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c) non si pensa in cammino verso la salvezza da solo
ma come famiglia dei figli di Dio; |
Carissimi, |
1. La pace è: a) bene grande (capiamo da noi e dallinsistenza della Chiesa con le sue ripetute iniziative), in pericolo e, in troppi luoghi, ferito o morto (basta leggere con attenzione la realtà). E che ferite! Conosciamo per via dei mezzi di comunicazione di massa le città devastate dalle incursioni aeree, della convivenza impossibile, i mucchi di bambini mutilati, la paura dipinta negli occhi dalla fame, dalle mine antiuomo e dalla impossibilità di una qualche programmazione del futuro. Quando Pio XII, dopo un bombardamento, andò a confortare i feriti e i sopravvissuti nel quartiere attorno a San Lorenzo al Verano, un uomo gli gridò: "Santo Padre, ci liberi dalla guerra! Meglio la schiavitù che la guerra!". A distanza di sicurezza, è facile notare lassurdità della affermazione contenuta nellinvocazione, resta però quanto questa la dica lunga. b) dono eccellente promesso da Dio: "un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il segno della sovranità ed è chiamato: Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace; grande sarà il suo dominio e la pace non avrà fine sul trono di Davide e sul regno, che egli viene a consolidare e rafforzare con il diritto e la giustizia, ora e sempre; questo farà lo zelo del Signore degli eserciti (Is 9, 5- 6); c) da chiedere col digiuno e lelemosina nella preghiera; a proposito dei quali è utile ascoltare la voce dei maestri: "Tre le cose, per cui sta salda la fede, perdura la devozione, resta la virtù: preghiera, digiuno, misericordia. Ciò per cui la preghiera bussa, lo ottiene il digiuno, lo riceve la misericordia. Queste tre cose sono una cosa sola, e ricevono vita l`una dall`altra. Il digiuno è l`anima della preghiera e la misericordia, la vita del digiuno. Nessuno le divida, perché non stanno separate. Chi ne ha solo una e non tutte e tre insieme, ha niente. Perciò chi prega, digiuni. Chi digiuna abbia misericordia. Chi domandando desidera essere esaudito, esaudisca chi gli rivolge domanda. Chi vuol trovare aperto verso di sé il cuore di Dio non chiuda il suo a chi lo supplica. Chi digiuna comprenda bene cosa significhi per gli altri non aver da mangiare. Ascolti chi ha fame, se vuole che Dio gradisca il suo digiuno. Abbia compassione, chi spera compassione. Chi domanda pietà, la eserciti. Chi vuole che gli sia concesso un dono, apra la sua mano agli altri. Richiede male chi nega agli altri quanto domanda per sé. Sii per te regola di misericordia. Come vuoi che si usi misericordia a te, usala tu agli altri. La larghezza di misericordia che vuoi per te, abbila per gli altri. Da agli altri la pronta misericordia, che desideri per te. Perciò preghiera, digiuno, misericordia siano per noi un`unica forza mediatrice presso Dio, siano per noi un`unica offesa, un`unica preghiera sotto tre aspetti. Conquistiamo con il digiuno quanto perso col disprezzo. Immoliamo le nostre anime col digiuno perché nulla di più gradito possiamo offrire a Dio, come insegna il profeta: Uno spirito contrito è sacrificio a Dio, un cuore affranto e umiliato, tu, o Dio, non disprezzi (Sal 50, 19). Offri a Dio la tua anima ed offri l`oblazione del digiuno, perché sia pura l`ostia, santo il sacrificio, vivente la vittima, che a te rimanga e a Dio sia data. Chi non da' questo a Dio non sarà scusato, perché non può avere se stesso da offrire. Ma perché tutto ciò sia accetto, sia accompagnato dalla misericordia. Il digiuno non germoglia se non è innaffiato dalla misericordia. Il digiuno inaridisce, se inaridisce la misericordia. Ciò che è la pioggia per la terra, è la misericordia per il digiuno. Quantunque ingentilisca il cuore, purifichi la carne, sradichi i vizi, semini le virtù, il digiunatore non coglie frutti se non farà scorrere fiumi di misericordia. Tu che digiuni, sappi che il tuo campo resterà digiuno se resterà digiuna la misericordia. Quello invece che tu avrai donato nella misericordia, ritornerà abbondantemente nel tuo granaio. Pertanto, perché tu non abbia a perdere col voler tenere per te, elargisci agli altri e allora raccoglierai. Da a te stesso, donando al povero, perché ciò che avrai lasciato in eredità ad un altro, tu non lo avrai" (S. Pietro Crisologo, Discorsi). d) soggetta ad ambiguità come testimoniano espressioni quali: la pace romana, americana, Signore Gesù Cristo, che hai detto ai tuoi apostoli: Vi lascio la pace, vi do la mia pace, non guardare ai nostri peccati, ma alla fede della tua Chiesa, e donale unità e pace secondo la tua volontà. 2. Ci sono delle obiezioni contrastanti; si dice: a) La pace viene da sé. Sì e no: luomo è portato al conflitto e nellarte duccidere progredisce; b) Tocca ai politici interessarsi della pace! Si e no: tocca pure a noi popolo, alla opinione pubblica, agli educatori: genitori, maestri, giornalisti, scrittori, operatori; c) E dovere combattere per la giustizia! Si e no: combattere senza uccidere; d) La pace? Impossibile! Sì, per via di democrazia: chi guida oggi le sorti dei popoli? Sì, per via deducazione e di mentalità. 3. Perché e in che cosa si concreta il nostro pellegrinaggio per la pace? Siamo qui, per pregare e per una riflessione dalle sfumature varie che riguardano politica, storia e hanno riflessi pratici. Una riflessione rivolta alluomo nella sua interezza. Ascoltiamo, intanto, un maestro. "Tu ama. La carità unita alla fede ti condurrà alla pace. Quale pace? Pace vera. Pace piena. Pace sicura. Quella che non ha nemici e non conosce guai. Quella che è sintesi e condizione dellumana convivenza" (S.Agostino, Discorso 168). 