L’idea di arricchire di pregiate opere
d’arte la chiesa di San Paolo a Librizzi nasce dalla singolare
sensibilità di mons. Ignazio Zambito, che guarda all’arte come al canale
privilegiato attraverso il quale l’umano si avvicina al trascendente,
specialmente in una chiesa, luogo privilegiato per destinazione alla
contemplazione del divino. Egli, pur intuendo la difficoltà di esprimere
il sacro attraverso l’arte contemporanea, sente profondamente il
desiderio di guidare i fedeli alla comprensione del senso estetico e
teologico del mistero.
Il Vescovo si rende interprete della bellezza del tempio di Dio ed, al
contempo, interprete del linguaggio liturgico, animato com’è dalla
consapevolezza della funzione soteriologica del sacro finalizzata a
celebrare la potenza di Dio. Sotto questo profilo, egli, in questi
cinque lustri di ministero episcopale, è promotore di audaci progetti
quali il restauro della Nigra sum di Tindari, la realizzazione delle
grandi vetrate del Santuario di Tindari eseguite da Franco Nocera in
occasione del Giubileo del 2000.
Così, nel gennaio 2004, ancora una volta, commissiona al maestro Nocera
l’intera decorazione degli spazi della nuova chiesa di Librizzi per
abbellirli con la ricchezza di opere che rendano più eloquente e
profondo il senso della celebrazione eucaristica.
Al lavoro progettuale del Vescovo si affianca la preziosa collaborazione
di Don Basilio Scalisi acuto osservatore e curatore di importanti eventi
artistici, gestiti con fine intuito e competenza.
La fiducia e l’attenzione poste nei confronti del maestro Nocera si
rivelano ancora una volta straordinarie poiché l’artista sa abbracciare
come pochi il tema del Sacro. Tema che si rivela così congeniale alla
sua sensibilità estetica, che, nell’interpretare i testi delle Sacre
Scritture, le soluzioni trovate creano un’atmosfera di rara e
stupefacente suggestione.
A) La Croce gemmata
A chi entra nella nuova chiesa di S Paolo e volge lo sguardo verso
l’altare, appare, nella sua maestosità, la croce dipinta. Sospesa in
alto, davanti alla pala, essa costituisce un’unità armonica con
l’immenso dipinto retrostante.
Attraverso l’arte, l’autore penetra il mondo spirituale e celebra il
mistero di Cristo con un’opera singolare dal profondo ed intenso
significato. È alquanto complesso esprimere con il linguaggio pittorico
la "modernità" della croce, metafora del dolore umano, ma ciò che Nocera
realizza è in grado di avvicinare il divino all’umano e coinvolgere
sensibilmente l’osservatore.
L’artista rappresenta il dramma della morte ed, al contempo, l’imporsi
della vita con i simboli della venuta gloriosa di Cristo. La croce
gemmata, "signum victoriæ", testimonia come essa non sia un umile legno
ma il “luogo” della Vita Appesa. Non vi è rappresentato il corpo, ma il
pathos, la sofferenza, l’estremo sacrificio che divengono presenze
reali, tali da sconvolgere l’anima.
C’è una sintesi di verità, bontà e bellezza posta al di sopra dello
spazio e del tempo. Attraverso dei simboli, come tracce indelebili di
morte e resurrezione, l’opera acquista un respiro d’eternità. È
sorprendente il modo in cui è reso vivo il sangue versato, tinto di
viola intenso lungo l’asse e di rosso scarlatto attorno ai chiodi. La
croce, emanazione ed identità di un amore immenso ed eterno, trova nello
strumento del martirio il simbolo della sua grandezza.
L’opera nasce da un’intima visione e da una personalissima
contemplazione di spazi interiori, sostenute da un’approfondita
conoscenza teologica ed ascetica. È in essa la grande intuizione di
riuscire a coniugare in un unico simbolo la tradizione orientale ed
occidentale. L’incrocio dei bracci diviene per questo il luogo di unione
profonda tra i due mondi religiosi.
Il monogramma φως ζωή, luce-vita, derivante dalla cultura cristiana
dell’Asia Minore è circondato dalle gemme di chiara matrice
occidentale. Luce, vita, oscurità e morte vivono sullo stesso piano,
sottolineando come il Risorto non abbandoni il Crocifisso, ma lo ponga
come evento salvifico, supremo segno della potenza di Dio. Qui, Nocera
si fa interprete di una fede radicata nel proprio essere che ritrova
nell’infinita bellezza della croce il suo corrispettivo simultaneo. Egli
celebra la vittoria, ma ne sottolinea anche il lato umano della
sofferenza e dell’umiliazione.
