettare sempre secondo il Padre. Il mio cibo è fare la volontà del Padre. Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è che parla con te, saresti a chiedere l’acqua viva. Ho sete. Un corpo egli mi ha dato.

4. Cosa fare?
a) Sognare
Una delle quattro costituzioni del Concilio inizia con quattro parole illuminanti, forti ed impegnative perché esigenti profonda conversione: ‘Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri e soprattutto di tutti coloro che soffrono, sono pure gioie, speranze, tristezze e angosce dei discepoli della Chiesa’.
Dinanzi alla grandezza e alla drammaticità dell’epoca (55 milioni i morti della II Guerra, 100 milioni le vittime delle tirannie; l’incubo della guerra atomica, la morsa della guerra fredda della seconda metà del secolo appena concluso; 81 i conflitti divampati nel decennio seguito al crollo del muro di Berlino; masse che vivono prive d’accesso ai presidi alimentari, culturali e sanitari fondamentali, crollo del sistema previdenziale prossimo futuro, fondamentalismi, terrorismo) mutuo una risposta al ‘Che fare?’ dal Card. Francesco Saverio Van Thuan da ascoltare per la valenza della sua testimonianza di venti anni di prigionia.
Dice il Card.: Sogno la Chiesa:
- porta aperta che accoglie tutti, piena di compassione e comprensione per le pene e le sofferenze dell’umanità tutta protesa a consolarla;
- Parola che mostra il Vangelo ai quattro punti cardinali in un gesto d’annuncio e di sottomissione;
- Pane che si lascia mangiare da tutti perché tutti abbiano la vita in abbondanza;
- appassionata dell’unità voluta da Gesù;
- in cammino, popolo di Dio che col Papa porta la croce e va’ incontro al Cristo Risorto, speranza unica, incontro a Maria a tutti i santi;
- che porta in cuore il fuoco dello Spirito Santo perché dove è lo Spirito Santo c’è libertà, dialogo coi giovani, coi poveri, e gli emarginati, discernimento dei segni dei tempi; - testimone di speranza e d’amore con fatti concreti.
b) Guardare.
L’immagine della città di centoventimila persone che non sanno distinguere la destra dalla sinistra è sconvolgente per attualità e ci rende apostolicamente inquieti. “Mi affrettai a fuggire, dice Giona, perché so che tu sei un Dio misericordioso e clemente, longanime, di grande amore e che ti lasci impietosire riguardo al male minacciato. (…).
Dio disse a Giona: ‘Ti sembra giusto essere così sdegnato per una pianta di ricino?’. Egli rispose: ‘Sì, è giusto; ne sono sdegnato al punto da invocare la morte!’. Ma il Signore gli rispose: ‘Tu ti dai pena per quella pianta di ricino e io non dovrei aver pietà di Ninive,nella quale sono più di centoventimila persone, che non sanno distinguere fra la mano destra e la sinistra”(Gn 4,2.4.9-11).
Che fare, fratelli, per la stragrande maggioranza dei battezzati (i centoventimila che non distinguono la destra dalla sinistra) che non sono a contatto del Vangelo?
Che fare per la massa di bene che questi fratelli compiono e che rischia di perdere valore non venendo contatto con Cristo il redentore di quanto è umano?
Che fare per i giovani che non hanno mai fatto esperienza d’associazionismo cattolico?
Che fare per quelli ai quali nessuno ha mai parlato della sacralità della vita, della nobiltà cristiana e delle esigenze dell’amore umano?
Che fare per i mondi della cultura e del lavoro?
Che fare?
I punti di domanda potrebbero continuare agevolmente. Potrebbero continuare elencando le otto sfide recentemente oggetto dell’attenzione del S. Padre (Difesa della sacralità della vita, Promozione della famiglia, Eliminazione della povertà, Rispetto dei diritti umani sempre, Disarmo, Lotta contro le malattie, Salvaguardia dell’ambiente, Applicazione del diritto e delle convenzioni internazionali) ma non aggiungerei niente che non conosciate già.
Fratelli, la nostra Chiesa Pattese si è dotata di un Piano Pastorale. Torno ad affidarlo al vostro zelo in questo giorno tra tutti solenne per essere consacrato alle dimensioni essenziali della Chiesa: Eucaristia, Sacerdozio e Comandamento Nuovo dell’Amore.
È uno strumento nel quale si entra e lavora con grande speranza e si persevera contro ogni speranza. È la via della nuova evangelizzazione richiesta dalle mutate situazioni e, in ascolto di esse, dal Magistero della Chiesa ribadito così efficacemente dal Santo Padre a conclusione dell’Anno Giubilare, nella Novo Millennio Ineunte.
c) Stare dinanzi a Dio delle opere più che alle opere di Dio.
I sacramenti della iniziazione cristiana Battesimo, Cresima, Eucaristia, per tutti, sono stati segnati: dalla rinunzia a satana, dalla proclamazione della fede e dall’impegno di fedeltà alla Trinità SS. nella Chiesa.
Con maggiore insistenza noi sacerdoti ci siamo impegnati a:
cooperare fedelmente con l’ordine episcopale, adempiere degnamente e sapientemente il ministero della parola, celebrare con devozione e fedeltà i misteri di Cristo con speciale riferimento al sacrificio eucaristico e al sacramento della riconciliazione, implorare la divina misericordia nella preghiera, dedicarci per la salvezza di tutti gli uomini, filiale rispetto e obbedienza al vescovo.
Da qui deve scaturire la prima risposta al “Cosa fare?”:
Vigiliamo perché rischiamo di perdere la freschezza e l’autenticità del nostro dono della nostra vita a Dio. Rischiamo di vivere senza slancio, privi di entusiasmo, privi dell’esperienza della forza esigente e vitale dell’amore. “Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio; perché forte come la morte è l'amore, tenace come gli inferi è la passione: le sue vampe sono vampe di fuoco, una fiamma del Signore! Le grandi acque non possono spegnere l'amore né i fiumi travolgerlo. Se uno desse tutte le ricchezze della sua casa in cambio dell'amore, non ne avrebbe che dispregio”(Ct 8, 6-7).
Che senso ha la nostra vita senza la passione per Gesù Cristo e per la sua Chiesa? A cosa si riduce la nostra attività se non da’ spazio all’amore del Padre che venendo a noi per mezzo del Figlio, la può trasfigurare con la forza dello Spirito Santo?
Il baratro di una vita da fedifraghi, lo so bene e ne lodo il Signore, salutarmente ci terrorizza. Al di sopra di tutti però ci animi a riamare chi tanto ci ama.
 

A servizio di un popolo modellato su Maria

1.  Il mese di maggio è giunto ad un terzo del suo corso e noi ancora una volta esperimentiamo quanto la devozione alla Madre del nostro Signore Gesù Cristo, sia presente, espressiva e in linea con l’indicazione del Magistero nelle nostre contrade.
“Maria, insegna il Concilio, (…) viene dalla Chiesa giustamente onorata con culto speciale. In verità dai tempi più antichi la beata Vergine è venerata col titolo di ‘madre di Dio’, sotto il cui presidio i fedeli, pregandola, si rifugiano in tutti i loro pericoli e le loro necessità.
Soprattutto a partire dal concilio di Efeso, il culto del popolo di Dio verso Maria crebbe mirabilmente in venerazione, amore, invocazione e imitazione, secondo le sue stesse profetiche parole: ‘Tutte le generazioni mi chiameranno beata, perché grandi cose mi ha fatto l'Onnipotente’ (Lc. 1, 48).
Questo culto, quale sempre fu nella Chiesa, sebbene del tutto singolare, differisce essenzialmente dal culto di adorazione, prestato al Verbo incarnato come al Padre e allo Spirito Santo.
Le varie forme di devozione verso la madre di Dio, che la Chiesa ha approvato, (…) fanno sì che, mentre è onorata la madre, il Figlio, per il quale esistono tutte le cose (cfr. Col. 1, 15-16) e nel quale ‘piacque all'eterno Padre di far risiedere tutta la pienezza’ (Col. 1, 19), sia debitamente conosciuto, amato, glorificato, e siano osservati i suoi comandamenti (LG 66).
2.
   La devozione alla Madonna, unica nella sostanza, differisce nelle forme. Basti pensare, a modo di esempio, ai titoli con i quali il popolo cristiano la onora a ricordare un avvenimento lieto o triste, un voto, un’ansia, una pena, una gioia.
Per quel che ci riguarda, al titolo di Odigitria, particolare della Sicilia, si aggiunge quello specifico della nostra zona nebroidea, di Madonna del Tindari. Da secoli storia, fede, tradizione, leggenda, arte intrecciano le loro melodie in un’unica armonia a cantare “Evviva del Tindari la Bella Maria, Evviva Maria e chi la creò”.
3.   Nera ma Bella.
Tutti sanno che ai piedi della immagine campeggia, mistica didascalia, ‘Nigra sum sed formosa’ che è divenuta come un logo, uno stemma, un tratto di riconoscimento e che, presa dalla qualifica della biblica sulammita (Ct 1,5), trova la sua immediata ragione nel colore notevolmente scuro degli incarnati della immagine religiosamente custodita a Tindari.
Priva di qualsivoglia valenza razziale, la scritta è, per S.Am­brogio, punto di partenza per una riflessione sulla Chiesa. E’ risaputo che il santo Dottore quando in un testo biblico legge donna pensa Chiesa. E così sono immagini della Chiesa Sara, Giuditta, Debora, Ester, Racab, ecc. Anche a proposito del Nigra sum sed formosa, il Padre della Chiesa, Ambrogio, legge sullammita e intende Chiesa.
Legge, intende, spiega e allarga.
Maria è il tipo, l’immagine, il modello della Chiesa.
Maria, la cui beatitudine è nell’avere creduto, della fede ha l’oscurità e lo splendore. Come lei, la Chiesa, non ha altra forza, altra roccia che la fede.
E la fede è valida a sostenerne ogni buona battaglia, debole come piccolo impalpabile germe; debole perché Dio non sceglie la forza dei saggi e dei forti di questo mondo; luminosa perché nulla è più splendido delle oscurità del Dio di Abramo, Isacco, Giacobbe, Mosè, Elia che nessuna creatura può vedere rimanendo in vita; oscura perché rimanda oltre, in definitiva, alla fedeltà di Dio che non dimentica mai i suoi figli, meglio che la più tenera della madri che, sia pure eccezionalmente, potrebbe dimenticare il frutto del suo grembo.
Bella,
la Chiesa, per l’abito di grazia che la riveste come stella di luce, come neve di candore, come esercito pronto alla battaglia di forza invincibile.
Come la madre, lei, la Chiesa è purissima perché totalmente in linea con il fiat, è madre dei peccatori, fatta di peccatori, si spera, sempre in cammino verso Dio; chi, bello di speranza teologica, vuol grazia e a lei, perché greve di malinconia, non ricorre, sua desianza vuol volar senz’ali.
Come lei, è meretrice ché a tutti si dona aiuto, consolatrice, stella orientatrice, madre; ed è casta perché nulla la interessa, attrae e smuove al di fuori della volontà divina.
4.   Come hanno capito bene i padri!
Essi l’hanno invocato rifugio dei peccatori, aiuto dei cristiani, madre dei penanti, arca dell’alleanza, fontana di speranza, vergine clemente, causa della gioia.
Noi saremo come i padri.
Il mondo, al cui servizio la Chiesa è stata pensata e avviata dal Divino Fondatore, vive un cambiamento epocale.
Come in tutti i passaggi, essa è chiamata a scelte forti che la segneranno per tempi dei quali che siamo in grado di vedere i contorni.
Essa ha da modellarsi come popolo di Dio che riconosce un solo Capo, Cristo Signore, popolo che una sola legge, quella dell’amore, popolo in cammino verso il Regno.
Essa ha da modellarsi su Maria chiamata ieri, come oggi, come sempre a mostrarsi madre per quanti accetteranno di esserle figli per l’attenzione ai fratelli, il riferimento alla Parola, l’attitudine al servizio nella umiltà e nella purezza.
In questa temperie la Chiesa non è sola.
Il profeta del Vaticano, debole e forte, le urla: duc in altum!
Uno stuolo di santi, in tutte le latitudini testimoniano che è possibile prendere il largo con animo nuovo, con metodi nuovi, con fedeltà nuova.
5.   Cosa fare.
È facile, carissimi, è facile farsi opprimere dalla difficoltà di testimoniare e riproporre Cristo come pietra angolare a un mondo che lo rifiuta.
Incombe la tentazione di essere travolti dalla frenesia dei risultati evidenti, abbondanti e pronti.
Lo smarrimento dinanzi al nuovo è ovvio.
La fatica di proporre e riproporre, continuamente, da capo, a tutti è vera ed aggravata dalla consapevolezza che i discepoli saranno sempre lievito, sale… minoranza.
La lusinga di essere norma a se stessi agendo quando, se, come e quanto piace arride ricca di lustrini, fascinosa.
Camminare insieme, con ordine, a piccoli passi, accettando il peso degli altri non entusiasma ma è indispensabile per condurre il nostro popolo, e noi con esso, a fare l’esperienza catecumenale per aderire a Cristo, nella Chiesa, oggi.
E di camminare insieme ci propone la Diocesi con il Piano Pastorale per concretare l’attenzione all’altro, nello stile del servizio umile, ubbidiente, puro, col criterio del confronto costante con la Parola. A noi la risposta, con la mia benedizione.