4. Sulla base della parola di Gesù che ha detto: "beati i promotori della pace, perché saranno chiamati figli di Dio" (Mt 5, 9) tocca a ciascuno di noi: a) la formazione di una coscienza umana che: evidenzi le tendenze da moderare e correggere; elimini la facile scappatoia della distinzione noi e gli altri; distingua la giustizia dalle pseudo-giustizie e dalle sue travi portanti che sono vendetta, rappresaglia, regolamento di conti, gelosie, odi, fanatismi, pregiudizi. Esige: che si coltivi il fascino della pace: ama la pace, abbi pace, (S. Agostino) e fatti possedere da essa; la riflessione costante sulla pace; "poche cose corrompono tanto un popolo quanto labitudine allodio"(A. Manzoni, Osservazioni sulla morale cattolica). Lideale della pace è andato incontro alla degradazione, ci rassegna alla grande industria degli armamenti, alla rinascita degli equilibri di potenza, alla fiducia nella violenza, al risorgere degli esclusivismi razzisti, agli squilibri economici tra i popoli e le classi, alla lotta come sistema con quanto essa comporta dirrazionalità e dodio. "Mentre una casa materiale non può contenere molti inquilini, la casa della pace è più sicura se sono molti quelli che vi abitano" (S.Agostino, De laude pacis, Discorso 357). Realizzare una pace che non sia solo armistizio è più difficile che vincere una guerra. b) la formazione di una coscienza cristiana che: * vada oltre la coscienza e la consapevolezza umane e tenga presente che "la pace è frutto proprio della carità e, al pari della carità, si estende a Dio e al prossimo" (S.Agostino); * veda e faccia propria la serietà profonda e grave dellinsegnamento di un padre della Chiesa, S. Agostino, che in un commento al salmo 19, prima legge: "Il timore del Signore è puro, dura sempre; i giudizi del Signore sono tutti fedeli e giusti, più preziosi dell'oro, di molto oro fino, più dolci del miele e di un favo stillante. Anche il tuo servo in essi è istruito, per chi li osserva è grande il profitto. Le inavvertenze chi le discerne? Assolvimi dalle colpe che non vedo. Anche dall'orgoglio salva il tuo servo perché su di me non abbia potere; allora sarò irreprensibile, sarò puro dal grande peccato" (Sal 19,10-14). (Prima legge dicevo) e poi si chiede quale sia il peccato grande di cui parla il salmista e risponde: "Delictum magnum arbitror esse superbiam!". E che cosa è la superbia? La superfetazione dellio, dicono i moderni psicologi. Luomo che si organizza senza o contro Dio, il peccato, dicono i santi e tutta la tradizione ascetica cristiana. È il nostro peccato, è lorigine di tutti i mali, dobbiamo convenire noi, perché, se mi pongo contro o semplicemente senza Dio, mi pongo contro la verità, non sono libero, sono schiavo di tutte le miserie, sono disposto, per saziare me, a tutto. Fuori della verità, sono ribelle a Dio, contro gli altri e, alla fine, pure la natura mi diviene nemica. Mi sembra di sentire fortemente urgente la invocazione del salmista: "Non travolgermi con gli empi, con quelli che operano il male". È pesantemente vera la sua constatazione: "Parlano di pace al loro prossimo, ma hanno la malizia nel cuore" (Sal 28,3). 5. So che per noi qui radunati è oziosa la domanda perché la pace?. Non è però oziosa per tutti, e noi sappiamo che persegue guerra e che non manca chi crede che essa sia un bene. Mi auguro che torniamo alle nostre case, dopo essere stati qui nella casa della Regina della Pace, la nostra Madonna Nera di Tindari, con una risposta concreta allaltra domanda Come la pace? Concreta questa domanda come se suonasse cosa devo fare per la pace?. Ed è concreto ciò che non si può riassumere, ciò che è come suona, senza giri di parole, senza diplomazia. È concreto limpegno a prestare attenzione allaltro - determinato: genitore, coniuge, figlio, collega - da ascoltare e ricevere, cui dare, cui parlare. È concreto limpegno allumiltà che fa considerare laltro fratello con cui collaborare, i talenti come strumenti per servire. È concreto limpegno - cercando o accettando proposte - nella preghiera umile e costante. È concreto limpegno - assegnandomi dei tempi - nella vita interiore che è come dire limpegno che illuminato e sostenuto dalla grazia proietta nel compiere quello e come farebbe Gesù, nostro fratello e salvatore, se visibilmente dovesse agire al nostro posto. E concreto è il mio agire - individuando bene le persone con cui ho rapporti conflittuali - quando a chi mincontra do di dire: ho incontrato un uomo del Vangelo, un uomo affabile (affabile è colui che volentieri, magari senza sapere perché, si torna ad incontrare perché, parlando con lui e ascoltandolo, magari senza rendersene conto subito, si è nutriti di Vangelo), un uomo di pace. |
Carissimi, |
"In quel tempo" è
lincipit della pericope evangelica da noi ascoltata nella Liturgia del Mercoledì
delle Ceneri. (Mt 6,1-6. 16-18). 1. Quale tempo. a) quello nel quale ci viene ripetuto per mezzo di Gioele: Ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti (Gl 2,12-18) e per mezzo dei sacri ministri: noi fungiamo da ambasciatori per Cristo come se Cristo esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare (2Cor 5,20); b) ogni tempo e, dunque, questo nostro tempo tremendo, meraviglioso e unico per noi; c) il sacro tempo della Quaresima con cui da qui al 27 marzo ci prepariamo a celebrare, rinnovati nello spirito, il sacro Triduo della passione, morte e risurrezione di Gesù. 2. "In quel tempo" sveglia nella mia mente losservazione con la quale Marco connota linizio della vita pubblica di Gesù che vi propongo perché la teniate presente pregando qui, ora, insieme. Eccola. "Dopo alcuni giorni, entrò di nuovo a Cafarnao. Si seppe che Gesù era in casa e si radunarono tante persone, da non esserci più posto neanche davanti alla porta, ed egli annunziava loro la parola" (Mc 2,1-2). Propongo 3 sottolineature. a) La prima connotazione Gesù entrò di nuovo a Cafarnao. Essa ci conferma che Dio non si stanca mai e ci insegue amorosamente. Del resto conosciamo a mente quel che la Parola ci dice e la chiesa fa ripetere ogni giorno si suoi sacerdoti: "per quarant'anni mi disgustai di quella generazione e dissi: Sono un popolo dal cuore traviato, non conoscono le mie vie" (Sal 95, 10); semmai, per noi, va aggiornato il numero degli anni dellattesa del Padre buono che è Dio. b) Carica di appello alla responsabilità laltra indicazione si seppe che Gesù era in casa che suscita più di una domanda: da che cosa le persone capirono che cera Gesù? Dalla accoglienza che riservata ai poveri ed afflitti vari? Dai miracoli che sollevavano gli ammalati? Dalla libertà ridonata alle vittime dei raggiri di satana? Sì, ma non solo. Di una casa si comprende che Gesù vi abita dal modo di capire e parlare di Dio e dalla condotta conforme ai comandamenti del Padre. Miracoli, tradizioni, prediche, amicizie, da sole, non hanno senso. E ovvio che si parla di Gesù, che per lappunto di lui si dice che si venne a sapere che era in casa. E non elemento da poco, anzi è tutto, perché senza Gesù la casa di Cafarnao è vuota, nuda; non da riparo, sicurezza, speranza; chiude nellindividualismo chi vi abita. c) Infine, la connotazione per la quale sappiamo che in quella casa in Cafarnao, dopo esservi tornato, Gesù annunziava loro la parola. Cafarnao una ben determinata città pullulante di gente che vale e che Gesù ha privilegiato nella sua attività di predicatore e taumaturgo è, forse, la Chiesa, è ognuna delle nostre persone così cariche della predilezione divina di cui ci dobbiamo chiedere che conto facciamo. La Chiesa e le nostre persone che, per lappunto, senza Gesù, sono vuote, saremo chiamati a rendere conto 3. Il cammino quaresimale ci mette davanti al nostro Signore Gesù Cristo. Seguendolo, arriveremo alla celebrazione della Pasqua, rinnovati nello spirito. A servizio della Parola, indico alcuni ambiti del rinnovamento dello spirito. a) "Disse Caino al Signore: Troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono? Ecco, tu mi scacci oggi da questo suolo e io mi dovrò nascondere lontano da te; io sarò ramingo e fuggiasco sulla terra e chiunque mi incontrerà mi potrà uccidere. Ma il Signore gli disse: Però chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte!" (Gn 4,13-15). "Allora Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?. E Gesù gli rispose: Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette" (Mt 18,21-22). Lappello di Gesù è chiaro: nella economia antica vigeva linvito a passare dalla bieca vendetta a una forma ragionevole di giustizia. Occorre però andare oltre, dare spazio allamore e perdonare sette volte sette, che è come dire sempre, come Dio. A questo siamo chiamati. Perché Dio fa così. Perché Dio è così. Perché il nostro Dio manifesta la sua onnipotenza soprattutto nella misericordia e nel perdono, ha viscere di misericordia, non vuole la morte del peccatore - di me peccatore si parla - ma che si converta e viva. Agli uomini offre ripetutamente la sua alleanza e, per mezzo dei profeti insegna a sperare nella salvezza. Ama tanto il mondo da mandare a noi il suo unico Figlio che: * si è fatto uomo per opera dello Spirito Santo ed è nato dalla Vergine Maria; * ha condiviso in tutto, eccetto il peccato, la nostra condizione umana; * annunziò ai poveri il vangelo di salvezza, la libertà ai prigionieri, agli afflitti la gioia; * per attuare il suo disegno di redenzione si consegnò volontariamente alla morte, e risorgendo distrusse la morte e rinnovò la vita; * perché non viviamo più per noi stessi ma per lui che è morto e risorto per noi, ha mandato, lo Spirito Santo, primo dono ai credenti, a perfezionare la sua opera nel mondo e compiere ogni santificazione (Cfr Preghiera Eucaristica IV). Il rinnovamento riproposto dal cammino quaresimale riguarda il modo di agire, il passaggio di civiltà, per ripetere lespressione già usata. Però primariamente riguarda il modo di intendere Dio, limmagine che ci facciamo di lui. Urge lasciare limmagine di Dio: - grande vecchio dalla barba canuta e fluente che, nel suo paradiso, è troppo occupato nella sua gloria per interessarsi alluomo con le sue miserie; - meschino che non degna di uno sguardo chi non sta dalla nostra parte; - contabile occhiuto che impone obblighi e annota cadute per trarne le dovute conseguenze; - parafulmine da tenere ben oleato per le emergenze; - vitamina che ci fornisce adrenalina per le difficoltà; - distributore di grazie a seconda del numero di ceri che gli mettiamo a disposizione. Discreto elenco di immagini di Dio da lasciare perché false per passare, per convertirci, al Dio Buono, Fedele, Pieno e Prodigo di gioia, Luce intramontabile, Padre del nostro Signore Gesù, che invita alla sequela, alla intimità, a camminargli accanto. b) Conosciamo il ruolo del patriarca Giacobbe nella storia della salvezza: nella sua vicenda viene esaltata la gratuità del dono di Dio che lo preferisce a Esaù. I doni di Dio però non contengono la garanzia del buon uso. Satana è lì, sempre accovacciato, dinanzi alla nostra porta, a cogliere e creare occasioni per farci perdere la via. E Dio se ne lamenta: "Giacobbe ha mangiato e si è saziato, - sì, ti sei ingrassato, impinguato, rimpinzato - e ha respinto il Dio che lo aveva fatto, ha disprezzato la Roccia, sua salvezza. Lo hanno fatto ingelosire con dèi stranieri e provocato allira con abomini. Hanno sacrificato a demòni che non sono Dio, a divinità che non conoscevano" (Dt 32,15-17). Sarà bene ricordare che i doni di Dio, anche se dati ai singoli, sono sempre per la utilità comune. c) Una grande afflizione affligge il popolo eletto. Una delle tante. Tutti si chiedono di chi sia la colpa. In questa situazione emerge la grande religiosità del re Davide: "Ho peccato molto per quanto ho fatto; ma ora, Signore, perdona l'iniquità del tuo servo, poiché io ho commesso una grande stoltezza. Io ho peccato; io ho agito da iniquo; ma queste pecore che hanno fatto? La tua mano venga contro di me e contro la casa di mio padre!" (2Sam 24,10.17). Per la naturale tendenza a scaricare le responsabilità sulle colpe degli altri cè un ambito di riflessione, preghiera, e conversione. E ad evitare equivoci, in campo religioso ed ecclesiale non meno che in campo civile. d) Dei SS. Basilio e Gregorio leggiamo nella Liturgia delle ore, che non cercavano ciò che potesse fare eccellere luno sullaltro ma ciò che potesse fare primeggiare laltro. Bella, esemplare questa amicizia. E però cosa buona, nostro dovere e fonte di salvezza ricordare che già prima era stato scritto: "non cerchi ciascuno il proprio interesse ma piuttosto quello degli altri" (Fl 2,4) e che "il buon pastore offre la vita per le sue pecore" (Gv 10,11). 