L’iscrizione I.N.R.I., infissa al di sopra del capo di Cristo, è il
marchio incancellabile dell’odio e dell’ingiustizia del mondo. Tracciata
con quel rosso ancora pulsante, è indice di una esecuzione tanto crudele
quanto spietata. Questa elevazione rende ancora più evidente lo strazio
per una morte annunciata, la sofferenza di colui che ha rinunciato al
proprio io per annullare il debito dell’umanità.
Eppure una forza immensa e misteriosa spinge l’uomo oltre la morte
rendendo il “legno” strumento di salvezza. In modo enigmatico il supremo
dono di sé trascina e travolge la parte più profonda dell’interiorità
umana, ed al contempo, infonde la speranza della redenzione e della vita
eterna. Una luce surreale si sprigiona attraverso la striscia dorata che
nasce dal centro e scorre per tutto l’asse. L’oro incide il viola
irradiandolo di un bagliore sovrannaturale. Le tessere musive,
spiritualizzazione totale del sangue dell’uomo, realizzano la grazia che
rivela l’amore come destino di salvezza, verso il quale tutti possono
accedere.
L’incontro tra Dio e l’uomo è un’esperienza intima, mistica che
coinvolge la parte più impenetrabile dell’essere in cui "intelletto,
volontà e sentimento - scrive San Tommaso - non sono ancora facoltà
distinte" L’Uomo trasforma
l’uomo. Il mistero della rivelazione contempla un amore incorruttibile,
sublime ed ineffabile. È impeto travolgente che necessita del martirio
per rivelare la sua incontenibile forza ed invadere il creato.
Eppure la vittima dell’espiazione dei peccati, il condannato, non
condanna la fragilità ma perdona, trasforma il legno della croce in
strumento di riconciliazione che effonde il dono dello Spirito. Dunque
la luce, di cui l’artista si serve per far risplendere la sua opera,
diviene luogo da cui scaturisce la vita divina. Nel suo essere
raffigurazione drammatica, nel rappresentare la "durezza
dell’abbandono", essa diviene celebrazione della vittoria, “crux invicta”,
che necessita della sofferenza redentrice di Cristo.
Nocera tinge d’oro anche i chiodi, segni del supplizio, racchiudendo in
essi le realtà opposte, eppur complementari, del cielo e della terra,
della morte e della resurrezione. Raffigura l’istante e l’eterno,
l’angoscia della solitudine e la fede in un amore più grande,
l’incarnazione del Verbo e la sua glorificazione. Si ha la percezione di
un sottile chiarore, di un respiro che vibra nel segreto, di un’intima e
personale conoscenza dei misteri della rivelazione secondo una nuova
sintesi creativa.
Il misterioso messaggio si crea attraverso un’opera poetica e si rivela
specchio di un sentire, un intendere, un percepire il dogma non
esprimibile con la parola. Il maestro si accosta alla profondità
dell’uomo con una conoscenza legata ad una particolare sensibilità.
Questa aderisce e risuona nella sua croce come un’espressione musicale,
una melodia che diviene soffio divino.
Dall’alto essa s’impone agli occhi del fedele quasi a volerlo accogliere
con le sue grandi braccia ed esprime il consumarsi e l’affermarsi della
presenza salvifica. La sua essenza accetta la sofferenza, adempiendo al
destino presente nelle Sacre Scritture. Bisognava che il Cristo
percorresse i sentieri umilianti del dolore e sperimentasse la debolezza
per affermare la potenza della Resurrezione.
L’incrocio dei bracci diviene centro della creazione. Le quattro tessere
d’oro, preziosi microcosmi, assumono la valenza dei quattro punti
cardinali: gli evangelisti. Pietre fondamentali del messaggio
evangelico, impressi nella croce, non la abbandonano e divengono
espressioni diversificate di un unico mistero.
Si riveste d’oro anche l’immagine della Trinità. Posta ai piedi della
croce, offre salvezza. Il mistero trinitario, complessa raffigurazione,
rivela il Padre attraverso il Figlio incarnato e trasmette, per mezzo
dello Spirito, la sua parola, dando testimonianza di un amore totale. È
qui che Nocera intuisce il dono di grazia che trascende la comprensione
sottolineando l’universale volontà salvifica. La grazia incoraggia,
attrae, esorta il cuore dell’uomo a partecipare al dialogo con Dio, ma
non lo costringe perché egli è libero. L’inesprimibile si affida alla
voce dell’eterno e ci rende partecipi della sua esperienza di comunione.