 

Giornata della Ministerialità

0.   È per noi ormai un appuntamento tradizionale la celebrazione della ministerialità.
1.
   Parliamo della ministerialità, esercitata da Gesù nei riguardi del mondo e doverosamente fatta propria dalla Chiesa e, in essa, da ogni battezzato. E ne parliamo vedendo:
a)   Le parole profetiche di Isaia, che annunciano i tratti distintivi e animano all’attesa del Mandato da Dio, di Gesù, come servo di Javeh atteso: “Chi avrebbe creduto alla nostra rivelazione? si è caricato delle nostre sofferenze. Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza; il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà la loro iniquità. e intercedeva per i peccatori” (Is 53,1.
b)   Il Vangelo nel quale di Gesù troviamo:
*    il proclama: “Il Figlio dell'uomo, infatti, non è venuto per essere servito, ma per servire e sacrificare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10,45).
*    l’esempio: “Gesù, (…) dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine. Mentre cenavano, si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l'asciugatoio di cui si era cinto. Quando dunque ebbe lavato loro i piedi riprese le vesti, sedette di nuovo e disse loro: ‘Sapete ciò che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato, infatti, l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi (Gv 13, 1-2. 4-5.12-15).
c)   col cuore rivolto alla Chiesa pensata, avviata, assistita serva del mondo.
“La chiesa, procedendo dall'amore dell'eterno Padre, fondata nel tempo da Cristo Redentore, radunata nello Spirito Santo, ha una finalità salvifica ed escatologica, che non può essere raggiunta pienamente se non nel mondo futuro. Essa poi è già presente qui sulla terra, ed è composta da uomini, i quali appunto sono membri della città terrena, chiamati a formare già nella storia dell'umanità la famiglia dei figli di Dio, che deve crescere costantemente fino all'avvento del Signore.
Unita in vista dei beni celesti, e da essi arricchita, tale famiglia fu da Cristo "costituita e ordinata come società in questo mondo", e fornita di "convenienti mezzi di unione visibile e sociale". Perciò la chiesa, che è insieme " società visibile e comunità spirituale ", cammina insieme con l'umanità tutta e sperimenta assieme al mondo la medesima sorte terrena, ed è come il fermento e quasi l'anima della società umana, destinata a rinnovarsi in Cristo e a trasformarsi in famiglia di Dio. (…).
La chiesa (…) crede di poter contribuire molto a rendere più umana la famiglia degli uomini e la sua storia. (…) volentieri tiene in gran conto il contributo che, per realizzare il medesimo compito, hanno dato e danno cooperando insieme le altre chiese o comunità ecclesiali. (…) è persuasa che molto e in svariati modi può essere aiutata nella preparazione del vangelo dal mondo, sia dai singoli uomini, sia dalla società umana, con le loro doti e la loro operosità (GS 40).
2.   La stella orientatrice.
Il riferimento alla ministerialità, o servizio, non è originale perché Gesù è preannunziato servo, si dichiara servo e da servo agisce e perché non mancano le dichiarazioni di principio sul servizio.
È però necessaria qualche puntualizzazione per evitare confusione, illusione, alienazione.
a)   Il servizio non è quello che piace o è facile e alla moda ma quello che serve alla crescita autentica, armonica e globale del singolo.
b)   Chi vuol servire deve conoscere:
*    Cosa fa’. Dice Gesù: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie. Dopo queste cose, Gesù andò con i suoi discepoli nella regione della Giudea; e là si trattenne con loro, (Gv 3, 16-19.22).
*    Come. Il servizio, se autentico, è concreto. Come in Gesù che:
>    è il Dio incarnato e l’incarnazione resta per sempre il suo stile che è come affermare che egli ha il suo valore al quale si ispira: l’attenzione all’altro col quale interagire.
>    ha il suo criterio: il riferimento costante alla Parola mai usata come clava per abbattere gli altri ma costante, vivo, serio, responsabilizzante e misericordioso alla Parola.
>    ha il suo stile fatto di servizio, appunto, in umiltà, ubbidienza, purezza e lealtà.
*    il mondo a vantaggio del quale è pensata l’attività di Gesù e quello della Chiesa.
3.   Il mondo di oggi è:
a)   Cambiato basta pensare alla mobilità, al pluralismo etico e religioso, alle possibilità economiche, politiche e sociali che lo caratterizzano.
b)   Frastornato. La trasmissione della fede da generazione a generazione non avviene come in passato. Nugoli di impostori e santoni, più o meno paludati, lo vessano proponendo le scorciatoie della miserevole superstizione e della squallida magia che si ammanta, per sovraccarico di sventura, di benedizioni, madonne in lacrime, padre pii, stole pregiate e chi più ne ha, più ne metta, a piacimento, chincaglierie varie.
c)   Povero di senso. Perse di viste le risposte alle domande serie: perché vivo, lavoro, amo, soffro, muoio…?
4.   Che fare.
a)   Ho davanti un testo biblico che m’impressiona, affascina, interpella ed incoraggia: “Sul mare passava la tua via, i tuoi sentieri sulle grandi acque e le tue orme rimasero invisibili (Sal 77,20).
E c’è un testo di Geremia in perfetta sintonia: “Se esco in aperta campagna, ecco i trafitti di spada; se percorro la città, ecco gli orrori della fame.  Anche il profeta e il sacerdote si aggirano per il paese senza sapere che cosa fare” (14,18).
Occorre prendere consapevolezza umilmente, generosamente, fattivamente del dono che il Padre delle misericordie fa’ alla nostra chiesa pattese indicando, con il Piano Pastorale Diocesano, la via da percorrere.
Non vedo alternative se, per servire com’esige il battesimo e la situazione della Chiesa e del mondo, intendiamo evitare le secche del fare se voglio, quando voglio, come voglio, finché voglio.
b)   Duc in altum!, dice il Santo Padre e spiega:
    santità dono e compito legati al Battesimo;
    legame con la Parola;
    preghiera;
    organizzarsi (Cfr NMI).
c)   Occorre che tutti siano soggetti e destinatari della testimonianza, del Vangelo, realizzata insieme, ragionevolmente attrezzati.
d)   Occorre che il nostro popolo, nei cui fondali la fede non è scomparsa, che chiede il pane autentico con linguaggio non sempre chiaro, che un patrimonio vivissimo di tradizioni che può fare da traino percorra l’itinerario catecumenale, risentendo l’unica notizia veramente nuova che Cristo è morto ed è risorto, che noi, uno con lui, moriamo e risorgiamo con la conseguenza che dobbiamo camminare da creature nuove deposto il vecchiume del peccato.

 

Anch'io mando voi

0.    Celebriamo oggi la solennità della Pentecoste e, all’interno di essa, amministrerò i sacramenti dell’iniziazione cristiana e istituirò Lettore Calogero Tascone alunno del nostro Seminario. La mia proposta omiletica vuole aiutare ad invocare il Divino Consolatore, lo Spirito che Gesù ha promesso ed inviato dal Padre.
1.
    (Anch’io mando voi) è Parola decisiva di Gesù. Egli manda, manda come il Padre, manda e dona il suo Spirito. Egli cerca uomini da inviare che siano capaci di rinascere nello Spirito ogni giorno:
a)    Senza paura del domani e dell’oggi e senza complessi del passato; senza paura di cambiare ma che  non cambino per cambiare.
b)    Capaci di vivere, di lavorare, di piangere, di ridere, d’amare, di sognare insieme con gli altri. Capaci di perdere senza sentirsi distrutti, di mettersi in dubbio senza perdere la fede, di portare la pace dove c’è inquietudine e l’inquietudine dove c’è pace.
c)    Capaci di morire, ma ancora di più, capaci di vivere per la Chiesa; uomini capaci di diventare ministri di Cristo, profeti e testimoni di Dio, uomini, cioè, che parlino con la vita.
d) Che abbiano nostalgia di Dio, della Chiesa, della gente, della povertà di Gesù, dell’obbedienza di Gesù.
e) Che non confondano la preghiera con le parole dell’abi­tudine, la spiritualità col non si sa che del sentimentalismo, la chiamata con l’interesse, il servizio con la sistemazione.
Per questo invochiamo: Vieni, Spirito Santo: facci vedere, progettare, osare! Aumenta in noi la fede, la speranza, la carità. Liberaci dal demonio dell’imborghesimento. Facci sentire, perché è detto per noi, alla nostra chiesa pattese, il ‘Duc in altum!’ ‘gettate le reti!’ da capo!
2.
    “Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo” (Eb 1,1-2).
Dio parla in molti modi e in molte occasioni: la natura è parola di Dio; gli avvenimenti sono parola di Dio; il Figlio è la Parola per eccellenza, definitiva completa.
a)    Sapere ascoltare e leggere questa parola è dono e tirocinio che esigono libertà, padronanza perché Dio stima tanto la libertà della creatura, da fare dipendere proprio dalla sua libera volontà il destino di tutta la sua opera.
b)    Dono e tirocinio esigono pazienza perché è meglio ascoltare molto che molto parlare.
c)    Dono e tirocinio esigono saggezza perché non basta sapere che l’altro esiste, occorre vivere dentro di lui, nelle sue vene nei suoi sogni, nei suoi pensieri.
Per questo imploriamo: Vieni, Spirito Santo: aprici orecchie e cuori perché nessuna tua parola resti sterile per noi! Facci assorbire dalla santa unzione propria della tua Parola: “Mentre voi dormite tra gli ovili, (mentre indugiate sulle divine pagine) splendono d'argento le ali della colomba (il mio spirito entra prezioso in voi), le sue piume di riflessi d'oro”(Sal 68, 14).
3.
    Dio parla e invia per servire. Il parlare e il servire sono in Gesù perché Dio ama tanto gli uomini da mandare il Figlio, l’Unigenito. Similmente in chi è inviato da Gesù.
a)    Chi è caro a se stesso non può amare Dio; non può servire; chi invece non è caro a se stesso, per l’eccessiva ricchezza della carità di Dio, questi ama Dio e serve. Perciò un tale uomo non cerca mai la propria gloria, ma quella di Dio (Gv 5,18) in tutti i precetti che compie, e gode del proprio abbassamento, perché a Dio conviene la gloria, per la sua magnificenza e all’uomo l’umiltà e, per essa, si diviene familiari di Dio e, per essa, col Battista, sa dire con letizia: bisogna che egli sia innalzato e che noi diminuiamo (Gv 3,30).
b)    In fondo, quelle a Dio sono le uniche parole e le uniche lettere d’amore che vale la pena dire e scrivere. Occorre percorrere un cammino faticoso per imparare o imparare di nuovo a dire: Ti ringrazio, Signore.
Ma c’è un demonio muto che blocca. Blocca le braccia e la lingua.
Per questo invochiamo: vieni, Spirito Santo! Pronunzia su di noi, potente, il tuo effatà, e cioè, apriti! Comanda alle nostre braccia infiacchite. Apri il nostro cuore a gustare che “solo se il mio cuore non s’inorgoglisce, non si leva con superbia il mio sguardo, non vado in cerca di cose grandi, posso essere tranquillo e sereno come bimbo svezzato in braccio a sua madre” (Sal 131,1-2)
4.
    Abbondano le invocazioni allo Spirito Santo: invocazioni o frastuono?
È Dio diventato sordo? È rinsecchita la sua mano? Abbiamo invocato, abbiamo cantato:
Vieni, vieni, Spirito Santo! Vieni luce! Vieni, padre dei poveri, datore dei doni, consolatore, ospite dolce, sollievo, riposo, riparo, conforto, forza; vieni a lavare, a bagnare, a sanare, a piegare, a scaldare, a drizzare; vieni, virtù e premio…
Ma anche il profeta e il sacerdote continuano ad aggirarsi senza sapere cosa fare,
la morte regna sovrana,
il non senso, la confusione, il nichilismo, le divisioni ci avvelenano.
Perché?

