LA CATECHESI DEL VESCOVO

 

In vista della Settimana della Fraternità

Lettera ai Presbiteri del 12 Novembre 2004

Carissimi,
1. il mese di novembre vedrà la nostra Chiesa impegnata nella celebrazione della Settimana della Fraternità. Il nome stesso ci fa trasalire di gioia.
Non mancano, certo, convocazioni. Negli ultimi giorni d’ottobre, per rimanere ad un fatto recente e molto importante, ‘i colli fatali di Roma’, si sarebbe detto in altre epoche, hanno visto convocate teste coronate e non per avviare un processo politico ed economico che dovrebbe fare da ostetrico a rapporti nuovi tra i popoli della vecchia Europa.
Peccato che, talvolta, anche le teste coronate si lascino prendere dallo scintillio fasullo, s’inzaccherino nell’orgoglio e si lascino andare ad affermazioni che di tutto difettano meno che di vuota demagogia.
Avrete letto l’affermazione di un ‘padre fondatore’ (?) secondo il quale le sudate centinaia di pagine della nuova costituzione europea sono più leggibili di molti capolavori della letteratura italiana (sic!).
Sono sicuro che anche a voi sarà venuto in mente di fare avere a codesto illuminato padre costituente un quaderno di fumetti o, a scelta, il capolavoro di Carlo Lorenzini e la rubrica telefonica di qualche città italiana.
Non mancano poi convocazioni sportive, economiche, accademiche, commemorative, per comporre liti.

2. La nostra Chiesa diocesana, nella Settimana della Fraternità, convoca in forza del solo fatto che convocanti e convocati abbiamo la fede e, solo che ci badiamo, questa è vera novità.
La Chiesa è, per sé, lo dice il suo stesso nome, comunità dei convocati - riuniti dalla fede in Cristo e incorporati in lui per il Battesimo.
All'interno di questa convocazione grande, stabile e fondante, stanno molte altre convocazioni e, tra queste, quella eucaristica.
Per fare l’Eucarestia è necessario convocare, accettare la convocazione "fare Chiesa" insieme con i fratelli sotto la presidenza di un presbitero - pastore che rappresenta Cristo in mezzo ai suoi.
La Chiesa è, così, qualcosa di già fatto e insieme un evento che accade, che si deve realizzare sempre da capo.
Questo "convenire in unum" richiede un’adesione sempre nuova e libera, com’è caratteristico della fede, alla convocazione che è al tempo stesso ecclesiale ed eucaristica.
È convocazione ad una festa, il banchetto con il Signore, che non si può realizzare né celebrare se non con i fratelli né isolandosi, ma facendo Chiesa, che è come dire, facendo comunità.
Le assenze rimpiccioliscono, indeboliscono e impoveriscono il Corpo di Cristo, la Chiesa. Diminuisce la festa e la comunione fraterna, per ciò stesso, si attenua la forza testimoniale della Pasqua del Signore.
Noi però non siamo e non vogliamo essere rassegnati.
Non ci ergiamo giudici di chi sta ai margini. Non pensiamo di essere a posto. Non vogliamo nel nostro vocabolario il verbo escludere.

3. In ascolto della parola di Gesù ‘gettate le reti’ convochiamo ancora e ancora. Il successo non ci interessa.
È peraltro il Padre che, unico, dispone delle chiavi dei cuori e tiene le fila del tutto.
Tutti convocati, dunque, carissimi e tutti al lavoro: c’è bisogno di tutti.
Le indicazioni pratiche sono state date e saranno date ancora.
Ai fratelli sacerdoti raccomando di coinvolgere gli ammalati con le loro preghiere e sofferenza.
Alle religiose chiedo un rinnovato slancio del cuore già donato al Signore perché il volto della Chiesa splenda della bellezza di Cristo e sia adatto ad ogni buona battaglia.
Ai giovani domando la presenza coinvolgente nel brio scintillante della fantasia.
A me e a voi è necessaria concreta docilità allo Spirito che parla nella Chiesa nella concretezza della sua viva articolazione.

 

Con gioia incontro al Signore che viene

Lettera ai Presbiteri del 10 Dicembre 2004

Carissimi,
il nostro incontro dicembrino è a metà del cammino liturgico, l’Avvento, che, con la Chiesa tutta, abbiamo intrapreso in preparazione al Natale.

1. Ricordare.
Se non abbiamo bisogno di fare memoria del fatto che siamo invitati ad andare incontro al Signore, che, in verità, è lui a venire da noi, di certo abbiamo bisogno di ‘ricordare’ questa verità che, tipica della fede cristiana, la qualifica e distingue da qualsiasi altra.
Nella voce ‘ricordare’ si sente senza difficoltà la radice ‘cuore’. Non si tratta, infatti, del freddo richiamare alla mente per conoscere, quanto del conservare in cuore per emozionarsi, trasalire per lo stupore, lasciarsi prendere da gratitudine, gioia, voglia di gridare ai quattro venti che «Dio ha concesso misericordia ai nostri padri e si è ricordato della sua santa alleanza, del giuramento fatto ad Abramo, nostro padre, di concederci, liberati dalle mani dei nemici, di servirlo senza timore, in santità e giustizia al suo cospetto, per tutti i nostri giorni» (Lc 1,72-75).