La croce, opera perfettamente compiuta, non si risolve nel mistero
dell’opera stessa, ma riassume in sé il dono dello Spirito che Cristo
ogni giorno rinnova.
B) La pala d’altare
Dietro la croce, a rivestire quasi interamente la parete absidale,
s’impone, nella sua grandezza, l’immensa pala. Anche quest’opera rivela
la profonda contemplazione del mistero. Osservando da sinistra si rivive
il momento più struggente della Passione: la deposizione del corpo.
Come guardare al dolore? Con che occhi contemplarlo? Se gli occhi sono
lo specchio dell’anima e riflettono i sentimenti, lo sguardo può
immergersi ed entrare nel profondo. Ecco che Nocera racconta lo strazio
di un’umanità quasi dimenticata da Dio, l’angoscia, la solitudine e
l’incomprensione del mondo. Il grido di dolore risuona oltre il tempo,
la desolazione dell’anima viene impressa nei corpi e nei volti.
L’occhio, medium dello Spirito, ha il potere di guardare la morte in
faccia nella sua più gelida concretezza. L’artista la ritrae scegliendo
vibrazioni chiaroscurali, contrasti tra luce ed ombra, accentuando la
convulsa agonia e la deformazione che il corpo assume nel manifestare
il dolore. I personaggi dipinti sono figure allungate, immerse in
un’atmosfera silenziosa e lacerante al tempo stesso.
Già dall’alto colpisce lo strazio degli occhi senza sguardo dell’uomo
che si abbandona sul legno con braccia smisuratamente grandi.
È difficile per la nostra natura, incerta e vacillante, affrontare
l’oscura visione della morte. Le tinte forti del blu notte, del rosso e
del verde scuro, memori dell’espressionismo europeo, accentuano lo
smarrimento totale di coloro che, attoniti, rimangono col capo chino. Si
respira un alito di memoria quasi seicentesca nella disposizione della
scena che riporta a Pontormo ed a Rosso Fiorentino, mentre si rivela
giottesca nello slancio delle braccia della Maddalena.
Qui l’artista concentra l’attimo di maggior sgomento. La figura della
donna conferisce al dipinto un dinamismo ed un’agitazione estrema in
quell’urlo che è un chiaro segno di rifiuto. È lei che, più di tutti,
non accetta l’onta di un’esecuzione ingiusta e spietata. Il suo grido
risuona oltre il dipinto e raggiunge i luoghi più nascosti della
profondità dell’anima. L’abito della donna, rivestito di passione, è
intriso di rosso scarlatto, come il sangue che ancora scorre dalle
ferite del corpo deposto. La debolezza, l’insufficienza, l’impotenza
dell’uomo di fronte all’evento sconvolgente superano i limiti di ogni
comprensione possibile.
La figura di Maria, di colei che sola vive il dramma interiore di non
poter aiutare il proprio figlio, incarna la dignità e la forza che
nascono dalla debolezza. Attraverso l’afflizione, Dio agisce e manifesta
la sua potenza per elevare l’uomo. L’opera raggiunge la pienezza del suo
significato nell’angoscia composta della madre che regge il figlio
consapevole del suo sacrificio necessario. A lei, creatura prescelta, si
richiede la più grande ed eroica prova di fede. C’è nel volto assente,
nella resistenza istintiva, nell’oscurità del manto in cui è avvolta,
un’impenetrabile solitudine ed una profonda amarezza. Lo sguardo immerso
in una quiete apparente rivive il ricordo delle parole profetiche
pronunciate da Simeone: "E anche a te una spada trafiggerà l’anima".
Queste sembrano riecheggiare con suprema eloquenza e con forza
penetrante in tutto il dipinto dove il verde scuro accentua la tremenda
sensazione di vuoto. Mentre il dolore di Maria è sorretto da una fede
illuminata e da una conoscenza superiore che le permettono di affrontare
la morte redentrice del figlio, lo sconforto totale coglie le pie donne
e Giuseppe d’Arimatea. Quest’ultimo rimane escluso, immobile, raccolto
nel più cupo dolore. Il suo gemito, la rassegnazione assoluta protendono
ed invadono la lunghezza di tutta la figura.
In alto, anche gli angeli partecipano al dolore del mondo in un cielo
sofferente per una morte così violenta.