4. Che fare? a) Fratelli, le belle idee non convertono; i santi desideri, sì. Sono essi il motore della vita e la possono convertire. Occorre che ci esercitiamo nel verificare quali siano i desideri che si succedono nel nostro spirito ed occorre che ci rivolgiamo alla Madre del Signore perché ci ottenga i doni del silenzio e dello stupore. Essi affondano le radici nella disponibilità umile e nella povertà. Come a Nazaret, come a Betlemme. Dove Maria e Giuseppe crescono in servizio. Il dono del servire. Come Lei nella casa Elisabetta. Il dono di accettare Gesù non toccasana per i nostri problemi, ma sempre nelle cose del Padre, che cresce in età sapienza e grazia. b) "Hanno trapassato le sue mani e i suoi piedi, hanno squarciato il suo petto con la lancia; e attraverso queste ferite io posso succhiare miele dalla rupe, olio dai ciottoli della roccia, crema di mucca, latte di pecora, grasso di agnelli, fior di farina, sangue di uva". San Cipriano in questo testo ci insegna, con lautorevolezza che gli viene dalla scienza sacra e dalla santità, che solo il rettore della pace e maestro dellunità pace, il nostro Signore Gesù Cristo, può darci dal Padre, con la forza dello Spirito, di convertirci. Da qui la seconda risposta al nostro interrogativo: occorre guardare il Volto del Figlio, dolente, risorto (NMI,24-28) perché ci illumini, riscaldi, e muova. E sappiamo di potere contare sulla sostanza della nostra fede per la quale "luomo diventa Dio così come Dio diventa uomo, perché luomo è innalzato per divine ascensioni, nella misura stessa in cui Dio si è umiliato per filantropia, pervenendo senza cambiamenti fino allestremità della nostra natura" (S. Massimo Confessore). Guardare il Volto è pregare; è via per purificare, convertire la preghiera, perché Lui, consonanti, adorino la voce e le profondità del cuore; per Lui il cuore arda di casto amore, Lui glorifichi la mente portata dalla sobria ebbrezza dello Spirito. c) Non basta però. Alla conversione e alla preghiera occorre dare spazi. Per se stesse, infatti, non possono organizzarsi. E gli spazi sono quelli proposti dal Piano Pastorale che la nostra Chiesa si è dato in ubbidienza al Signore che parla nella realtà cambiata, nel Magistero del Concilio e in quello che ci è messo a disposizione - dono sovrabbondante del Padre alla Chiesa - in continuità col Concilio, fino ai nostri giorni. |
Carissimi Confratelli,
La grazia del Santo Spirito oranti ci
trasformi |
1. L’Assemblea. La nostra assemblea d’oggi è tra tutte la più bella perché attorno a Gesù significato dall’altare è presente la Chiesa nella interezza e nella varietà del popolo di Dio al cui interno siamo i battezzati, i religiosi, il diacono, il presbiterio col vescovo. L’indicazione di S. Ignazio d’Antiochia ad unionem posta alle mie spalle, sulla dorsale della cattedra rende bene il ruolo di tutti noi chiamati a dare corpo alla preghiera accorata di Gesù che tutti siano una cosa sola, a concretare, qui, l’Una Santa Cattolica ed Apostolica sposa di Cristo. Vedete bene le tinte che ravvivano la nostra assemblea: a) il rosso delle rose e l’olio dei catecumeni ci parlano d’attenzione, rispetto e zelo per gli altri che sono i valori che Gesù predica, dei quali vive e per i quali si immola; b) il bianco della tovaglia dell’altare, delle rose e il sacro crisma ci parlano della grazia divina che è contenuta nella sua presenza, nella sua parola e nei suoi sacramenti; grazia che ci raggiunge cogli infiniti rivoli della generosità divina ed è il criterio e il fondamento della vita e dell’attività di Gesù; c) il viola degl’iris e l’olio degli infermi ci parlano della umiltà che, insieme alla povertà e al servizio, costituiscono lo stile, il modo di Gesù nel compiere la sua missione; la cifra valutativa della sua attività; d) i chicchi di grano che, marciti nell’umidità, hanno dato origine ad una nuova spiga, come del resto la primavera ormai tornata, ci parlano della morte che si intreccia con la vita. 2. Uno sguardo più in profondità. I valori di Gesù: attenzione e rispetto alla persona, il suo criterio: la fedeltà alla grazia, alla Parola, il suo stile fatto d’umiltà, povertà e servizio devono naturalmente essere della Chiesa, nostri, dunque. Va da sé che è così, Gesù è norma per la sua chiesa e, in essa, per ognuno di noi. Non possiamo però illuderci, occorre tenere presente che la logica e le idee non convertono. Sono i desideri a fare lievitare la vita. Per questo è importante che vigiliamo sui desideri che già popolano la nostra anima. È necessario che estirpiamo quelli di cui Gesù rifiuterebbe la titolarità. Nutriti dalla Parola, sostenuti dalla buona Teologia, guidati dal Magistero dobbiamo indurre in essa, nell’anima intendo, e coltivare quei desideri e solo quelli che valgono alla luce del Vangelo. So che occorre pregare, e molto, e bene. E la preghiera, perché non sia alienante, esige, sempre, di essere accompagnata dal lavoro ascetico ben orientato, continuo, controllato, qui qualche parola ancora. a) Attenzione alla persona, dunque, rispetto, amore per essa. Per la concretezza indico un ambito. Una grande afflizione inchioda il popolo eletto. Tutti si chiedono di chi sia la colpa. In questa situazione emerge la grande religiosità del re Davide: “Ho peccato molto per quanto ho fatto; ma ora, Signore, perdona l'iniquità del tuo servo, poiché io ho commesso una grande stoltezza. Io ho peccato; io ho agito da iniquo; ma queste pecore che hanno fatto? La tua mano venga contro di me e contro la casa di mio padre!” (2Sam 24, 10.17). Attesa la naturale tendenza, in campo ecclesiale non meno che in campo civico, a scaricare le responsabilità sugli altri c’è, per noi, un ambito di riflessione, preghiera, e conversione. b) Senza riferimento alla Parola si corre il rischio della illusione, si fa strada la tendenza a regolarsi da sé, si finisce nella sterilità dell’autocompiacimento. L’esperienza