Crocifisso, part, S. Li Volsi, 1652, Chiesa Ara Coeli di San Marco d'Alunzio

Settima Stazione

Riflessione proposta da Ignazio Spanò

Gesù cade la seconda volta

Stazione settima

La croce può anche affascinare. Per i più forti può indurre a sentimenti di sfida. Ma la realtà della croce è differente perché la croce è pesante, ruvida, piena di asperità e il suo gravame lascia inesorabilmente segni visibili sul corpo.

La strada poi è tutta in salita e sempre più ripida, diventando peso e fatica non più sostenibili. I segni sul corpo si fanno più profondi e imprimono il dolore dell’animo per il sarcasmo, le ingiurie, il ludibrio per chi ha accettato la croce per un progetto più grande, incompreso e misterioso. Dolore e solitudine, sensazione ancora più lancinante perché piaga causata dal tradimento e dall’abbandono.

Il ricordo della compagnia, di tanti giorni che erano sereni e sembravano eterni è lontano, reale è invece la disperazione unita al senso di sconfitta e di fallimento. Bisogna fermarsi, sopraffatti dal timore che andare avanti sia inutile e dalla revisione del cammino compiuto: “Se avessi evitato questa o quella scelta… se non avessi preso su di me questa croce”.

Inevitabilmente il disonore del fallimento e il peso hanno debilitato le forze e si cede senza riuscire a contenere il carico delle responsabilità acquisite.

La difficoltà più grande è quindi quella della costanza e della perseveranza. Tornare indietro e rinunciare è la risoluzione più facile. Ma la rinuncia implica un’oppressione più gravosa, quella del peccato di egoismo che viola la giustizia.

Cristo cade e il senso profondo della caduta dell’uomo di fede si riflette nella caduta del Figlio dell’uomo. Si penetrano così le agonie umane, condividendole e comprendendo il dolore da esse scaturito. Nella privazione delle energie, nelle ferite sanguinanti è evidente una pienezza di offerta che è il dono per i più deboli che soffrono e hanno sete di giustizia.

Le logiche terrene si rivelano prive di prospettive e vuote di valore e la caduta impone la revisione della reale vocazione; e se il crollo non fosse annullamento della libertà di iniziativa, ma momento indispensabile per rispondere ancora?

La strada non è ancora percorsa sino alla meta e Cristo non si rialza di nuovo per tornare indietro, ma per andare avanti nella consapevolezza del totale sacrificio di sé.

Prosegue il cammino dell’abnegazione e dell’annientamento perché il sentiero tracciato sia percorso ancora, senza rinnegare l’impegno promesso ad ogni povero che chiama.

Nella polvere restano i segni di quella caduta, tracce di sangue evidenti che possono anche provocare disgusto agli uomini, ma esprimono il valore totale della risposta dell’uomo a Dio, nell’apparente insensatezza di quella ascesa che si compie con la crocifissione.

L’egoismo è sconfitto dalla volontà del bene, dalla fermezza del progetto dell’ascesa, anche a costo di se stessi. Diversamente l’andare sarebbe una continua caduta, la strada un’interminabile calvario. Senza resurrezione.

Ottava Stazione

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