Ma è il Cristo, fulcro del dipinto, il centro dell’immane tragedia. Il
corpo immobile giace abbandonato, sorretto solo dal pianto della madre.
Nel momento estremo, anch’egli "Uomo", è solo, investito da un ritaglio
di luce, che abbaglia l’oscurità della notte. Nocera rappresenta il
corpo umiliato ed offeso con una singolare partecipazione emotiva che
diviene contemplazione. Egli ritrae l’Uomo nell’eterna contraddizione
della paura e della volontà di donarsi. Le profonde ferite, sanguinanti,
i segni graffianti trafiggono la carne e urlano il dolore del mondo. In
qualsiasi luogo della terra ed in qualunque tempo della storia l’umanità
inconsapevole diviene vittima della sua stessa assurda ferocia.
Sul volto del Cristo si legge il dramma amaro di chi cerca Dio e crede
di essere stato abbandonato al proprio destino. Le labbra semichiuse
invocano il Padre e gli occhi suadenti ed intensi, pur non vedendo più,
comunicano la pena. Piaghe grondanti di sangue non lasciano nemmeno un
brandello di pelle intatta e mostrano tutta la malvagità e la miseria
dei carnefici.
Eppure il volto non è contratto; nonostante l’apparente sconfitta, è
dolce e soave. L’ultima parola non è per il peccato, ma per il perdono.
È qui che va ricercata la vera ragione della speranza cristiana, ciò che
rivela il senso della vita e della storia anche con i suoi fallimenti.
Il ritratto è testimonianza della forza del male verso lo stesso figlio
di Dio, per sua natura assolutamente innocente e libero. Ma tramite lui,
Dio uccide la morte e restituisce l’identità al Figlio abbandonato.
Nella parte centrale della pala risplende San Paolo
Figura enigmatica del Nuovo Testamento, affascinante autore ispirato
e mistico, a lui viene dedicata la chiesa. Sapere che l’Apostolo delle
genti ha condiviso la natura umana, i suoi doni, ma ha anche sofferto la
povertà, la debolezza, l’aridità dell’anima, è qualcosa che incoraggia e
lo rende più accessibile.
Nocera lo dipinge in tutta la sua concretezza di uomo. Paolo fa parte di
coloro che Dio sceglie e di cui si serve per trasmettere la sua parola,
proprio lui che si definisce "bestemmiatore e persecutore violento" (1Tm
1,13). Paolo di Tarso è irruente fino all’aggressività, ostinato fino
alla durezza.
É in piedi, in cammino, vestito di tinte accese dai forti contrasti del
blu e del rosso; afferma la sua complessa e singolare personalità in
perenne contrasto tra umanità e regalità. L’immagine incarna l’unione
degli opposti, interpreta la trasformazione assoluta e rivela come i
progetti di Dio siano segreti ed incomprensibili. Paolo ne vive il
mistero con drammatica intensità.
Dopo una vita segnata dalla tribolazione, dall’angoscia, dalla
persecuzione nei confronti di Cristo, sulla via di Damasco diviene il
protagonista di un avvenimento straordinario: il suo corpo e la sua
anima sono improvvisamente travolti dalla potenza redentrice. Con la
gioia nell’animo trova Cristo, lascia l’effimero per l’eterno.
Nel suo cammino Paolo non è solo. La sua parola e il suo gesto
sconvolgono ed esortano ogni uomo a partecipare al miracolo della croce.
La sua conversione e l’impegno morale divengono ascesi cristiana. Azione
divina ed umana si compenetrano nell’attualità del suo messaggio. In lui
il credente rivive il percorso di perfezione e ne intuisce la suprema
verità. A Nocera il compito di ricreare parola ed immagine per svelare
l’anima, per restituire la sua personale ricerca verso l’uomo di Tarso.
Paolo è vivo, presente in uno spazio reale e simbolico oltre la
temporalità. É l’uomo moderno che nella contemplazione del mistero
sperimenta l’amore che supera ogni conoscenza. L’artista riflette
l’esperienza mistica raggiunta dall’apostolo e rappresenta in maniera
singolare l’irradiazione visibile del Dio invisibile. Questa invade
l’uomo trasformato in Paolo rendendolo nuovo, con una fede che è offerta
totale del proprio essere. Colui che volutamente ha respinto il Cristo
ora è investito dalla grazia e trasforma l’impulsività in tenacia, la
volontà di potere in stupore di fronte alla gratuità del dono.