di Gesù è di altro segno. Di lui ci dice il Vangelo che fu condotto dallo Spirito nel deserto per essere tentato. Sensualità, apparenza, potere sono i tre campi di battaglia. E Gesù è “il giovane che, custodendo le tue parole, conserva pura la sua via” (Sal 119, 9). Egli esce vittorioso, forte della Parola. E vale per Tutti i discepoli del Signore. In positivo, da Maria che conserva tutte queste cose meditandole nel suo cuore (Lc 2, 19) a tutti i battezzati seri, i santi di tutti i tempi. In negativo, da Pietro che dovette amaramente prendere atto della fragilità delle sue profferte di fedeltà “con te sono pronto ad andare in prigione e all morte”(Lc 22,33), a noi che, tutti i giorni, facciamo i conti con i nostri compromessi. Ecco, attrezzarsi per il vitale e abituale confronto con la Parola, è un altro ambito di impegno. c) Gesù è l’atteso, “il figlio che è nato per noi, che ci è stato dato. Sulle sue spalle è il segno della sovranità; il suo nome è: Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace; il suo dominio sarà grande, nel suo regno la pace non avrà fine, consolidato come sarà e rafforzato con il diritto e la giustizia. (Is 9,5-6). Egli è Figlio ma assume lo stile della umiltà e del servizio. Egli, infatti, servo di Javeh, venuto per servire e non per essere servito, si inginocchia a lavare i piedi degli apostoli, finisce in croce come un volgare schiavo. Di lui da’ i connotati più fedeli Paolo quando esorta noi credenti a imitarne i sentimenti: “Egli, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e (…) umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (Fl 2, 6-8). d) I chicchi di grano marciti hanno dato origine a nuove spighe, a vita nuova e sono simbolo fortemente allusivo a Gesù che crediamo sceso agli inferi, marcito cioè nel nero della morte, nel vuoto asfissiante dell’abbandono del Padre, nel niente. Gesù aveva detto: se il chicco di grano non marcisce resta solo, non porta frutto; chi perde la propria vita la trova; che giova all’uomo guadagnare tutto se dovesse perdere la sua vita? Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza; “Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore. Il mercenario invece, che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo le rapisce e le disperde; egli è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre; e offro la vita per le pecore. E ho altre pecore che non sono di quest'ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo comando ho ricevuto dal Padre mio” (Gv 10, 11-18). Parla di sé, Gesù, e addita sé a noi come modello. A noi battezzati e a noi sacerdoti chiamati ad essere immagine viva di lui pastore assumendone consapevolezza, cuore e stile. Ed hanno compreso bene i padri: “Ignorate che a tutta la Chiesa di Dio fu dato un sacerdozio?…Se io amo i miei fratelli fino a donare la mia vita per essi, se combatto fino alla morte per la giustizia e per la verità, se mortifico il mio corpo astenendomi da ogni concupiscenza carnale, se il mondo è a me crocifisso e io al mondo, io ho offerto un olocausto all’altare di Dio e sono così sacerdote del mio sacrificio” (Origene, in Leviticum, Hom. 9). 3. Uno sguardo contemplativo. È il rapporto con Gesù a dare senso alla nostra assemblea. È dal guardare a Gesù che la nostra assemblea prende i suoi colori; dal guardare cose e persone come lui, comprende quel che essa deve essere, valuta i passi fatti, riprende il cammino. a) Gesù nell’unità della sua realtà umana e divina. “Niente è più dolce che fissare gli occhi del nostro spirito, per contemplare e rappresentarci la sua inesprimibile e divina bellezza. Niente è più dolce che essere illuminati e resi belli da questa partecipazione e da questa comunione con la luce, che averne il cuore addolcito ed esser riempiti da una divina allegria, in tutti i giorni della vita presente” (S.Gregorio d’Ag.) “Tutte le cose hanno visto il loro re: nella carne del nostro Signore ha fatto irruzione la luce del Padre; (…) l’uomo ha avuto accesso all’immortalità”(S. Ireneo). Gesù, Braciere incandescente della divinità, Verbo eterno “per mezzo del quale tutto è stato fatto e senza del quale niente è stato fatto di ciò che esiste”(Gv 1,2), di te il cosmo divampa. Come mai le tue vesti non restano bruciate e il tuo corpo non è carbonizzato? E, di più, come mai non ne è calcificata la terra e non sono accecati i nostri occhi? b) Gesù nella sua mediazione tra il Padre e il mondo. Egli nostro sacerdote, prega per noi; nostro capo, prega in noi; nostro Dio, è pregato da noi. c) Gesù nel suo sguardo sulle cose e sugli uomini. Ho compassione di questa folla. Io non giudico. Non perderò nulla di quanto egli mi ha dato. Anche queste io devo condurre e sarà un solo ovile e un solo pastore. d) Gesù nel suo progettare sempre secondo il Padre. Il mio cibo è fare la volontà del Padre. Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è che parla con te, saresti a chiedere l’acqua viva. Ho sete. Un corpo egli mi ha dato. 4. Cosa fare? a) Sognare Una delle quattro costituzioni del Concilio inizia con quattro parole illuminanti, forti ed impegnative perché esigenti profonda conversione: ‘Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri e soprattutto di tutti coloro che soffrono, sono pure gioie, speranze, tristezze e angosce dei discepoli della Chiesa’. Dinanzi alla grandezza e alla drammaticità dell’epoca (55 milioni i morti della II Guerra, 100 milioni le vittime delle tirannie; l’incubo della guerra atomica, la morsa della guerra fredda della seconda metà del secolo appena concluso; 81 i conflitti divampati nel decennio seguito al crollo del muro di Berlino; masse che vivono prive d’accesso ai presidi alimentari, culturali e sanitari fondamentali, crollo del sistema previdenziale prossimo futuro, fondamentalismi, terrorismo) mutuo una risposta al ‘Che fare?’ dal Card. Francesco Saverio Van Thuan da ascoltare per la valenza della sua testimonianza di venti anni di prigionia. Dice il Card.: Sogno la Chiesa: - porta aperta che accoglie tutti, piena di compassione e