Abbiamo dimenticato che nella via di Dio si entra per fede, si lavora sperando contro il senso comune e le leggi della natura, si persevera perché spinti dalla carità, quia charitas Christi urget nos.
Per questo invochiamo:
Vieni, Spirito Santo: rendici autentici.
Come Maria che canta la legge da te inaugurata per la quale: restano dispersi i superbi, i potenti rotolano dai troni, mentre sono innalzati gli umili; sono ricolmati di beni gli affamati, e i ricchi sono licenziati a mani vuote i ricchi. Tu infatti soccorri Israele e mai smentisci la tua misericordia, secondo uno stile che hai iniziato con i nostri padri e, fedele, mantieni sempre con noi che siamo la loro discendenza” (Lc 1, 51-55).

 

Alla cui presenza io sto

Carissimi, proprio in questi giorni del Tempo Ordinario il Lezionario della Liturgia Eucaristica offre alla nostra meditazione il Primo Libro dei Re che annovera tra i suoi protagonisti Elia.
Profeta di fuoco, intrepido testimone dell’unicità di Dio, tipo del­l’uomo di Dio al punto che quanti si accosteranno, al Battista prima e a Gesù poi con umile disponibilità, proprio d’Elia, penseranno di riconoscere in loro la presenza d’Elia.
La drammatica vita del Profeta c’è nota e, in ogni caso, possiamo utilmente riprenderla. Qui mi limito a riportare quello che egli dice al re Acab: “Per la vita del Signore, Dio d’Israele, alla cui presenza io sto, in questi anni non ci sarà né rugiada né pioggia, se non quando lo dirò io” (1Re 17,1-6).

1.
    Mi vado chiedendo cosa significhi stare alla presenza di Dio, come singoli e come popolo, e cioè e sono arrivato a questa risposta che ovviamente non pretende d’essere esaustiva:
Dargli, nel silenzio: tempo: quanto tempo gli do nella mia giornata, settimana, mese anno e, dunque, nella mia vita? ascolto: si suole affermare che è difficile ascoltare nel senso forte di fare, di ubbidire.
Ma penso che non è vero ed esperimento che è difficile, prima ancora, l’ascolto nel senso di sentire perché difficile è il silenzio interiore premessa insostituibile all’ascolto, al percepire la voce di un Dio gentile, rispettoso della libertà della creatura e delle dinamiche che ne innervano il vissuto.

*   Sequela
: “egli avanza per la verità, la mitezza e la giustizia” (Sal 44,5).
Cosa ben diversa dalla sincerità, la verità e la rispondenza tra ciò che sono – persona umana con tutte le specificazioni, sacerdote, membro vivo di una realtà viva che è la Chiesa, salvato per misericordia – e il modo di agire.
La mitezza è il prevalere della forza della ragione sulle ragioni della forza e Gesù ne predica la beatitudine e le promette il possesso della terra.
La giustizia, tanto per cominciare, che affianca diritti e doveri in me e negli altri; giustizia quella che Dio non trova e premia ma dà, per mezzo di Gesù Cristo morto.
Se tempo e ascolto dati a Dio, se la sequela si verifica in termini di mitezza, di giustizia, e di verità, in termini cioè di Vangelo svaniscono proselitismo, illusioni sulle masse, e falsi valori che insensibilmente tentano di assurgere a criterio, a bandiera a generatori d’ansia e depressione.

2.
    Stare alla presenza di Dio porta frutti preziosi che elenco facendo mia la descrizione che S. Ignazio d’Antiochia fa’ della Chiesa nella sua Lettera ai Romani.
Essa, la Chiesa, ottiene misericordia dal Padre Altissimo di Gesù Cristo suo unico Figlio, è amata e illuminata dalla volontà di Cristo, gradita a Dio, meritevole di consensi e d’onore, degna di essere proclamata beata e venerabile per la purezza della fede, possiede la legge di Cristo e porta il nome del Padre, ad essa spetta un destino di grandezza.

3.
    Cosa fare in pratica è domanda alla quale non si deve sfuggire per evitare lo svarione mortale di stare proni dinanzi al proprio io presumendo di stare alla presenza di Dio.
L’ipertrofia dell’io od orgoglio che dirsi voglia, è inutile illudersi, è sempre in agguato.
Quando si è dinanzi a Dio, egli spinge verso i fratelli e, come prima, pone la questione: che è di tuo fratello?
L’Apostolo insegna che il Battesimo accende nel credente un debito nei riguardi di tutti: siamo debitori a tutti del Vangelo. E il Vangelo, infatti, ricevuto in dono del tutto gratuito, deve essere dato:
a)  non da maestri ma con la testimonianza, non da avventurieri solitari ma insieme, come comunità viva, non improvvisando ma organizzandosi che poi significa dare spazio e ascolto a tutti e attrezzandosi in modo adatto ai tempi;
b)  riconoscendo un solo capo, Gesù Cristo, e la sola sua legge, quella della carità, garantendo, ognuno per la sua parte, rispetto a tutti, non dimenticando mai di essere in viaggio verso il Regno, oltre che tenaci e concreti costruttori di quella comunione che non sfugge, come orticaria, le parole roboanti e le solenni dichiarazioni e germoglia, cresce e fruttifica nei piccoli gesti.

4.
    Non ci vuole molto a leggere nelle mie parole un invito nuovo ad accettare con amore ai battezzati delle nostre parrocchie, il Piano Pastorale Diocesano.
Sull’esempio di Gesù che invita i suoi a fornire il pane alla massa che lo segue estenuata e come pecore senza pastore il pane della verità, del senso delle cose e della vita e dell’Eucaristia.
La nostra gente vive drammaticamente derubata di tutto, strumentalizzata, rapporti non autentici: noi non possiamo contentarci di amministrare, ‘secondo tradizione’, i servizi. Vogliamo spenderci perché essa - c’è stata affidata per questo - esperimenti Cristo come Redentore nella fraternità.

 

Il nostro cesto rimane vuoto

Riflessione nell'Assemblea Ecclesiale Diocesana del Settembre 2002


«Il nostro cesto rimane vuoto» (un cesto vuoto è stato posto ai piedi della croce dopo la proclamazione di Lc 5,1-11). Vuoto vedo il mio cesto, se penso agli anni della mia vita e dal Battesimo, ai 36 anni di Sacerdozio, ai 13 anni e passa di Episcopato. Che dire allora?
1.
“Ascoltate la parola del Signore annunziatela alle isole lontane e dite: ‘Chi ha disperso Israele lo raduna e lo custodisce come fa un pastore con il gregge’, perché il Signore ha redento Giacobbe, lo ha riscattato dalle mani del più forte di lui. Essi saranno come un giardino irrigato, non languiranno più (…). I giovani e i vecchi gioiranno. Io cambierò il loro lutto in gioia, li consolerò e li renderò felici, senza afflizioni. Sazierò di delizie l'anima dei sacerdoti e il mio popolo abbonderà dei miei beni” (Ger 31,10-14).
2.
Il mio cesto è vuoto ma canto il mio poema:
a)
Al Re: Gesù è il Re.
Effonde il mio cuore liete parole. Tu sei il più bello tra i figli dell'uomo, sulle tue labbra è diffusa la grazia (…). Cingi, prode, la spada al tuo fianco, avanza per la verità, la mitezza e la giustizia.
Ami la giustizia e l'empietà detesti: Dio, il tuo Dio ti ha consacrato con olio di letizia, a preferenza dei tuoi eguali.
Le tue vesti sono tutte mirra, aloé e cassia, dai palazzi d'avorio ti allietano le cetre. Alla tua destra la regina in ori di Ofir.
b)
Canto alla Regina. La Chiesa è la Regina; Regina perché serva; serva come il Signore; e la Chiesa siamo noi.
Ascolta, figlia, guarda, porgi l'orecchio, dimentica il tuo popolo e la casa di tuo padre; al re piacerà la tua bellezza. Egli è il tuo Signore: pròstrati a lui. Da Tiro (da lontano, da dove non immagini e non t’aspetti) vengono portando doni, i più ricchi del popolo cercano il tuo volto.
c)
Il cesto è vuoto ma, insieme, guardiamo alla Regina.
Contempliamola Nera ma Bella. Nera perché vive di fede e la fede è certezza non chiarezza. Bella perché la oscurità della fede è più chiara di tante pretese luci; bella perché vive della grazia, nera perché peccatrice. Meretrice, perché si dà e si dà a tutti, senza distinzioni ed esclusioni. Casta, perché si dona senza fini secondi, ma secondo la purezza della divina volontà.
La figlia del re è tutta splendore, gemme e tessuto d'oro è il suo vestito. È presentata al re in preziosi ricami; con lei le vergini compagne a te sono condotte; guidate in gioia ed esultanza entrano insieme nel palazzo del re (Sal 45).
3.
Ma questo è possibile?
E' possibile cantare? È possibile sognare, immaginare che alla Regina verranno tutti, veramente tutti, da tutte le parti?
“Un giorno, mentre, levato in piedi, stava presso il lago di Genèsaret e la folla gli faceva ressa intorno per ascoltare la parola di Dio, vide due barche ormeggiate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedutosi, si mise ad ammaestrare le folle dalla barca. Quando ebbe finito di parlare, Gesù disse a Simone: Prendi il largo e calate le reti per la pesca. Simone rispose: ‘Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti’. E avendolo fatto, presero una quantità enorme di pesci e le reti si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell'altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche al punto che quasi affondavano. Al veder questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: ‘Signore, allontanati da me che sono un peccatore’. Grande stupore infatti aveva preso lui e tutti quelli che erano insieme con lui per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: ‘Non temere; d'ora in poi sarai pescatore di uomini’. Tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono” (Lc 5, 1-11).
>
  Che vuoi dire,  Signore?
~
  Cosa voglio dire? Ecco cosa voglio dire: Duc in altum!
    