Il lupo feroce, l’uomo che ha assistito al martirio di Stefano, è
diventato ardente discepolo. Il persecutore si ritrova credente. L’anima
purificata comunica attraverso gli occhi. Lo sguardo intenso e
carismatico abbraccia la potenza dello Spirito ed annuncia il mistero
di salvezza, il volto trasfigurato incarna la bellezza di Dio. Paolo,
prima di essere santo, è soprattutto uomo e come tale ha lasciato i
segni del suo cammino. Le lettere, esperienza di salvezza e
contemplazione mistica, guidano alla conoscenza di Dio Padre ed
avvicinano alla sua volontà.
É consapevole di essere illuminato, la sua è una percezione di verità ed
amore che ne invade la vita. La sua grandezza sta nel fatto che egli
non si limita a trasmettere la parola, ma vivendola sperimentalmente
testimonia come essa diventi profonda e vissuta. La misericordia di Dio
è una fiamma che arde e si diffonde dovunque egli svolga la sua
missione, in Siria, in Macedonia, in Grecia, a Creta sino a concludersi
a Roma.
Le lettere di Paolo sono trafitte dalla spada, il prezzo da scontare per
la propria conversione. Egli sperimenta nel corpo e nell’anima la
passione. La morte, evento tragico e necessario, gli appartiene.
Intraprende i sentieri del dolore e dell’umiliazione, sperimenta la
debolezza e la prostrazione della carne, l’impotenza, l’insufficienza
dovuta ai propri limiti, conosce l’assalto della paura nel sopportare
flagellazioni, lapidazioni, prigionie.
Nocera racconta la crudeltà e la violenza della sua condanna. Mostra
tutta la ferocia nel corpo capovolto segnato dalla mortificazione.
Immerso in un verde cupo trasmette sgomento e, mentre il sangue scorre,
contamina e trasforma l’ostilità verso Dio. Il carnefice ha spezzato
il corpo, ma non ne ha mutilato l’anima. La forza interiore di Paolo
risiede nel pensiero. Nella solitudine, nel tormentato stato di
abbandono, sa di non essere solo ma, unito a Chi prima di lui ha
sofferto le stesse angosce, non è turbato dalla morte. Nel suo volto è
tangibile lo splendore della grazia.
Paolo, portavoce del mistero di salvezza, deve attraversare un trauma
violento per passare dall’incredulità alla fede, dall’odio all’amore.
Deve affrontare dolorosi patimenti per trasformarsi nel più grande
missionario di tutti i tempi.
L’attualità del messaggio di Paolo benedicente trapassa i secoli.
Nell’unione con Cristo, nell’ascoltare la voce dello Spirito, la fede
condiziona l’esistenza, ne determina l’avvenire ed afferma l’universale
volontà salvifica. Insieme a Pietro, depositario di un amore assoluto,
non distoglie lo sguardo dall’uomo e la sua misteriosa potenza rifiuta
il compromesso e trascina verso le realtà nascoste dello Spirito.
La Trasfigurazione
Nella splendida pala conclude la trilogia il tema della
Trasfigurazione. L’evento soprannaturale non appare come semplice
racconto, ma assume valore esemplare. È un tripudio di luce incantevole
e sublime. L’artista ne dà una personale visione, seguendo una
particolare vivacità creativa. Egli ripercorre ed interpreta i
sentimenti e gli stati d’animo di Gesù, degli Apostoli e dello stesso
Padre nell’intima unione di spirito, cuore e mente.
L’immagine riempie gli occhi e penetra l’anima di chi guarda. Il modo in
cui si celebra la prefigurazione della realtà futura, morte e
resurrezione, indica la conoscenza del significato della trasfigurazione
come fatto storico e momento fondante della conversione.
Cristo si intravede attraverso la trasparenza della carne e lo
splendore della sua potenza. Il volto e le vesti diventano fulgore
irradiante. Il bianco ed il giallo si espandono per tutto il dipinto
quasi a voler uscire a contaminare il mondo.
Ciò che accade sul monte Tabor è sublime e straordinario. Gli stessi
protagonisti difficilmente reggono la vista dell’aspetto definitivo di
Cristo. Su di lui la gloria di Dio si emana dall’interno. Nocera ritrae
il volto bellissimo illuminato e brillante: "il suo volto brillò come il
sole e le sue vesti divennero candide come luce”. Ciò che effonde non è
luce riflessa ma propria. L’intuizione e la sensibilità dell’artista
rendono l’estasi quasi palpabile. La sostanza di Cristo invade e
travolge i prescelti davanti ai quali decide di trasfigurarsi.
