Undicesima Stazione |
Riflessione proposta da Vincenzo Joppolo |
Gesù è inchiodato sulla croce |
C’è un giorno dell’anno in cui, per una volta, il centro della liturgia della Chiesa e il suo momento culminante non è l’Eucaristia, ma la Croce; cioè non il sacramento, ma l’evento; non il segno, ma il significato. È il Venerdì Santo: giorno in cui non si celebra la Messa, ma si contempla e si adora il Crocifisso. Ma perché Gesù ha patito tutto questo? La risposta più nota: “Per i nostri peccati”; quella più giusta: “Perché ci ama”. “Nessuno, dice Gesù nel Vangelo di Giovanni, ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici”. Questa risposta al “perché” della passione di Gesù è veramente definitiva e non ammette altre domande. Ci ha amato perché ci ha amato e basta! L’amore di Dio infatti non ha un perché, è gratuito. Gesù, dunque, ha sofferto ed è morto liberamente, per amore. Non per caso, non per necessità, non per ragioni della storia. Durante il processo, Pilato sembra persona ben disposta nei confronti di Gesù; non trova alcun motivo di colpevolezza in Lui. Intuisce la verità che sta in Gesù, ma non si espone. La sua sentenza di morte appare come una semplice concesssione estorta dai capi dei Giudei mediante il ricatto e la pressione tumultuosa della piazza. Nonostante i suoi buoni sentimenti, Pilato è trascinato dagli avvenimenti ad autorizzare la condanna a morte di Gesù. Pilato non ha coraggio, ha paura di aver dei fastidi; paura di disordini; paura per la carriera personale. Pilato tenta di salvare Gesù, ma con i suoi mezzi; non in nome di quella verità, ma ricorrendo al compromesso. Prima propone di rimandare Gesù in nome della consuetudine di amnistiare un delinquente a Pasqua, ma i Giudei preferiscono Barabba, poi lo fa flagellare, nella speranza che la visione dell’uomo martoriato e umiliato sazi la domanda assurda di sangue: ma non è così. Alla fine, come uomo di potere di fronte alle minacce – se liberi costui non sei amico di Cesare – cede e si fa esecutore degli ordini altrui. Ecco, dunque, che si compie la volontà di Dio, non di Pilato semplice figura strumentale alla realizzazione di un disegno superiore. Figura, però, emblematica e attuale di un atteggiamento egoistico teso alla conservazione del proprio potere, nonostante la coscienza gli suggerisca di agire diversamente. Trova, quindi, anche il modo di mettere a tacere la propria coscienza, con un compromesso che passerà alla storia come esempio di viltà e deresponsabilizzazione di fronte alla decisione di crocifiggere un uomo dalla riconosciuta, e in fondo temuta, natura divina. Il suo rifiuto di cambiare l’iscrizione sulla croce diventa così l’espressione di un estremo tentativo per mitigare la consapevole complicità del reato, servendosi di un gioco dialettico. |