Non temere! Tira la barca! Lascia tutto! Duc in altum!
    
Guarda indietro quanto basta per ringraziare e per non ripetere gli errori. Contempla il mio volto. Riparti da me. Sii testimone!
>
Signore, ma non è troppo?
~
   Si che è troppo ma… non è mai abbastanza!
>
  Signore, davvero non comprendo. Cosa vuol dire: È troppo ma non è abbastanza?
~
   Finora si sono usati molti nomi per definirmi: abisso inesauribile, insaziabile, implacabile, infaticabile, insoddisfatto…
Voglio rivelartene un altro: il mio nome è Mai abbastanza. Ecco, imprimilo bene nella tua mente e nel tuo cuore. Il mio nome è ‘Mai abbastanza’.
>
  Signore, capisco meno di prima!
~
Ti spiego. Tu hai fatto tante belle cose e altre vuoi farne: sii certo, nessuna è passata inosservata, nessuna è dimenticata, però non è abbastanza! Tu hai predicato, hai fatto ottime celebrazioni, hai fatto opere buone, …non è abbastanza! Hai superato le risate di parenti e amici… non è abbastanza! Hai fatto da ministro straordinario dell’Eucaristia, hai fatto catechesi… non è abbastanza! Hai agito generosamente… non è abbastanza! Hai sopportato che ti dicessero: lascia le cose come stanno, che ti insultassero sghignazzando: e che, vuoi salvare il mondo? sei fissato, mosca bianca sei e ottuso integralista… non è abbastanza!
>
  E che devo fare, Signore? Davvero pensi che io devo agire per testimoniare a tutti il tuo amore? Non lo sai meglio di me che non ne vogliono sentire? Io non so altro, Signore, e, a venire dietro a te, per dirla tutta, scoppio, non posso fare altro e mi sembra di perdere rame e stagno acqua e sapone, di sciupare tempo, di lavare la testa all’asino…
~
  Puoi, puoi. Scoppia; scoppia di amore, puoi! E l’altro sarebbe l’asino? Non lo sai che nessun santo è senza un passato e nessun peccatore è senza un futuro? Hai dimenticato quel che ho detto a proposito di prostitute e pubblicani? Puoi! Puoi perché io sono con te! Vai e ricorda che “Mai abbastanza è il mio nome!”.

 

Rendiamo grazie e... duc in altum!

Lettera ai Presbiteri del 1° Novembre 2002


Carissimi,
1. eccoci al nostro appuntamento mensile su questo mezzo che utilizziamo, ormai da diversi anni, come strumento di immediata comunicazione.
Innanzi tutto il mio saluto cordiale e grato per quello che la vostra attività, il vostro esempio e la vostra vita donata significano per la Chiesa Universale e per la nostra Chiesa Pattese.
Mi rivolgo a tutti anche se in particolare a quanti tra noi hanno dei problemi di salute. Coraggio, fratelli; vale per tutti e vale per noi, vale sempre e vale quando il sole non è particolarmente luminoso.
Gesù, il nostro Gesù, quello che si è dato per noi e al quale, nella Chiesa, abbiamo dato la nostra vita, come a Paolo, ci dice: non temere, parla e non tacere, io sono con te. Le spine conficcate nella tua carne non potranno mai superare il mio amore onnipotente e fedele per il tempo e per l’eternità.
2. Nei giorni 21-25 ottobre, ad Acireale nella casa d’ospitalità dei Frati Minori ho partecipato con un gruppo di confratelli ad un corso d’esercizi spirituali che si sono posti come “lettura” della Novo Millennio Ineunte data dal Santo Padre alla Chiesa, il 6 gennaio 2001, come a saldare la celebrazione del grande Giubileo e il millennio nuovo, ad animarla col grido evangelico “Duc in altum!”.
La lettera, di certo, è stata oggetto della vostra attenta meditazione e trovano, dunque, terreno fertile queste poche righe.
Invitandoci a guardare a Cristo, sempre lo stesso ieri oggi e sempre, il Santo Padre ci conduce per mano a fare memoria degli appuntamenti giubilari certo non per alimentare sterili compiacimenti ma per:  motivare sempre meglio la gratitudine,vivere con passione il presente e aprirci con fiducia al futuro.
Il mondo e la storia guardati con gli occhi di Dio non sono senza senso. L’invito a scorgere in loro Dio amorevolmente presente e invitante alla conversione, al rinnovamento, a camminare in collaborazione con Lui e tra noi è parte integrante della fede e della saggezza evangelica. Da qui siamo passati a guardare ai misteri dell’Incarnazione e della Pasqua.
Dio che si fa uomo non è affermazione che attende e si contenta del nostro assenso verbale. Fede è entrare, con la vita, nella sua logica, attingere qualcosa del suo abissale annientamento, fare della sua scelta di povertà e umiltà le proprie coordinate vitali, programmatiche, operative.
Cristo che realmente muore e realmente risorge è il Cristo di sempre da conoscere, amare, imitare, vivere e generare.
Credere nella risurrezione è credere che la vita è più forte della morte, l’amore più dell’odio e dell’indifferenza.
Credere nella risurrezione è convinzione forte, sulla parola di Gesù, che non ci sono situazioni irreparabili, per grandi che siano il degrado morale, sociale, ecclesiale o personale.
Credere che Cristo è risorto significa che la morte non ha potere su di lui e che chiunque può rinascere, ricominciare, tornare a sperare.
Credere che Cristo è risorto è credere che Dio ama tutti e tutti vuole salvi, gratis, per mezzo di Cristo morte e risorto, ora, qui.
Il 4° e il 5° giorno dei nostri esercizi ci hanno impegnato a gustare la parola di Gesù che non ci chiama e considera servi o estranei. Egli, infatti, ci mette a parte di quanto il Padre gli rivela e di quanto vive con lo stesso Padre e con lo Spirito Santo.
Naturalmente anche della comunione di vita che Gesù ci dona, noi facciamo quadro di riferimento, elemento di vita, fonte d’attività, tesoro da condividere con tutti i battezzati e da offrire a tutti gli uomini di buona volontà.
3. Come?
Favorendo la comunicazione, la partecipazione, la riconciliazione, il dialogo, il discernimento comunitario, la comunicazione dei beni, la celebrazione della vita di Dio convissuta nella comunità ecclesiale.
Traducendo le stesse realtà che ho appena finito di elencare in programma scandito nel tempo, non abbandonato alla improvvisazione, organizzato con diligenza coinvolgente.
Del corso d’esercizi appena ultimato rendo con voi grazie a Dio mentre vi annunzio che un secondo corso sarà a messo a disposizione di quanti vorranno dal 9 dicembre al 14 dicembre.
4. Sarà utile sapere che nei due ultimi fine settimana (19-20 e 26-27 ottobre) una cinquantina di operatori pastorali parrocchiali ha potuto esperimentare la gioia di meditare, pregare, programmare a vantaggio delle parrocchie d’appartenenza e, indirettamente dell’intera nostra Chiesa, prendendo l’avvio dalla stessa Lettera Apostolica.
Vi confesso che ho fiducia che Gesù, Pastore Buono, darà alla nostra chiesa pattese di vedere un numero sempre più numeroso di suoi figli impegnati in un cammino di vita spirituale, percorso ecclesialmente e fatto di adesione alla Persona di Gesù, trovata nell’attenzione ai fratelli.
5. A breve, le nostre comunità tutte vivranno l’appuntamento liturgico della solennità dell’Immacolata, tradizionalmente anticipato dalla Novena.
Alcune poi saranno raccolte pure dalla memoria di S. Lucia. Si tratta di due splendide occasioni per mediare il Tema del mese “Chiesa: comunione con le persone” (novembre) e “Chiesa: comunione con Dio” (dicembre) previsti dal Piano Pastorale.
6. Si avvicina la data fissata per la celebrazione dell’Avvenimento Redentore.
Mi permetto di caldeggiarne l’attenta e fervorosa preparazione e, a suo tempo, celebrazione.
È molto importante che i battezzati - noi per primi, naturalmente - ci abituiamo a pensare che Dio ci darà il premio non perché lo avremo trattato bene nei fratelli ma se lo esperimentiamo presente in essi.
7. Il prossimo 30 novembre si compiranno 25 anni dalla pia morte di Sua Eccellenza Mons. Giuseppe Pullano, che servì la nostra diocesi per 26 anni, realizzatore della maggior parte delle strutture che tuttora utilizziamo, padre del sacerdozio di tanta parte del Presbiterio Diocesano. Celebrerò la S. Messa in suo suffragio, nel Santuario da lui edificato alla Madonna di Tindari, giorno 26 novembre, alle ore 16. Vi invito a partecipare celebrando con me.
Con la mia benedizione.

 

Nel nome del Signore, busso alla porta del vostro cuore

Lettera alle persone consacrate e alle aggregazioni ecclesiali del 13 Dicembre 2002


Carissimi,
1.    ringrazio continuamente il Signore per voi che, accettando la chiamata del nostro Signore, amore dolcissimo e onnipotente, arricchite la nostra santa chiesa pattese di doni e carismi: sono questi doni dello Spirito che la vivificano e la sollecitano all’amore, alla coerenza con esso, alla testimonianza fattiva.
Pensando a voi, incontrandovi, con voi parlando mi sento a mio perfetto agio: condividiamo la stessa gioia emanante dallo stesso ‘sì’ generoso, alla stessa chiamata, dello stesso Signore, per lo stesso servizio, alla stessa chiesa: grazie, dunque, e onore rinnovati a voi, fratelli e sorelle, per quello che siete e per quello che fate, per lo slancio fervoroso che vi caratterizza.
Grazie: voi, con la vita, intonate il canto meraviglioso dei segnati che seguono il Signore dovunque vada.
Grazie: dentro il vostro cuore, acqua sempre fresca, gorgoglia il canto “Di te ha detto il mio cuore: ‘cercate il suo volto’; il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto, non respingere con ira il tuo servo. Mostrami, Signore, la tua via, guidami sul retto cammino” (Sl 27,8-9.10).
2.    Lo Spirito Santo, voi lo sapete bene, elargisce alla Chiesa la molteplicità dei carismi e ministeri e li elargisce perché essa possa manifestarsi al mondo come “segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano”(LG 1), e possa, altresì, portare a compimento la missione evangelizzatrice perché il mondo veda la luce (Lc 4,16). Al fine di tenere sempre viva la coscienza di tali doni e l’impegno di tramutarli in servizio, lo stesso Spirito elargisce specifici carismi a persone e gruppi  - voi siete tali persone! - così non viene mai meno il nutrimento per la comune crescita dell’intero Corpo di Cristo.