Pietro, Giacomo e Giovanni incarnano le dimensioni della solitudine, del
silenzio, della lontananza da tutto, condizioni essenziali per accedere
al mistero. La presenza di una costante tensione non provoca angoscia.
Stupore, meraviglia, rapimento sottolineano la forte esperienza mistica.
Gli apostoli si inginocchiano in atteggiamento di adorazione e di
trepidante umiltà. Tutto è frutto di un solo istante: l’immagine appare
chiara, gloriosa maestà generatrice di perfezione. Grazie al maestro, in
quest’ultima parte, si entra in contatto col misticismo più profondo e
totale. L’anima penetra la materia e capta l’energia suprema
armonizzando cielo e terra.
Quasi a placare l’inquietudine, l’artista si affaccia al dogma nella
ricerca di perfezione ed introspezione continua. Nell’inesauribile
bisogno di rinnovamento e di sperimentazione, egli attinge alle
tradizioni pittoriche del passato per coniugarle con intuizioni e
rielaborazioni proprie. Le forme, i colori, i gesti descrivono
un’inquieta interiorità. Nella solitudine, nell’imbattersi in sé stesso,
nell’oscurità del proprio essere, anche l’artista cerca Dio.
L’Invisibile, l’Impenetrabile, l’Inaccessibile da un punto di vista
umano si manifesta presenza ed essenza di luce, principio di perfezione
e completezza.
Nella sommità invasa d’azzurro i tratti di un volto impalpabile,
all’interno di una spirale onirica, schiudono momento per momento il
mistero della bellezza.
Perfetto nella composizione estetica, apparentemente distante dall’uomo,
Dio è la forza spirituale che governa l’ordine del mondo nella
dimensione umana, cosmica e divina. Questa, come un soffio, accoglie,
avvolge, protegge e fissa il principio della creazione.
L’essenza del Padre circonfuso di luce diviene significante dell’eterno
e riforma il tempo dell’uomo. Il viso senza corpo si ricompone
inoltrandosi nel vento e nelle nubi. L’eco delle parole pronunciate
riecheggia per tutto il dipinto. Il blu e il bianco stesi con gestualità
energica fissano la tensione spirituale e inducono alla dimensione della
fede. Il desiderio di rinascita, il bisogno di elevazione e il mero
senso della contemplazione ridonano valore alla vita, la svelano e la
trasformano attraverso l’arte.
C) Le vetrate
Nel varcare la soglia della chiesa, si lascia il mondo umano per
ritrovarsi illuminati da intensi raggi vivificanti.
Ideate da Nocera ed eseguite a Milano, le vetrate realizzano attraverso
la luce le condizioni essenziali per completare la meditazione e
conducono il fedele in un’atmosfera contemplativa. La preziosa
policromia e le ricchezze decorative donano alla chiesa un respiro
d’eternità. Attraverso i vetri traslucidi, la luce filtrata diventa
manifestazione di Dio.
È difficile descrivere le impressioni, le sensazioni, le percezioni di
fronte ad un simile spettacolo. Per accostarsi al mistero divino e
scrutarne il significato più nascosto, l’artista realizza un’opera unica
ed inedita ma la rende più accessibile al credente.
Nella progettualità, nella precisione di ogni dettaglio, il sentimento
estetico non viene meno. Il luogo sacro trionfa di luce. I blu cobalto,
i rossi, i gialli, l’ambra, i verdi accentuano il senso del profondo e
si riempiono di eloquente significato. Attraverso i volti degli angeli
il corso ciclico della vita costantemente si rinnova.
Gli occhi, energia attiva, forza interiore ed empireo scintillante,
scrutano oltre il vetro ed abbracciano con lo sguardo i fedeli.
Nella controfacciata s’inserisce la figura perfetta del cerchio.
Collegato alla volta celeste infinita ed eterna, esprime la fiamma
generatrice di ogni forma di vita. È esaltazione del mondo superiore, è
luce che trionfa sul buio.
L’artista accorcia la distanza tra umano e divino. Sublima la materia,
la innalza, dialoga con l’universalità e l’eterno, precisando il luogo
della Parola.
Una musica, frutto dell’armonia di forme e colori, filtra attraverso
piccole finestre ed unisce segretamente, secondando l’adorazione dello
Spirito. Lo splendore divino evoca l’origine della luce umana.
Fede e ragione divengono unica realtà: la profondità dell’uomo, ricolma
di Dio, esulta nello Spirito. |