comprensione per le pene e le sofferenze dell’umanità tutta protesa a consolarla; - Parola che mostra il Vangelo ai quattro punti cardinali in un gesto d’annuncio e di sottomissione; - Pane che si lascia mangiare da tutti perché tutti abbiano la vita in abbondanza; - appassionata dell’unità voluta da Gesù; - in cammino, popolo di Dio che col Papa porta la croce e va’ incontro al Cristo Risorto, speranza unica, incontro a Maria a tutti i santi; - che porta in cuore il fuoco dello Spirito Santo perché dove è lo Spirito Santo c’è libertà, dialogo coi giovani, coi poveri, e gli emarginati, discernimento dei segni dei tempi; - testimone di speranza e d’amore con fatti concreti. b) Guardare. L’immagine della città di centoventimila persone che non sanno distinguere la destra dalla sinistra è sconvolgente per attualità e ci rende apostolicamente inquieti. “Mi affrettai a fuggire, dice Giona, perché so che tu sei un Dio misericordioso e clemente, longanime, di grande amore e che ti lasci impietosire riguardo al male minacciato. (…). Dio disse a Giona: ‘Ti sembra giusto essere così sdegnato per una pianta di ricino?’. Egli rispose: ‘Sì, è giusto; ne sono sdegnato al punto da invocare la morte!’. Ma il Signore gli rispose: ‘Tu ti dai pena per quella pianta di ricino e io non dovrei aver pietà di Ninive,nella quale sono più di centoventimila persone, che non sanno distinguere fra la mano destra e la sinistra”(Gn 4,2.4.9-11). Che fare, fratelli, per la stragrande maggioranza dei battezzati (i centoventimila che non distinguono la destra dalla sinistra) che non sono a contatto del Vangelo? Che fare per la massa di bene che questi fratelli compiono e che rischia di perdere valore non venendo contatto con Cristo il redentore di quanto è umano? Che fare per i giovani che non hanno mai fatto esperienza d’associazionismo cattolico? Che fare per quelli ai quali nessuno ha mai parlato della sacralità della vita, della nobiltà cristiana e delle esigenze dell’amore umano? Che fare per i mondi della cultura e del lavoro? Che fare? I punti di domanda potrebbero continuare agevolmente. Potrebbero continuare elencando le otto sfide recentemente oggetto dell’attenzione del S. Padre (Difesa della sacralità della vita, Promozione della famiglia, Eliminazione della povertà, Rispetto dei diritti umani sempre, Disarmo, Lotta contro le malattie, Salvaguardia dell’ambiente, Applicazione del diritto e delle convenzioni internazionali) ma non aggiungerei niente che non conosciate già. Fratelli, la nostra Chiesa Pattese si è dotata di un Piano Pastorale. Torno ad affidarlo al vostro zelo in questo giorno tra tutti solenne per essere consacrato alle dimensioni essenziali della Chiesa: Eucaristia, Sacerdozio e Comandamento Nuovo dell’Amore. È uno strumento nel quale si entra e lavora con grande speranza e si persevera contro ogni speranza. È la via della nuova evangelizzazione richiesta dalle mutate situazioni e, in ascolto di esse, dal Magistero della Chiesa ribadito così efficacemente dal Santo Padre a conclusione dell’Anno Giubilare, nella Novo Millennio Ineunte. c) Stare dinanzi a Dio delle opere più che alle opere di Dio. I sacramenti della iniziazione cristiana Battesimo, Cresima, Eucaristia, per tutti, sono stati segnati: dalla rinunzia a satana, dalla proclamazione della fede e dall’impegno di fedeltà alla Trinità SS. nella Chiesa. Con maggiore insistenza noi sacerdoti ci siamo impegnati a: cooperare fedelmente con l’ordine episcopale, adempiere degnamente e sapientemente il ministero della parola, celebrare con devozione e fedeltà i misteri di Cristo con speciale riferimento al sacrificio eucaristico e al sacramento della riconciliazione, implorare la divina misericordia nella preghiera, dedicarci per la salvezza di tutti gli uomini, filiale rispetto e obbedienza al vescovo. Da qui deve scaturire la prima risposta al “Cosa fare?”: Vigiliamo perché rischiamo di perdere la freschezza e l’autenticità del nostro dono della nostra vita a Dio. Rischiamo di vivere senza slancio, privi di entusiasmo, privi dell’esperienza della forza esigente e vitale dell’amore. “Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio; perché forte come la morte è l'amore, tenace come gli inferi è la passione: le sue vampe sono vampe di fuoco, una fiamma del Signore! Le grandi acque non possono spegnere l'amore né i fiumi travolgerlo. Se uno desse tutte le ricchezze della sua casa in cambio dell'amore, non ne avrebbe che dispregio”(Ct 8, 6-7). Che senso ha la nostra vita senza la passione per Gesù Cristo e per la sua Chiesa? A cosa si riduce la nostra attività se non da’ spazio all’amore del Padre che venendo a noi per mezzo del Figlio, la può trasfigurare con la forza dello Spirito Santo? Il baratro di una vita da fedifraghi, lo so bene e ne lodo il Signore, salutarmente ci terrorizza. Al di sopra di tutti però ci animi a riamare chi tanto ci ama. |
1.
Il mese di maggio è giunto
ad un terzo del suo corso e noi ancora una volta esperimentiamo quanto la
devozione alla Madre del nostro Signore Gesù Cristo, sia presente,
espressiva e in linea con l’indicazione del Magistero nelle nostre
contrade. |
0.
È per noi ormai un
appuntamento tradizionale la celebrazione della ministerialità. |
0.
Celebriamo oggi la solennità della Pentecoste e, all’interno di
essa, amministrerò i sacramenti dell’iniziazione cristiana e istituirò
Lettore Calogero Tascone alunno del nostro Seminario. La mia proposta
omiletica vuole aiutare ad invocare il Divino Consolatore, lo Spirito che
Gesù ha promesso ed inviato dal Padre. |
Carissimi,
proprio in questi giorni del Tempo Ordinario il Lezionario della Liturgia
Eucaristica offre alla nostra meditazione il Primo Libro dei Re che
annovera tra i suoi protagonisti Elia. |
Riflessione nell'Assemblea Ecclesiale Diocesana del Settembre 2002 |
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Lettera ai Presbiteri del 1° Novembre 2002 |
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Lettera alle persone consacrate e alle aggregazioni ecclesiali del 13 Dicembre 2002 |
3.