3.    La nostra chiesa pattese, voi lo sapete di certo, già da alcuni anni, ha intrapreso un cammino di rinnovamento per rispondere alla domanda d’evangelizzazione di cui, per il nostro tempo, si è fatto portavoce il Concilio e l’ininterrotto Magistero. Alla nostra generazione è chiesto non un generico miglioramento, ma una vera conversione e voi esperimentate quanto sia faticoso capirne e percorrerne il cammino.
Siamo, ora, ad un passo decisivo e tutti i preparativi portati avanti fino ad oggi dovranno   concretarsi in servizi che consentano alla comunità di mettere insieme le esigenze della vita e quelle del Vangelo. Chiamiamo tale svolta “Settimana della Fraternità”.
Essa è un’esperienza di chiesa molto significativa che, tra l’altro, deve suscitare nei partecipanti il desiderio di continuare.
Per dare risposta a questo desiderio costituiremo le Piccole Comunità. Non possiamo improvvisare, abbiamo bisogno della preparazione e della collaborazione adeguate di tutte le persone che, caratterizzate come sono dalla  buona volontà, hanno a cuore l’umanità e la diffusione del Vangelo.
Ho già consegnato il Piano Pastorale Diocesano dal titolo “Prendete il largo e calate le reti!”. In esso è descritto cosa fare in preparazione al grande evento della Settimana della Fraternità.
Avviate già le prime attività per suscitare collaborazione, siamo protesi ai passi che riguardano il compito, quant’altri mai delicato, di scegliere le persone che, due a due, dovranno “visitare” le famiglie per portare l’annuncio dell’evento e consegnare la lettera di convocazione alla Settimana della Fraternità.
La delicatezza del compito richiede che tali persone abbiano una certa disponibilità di tempo, delicatezza e attenzione nei riguardi di coloro che ricevono la visita, fiducia sempre rinnovata e forza per ricominciare da capo, amore per la Chiesa e per la sua missione.
4.    Fratelli e sorelle, nel nome del Signore busso alla porta del vostro cuore: siate disponibili. Conto sulla vostra generosità.
Voi, in misura varia, fate esperienza dei doni dello Spirito, della necessità di tradurre le esigenze della comunione in comunità concrete, del bisogno che hanno le persone e la società di conoscere Gesù col cuore, di esperimentare che egli l’unico Salvatore.
Cosa vi chiedo? Collaborazione. Nessuno è così povero da non potere fare niente: c’è bisogno di tutti.
I parroci, coadiuvati dalle Epap, dovranno individuare, alla luce dello Spirito Santo, le persone alle quali affidare il servizio di “visitatori”. Fate la vostra proposta. Se vi verrà chiesto questo servizio, non defilatevi. La richiesta implica la convinzione che avete le doti necessarie; usare tali doni è lodare il Signore chi ve li ha dato.
5.    Poi cominceremo a pensare alla costituzione delle Piccole Comunità e, in vista di quest’altro passo, vi ripeto d’essere generosi e di offrire, con semplicità e generosità, la collaborazione fatta di informazioni e valutazioni di modo che, chi di dovere, possa decidere con libertà illuminata.
6.    In seguito ci sarà bisogno di persone disponibili ad offrire, per il buon funzionamento di ognuna delle piccole comunità, i servizi di coordinatore, di moderatore, di segretario e di sostegno per le immancabili difficoltà: vedete bene che non c’è il pericolo di rimanere senza impiego o che resti smentita la parola di Gesù “la messe è molta!”.
7.    Il cammino è faticoso; il senso di smarrimento e di scoraggiamento è sempre in agguato. Non è raro che tra di noi ci siano fratelli che, come gli apostoli sul lago di Tiberiade, esperimentino la sensazione che Gesù dorma e temano di essere travolti dalle onde squassate dal vento.
È il momento di testimoniare, di incoraggiare, di offrire disponibilità e solidarietà, perché risulti viva l’urgenza della grazia del Vangelo e non manchi la tenace collaborazione all’opera di Dio tesa a superare gli ostacoli che si frappongono.
È il tempo di fare tesoro per gli altri di quello che la Parola santa dice a noi: “Chi ha disperso Israele lo raduna e lo custodisce come fa un pastore con il gregge, perché il Signore ha redento Giacobbe, lo ha riscattato dalle mani del più forte di lui.  Verranno e canteranno inni sull'altura di Sion, (…) Saranno come un giardino irrigato, non languiranno più. Allora si allieterà la vergine della danza; i giovani e i vecchi gioiranno.  Cambierò il loro lutto in gioia, li consolerò e li renderò felici, senza afflizioni. Sazierò di delizie l'anima dei sacerdoti e il mio popolo abbonderà dei miei beni” (Ger 31,10-14).
Carissimi, per concludere, vi ringrazio anticipatamente per l’atten­zione che, ne sono sicuro, mi riserverete e, data l’imminenza del Santo Natale, con questa mia lettera, vi presento il più cordiale augurio: la nuova nascita di Gesù vi porti gioia, serenità ed entusiasmo da spendere per il cammino della nostra comunità pattese.

 

Fratelli, osiamo con coraggio e costanza

Lettera ai Presbiteri del 10 Gennaio 2003


Carissimi,
leggendo e scrivendo questa lettera, diversi elementi rivelano e, insieme, creano l’ambiente della nostra anima.
1.  L’atmosfera natalizia. Le letture, le preghiere, gli inni, le tradizioni delle nostre comunità la rendono bene. Sono però Giuseppe e Maria a darcene l’esatta prospettiva. Loro che, meditando nel cuore gli eventi meravigliosi del Figlio, comprendono che Dio è stato fedele alle promesse antiche e loro, avendo visto Gesù salvezza, sono pieni di stupore. Ed è la riflessione orante dei santi e della Chiesa a dare accenti umani all’indicibile.
2. 
La preziosa sintesi che ci offre il salmo: il Verbo Divino divenendo uomo è divenuto nostro e ognuno gli può dire:
-    “Tu mi hai dato il tuo scudo di salvezza,
-    la tua destra mi ha sostenuto, la tua bontà mi ha fatto crescere.
-    Hai spianato la via ai miei passi, i miei piedi non hanno vacillato.
-    Ho inseguito i miei nemici e li ho raggiunti, non sono tornato senza averli annientati. Li ho colpito e non si sono rialzati, sono caduti sotto i miei piedi (sono nemici più temibili di quelli esterni la sensualità, l’apparenza, il potere, la perdita dello slancio ascetico e apostolico, lo schiacciamento amorfo sul tran tran quotidiano che esclude di farsi operatori di riconciliazione con Dio, nel prossimo, vanificando o, Dio non voglia, peggio… la Eucaristia).

Può essere utile rileggere nell’Imitazione di Cristo (III,13) la testimonianza dell’ascetica vissuta dai santi.
1.  Colui che tenta di sottrarsi all'obbedienza si sottrae anche alla grazia. Colui che cerca il bene suo personale perde anche il bene che è proprio del vivere in comune.
Colui che non si sottopone lietamente e spontaneamente al suo superiore, dimostra che la carne non gli obbedisce ancora perfettamente, ma spesso recalcitra e mormora.
Impara dunque a sottometterti prontamente al tuo superiore, se vuoi soggiogare la tua carne. Infatti, il nemico di fuori si vincerà più presto, se sarà stato sconfitto l'uomo interiore.
Non c'è peggiore e più insidioso nemico dell'anima tua, di te stesso, quando il corpo non si accorda con lo spirito.
Per avere vittoria sulla carne e sul sangue, devi assumere un totale e vero disprezzo di te.
Tu hai ancora invece un eccessivo e disordinato amore di te stesso; per questo sei tanto esitante a rimetterti interamente alla volontà degli altri.
2.  Ma che c'è di strano, se tu, polvere e nulla, ti sottoponi ad un uomo, per amore di Dio, quando io, onnipotente ed altissimo, che dal nulla ho creato tutte le cose per amor tuo, mi feci piccolo fino a sottopormi all'uomo? Mi sono fatto l'ultimo e il più piccolo di tutti, proprio perché, per questo mio abbassarmi, tu potessi vincere la tua superbia.
Impara ad obbedire, tu che sei polvere, impara ad umiliarti, tu che sei terra e fango; impara a piegarti sotto i piedi di tutti a disprezzare i tuoi desideri e a metterti in totale sottomissione.
Insorgi infiammato contro te stesso, e non permettere che in te si annidi la tumefazione della superbia. Dimostrati così basso e così piccolo che tutti possano camminare sopra di te e possano calpestarti come il fango della strada.
Che hai da lamentare tu, uomo da nulla? Che hai tu, immondo peccatore, da contrapporre a coloro che ti accusano tu, che tante volte hai offeso Dio, meritando assai spesso l'inferno?
Ma, ecco, apparve preziosa al mio sguardo l'anima tua, ecco il mio occhio ebbe compassione di te, così che, conoscendo il mio amore, tu avessi continua gratitudine per i miei benefici ed abbracciassi senza esitare, un'umile sottomissione, nella paziente sopportazione dell'altrui disprezzo.
-    Tu mi hai cinto di forza per la guerra, hai piegato sotto di me gli avversari (Sal 18, 36-40).
3.  La vita della nostra Chiesa diocesana che, in questo primo mese del nuovo anno di grazia 2003, sintetizza pensieri, proposte, azioni nello slogan per il quale Chiesa è cercare insieme il bene comune.
Conosciamo molto bene quanto grande sia l’impegno della nostra Chiesa, in obbedienza al Vangelo e al Magistero, perché nessun battezzato manchi della passione per annunziare Gesù, unico salvatore, sempre lo stesso ieri oggi e sempre, a tutti e insieme, in ogni circostanza, con la forza della testimonianza.
Fratelli, osiamo con coraggio e costanza. La messe è veramente molta; le situazioni in cui essa è sparsa sono radicalmente nuove rispetto a qualche decennio addietro e rassomigliano alla vigna manzoniana dopo la prolungata assenza delle mani benefiche di Lorenzo Tramaglino.
Lo sconforto, il disfattismo, il pregiudizio, l’individualismo non ci appartengono perché mai e poi mai odoreranno di Vangelo.
Coraggio! Il Signore, Egli, padrone unico della messe e unico che ha accesso ai cuori, Egli, il solo nostro Diletto, l’unico che conosciamo e che ci chiama amico, bello, che c’invita sempre a lui (cfr Ct 2,10), sostenga, illumini, gratifichi l’adesione a lui, nella Chiesa, sempre e, al presente, nell’immediato, nella preparare e nel portare avanti la preparazione alla ‘Settimana della Fraternità’.
4. La ventata d’aria fresca che il Santo Padre ha immesso nella Chiesa con la lettera apostolica Novo Millennio Ineunte. Pensate, fratelli, un uomo dall’età non proprio verde, provato dalla malattia osa parlare in prospettiva di millennio; forte della presenza di Lui al timone della barca e nei tornanti della storia, ci esorta: Duc in altum!
5.  Noi pure abbiamo vivissima fede nella Sua presenza; e ben   sappiamo che è Lui il nostro programma. Non possiamo indulgere però ai sentimentalismi e alla superficialità.
a)  Egli è presente! È però da conoscere, amare, imitare, vivere, generare.
b)  Egli è il programma unico!
Consapevoli che ciò che non è organizzato, semplicemente non esiste, dobbiamo organizzarci perché tutti siano in condizione di mettere a frutto i talenti ricevuti e tutti, altresì, abbiano l’opportunità di dare la loro consapevole risposta all’Amore Onnipotente e Fedele che, in Cristo, ‘ci ha benedetto con ogni benedizione spirituale, ci ha scelto prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella  carità; ci ha predestinato a essere suoi figli adottivi e ci ha redento mediante il suo sangue; ci ha fatto conoscere il mistero della sua  volontà;  ci ha fatto anche eredi, perché noi fossimo a lode della sua gloria; ci ha meritato il suggello dello Spirito Santo che era stato promesso e che è caparra della nostra eredità (Cfr Ef 1,3-14).