2. Il nostro Dio viene.
Il nostro Dio, dunque, è Dio che viene, Egli non resta nell’alto del suo cielo, secondo una concezione di tipo deistico, troppo impegnato nella sua gloria per prendere interesse all’umanità.
Egli si presenta dicendo: «Ho osservato la miseria del mio popolo; conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo e per farlo uscire da questo paese verso un paese bello e spazioso, verso un paese dove scorre latte e miele. Ora dunque il grido degli Israeliti è arrivato fino a me, ho visto l'oppressione con cui gli Egiziani li tormentano. Ora va’! Io ti mando. Fa’ uscire dall'Egitto il mio popolo, gli Israeliti!» (cfr Es 3, 7-10).
La sua venuta è triplice.
a) Per la prima, nell’umiltà della natura umana, fu annunziato da tutti i profeti, la Vergine Madre l’attese e portò in grembo con ineffabile amore, Giovanni lo proclamò venuto e lo indicò presente nel mondo, egli stesso, infine, portò a compimento la promessa antica e ci aprì la via dell’eterna la salvezza.
b) Verrà di nuovo nello splendore della sua gloria e noi otterremo, alla fine, in pienezza di luce, i beni promessi che ora osiamo sperare vigilanti nell’attesa.
c) C’è una terza venuta intermedia, nei nostri giorni, ora.
Di essa sappiamo:
* quel che dice Gesù: «Sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me. Il vincitore lo farò sedere presso di me, sul mio trono, come io ho vinto e mi sono assiso presso il Padre mio sul suo trono. Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese» (Ap 3,20,22);
* che si realizza: nella Parola; in ogni uomo e in ogni tempo affinché accogliamo nella fede e testimoniamo nell’amore la beata speranza del suo regno; nella Santa Eucaristia.

3. La terza venuta.
Le modalità della terza venuta si richiamano, intrecciano e stanno insieme; noi le facciamo oggetto di devota attenzione, ne traiamo orientamento per la preghiera e l’impegno quotidiano; vediamo come segno provvidenziale il fatto che esse corrispondono al Piano Pastorale Diocesano e agli orientamenti dati dal Papa alla Chiesa con l’indizione dell’Anno Eucaristico e la Lettera apostolica Mane nobiscum dello scorso 7 ottobre.

4. Il Signore è venuto, verrà, viene.
«Ecco, faccio una cosa nuova; proprio ora la faccio: non lo vedete?».
Questa parola profetica mi torna in mente mentre penso alla Settimana della Fraternità che un buon numero di parrocchie ha realizzato dal 21 al 28 dello scorso novembre.
Essa è stata visita del Signore, sua consolante venuta, seme di speranza evangelica, fonte di gioia.
Oltre le attese.
Questa venuta è dono della sua bontà, frutto della terra e del lavoro dell’uomo. Voi, carissimi fratelli, siete l’uomo che ha lavorato la terra. Voi e quelli che, da voi seguiti e preceduti nella via del Signore, generosamente vi hanno coadiuvato. Alla vostra lunga fatica è da ascrivere il dono della scoperta del Signore presente e che viene in mezzo al suo popolo per dare risposta alla sete di comunione con lui e tra i fratelli.
Sono consapevole che non potrò mai dirvi grazie con accento apprezzabilmente valido, per la fiducia, la generosità, la tenacia, con cui avete accolto il duc in altum evangelico di cui, per il mio ministero, sono eco flebile e scolorita quando alla diocesi propongo il cammino pastorale.
Vorrei essere poeta per girare a voi quanto, qualche tempo addietro, mi ha scritto un confratello:
«I poeti, i poeti!
Come Dio trafiggono l’anima
con parole amare e struggenti,
con nenie dolci ed ammalianti…;
come i sogni respirano liberi, curvano spazi e tempi.
Profeticamente confondono passato, futuro e presente,
danno vita ai sentimenti».

5. Andiamo oltre.
Ecco, fratelli, possiate fare l’esperienza di Geremia, il timido profeta di Anatot l’insignificante villaggio della Giudea, che sentiva nel cuore, come chiuso nelle ossa, un fuoco ardente, che si sforzava perfino di addomesticare, sotto la coltre rassicurante della cenere, senza però riuscirvi (cfr Ger 20,9).
Vi travolga, contagiosa, la gioia. La gioia di vedere che ‘i pascoli del deserto hanno germogliato’ (cfr Gl 2-22).
Siano con voi la grazia e la pace da Gesù Cristo, testimone fedele, primogenito dei morti e principe dei re della terra, colui che ci ama e ci liberato dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre.
Sentiate consolante la sua promessa: Io sono l'Alfa e l'Omega, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente!
Possiate esultare nel vedere i suoi occhi fiammeggianti come fuoco, le sette stelle e i sette candelabri nella sua destra.
Siate animati dalla contemplazione degli angeli che vigilano sulla nostra Chiesa e, in essa, sulle nostre comunità parrocchiali, su voi stessi e sui fratelli e sulle sorelle nei quali, senza risparmiarvi, servite il Signore (cfr Ap 1,4-20).
Nella Chiesa di Patti è stato depositato un piccolo seme che, per la grazia divina, diventerà pianta atta ad accogliere e fare vivere: sarà il nostro, il vostro, tesoro. E sappiamo che esso, posto nelle mani dell’Amore onnipotente, è al sicuro da ladri, ruggine e tignola.

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