La nostra chiesa pattese, voi lo sapete di certo, già da alcuni anni, ha intrapreso un
cammino di rinnovamento per rispondere alla domanda d’evangelizzazione
di cui, per il nostro tempo, si è fatto portavoce il Concilio e
l’ininterrotto Magistero. Alla nostra generazione è chiesto non un
generico miglioramento, ma una vera conversione e voi esperimentate quanto
sia faticoso capirne e percorrerne il cammino. |
Lettera ai Presbiteri del 10 Gennaio 2003 |
leggendo e scrivendo questa lettera, diversi elementi rivelano e, insieme, creano l’ambiente della nostra anima. 1. L’atmosfera natalizia. Le letture, le preghiere, gli inni, le tradizioni delle nostre comunità la rendono bene. Sono però Giuseppe e Maria a darcene l’esatta prospettiva. Loro che, meditando nel cuore gli eventi meravigliosi del Figlio, comprendono che Dio è stato fedele alle promesse antiche e loro, avendo visto Gesù salvezza, sono pieni di stupore. Ed è la riflessione orante dei santi e della Chiesa a dare accenti umani all’indicibile. 2. La preziosa sintesi che ci offre il salmo: il Verbo Divino divenendo uomo è divenuto nostro e ognuno gli può dire: - “Tu mi hai dato il tuo scudo di salvezza, - la tua destra mi ha sostenuto, la tua bontà mi ha fatto crescere. - Hai spianato la via ai miei passi, i miei piedi non hanno vacillato. - Ho inseguito i miei nemici e li ho raggiunti, non sono tornato senza averli annientati. Li ho colpito e non si sono rialzati, sono caduti sotto i miei piedi (sono nemici più temibili di quelli esterni la sensualità, l’apparenza, il potere, la perdita dello slancio ascetico e apostolico, lo schiacciamento amorfo sul tran tran quotidiano che esclude di farsi operatori di riconciliazione con Dio, nel prossimo, vanificando o, Dio non voglia, peggio… la Eucaristia). Può essere utile rileggere nell’Imitazione di Cristo (III,13) la testimonianza dell’ascetica vissuta dai santi. 1. Colui che tenta di sottrarsi all'obbedienza si sottrae anche alla grazia. Colui che cerca il bene suo personale perde anche il bene che è proprio del vivere in comune. Colui che non si sottopone lietamente e spontaneamente al suo superiore, dimostra che la carne non gli obbedisce ancora perfettamente, ma spesso recalcitra e mormora. Impara dunque a sottometterti prontamente al tuo superiore, se vuoi soggiogare la tua carne. Infatti, il nemico di fuori si vincerà più presto, se sarà stato sconfitto l'uomo interiore. Non c'è peggiore e più insidioso nemico dell'anima tua, di te stesso, quando il corpo non si accorda con lo spirito. Per avere vittoria sulla carne e sul sangue, devi assumere un totale e vero disprezzo di te. Tu hai ancora invece un eccessivo e disordinato amore di te stesso; per questo sei tanto esitante a rimetterti interamente alla volontà degli altri. 2. Ma che c'è di strano, se tu, polvere e nulla, ti sottoponi ad un uomo, per amore di Dio, quando io, onnipotente ed altissimo, che dal nulla ho creato tutte le cose per amor tuo, mi feci piccolo fino a sottopormi all'uomo? Mi sono fatto l'ultimo e il più piccolo di tutti, proprio perché, per questo mio abbassarmi, tu potessi vincere la tua superbia. Impara ad obbedire, tu che sei polvere, impara ad umiliarti, tu che sei terra e fango; impara a piegarti sotto i piedi di tutti a disprezzare i tuoi desideri e a metterti in totale sottomissione. Insorgi infiammato contro te stesso, e non permettere che in te si annidi la tumefazione della superbia. Dimostrati così basso e così piccolo che tutti possano camminare sopra di te e possano calpestarti come il fango della strada. Che hai da lamentare tu, uomo da nulla? Che hai tu, immondo peccatore, da contrapporre a coloro che ti accusano tu, che tante volte hai offeso Dio, meritando assai spesso l'inferno? Ma, ecco, apparve preziosa al mio sguardo l'anima tua, ecco il mio occhio ebbe compassione di te, così che, conoscendo il mio amore, tu avessi continua gratitudine per i miei benefici ed abbracciassi senza esitare, un'umile sottomissione, nella paziente sopportazione dell'altrui disprezzo. - Tu mi hai cinto di forza per la guerra, hai piegato sotto di me gli avversari (Sal 18, 36-40). 3. La vita della nostra Chiesa diocesana che, in questo primo mese del nuovo anno di grazia 2003, sintetizza pensieri, proposte, azioni nello slogan per il quale Chiesa è cercare insieme il bene comune. Conosciamo molto bene quanto grande sia l’impegno della nostra Chiesa, in obbedienza al Vangelo e al Magistero, perché nessun battezzato manchi della passione per annunziare Gesù, unico salvatore, sempre lo stesso ieri oggi e sempre, a tutti e insieme, in ogni circostanza, con la forza della testimonianza. Fratelli, osiamo con coraggio e costanza. La messe è veramente molta; le situazioni in cui essa è sparsa sono radicalmente nuove rispetto a qualche decennio addietro e rassomigliano alla vigna manzoniana dopo la prolungata assenza delle mani benefiche di Lorenzo Tramaglino. Lo sconforto, il disfattismo, il pregiudizio, l’individualismo non ci appartengono perché mai e poi mai odoreranno di Vangelo. Coraggio! Il Signore, Egli, padrone unico della messe e unico che ha accesso ai cuori, Egli, il solo nostro Diletto, l’unico che conosciamo e che ci chiama amico, bello, che c’invita sempre a lui (cfr Ct 2,10), sostenga, illumini, gratifichi l’adesione a lui, nella Chiesa, sempre e, al presente, nell’immediato, nella preparare e nel portare avanti la preparazione alla ‘Settimana della Fraternità’. 4. La ventata d’aria fresca che il Santo Padre ha immesso nella Chiesa con la lettera apostolica Novo Millennio Ineunte. Pensate, fratelli, un uomo dall’età non proprio verde, provato dalla malattia osa parlare in prospettiva di millennio; forte della presenza di Lui al timone della barca e nei tornanti della storia, ci esorta: Duc in altum! 5. Noi pure abbiamo vivissima fede nella Sua presenza; e ben sappiamo che è Lui il nostro programma. Non possiamo indulgere però ai sentimentalismi e alla superficialità. a) Egli è presente! È però da conoscere, amare, imitare, vivere, generare. b) Egli è il programma unico! Consapevoli che ciò che non è organizzato, semplicemente non esiste, dobbiamo organizzarci perché tutti siano in condizione di mettere a frutto i talenti ricevuti e tutti, altresì, abbiano l’opportunità di dare la loro consapevole risposta all’Amore Onnipotente e Fedele che, in Cristo, ‘ci ha benedetto con ogni benedizione spirituale, ci ha scelto prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità; ci ha predestinato a essere suoi figli adottivi e ci ha redento mediante il suo sangue; ci ha fatto conoscere il mistero della sua volontà; ci ha fatto anche eredi, perché noi fossimo a lode della sua gloria; ci ha meritato il suggello dello Spirito Santo che era stato promesso e che è caparra della nostra eredità (Cfr Ef 1,3-14). |
Lettera ai Presbiteri del 14 Febbraio 2003 |