 

Chiesa: dialogo di verità

Lettera ai Presbiteri del 14 Febbraio 2003


Carissimi,
1. va ascritto anche a merito della riflessione cristiana se il dialogo è oggi entrato nel linguaggio comune.
Basta pensare all’Ecclesiam Suam nella quale Paolo VI conduce per mano il lettore a considerare la necessità di estendere il dialogo, come a cerchi concentrici via via più ampi, a chi fa parte della chiesa, a chi ha la stessa fede in Cristo e lo stesso Battesimo, a chi crede in un Dio, a tutti gli uomini di buona volontà.

Il passaggio però dalle considerazioni alla pratica del dialogo non si può dare per fatto, non è facile, se realizzato, non è da pensare che sia realizzato per sempre e ogni giorno occorre rinverdire le motivazioni e poi offrire occasioni, strumenti, itinerari pratici e ‘luoghi’ di dialogo.
2.  Dialogo con Dio, innanzi tutto, e che non sia vago sentimentalismo o illusorio parlar con se stessi. Dialogo che parta dalla verità delle cose, di sé, di Dio.
E per partire dalla verità non si potrà fare a meno di considerare il peccato. Non per patologico rimestare il passato ma per pervenire alla conferma nella convinzione dell’amore straordinario del Padre.
Il peccato, la concupiscenza nelle sue varie vesti, l’attrattiva del mondo, il demonio, la volontà umana labile perché ferita dal peccato quanto la libertà, la superbia (ipertrofia dell’io suona più ‘in’ ma non cambia le cose) e l’amor proprio non sono invenzioni di psicotici sopravvissuti al medioevo ed hanno un’incredibile duttilità per le situazioni più varie.
Essi fanno buona compagnia alla incapacità di perseguire la riconciliazione all’interno delle famiglie, tra i gruppi professionali e sociali, tra i popoli, equilibrio tra antico e nuovo, all’insensibilità alla voce che sale dalle cose, dagli avvenimenti e dalle persone.
La presunzione di sapere, capire, dominare anestetizzano la fantasia, la volontà di tentare vie nuove, la fede in Dio che si assicura presente, oggi pure, ma che vuole coniugare la sua onnipotenza con la nostra intelligenza. È toccato dalla grazia chi, con S. Paolo, esclama: ‘Sono uno sventurato, chi mi libererà da questo corpo votato alla morte?’ e, contemporaneamente, vede sorgere e brillare in tutta la sua confortante grandezza e maestà la persona del Salvatore.
È al riparo dalle illusioni, sa di dovere esplicare ogni diligenza per vivere da uomo nuovo e, insieme, esperimenta vera la parola di Gesù «non vi lascerò orfani», vi manderò un altro, lo Spirito Santo, luce, guida, forza.
Lo Spirito è Dio stabilmente presente nel fedele, più intimo a sé di se stesso. Egli è là, decide su ciò che conta, là dove, con intonazione assolutamente singolare, egli dice ‘io’. Il credente per la fede, per i sacramenti, per l’impegno personale e costante può dialogare con Dio se, in tensione per essere tra i semplici, puri, piccoli del Vangelo.
3.  Cartina al tornasole del dialogo con Dio è il dialogo col prossimo. E la chiesa è dialogo, nella verità, oltre che con Dio, col prossimo. Sono i santi - basta pensare a Francesco d’Assisi e al suo incontro col lebbroso - ad insegnare che l’incontro con Dio è da concretare nell’incontro col prossimo. Chiesa: dialogo nella verità, dunque. La verità dell’uomo, la verità di Dio.
L’apertura al dialogo, dimensione della Chiesa, non si può solo declamare. Il dialogo come valore è entrato nella cultura e non si dà che qualcuno ne neghi la valenza. Il problema è che la Chiesa ha da essere luogo esemplare di dialogo in concreto.
Concreto, perché dà risposta alla sete di partecipazione e cioè avere, contare e sapere di più, per essere di più. Luogo in cui il dialogo trova ed esperisce strutture, condizioni, modalità per essere realizzato. Luogo in cui tutti abbiano reale spazio per esprimersi, per dire la propria nell’analizzare, nelle scelte, nelle decisioni e nell’azione.
Tutti, perché tutti persone. Tutti, perché tutti tempio vivente dello Spirito. Tutti, perché tutti chiamati a pervenire a pienezza, secondo la misura assegnata ad ognuno in rapporto a Cristo nella accettazione e nella costruzione del Regno di Dio.
4.  L’impegno attuale  della nostra Chiesa pattese per preparare la Settimana di Fraternità nel corso del 2004 è in linea  con l’esigenza di dialogo. Cosa più importante, è in fedele esecuzione della volontà di Dio che chiama tutti a familiarità per mezzo di Gesù che, nella sua persona, ha abbattuto i muri di divisione e invia i credenti in lui.
Li invia perché, con la forza dello Spirito, dato con abbondanza, annunzino il Vangelo di salvezza ai poveri, la libertà ai prigionieri, agli afflitti la gioia.
I nostri fratelli sono, come noi stessi siamo, tutti beneficiari dell’invio, tutti chiamati ad essere testimoni di Dio che ci pensa fin da prima della creazione.
Gli stessi fratelli sono a noi affidati: siamo debitori a tutti del Vangelo. Il nostro zelo, i talenti, la volontà di non rassegnarci all’esistente e di buttare da capo le reti fidandoci di Colui che ci rende certi della sua presenza accanto a noi, ne sono certo, non mancheranno e noi possiamo fare nostra, fiduciosi, la visione profetica:
«Tutti parlino del Signore e diano lode a lui in Gerusalemme.
Città santa, il Signore ti ha castigato per le opere dei tuoi figli, e avrà ancora pietà per i figli dei giusti. L’ultima parola è sempre di misericordia .
Da’ lode degnamente al Signore e benedici il re dei secoli; egli ricostruirà in te il suo tempio con gioia, per allietare in te tutti i deportati, per far contenti in te tutti gli sventurati, per tutte le generazioni dei secoli.
Lodare il Signore, esaltarne l’operato è quanto di meglio possa fare la creatura intelligente.
Come luce splendida brillerai sino ai confini della terra; nazioni numerose verranno a te da lontano; gli abitanti di tutti i confini della terra verranno verso la dimora del tuo santo nome, portando in mano i doni per il re del cielo.
Generazioni e generazioni esprimeranno in te l'esultanza e il nome della città eletta durerà nei secoli. Il credente non può, non deve mai ripiegarsi su se stesso; egli, luce e sale, è per gli altri.
Ma benedetti sempre quelli che ti ricostruiranno.
Sorgi ed esulta per i figli dei giusti, tutti presso di te si raduneranno e benediranno il Signore dei secoli.
Beati coloro che ti amano beati coloro che gioiscono per la tua pace. Beati coloro che avranno pianto per le tue sventure: gioiranno per te e vedranno tutta la tua gioia per sempre.
La beatitudine di chi si dona agli altri è la beatitudine promessa a chi segue Cristo che ha tanto amato il mondo da darsi, fino alla fine. La beatitudine assicurata a chi costruisce Gerusalemme, immagine della Chiesa, è la beatitudine conseguita da chi ha capito che solo dandosi riceve, perdendosi si ritrova, morendo vive. Come l’evangelico chicco di grano.
Gerusalemme sarà ricostruita come città della sua residenza per sempre» (Tb 13,13-17).
Io so in chi ho posto la mia speranza; egli non permetterà che fatica, amore, speranza e fede di chi lavora con lui vadano perduti. A suo tempo il seme germoglierà, fiorirà, porterà frutto. Ora, di notte e di giorno, mentre ci pensi e quando sei altrove con la mente, non sai come, è tempo di crescita nascosta.
Con la mia benedizione.

 

Beati gli operatori di pace

Riflessione nel Ritiro Spirituale del 14 Marzo 2003


Il tema che il nostro cammino pastorale prevede per il corrente mese di marzo «Chiesa: riconciliazione con Dio» si colloca all’inizio del cammino quaresimale e coincide coi giorni intristiti dai venti (solo venti?) di guerra. Si tratta di coincidenza che non possiamo lasciarci scivolare addosso come niente, come se pace e guerra non ci riguardassero.

I.  IL CAMMINO QUARESIMALE

1.  La Quaresima
a)  è cammino
non solo  e non principalmente perché il susseguirsi dei giorni porterà anche le nostre più piccole comunità a rinnovare riti secolari, carichi di pie suggestioni e che fondano il loro indiscutibile valore pedagogico nella coinvolgente drammatizzazione.
Motore privilegiato del cammino cristiano è l’esperienza ecclesiale, sempre illuminata, riscaldata e guidata dalla Parola di Dio. Questa, durante la Quaresima, è offerta più abbondantemente e, selezionata da esperienza millenaria, pone più efficacemente dinanzi agli snodi della Storia della Salvezza.
b)
  In primo luogo, non potrebbe essere diversamente, il credente è posto dinanzi alla persona di Gesù vero uomo e vero Dio.
*   Gesù nella concretezza della sua vita.
Nato nell’umiltà e povertà di Betlemme, vissuto nel silenzio semplice e fattivo di Nazaret. Egli ‘sale’ sempre verso Gerusalemme dove, dopo l’an­nunzio del vangelo di salvezza ai poveri, della libertà ai prigionieri, della gioia agli afflitti, per attuare il disegno del Padre teso a redimere tutti, si consegna volontariamente alla morte.
Risorgendo, distrugge la morte e rinnova la vita e, perché non viviamo più per noi stessi ma per lui che è morto e risorto per noi, ci ha dato lo Spirito Santo a perfezionare la sua opera nel mondo a compiere ogni santificazione.
*   Gesù nella sua missione di Salvatore.
Egli è la realizzazione delle benedizioni divine come incisivamente canta Paolo quando motiva l’esortazione a benedire Dio col fatto che egli, per primo, ci ha benedetto, per l’appunto, in Cristo. È cosa migliore ascoltare direttamente l’Apostolo. Solo ricordo che Dio benedice quando, promettendo dei beni assicura che non sono promessi invano: «Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetto con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo. In lui ci ha scelto prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati, al suo cospetto nella carità, predestinandoci ad essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà. E questo a lode e gloria della sua grazia, che ci ha dato nel suo Figlio diletto; nel quale abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, la remissione dei peccati secondo la ricchezza della sua grazia. Egli l’ha abbondantemente riversata su di noi con ogni sapienza e intelligenza, poiché egli ci ha fatto conoscere il mistero della sua volontà, secondo quanto nella sua benevolenza aveva in lui prestabilito per realizzarlo nella pienezza dei tempi: il disegno cioè di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra. In lui siamo stati fatti anche eredi, essendo stati predestinati secondo il piano di colui che tutto opera efficacemente conforme alla sua volontà, perché noi fossimo a lode della sua gloria, noi, che per primi abbiamo sperato in Cristo. In lui anche voi, dopo aver ascoltato la parola della verità, il vangelo della vostra salvezza e avere in esso creduto, avete ricevuto il suggello dello Spirito Santo che era stato promesso, il quale è caparra della nostra eredità, nella attesa della completa redenzione di coloro che Dio si è acquistato, a lode della sua gloria» (Ef 1,3-14).
c)
  Il credente è formato alla sapienza dei santi che insegnano:
-     l’abbandono fiducioso.
«Poiché abbiamo un grande sommo sacerdote, che ha attraversato i cieli, Gesù, Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della nostra fede. Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, per ricevere misericordia e trovare grazia ed essere aiutati al momento opportuno» (Eb 4,14-16).
-    Il realismo.
Le folate d’ottimismo facile non sono per il discepolo di Cristo. Egli sa, anzi, esperimenta nella sua vita la contraddizione più bruciante tra quello che vorrebbe e quello che riesce a fare. In sintonia con la saggezza pagana registra che in vetitum nitimur omnes cupimusque negata, consente con la liturgia quando canta che siamo ‘quasi folium universi et cecidimus’ e dice di sé: ‘infelice uomo che sono! Chi mi libererà da questo corpo di morte? Grazie siano rese a Dio per mezzo di Gesù Cristo, Signore nostro’(Rm 7,24-25). Egli sa del peccato che deturpa l’immagine di Dio impressa nell’uomo dal Creatore e ricreata dall’amore di Dio in Gesù Cristo.
Egli conosce e riconosce il peccato: orgoglio, nella luce di Gesù che, sottomesso alla volontà del Padre, serve i fratelli; inerzia davanti a lui che si impegna, fino all’immolazione totale, per darci salvezza; menzogna, dinanzi a lui parola di verità; mancanza d’amore, dinanzi alla forza potente del suo amore che tutti include.
-    La sovrabbondanza della grazia.
L’abisso del peccato non lo schiaccia perché un groviglio mirabile di doni, mediazioni, incontri, esperienze lo pone dinanzi al Redentore che, più grande d’ogni peccato, manifesta la sua onnipotenza soprattutto nella misericordia e nel perdono, che fa abbondare la grazia dove abbondò il peccato, che fa una cosa nuova proprio ora, che, ancora oggi Creatore, lo rimette in sesto ridandogli d’essere figlio in lui Figlio. Il suo cuore resta in contemplazione: “Beatus Auctor saeculi servile corpus induit, ut carnem carne liberans, ne perderet quos condidit».

2.  La Quaresima ha:
a)
  le sue tappe. Ci sono, degne d’ogni considerazione, le tappe liturgiche tradizionali. Senza niente togliere a queste, faccio una proposta partendo dalla considerazione che i credenti non ci qualifichiamo per saperi da proporre ma per la coerenza nel vivere e passare la passione per Gesù. Intendiamoci, resta sempre vero che lui, per primo, ha passione per noi. Ed è significativa l’esperienza di Paolo: «Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Gal 2,20). Dio ci ama, ha passione per noi. Noi del suo amore dobbiamo approfondire il senso, la portata, le conseguenze, le esigenze. Come?
Propongo la meditazione prolungata, saporosa ed orante sulle varie sfaccettature della realtà della Chiesa proposta alle nostre comunità in quest’anno pastorale.  Le richiamo:
-    Chiesa: accoglienza di Dio.
-    Chiesa: comunione con le persone.
-    Chiesa: comunione con Dio.
-    Chiesa: cercare insieme il bene comune.
-    Chiesa: dialogo nella verità.  
-    Chiesa: riconciliazione con Dio.
-    Chiesa: partecipazione alla vita di Dio.
-    Chiesa: ascolto insieme della Parola.
-    Chiesa: comunicare l’esperienza di Dio.

b)
  le sue leggi. La virtù cristiana della vigilanza, durante la Quaresima, s’impone sotto un profilo particolare: evitare di pensare già realizzata una cosa per il fatto che se ne è parlato. Appartiene a Gesù l’ammonimento in questo senso. Sua è l’insistenza: si feceritis beati eritis. Alla sua conoscenza del cuore dell’uomo dobbiamo la plastica contrapposizione del vacuo dire con il corposo fare: «Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demòni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome? Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori d’iniquità. Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile ad un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia. Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, è simile ad un uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde, e la sua rovina fu grande» (Mt 7,21-27).
È sempre Gesù ad aiutarci a distinguere tra l’ascolto magari attento e, ancora una volta, l’agire: «Gesù si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l'asciugatoio di cui si era cinto. Quando dunque ebbe lavato loro i piedi e riprese le vesti, sedette di nuovo e disse loro: “Sapete ciò che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi. Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica’» (Gv 13,4-5.12-15.16).
c)
  un traguardo: la Quaresima è, nella ordinarietà, la celebrazione della Penitenza e dell’Eucaristia non come riti in sé e di sé contenti ma come sacramenti o segni. Come realtà legate, da una parte, a Cristo Signore morto e risorto e, dall’altra, alla vita del credente per significarne e realizzarne la interiore conversione, per metterlo nella condizione di vedere Dio. Vedere Dio è vedere l’Invisibile perché Dio ci supera. I puri di cuore però possono vederlo. E la purezza di cuore è:
*   conservare retta l’intenzione non solo nelle grandi occasioni come quando, ad esempio, si deve scegliere lo stato di vita, ma anche nelle occasioni piccole e particolari. Occorre in tali occasioni procurare di servire e compiacere unicamente la divina Bontà. Per se stessa e per gratitudine per i benefici straordinari con cui ci ha prevenuto. Timore di pene e speranza di premi non entrano tra i componenti della purezza di cuore.
*   cercare Dio in ogni cosa rigettando da sé l’amore di tutte le creature, per riporlo nel Creatore, amando lui in tutte le cose e tutte le cose in lui conformemente alla sua volontà purissima.
d)
  La Quaresima è scuola di fede, luogo privilegiato dell’impegno, tempo prezioso perché la grazia del Santo Spirito, coadiuvata dalla libera accettazione e collaborazione della creatura, può operare un’autentica primavera in ogni spirito per gravi che siano le sue colpe, per spessa che sia la coltre stesa da quella morte dell’anima che è la tiepidezza. Se la fede non fosse questa forza che vangelo - notizia lieta - sarebbe il Vangelo?

3. Cosa fare.

Non possiamo diluire la Quaresima in ‘parole sulla’ Quaresima, sul cammino di vita cristiana, sulla riconciliazione, sul rinnovamento. Quel che serve è fare la Quaresima, realizzare, nella Chiesa, il cammino di vita cristiana (i passi sono il Battesimo, la fede, l’adempimento dei doveri del proprio stato, le piccole opere buone, la celebrazione della Eucaristia, l’impegno nella costruzione di una società più degna dell’uomo, riconciliarsi con se stessi, col prossimo e con Dio). La Quaresima, insomma, non porta da nessuna parte finché non ci si pone con serietà fattiva dinanzi al punto di domanda: che fare?
Per la verità ho già dato alcune risposte pratiche. Insistere, data l’im­portanza dell’argomento, non è mai superfluo. Dalla assiduità coi temi qui toccati (purezza del cuore, vita spirituale come ‘fare’, riconciliazione con sé, col prossimo con Dio) dipende la sensibilità spirituale. Sensibilità che si acquista, si affina, si perde… Che fare dunque?
a)     Riconciliarsi

*   Con se stessi, purificando la memoria di quanto in essa staziona tenendo aperte vecchie ferite e rabbia, causando risentimenti, paure, desideri di rivalsa.
*   La riconciliazione col prossimo che è collegata alla riconciliazione con se stessi e alla purificazione della memoria. Ma non solo.
Il cammino che la nostra diocesi, sulla scia delle indicazioni magistrali del Vaticano II e del Santo Padre, sta percorrendo è ora pervenuto alla convocazione di tutti i battezzati in forza di nient’altro che il Battesimo. È la chiamata per offrire la opportunità di esperimentare ‘quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme!’ (Sl 133,1). È olio profumato, rugiada ristoratrice! Accettare di cambiare punto di vista facendo proprie le indicazioni pastorali della Chiesa è riconciliarsi.
*   Il ministero sacerdotale ci dà spesso l’opportunità di prendere la parola. Il rischio di scadere nel moralistico, nel ripetitivo, nell’ovvio ci è sempre acquattato vicino. Un’ora di meditazione quotidiana e una mezz’ora quotidiana destinata alla preparazione di quel che dobbiamo dire, ecco la nostra quaresima quotidiana.
*   I santi insegnano che non possiamo essere membra delicate sotto un Capo Crocifisso. Insistono pure, con la parola e con l’esempio, sulla necessità della attenta, devota e degna celebrazione dei santi misteri. Trovare o ritrovare il coraggio della semplicità per accettare o cercare i modi di semplici forme di mortificazione nel vitto, nel riposo, nel soffrire per essere come Gesù, per tenere a bada tutto la nostra persona, per ottenere grazie particolari, ecco un’altra risposta al che fare?. E vale lo stesso per la messa in opera di quanto serve per evitare, come graziosamente diceva un maestro di vita spirituale, di passare come niente, dalla camicia al camice.
b)  Accogliere Dio.
Dio non mi verrà incontro, alla fine della vita, per premiarmi del bene che, in vita, avrò fatto al prossimo. Dio mi verrà incontro nelle persone, comunicando con esse. Chi non ricorda Francesco d’Assisi che non incontra Dio finché non lo incontra nel lebbroso? L’accoglienza è, se accetto e cerco le opportunità di ‘perdere’ tempo, di stare e faticare con gli altri; magari ascoltando insieme la Parola, dando loro spazio nel preparare quanto occorre per una piccola iniziativa proposta dal Piano Pastorale.
c)
  Sviluppare il desiderio di sentire quanto il Signore suggerisce per progredire nell’accesso alla Verità che, essendo Dio stesso, tutti ci supera. Non è piacevole accettare che siamo sempre principianti, che non possiamo fare a meno degli altri, pur se, in linea di principio, accettiamo senza difficoltà di non essere perfetti. Nella concretezza, però, la tentazione di fare da soli, è la tentazione d’Adamo, non ci lascia mai. Stare con gli altri non è per favorire la loro crescita ma per crescere insieme.
d)
  La nostra è epoca di cambiamenti radicali. Un mondo con il suo assetto secolare è tramontato e il nuovo, più visibilmente che mai, soffre le doglie del parto. Chi potrebbe presumere d’avere soluzioni e ricette per le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce che caratterizzano questo mondo nuovo? Né come credenti possiamo chiamarci in disparte ché quelle gioie e quelle angosce sono pure nostre, della Chiesa. Cercare con gli altri il meglio possibile, qui e oggi, per la santa sposa di Dio che è la Chiesa e per il servizio al mondo che essa deve rendere è fondamentale. Ed è ottimo esercizio quaresimale. Mentre, al contrario, è strappare la veste di Cristo attardarsi in concezioni e metodi di lavoro che, validi in altre epoche, non corrispondono alla sensibilità della Chiesa del 3° millennio che, con Giovanni Paolo II, ci spinge ad osare, a buttare le reti di nuovo, dall’altra parte, forti della presenza attiva del Divino Fondatore. Peraltro gli atteggiamenti d’autarchica autosufficienza solo con la pigrizia mentale e l’orgoglio fanno rima se è vero, com’è vero, che la conversione è dare spazio a Dio, credere al Vangelo, assumere la mente di Gesù che nella Chiesa è presente e farne proprio lo stile.
e)  Comunicare l’esperienza di Dio.