1. va ascritto anche a merito della riflessione cristiana se il dialogo è oggi entrato nel linguaggio comune. Basta pensare all’Ecclesiam Suam nella quale Paolo VI conduce per mano il lettore a considerare la necessità di estendere il dialogo, come a cerchi concentrici via via più ampi, a chi fa parte della chiesa, a chi ha la stessa fede in Cristo e lo stesso Battesimo, a chi crede in un Dio, a tutti gli uomini di buona volontà. Il passaggio però dalle considerazioni alla pratica del dialogo non si può dare per fatto, non è facile, se realizzato, non è da pensare che sia realizzato per sempre e ogni giorno occorre rinverdire le motivazioni e poi offrire occasioni, strumenti, itinerari pratici e ‘luoghi’ di dialogo. 2. Dialogo con Dio, innanzi tutto, e che non sia vago sentimentalismo o illusorio parlar con se stessi. Dialogo che parta dalla verità delle cose, di sé, di Dio. E per partire dalla verità non si potrà fare a meno di considerare il peccato. Non per patologico rimestare il passato ma per pervenire alla conferma nella convinzione dell’amore straordinario del Padre. Il peccato, la concupiscenza nelle sue varie vesti, l’attrattiva del mondo, il demonio, la volontà umana labile perché ferita dal peccato quanto la libertà, la superbia (ipertrofia dell’io suona più ‘in’ ma non cambia le cose) e l’amor proprio non sono invenzioni di psicotici sopravvissuti al medioevo ed hanno un’incredibile duttilità per le situazioni più varie. Essi fanno buona compagnia alla incapacità di perseguire la riconciliazione all’interno delle famiglie, tra i gruppi professionali e sociali, tra i popoli, equilibrio tra antico e nuovo, all’insensibilità alla voce che sale dalle cose, dagli avvenimenti e dalle persone. La presunzione di sapere, capire, dominare anestetizzano la fantasia, la volontà di tentare vie nuove, la fede in Dio che si assicura presente, oggi pure, ma che vuole coniugare la sua onnipotenza con la nostra intelligenza. È toccato dalla grazia chi, con S. Paolo, esclama: ‘Sono uno sventurato, chi mi libererà da questo corpo votato alla morte?’ e, contemporaneamente, vede sorgere e brillare in tutta la sua confortante grandezza e maestà la persona del Salvatore. È al riparo dalle illusioni, sa di dovere esplicare ogni diligenza per vivere da uomo nuovo e, insieme, esperimenta vera la parola di Gesù «non vi lascerò orfani», vi manderò un altro, lo Spirito Santo, luce, guida, forza. Lo Spirito è Dio stabilmente presente nel fedele, più intimo a sé di se stesso. Egli è là, decide su ciò che conta, là dove, con intonazione assolutamente singolare, egli dice ‘io’. Il credente per la fede, per i sacramenti, per l’impegno personale e costante può dialogare con Dio se, in tensione per essere tra i semplici, puri, piccoli del Vangelo. 3. Cartina al tornasole del dialogo con Dio è il dialogo col prossimo. E la chiesa è dialogo, nella verità, oltre che con Dio, col prossimo. Sono i santi - basta pensare a Francesco d’Assisi e al suo incontro col lebbroso - ad insegnare che l’incontro con Dio è da concretare nell’incontro col prossimo. Chiesa: dialogo nella verità, dunque. La verità dell’uomo, la verità di Dio. L’apertura al dialogo, dimensione della Chiesa, non si può solo declamare. Il dialogo come valore è entrato nella cultura e non si dà che qualcuno ne neghi la valenza. Il problema è che la Chiesa ha da essere luogo esemplare di dialogo in concreto. Concreto, perché dà risposta alla sete di partecipazione e cioè avere, contare e sapere di più, per essere di più. Luogo in cui il dialogo trova ed esperisce strutture, condizioni, modalità per essere realizzato. Luogo in cui tutti abbiano reale spazio per esprimersi, per dire la propria nell’analizzare, nelle scelte, nelle decisioni e nell’azione. Tutti, perché tutti persone. Tutti, perché tutti tempio vivente dello Spirito. Tutti, perché tutti chiamati a pervenire a pienezza, secondo la misura assegnata ad ognuno in rapporto a Cristo nella accettazione e nella costruzione del Regno di Dio. 4. L’impegno attuale della nostra Chiesa pattese per preparare la Settimana di Fraternità nel corso del 2004 è in linea con l’esigenza di dialogo. Cosa più importante, è in fedele esecuzione della volontà di Dio che chiama tutti a familiarità per mezzo di Gesù che, nella sua persona, ha abbattuto i muri di divisione e invia i credenti in lui. Li invia perché, con la forza dello Spirito, dato con abbondanza, annunzino il Vangelo di salvezza ai poveri, la libertà ai prigionieri, agli afflitti la gioia. I nostri fratelli sono, come noi stessi siamo, tutti beneficiari dell’invio, tutti chiamati ad essere testimoni di Dio che ci pensa fin da prima della creazione. Gli stessi fratelli sono a noi affidati: siamo debitori a tutti del Vangelo. Il nostro zelo, i talenti, la volontà di non rassegnarci all’esistente e di buttare da capo le reti fidandoci di Colui che ci rende certi della sua presenza accanto a noi, ne sono certo, non mancheranno e noi possiamo fare nostra, fiduciosi, la visione profetica: «Tutti parlino del Signore e diano lode a lui in Gerusalemme. Città santa, il Signore ti ha castigato per le opere dei tuoi figli, e avrà ancora pietà per i figli dei giusti. L’ultima parola è sempre di misericordia Da’ lode degnamente al Signore e benedici il re dei secoli; egli ricostruirà in te il suo tempio con gioia, per allietare in te tutti i deportati, per far contenti in te tutti gli sventurati, per tutte le generazioni dei secoli. Lodare il Signore, esaltarne l’operato è quanto di meglio possa fare la creatura intelligente. Come luce splendida brillerai sino ai confini della terra; nazioni numerose verranno a te da lontano; gli abitanti di tutti i confini della terra verranno verso la dimora del tuo santo nome, portando in mano i doni per il re del cielo. Generazioni e generazioni esprimeranno in te l'esultanza e il nome della città eletta durerà nei secoli. Il credente non può, non deve mai ripiegarsi su se stesso; egli, luce e sale, è per gli altri. Ma benedetti sempre quelli che ti ricostruiranno. Sorgi ed esulta per i figli dei giusti, tutti presso di te si raduneranno e benediranno il Signore dei secoli. Beati coloro che ti amano beati coloro che gioiscono per la tua pace. Beati coloro che avranno pianto per le tue sventure: gioiranno per te e vedranno tutta la tua gioia per sempre. La beatitudine di chi si dona agli altri è la beatitudine promessa a chi segue Cristo che ha tanto amato il mondo da darsi, fino alla fine. La beatitudine assicurata a chi costruisce Gerusalemme, immagine della Chiesa, è la beatitudine conseguita da chi ha capito che solo dandosi riceve, perdendosi si ritrova, morendo vive. Come l’evangelico chicco di grano. Gerusalemme sarà ricostruita come città della sua residenza per sempre» (Tb 13,13-17). Io so in chi ho posto la mia speranza; egli non permetterà che fatica, amore, speranza e fede di chi lavora con lui vadano perduti. A suo tempo il seme germoglierà, fiorirà, porterà frutto. Ora, di notte e di giorno, mentre ci pensi e quando sei altrove con la mente, non sai come, è tempo di crescita nascosta. Con la mia benedizione. |
Riflessione nel Ritiro Spirituale del 14 Marzo 2003 |
I.
IL CAMMINO QUARESIMALE 1.
La
Quaresima 2.
La
Quaresima ha: II.
LA PACE 1.
La situazione 2.
Cosa è la pace 3.
Cosa fare |