«Cerca la conoscenza di Dio più alta, quella che non sta nelle dispute verbose ma nella santità di una buona vita; non nel parlare, ma nella fede che sgorga dalla semplicità del cuore. Se cercherai colui che è ineffabile con le discussioni, egli ‘fuggirà da te più lontano’ di quanto non fosse prima. Se invece lo cercherai con la fede troverai la sapienza presso le porte della città dove è la tua dimora. Dio è invisibile anche se è possibile averne qualche conoscenza da parte di chi ha il cuore puro» (S. Colombano, Istr. 1^ sulla fede).
Se è fuorviante pensare di contenere Dio nelle dispute, niente è meno lontano da Gesù dello stile implicito nel modo di dire per il quale mi faccio i fatti miei. Comunicare è fondamentale, ché la persona è relazione. Epperò, tanto è arduo comunicare l’esperienza di Dio quanto è banale comunicare facendo conoscere progetti e difficoltà e gratificazioni che restano in superficie o, più ancora, raccontando storielle sapide, pettegolando.
Comunicare l’esperienza di Dio implica compromettersi, scendere nel profondo di sé, ritrovarsi dove risuona in modo assolutamente originale la parola ‘io’, dove mi raccolgo in orazione, dove Dio è stabilmente e non come ospite occasionale, dove il Divino Spirito, con gemiti indicibili, grida per me e con me ‘Abba, Padre!’.
Comunicare a livello profondo, comunicare l’esperienza di Dio è il dono che scambio coi fratelli.
Comunicare l’esperienza di Dio accettando l’umiltà dell’ascoltare, cercare, decidere, e agire ecclesiali, con fede tenace, speranza costante, carità generosa e paziente, ecco un’altra risposta quaresimale al ‘che fare?’.
f)
   A modo di conclusione va ricordato che la riconciliazione col prossimo, l’accoglienza di Dio, la ricerca del meglio possibile, la comunicazione dell’esperienza di Dio intesi intimisticamente illudono perché si riducono a un discorrere con se stessi. Accolgo Dio, se accolgo il prossimo, se perdo me e il mio tempo e le mie energie accanto a lui cercandolo, ascoltandolo, adattandomi ai suoi tempi di analisi, di decisione, di azione.
Un’esperienza spirituale condivisa, per quanto piccola, vale più dello stare impettiti dinanzi a Dio come, con insuperabili semplicità ed efficacia, insegna il Maestro: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l'altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore. Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell'altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato» (Lc 18,10-13).

II.    LA PACE

1.  La situazione
Non abbiamo bisogno di affastellare notizie sulla drammaticità del momento. La comunità internazionale è attraversata da tensioni che ameremmo relegare tra le notizie truci del passato. Diecine di guerre, in diversi punti dell’aiuola che continua a vederci feroci. In tutti i continenti. Vicino e lontano. Piccole e grandi. Di là da quanto i potenti di turno decidono di lasciare passare attraverso i mezzi di comunicazione di massa.
Le angosce dei poveri pestati senza sapere perché, i lutti delle madri, degli orfani, delle spose, le vite cancellate non possono lasciarci indifferenti, ci riguardano e ci interpellano. E non si tratta di retorica. Iraq, Burundi, Costa d’Avorio, Palestina, Corea, Timor Est, Colombia, USA, antrace, vaiolo, terrorismo, petrolio, bombe chirurgiche o (ironia feroce) intelligenti, embargo, gara a chi meglio imbroglia, ecc. sono i componenti di un micidiale esplosivo che attualizza il mito nel quale il lupo e l’agnello, in un sadico rincorrersi, giocano a scambiarsi le parti.

2.  Cosa è la pace
Non ci interessa qui definire la pace. Ognuno di noi della pace può mettere insieme diverse definizioni. È utile, semmai, riflettere che, mentre quando si parla di guerre, la tendenza è a stabilire dove stiano e come siano divisi torto e ragione, provocazione e difesa, in verità nelle guerre tutti siamo sconfitti. Trovo più utile proporre qualche elementare riflessione.
Si parla di guerre di religione. Con tutto il vigore di cui siamo capaci vogliamo urlare:
*   Mai in nome di Dio sarà lecito uccidere. Se i grandi della terra non sentiranno, ai semplici, ai poveri, agli uomini di qualsiasi latitudine che vorrebbero vivere in pace suonerà dolce che Dio è Padre amante della vita che non ha creato la morte.

*   Giù le mani dalla pace. È penoso constatare come, pur di perseguire i propri interessi, governi e gruppi e partiti qui guerreggiano mentre là animano i cortei per la pace; a Sud si scandalizzano per i bambini massacrati mentre, ad Ovest, con il commercio delle armi, incamerano valuta lorda di sangue che, ancora una volta invera l’antico motto per il quale ‘pecunia non olet’. Giù le mani dalla pace! È fetida ipocrisia servirsene come di grimaldello per scassinare la casa altrui. Giù delle mani dalla pace! La vita è sacra davvero. Giù le mani dalla pace! Mai è lecito ridurre l’uomo e la sua vita a merce di scambio.

3.  Cosa fare
È difficile trovare una domanda dalla risposta più ardua. Specialmente quando si pretenda di trovarla, senza tenere conto dei passi precedenti, a bombardieri rullanti e incrociatori ‘in zona’. È come chiedere ‘cosa fare?’ per un ammalato nel quale la temperatura corporea è già alle stelle, la glicemia a 800, il colesterolo a 400, il ritmo cardiaco di 50, i necrofori in veglia disinteressata e la bara pronta. Cosa fare? Il discepolo di Cristo deve:
a)  avere il coraggio della verità,
o parresia, che è molto più che sincerità.
-    la pace è dono di Dio. Esperimentiamo la pochezza dei progetti umani dinanzi ad un mondo che è troppo complesso e che sbrodola via da un lato mentre pensiamo di prenderlo solidamente dall’altro. Di solito una crisi non è ancora risolta che un’altra urge minacciosa.
-    «Da che cosa derivano le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che combattono nelle vostre membra? Bramate e non riuscite a possedere e uccidete; invidiate e non riuscite ad ottenere, combattete e fate guerra!»? (Gc 4, 1-2)
-    Proviamo a dire e, prima, a sentire profondamente vero quanto canta Daniele: ‘Benedetto sei tu, Signore Dio dei nostri padri;  degno di lode e glorioso è il tuo nome per sempre. Tu sei giusto in tutto ciò che hai fatto; poiché noi abbiamo peccato, abbiamo agito da iniqui, allontanandoci da te, abbiamo mancato in ogni modo. Non ci abbandonare fino in fondo,  per amore del tuo nome, non rompere la tua alleanza;  non ritirare da noi la tua misericordia,  per amore di Abramo tuo amico,  di Isacco tuo servo, d'Israele tuo santo,  ai quali hai parlato, promettendo di moltiplicare  la loro stirpe come le stelle del cielo, come la sabbia sulla spiaggia del mare. Ora invece, Signore,  noi siamo diventati più piccoli  di qualunque altra nazione,  ora siamo umiliati per tutta la terra  a causa dei nostri peccati. Ora non abbiamo più né principe,  né capo, né profeta, né olocausto,  né sacrificio, né oblazione, né incenso,  né luogo per presentarti le primizie e trovare misericordia.  Potessimo esser accolti con il cuore contrito  e con lo spirito umiliato,  come olocausti di montoni e di tori,  come migliaia di grassi agnelli. Tale sia oggi il nostro sacrificio davanti a te  e ti sia gradito, perché non c'è confusione  per coloro che confidano in te. Ora ti seguiamo con tutto il cuore,  ti temiamo e cerchiamo il tuo volto’ (Dn 3, 26-27.29.34-41).
b)
  coltivare la coerenza. Si definisce diritto civile eliminare qui, vicino, le vite che si affacciano sulla terra. Si ironizza su Madre Teresa di Calcutta e sul Papa che definiscono l’aborto e l’infanticidio attentati alla pace e delitti abominevoli (GS51) e frattanto ci si scandalizza della guerra che, lontano, uccide i poveri e i bambini afgani, irakeni o chessò io.
c)
  operare la pace. Gesù proclama la beatitudine di chi non si contenta di augurarsi fruitore della pace ma se ne fa operatore. Con pensieri, parole, azioni, rinunzie, sottolineature, con la capacità di non cedere al mimetismo, e di pagare di persona.
d)
   interiorizzare sinceramente e coerentemente le parole bibliche e della liturgia:
*   «Abbiamo una città forte se Egli erige a nostra salvezza mura e baluardo. In essa abita il popolo giusto che è quello che si mantiene fedele. Il suo animo è saldo. Dio gli assicurerà la pace per la sua fiducia. Questo popolo proclama: Confidate nel Signore sempre, perché il Signore è una roccia eterna; il sentiero del giusto è diritto, il cammino del giusto tu rendi piano. Sì, nella via dei tuoi giudizi, Signore, noi speriamo in te; al tuo nome e al tuo ricordo si volge tutto il nostro desiderio. La mia anima anela a te di notte, al mattino il mio spirito ti cerca, perché quando pronunzi i tuoi giudizi sulla terra, giustizia imparano gli abitanti del mondo. Signore, tu ci concederai la pace, poiché tu dai successo a tutte le nostre imprese» (Cfr Is 26,1-4.7-9.12).
*   Nella veglia salvaci, Signore, nel sonno non ci abbandonare: il cuore vegli con Cristo e il corpo riposi nella pace.
*   «Il Dio della pace vi santifichi fino alla perfezione e tutto quello che è vostro, spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo» (1Tess 5,23).
*   «Me infelice: troppo io ho dimorato con chi detesta la pace. Io sono per la pace, ma quando ne parlo, essi vogliono la guerra» (Sl 120,5-7). Cercare la pace non è questione di parole. Il credente deve agire sempre in modo da dichiarare con verità di patteggiare per la pace, andando contro corrente, disposto a pagare il prezzo della sua estraneità rispetto a chi ordisce trame di guerra.
e)  Porsi in ascolto e farsi eco del Magistero.

Sull’argomento è abbondantissimo ed io mi limito a richiamare il paragrafo terzo del messaggio del Santo Padre per la Giornata Mondiale della Pace di inizio anno. Rifacendosi all’insegnamento della Pacem in terris il Papa insegna che la pace non sussiste senza i suoi quattro pilastri:
-    la verità che è fondamento della pace se ogni individuo con onestà prenderà coscienza, oltre che dei propri diritti, dei propri doveri;
-    la giustizia che edificherà la pace se concretamente rispetterà i diritti altrui e si sforzerà di adempiere pienamente i doveri verso gli altri;
-    l’amore sarà fermento di pace, se la gente sentirà i bisogni degli altri come propri e condividerà con gli altri ciò che possiede, a cominciare dai valori dello spirito.
-    la libertà infine alimenterà la pace e la farà fruttificare se, nella scelta dei mezzi per raggiungerla, gli individui seguiranno la ragione e si assumeranno con coraggio la responsabilità delle proprie azioni.
Iniziative, marce e discorsi sulla pace si susseguono con le migliori intenzioni. Partecipare, promuovere, animare ci si addice. Se voliamo alto però.
La Chiesa nel Magistero dei suoi pastori ci indica la strada.
Il Santo Padre ha indicato l’implorazione della pace come intenzione per il digiuno del Mercoledì delle Ceneri. La proposta ha trovato buona accoglienza anche presso di alcuni che tengono a marcare la distanza dalla visione della vita propria del Santo Padre.
La nostra sensibilità cristiana ci porterà a:
*   precisare senso e finalità del digiuno cristiano;
*   iniziative e proposte che dicano accoglienza docilmente filiale alla Chiesa nostra Madre.

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